Trotski

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Trotsky

Riproduco alcuni testi su Trotski comparsi su riviste, libri, quotidiani e siti Internet. Gli eventuali miei interventi sono in colore rosso


Dal sito Homo Laicus questo articolo in tre parti:
Per una storia del trotzkismo,
appunti introduttivi
1. Introduzione

“La scienza del movimento operaio è il marxismo” (L. Trotskij)

Il marxismo come scienza della rivoluzione è la cristallizzazione dell’esperienza della lotta di classe che il proletariato conduce contro il capitalismo da oltre due secoli. In ultima istanza ogni partito e ogni corrente rappresentano una certa parte della società (“Una qualsiasi lotta di frazione in un partito è sempre, in ultima analisi, il riflesso della lotta di classe” ha scritto giustamente Trotskij). Lo studio della storia del marxismo è dunque lo studio della storia della lotta di classe vista da un punto di vista delle tendenze politiche e teoriche che questa lotta rappresentano, anche da un punto di vista scientifico. La posizione tipica dei riformisti è il rifiuto dello studio di questa storia con la scusa veramente geniale dei cambiamenti intervenuti nella società “nell’ultimo periodo”.


Questa volontà di ignorare le lezioni delle lotte passate ha molte ragioni, tra cui quella di recidere il legame tra i grandi rivoluzionari del passato e la nuova generazione della classe operaia. La ragione principale sta però nel fatto che lo studio delle lotte del movimento operaio e del marxismo dimostrano chiaramente quanto le “novità” del capitalismo e dei burocrati riformisti ricorrono con noiosa ciclicità nei decenni passati. I dirigenti si aggrappano a ogni trovata di qualche professore di “sinistra” per confutare il marxismo, per dimostrare le rotture col passato ecc. Sperano in questo modo di difendere i propri privilegi per i tempi a venire. In questo senso, come quinta colonna borghese nelle file del movimento operaio, agiscono correttamente, perché sanno che il marxismo è l’arma più potente che la classe operaia ha forgiato nella sua secolare storia.

Dal nostro punto di vista lo studio del marxismo nelle sue varie fasi ha un’importanza fondamentale. In questo contributo verrà trattata la storia del trotskismo[1], ovvero del marxismo del nostro secolo, nel periodo che va dalla degenerazione del primo stato operaio ai giorni nostri. Nella storia del marxismo possiamo scorgere un filo ininterrotto di analisi e di azione politica che parte da Marx ed Engels, passa per il bolscevismo e approda alla quarta internazionale e alla sua tendenza rivoluzionaria. Non c’è niente di sentimentale, di feticistico, che ci lega attraverso questo filo ai marxisti del passato, c’è la finalità comune di lottare per la liberazione del proletariato e per il progresso dell’umanità. Possiamo lasciare gli scettici, i pessimisti inguaribili e i pasdaran del capitalismo al loro ruolo di freno della storia. Questa stessa storia si incaricherà di rendere il loro lavoro sempre più faticoso e impossibile. Dal nostro punto di vista lo studio delle lotte politiche, sociali e teoriche del passato costituisce una indispensabile guida per l’azione.

2. L’Internazionale Comunista dopo Lenin

La terza internazionale, nel decennio che va dal 1923 al 1933, cessò di essere il partito della rivoluzione mondiale e divenne il partito della controrivoluzione mondiale. Il processo iniziò con il fallimento della rivoluzione in Germania, dovuto anche a politiche scorrette suggerite dall’ala destra del partito bolscevico, e terminò con la presa del potere da parte dei nazisti.

Non è questo il luogo per analizzare il processo di degenerazione dello stato operaio russo e del partito bolscevico. E' comunque importante notare che i dirigenti principali del partito e soprattutto Lenin e Trotskij erano ben consci dei pericoli insiti nell’isolamento e nell’arretratezza dell’economia russa. Già nel ‘22 Lenin si mosse, compatibilmente con le sue ormai precarie condizioni di salute, per tentare di porre un freno alla deriva burocratica del partito. Il 1923 fu l’anno in cui cominciò la lotta tra la frazione bolscevica, guidata da Trotskij, e l’apparato burocratico intorno a Stalin. In quell’anno venne formata l’Opposizione di sinistra come mezzo per riformare il partito e lo stato. Nell’ottobre del 1923 Trotskij scrisse alcune lettere al CC del Pcr sulla democrazia nel partito e firmò la “dichiarazione dei 46” (un documento che prendeva il nome dai 46 dirigenti che formavano l’opposizione). L’apparente imminenza della rivoluzione in Germania rafforzò l’opposizione e al Plenum di dicembre del CC la politica di “Nuovo Corso” venne approvata, anche se non verrà mai portata avanti.

La sconfitta della rivoluzione tedesca, causata anche dagli errori della direzione russa, isolarono l’opposizione. Nell’autunno del 1924 Stalin propose la teoria assolutamente nuova e antimarxista del “socialismo in un solo paese”. La burocrazia, sfidata dall’opposizione, aveva preso coscienza di sé e cominciava a crearsi una giustificazione teorica delle proprie politiche. Le sconfitte che si susseguirono negli anni ‘20 (in Cina, in Inghilterra ecc.), furono sia causa che risultato dello spostamento a destra della burocrazia e consentirono all’apparato, paradossalmente grazie ai propri errori, di isolare l’avanguardia bolscevica nel Pcr e in ogni altro partito comunista.

Dal 1926 al 1928 si consumò la breve esperienza dell’opposizione unificata: Zinoviev, Kamenev e altri, sottovalutando Stalin, avevano pensato in un primo momento di servirsene contro Trotskij. Essendosi resi conto della totale estraneità di Stalin dalle pratiche e dai principi del bolscevismo, compirono una svolta unendosi a Trotskij. Ma di nuovo, dopo due anni, operarono una nuova svolta e si arresero alla burocrazia. Nello stesso anno Stalin lanciò le prime ampie purghe nel partito[2]. Al sesto congresso della Internazionale Comunista Trotskij propose una piattaforma alternativa che, data la ancora incompleta degenerazione del partito, venne ammessa alla discussione. Molti dirigenti dell’Internazionale presero contatto per la prima volta con le idee dell’opposizione russa ed estesero la battaglia dell’Osi in molti partiti comunisti del mondo.

Nel 1929 Trotskij venne esiliato in Turchia e l’Osi allontanata dai partiti comunisti. Nello stesso periodo la burocrazia stalinista compì una svolta settaria di 180 gradi nel suo orientamento politico. Scavalcò formalmente a sinistra l’Osi, dichiarò giunta l’epoca del declino finale dell’imperialismo e definì i partiti riformisti come “gemelli” del fascismo. In questo modo preparò la colossale disfatta del proletariato tedesco.

Questa politica non era che l’esportazione all’estero della svolta a cui Stalin era stato costretto all’interno: distruzione della nascente borghesia (basata sulla Nep) e applicazione, seppur mostruosamente distorta, delle misure proposte dall’opposizione di sinistra (pianificazione, piano quinquennale ecc.). A quell’epoca, definita dall’Internazionale Comunista il “terzo periodo”, Trotskij considerava ancora l’Osi come la tendenza rivoluzionaria della terza internazionale e resisteva alle pressioni di alcuni estremisti che avrebbero voluto formalizzare una scissione per formare subito una nuova internazionale. I gruppi rivoluzionari nei vari paesi cercavano di organizzarsi come tendenze dentro e fuori i partiti comunisti.

Nel 1933 ci fu la disastrosa sconfitta del proletariato tedesco, in cui i nazisti poterono prendere il potere e annientare il più potente movimento operaio mondiale senza sparare un colpo, anzi con la complicità del partito comunista. Questo infatti si rifiutò di allearsi con la Spd contro i nazisti, ripetendo che la Spd e i nazisti erano gemelli. Arrivò addirittura a votare insieme ai nazisti contro la Spd in un referendum che chiedeva l’abbattimento di un governo socialdemocratico. Mentre i suoi dirigenti dichiararono trionfanti che ora era il loro turno e che Hitler era solo di passaggio, Trotskij realizzò l’impossibilità di riformare l’Internazionale Comunista e lo stato operaio sovietico. Dal 1933 l’Osi si chiamerà Lci (lega comunista internazionalista) per la quarta internazionale.

3. Per una nuova internazionale

Negli anni successivi Trotskij chiarì che in Urss non era più possibile una riforma dello stato e del partito, era necessaria una rivoluzione politica che eliminasse la burocrazia. In questo periodo i deboli gruppi trotskisti nel mondo, a volte isolati dal movimento operaio, ma a volte con ottimi quadri e un certo appoggio tra i lavoratori, cominciarono la costruzione della nuova Internazionale.

Nel 1936, mentre si consumava il sabotaggio della rivoluzione spagnola, in Urss cominciarono i processi intesi a eliminare ogni dirigente e ogni militante che avesse una qualsiasi connessione con la rivoluzione d’ottobre. Molti di questi non erano neanche attivi nel partito, altri appoggiavano passivamente Stalin, ma vennero comunque sterminati dal primo all’ultimo. All’inizio della seconda guerra mondiale il partito più rivoluzionario della storia era stato completamente sradicato dalla Russia e dal mondo. Trotskij era l’unico legame rimasto tra il bolscevismo e le nuove generazioni. Stalin ovvierà anche a questo.

Quando Trotskij decise di fondare la quarta internazionale, il movimento operaio stava attraversando uno dei periodi peggiori della propria storia, probabilmente quello più denso di sconfitte, disastri e massacri. Gli anni ‘30 si aprirono con la lotta rivoluzionaria dei lavoratori spagnoli e si chiusero con l’infame patto tra Stalin e Hitler che arrivò come colpo finale a demoralizzare completamente una classe operaia esausta. In Europa il tallone nazifascista aveva schiacciato il movimento operaio e atomizzato le sue organizzazioni. In Urss avvenne lo stesso processo, anche se con un altra base sociale, perché la burocrazia manteneva la proprietà statale dei mezzi di produzione come strumento per l’accrescimento dei propri privilegi.

Questo quadro sembra ben diverso, e in realtà decisamente opposto, a quello in cui venne fondata l’Internazionale Comunista, sull’onda di una rivoluzione vittoriosa e delle ripercussioni mondiali della prima vittoria operaia della storia. “Non ci sono le condizioni oggettive per una nuova internazionale”, con questa ovvia diagnosi molti condannavano la decisione ‘utopica’ di Trotskij e dei quadri rivoluzionari che si raccoglievano attorno a lui[3]. Come fanno spesso i ‘realisti’, questi signori rifiutavano di analizzare dialetticamente la situazione, estraevano gli aspetti più appariscenti e ovvi e se ne servivano per confermare le proprie tesi. Trotskij partiva da un altro presupposto. Nonostante l’immane sconfitta subita dal proletariato in molti paesi, nonostante l’imminenza di una nuova carneficina globale, ancora una volta la classe operaia si sarebbe aperta la strada verso il potere. Il problema fondamentale di questa epoca, aperta con la rivoluzione d’ottobre e perdurante ancora oggi è il problema della direzione rivoluzionaria. Anche se debole e isolata, la quarta internazionale, basandosi sui principi del marxismo e con un giusto orientamento verso il movimento operaio, poteva porsi come una seria alternativa alle direzioni moribonde e corrotte riformiste e staliniste.

Il 3 settembre 1938, 25 delegati in rappresentanza di undici paesi proclamarono ufficialmente la fondazione della quarta internazionale. Nel complesso la nuova internazionale venne fondata con tendenze in circa trenta paesi. Molte di queste erano deboli, inesperte e di composizione sociale scarsamente proletaria. Ma vi erano eccezioni considerevoli. Per esempio negli Stati Uniti aderirono James Cannon e la sua corrente; Cannon uno dei fondatori del partito comunista, si era unito all’Osi nel 1928 dopo aver conosciuto e fatto conoscere i documenti di Trotskij. Era anche uno dei dirigenti più riconosciuti dalla classe operaia americana. In Cina aderì Chen Tu-Hsiu, fondatore del partito comunista cinese, che aveva aderito all’Osi dopo la sconfitta della rivoluzione cinese. Nel complesso comunque, la quarta internazionale nasceva con meno forze di quante ne avesse avute l’Osi nel ‘33 e questo spinse alcuni a non farvi parte. In Urss, dove per Trotskij vi era ancora la sezione più importante della quarta internazionale, la situazione era tragica e l’opposizione già era stata quasi completamente annientata. Tra il marzo e il maggio del 1938 a Vorkuta circa tremila oppositori trotskisti vennero sistematicamente massacrati.

4. Chiarezza politica

La rivoluzione d’ottobre aprì la strada a una serie di rivoluzioni su scala mondiale. Nonostante l’eroismo rivoluzionario delle spesso giovanissime avanguardie comuniste, molte occasioni andarono perdute per inesperienza e per errori settari. I bolscevichi, nei congressi dell’Internazionale Comunista, cercavano di mettere le direzioni dei giovani partiti comunisti al passo coi i compiti immani della presa del potere. La tattica del fronte unico venne proposta in questo periodo a quei partiti che operavano in paesi in cui i riformisti avevano ancora un peso importante, se non decisivo, nel movimento operaio. Alcuni partiti e alcune tendenze rifiutarono questa tattica, ritenendola un arretramento opportunista. Tra di essi c’era anche la direzione del Pcd’I (allora compatta dietro Bordiga). Quando Trotskij cominciò la battaglia di opposizione, attirò anche alleati di questo tipo, settari convinti che lui avesse finalmente capito gli sbagli precedenti. Una parte di questo settore che in Italia definiamo bordighista, passerà effettivamente al trotskismo, ma per la sua gran maggior parte romperà con l’Osi nel corso della lotta allo stalinismo. Indubbiamente molti di questi dirigenti erano rivoluzionari onesti, come Bordiga, che difese sempre l’Osi, pagando cara la propria coerenza. Tuttavia il loro orientamento settario li tagliava fuori dal movimento operaio organizzato.

5. La Quarta Internazionale dopo Trotskij

“Nei periodi di reazione e declino saltano fuori da tutte le parti gli stregoni e i ciarlatani” (L. Trotskij)

Poco dopo lo scoppio della guerra, Stalin fece uccidere Trotskij, in un momento in cui gli occhi del mondo erano puntati altrove, proprio come Trotskij stesso aveva previsto. Due anni prima suo figlio, Leon Sedov, aveva subito la stessa sorte. Il movimento trotskista[4] si ritrovava ad entrare in guerra in condizioni critiche. Nell’Europa continentale, in cui tradizionalmente vi era la stragrande maggioranza del movimento operaio organizzato, i trotskisti erano stati pressoché sradicati dall’azione congiunta dei nazifascisti e degli stalinisti. Tuttavia negli anni ‘30 i trotskisti riuscirono a condurre importanti lotte sindacali e politiche in vari paesi.

In Francia, la sezione della quarta internazionale ottenne un grande appoggio con la proposta di fronte unico delle organizzazioni operaie per fermare il fascismo a metà del decennio, e fu in riferimento alla sezione francese che Trotskij propose per la prima volta la tattica dell’entrismo. Tuttavia con la conquista nazista anche questa sezione venne schiacciata. Le poche cellule sopravvissute portarono avanti una politica rivoluzionaria come poterono, spesso nei campi di concentramento. In questo periodo quelli che diventeranno i due dirigenti principali della quarta internazionale, Mandel e Pablo, diedero le migliori prove di sé, operando eroicamente in paesi occupati dalla dittatura hitleriana. I trotskisti così, si trovavano ad agire, con una certa libertà, in soli due paesi avanzati: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Negli Stati Uniti la direzione del Swp, grazie anche ai consigli di Trotskij, ebbe successi notevoli, acquisendo un peso considerevole nelle lotte sindacali del tempo (Minneapolis, New York ecc.). Della sezione inglese parleremo dopo.

Nei paesi coloniali la quarta internazionale aveva alcuni punti di forza notevoli: in Vietnam la sezione aveva un’influenza di massa e guidava il movimento per l‘indipendenza del paese. Anche nello Sri-Lanka la sezione era un partito operaio di massa. Nel complesso, nonostante tutto, la quarta internazionale poteva contare su un nucleo importante di quadri rivoluzionari e su un certo numero di sezioni in vari paesi del mondo. La morte del “Vecchio” portò lo scompiglio. Non si trattò solo della perdita del simbolo stesso della rivoluzione d’ottobre, nonché del più grande rivoluzionario del secolo con Lenin, ma si trattò della scomparsa del legame tra direzioni nazionali molto diverse, spesso immature e poco temprate. Non passò un anno dall’omicidio di Trotskij e già l’internazionale era spaccata. Non a caso la spaccatura avvenne sull’analisi dell’Urss e la posizione che i trotskisti dovevano assumere verso di essa.

E' sulla questione della natura dell’Urss che la quarta internazionale si distinse politicamente da ogni altra corrente del movimento operaio. E' grazie all’analisi della degenerazione della rivoluzione bolscevica che i trotskisti acquisirono la capacità di comprendere allora, come in seguito, il proprio tempo, le svolte continue dei partiti comunisti e dunque la guida per intervenire nella classe operaia. Si può dire che almeno nove decimi delle spaccature, che si contano a dozzine, che la quarta internazionale e le sue sezioni nazionali hanno subito, sono partite o si sono concentrate sulla natura dell’Urss. Anche la nostra tendenza è nata in questo modo.

6. La natura di classe dell’Urss

Già prima della fondazione della quarta internazionale, vi erano gruppi estremisti che proponevano la teoria che l’Urss fosse uno stato capitalista in cui la borghesia era formata dalla casta burocratica che estorceva plusvalore al proletariato come il capitalista ‘privato’ fa nel resto del mondo. In Italia per esempio, questa teoria venne fatta propria dai bordighisti. In seno alla quarta internazionale l’analisi di Trotskij veniva accettata da tutti, o almeno così sembrava. Poco prima della sua morte, nella sezione americana, il Swp, una corrente cominciò a muovere critiche alla teoria dello stato operaio degenerato e propose una nuova teoria, quella del “collettivismo burocratico”.

Secondo questa teoria l’Urss sarebbe un nuovo tipo di stato, né capitalista né operaio che esprimerebbe peraltro una tendenza generale dell’economia mondiale. Una tendenza peraltro progressista, che dunque sarebbe un errore contrastare. Tanto il nazifascismo, quanto il New Deal, quanto l’Urss non sarebbero che diverse modalità con cui i manager pubblici e privati, i burocrati aziendali e statali, vanno acquisendo il potere nella società. I fondatori di questa teoria erano due dirigenti del Swp, Burnham e Schachtman, che avviarono un’aspra lotta di frazione in seno alla sezione americana contro l’idea che i trotskisti dovessero difendere l’Urss contro l’imperialismo. Trotskij e la maggioranza del Swp difesero la posizione dello stato operaio degenerato. La frazione che difendeva la concezione del ‘collettivismo burocratico’ rifletteva il cambiamento di umore nella piccola borghesia radicale. Finché difendere l’Urss significava una politica astratta, basata su eventi che accadevano lontano, allora si poteva essere rivoluzionari senza sforzi. Quando, all’avvicinarsi della seconda guerra mondiale, la difesa dell’Urss diveniva un problema che investiva tutto il mondo, questi intellettuali, professori di filosofia e simili, si rifiutavano di difendere la mostruosa dittatura stalinista, accusando i trotskisti di voler difendere il totalitarismo.

La loro fine dimostra quali erano le basi sociali della spaccatura: dopo essersi scissi dal Swp e aver formato il Workers’ Party, diventeranno nel dopoguerra politici reazionari (partecipando alla campagna maccartista). Questo episodio evidenzia una lezione che si dimostrerà più e più volte vera nella storia: la critica alla concezione dell’Urss come stato operaio deformato è l’inizio di una rottura politica e organizzativa con il movimento rivoluzionario. Questo non significa che tutte le correnti politiche che hanno rifiutato l’analisi di Trotskij sono poi passate alla reazione. Ma questa rottura è una condizione necessaria sulla strada di una svolta controrivoluzionaria. Così fu anche nella lotta di frazione in senso al Swp.

All’inizio questa concezione sembrava una deformazione peculiare di una corrente del partito, ma col tempo, si dimostrò per quello che era, una teoria profondamente reazionaria. Trotskij rispose magistralmente a queste deformazioni in In difesa del marxismo. Anche se prima della sua morte queste correnti restavano minoritarie, non bisogna dimenticare che il SI[5], rifugiato a New York, appoggiava maggioritariamente la frazione Burnham-Shachtman della sezione americana che proponeva di modificare la posizione della quarta internazionale verso l’Urss e questo dimostrava fondamentalmente l’immaturità di questo organo. In generale la lotta di frazione in senso al Swp era solo un sintomo di un processo generale.

7. Vittoria e diversificazione dello stalinismo

Come detto la guerra distrusse gran parte della direzione della quarta internazionale. Molti quadri, che sarebbero stati decisivi nel dopoguerra, finirono nei campi di sterminio nazisti e stalinisti, altri vennero assassinati dai servizi segreti delle ‘democrazie’ occidentali. Questa debolezza oggettiva non era però cosa nuova per i rivoluzionari. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, i socialisti internazionalisti che si incontravano in Svizzera, potevano stare in qualche carrozza di un treno, secondo la nota battuta di Trotskij, eppure dopo nemmeno cinque anni era stata fondata un internazionale comunista di massa come culmine della vittoria della classe operaia in Russia. Il problema fu che gli esiti della seconda guerra mondiale agirono sulla direzione internazionale come fattori di scompiglio decisivo.

La burocrazia, vincitore del nazifascismo, otteneva una incredibile ricompensa per i suoi crimini, mezza Europa da edificare a propria immagine e somiglianza. L’Armata Rossa a Berlino era la prova che Stalin aveva avuto ragione, che l’esempio sovietico andava apprezzato e seguito. Nei dieci-venti anni successivi alla vittoria contro Hitler, lo stalinismo raggiunse il suo apogeo. L’enorme sviluppo economico e tecnologico dell’Urss, di cui lo sforzo bellico era la prova più convincente, dimostrava la superiorità della pianificazione sovietica su ogni forma di capitalismo, anche la più brutale. Lo stalinismo aveva occupato militarmente l’Europa dell’Est e in qualche anno, peraltro molto facilmente, modellava questi paesi a propria somiglianza. In Iugoslavia e in Cina gli stalinisti prendevano il potere in modo autonomo da Mosca ma pur sempre entrando a far parte del sistema sovietico.

La guerra di Corea fu l’ennesima frustrazione per l’imperialismo occidentale, in specie americano. Mezzo mondo era saldamente nelle mani di caste burocratiche sovietiche e l’influsso sovietico si faceva sentire in ogni angolo del mondo coloniale, spingendo colonnelli e satrapi locali a definirsi socialisti, nazionalizzare fabbriche e miniere e passare armi e bagagli con Mosca. Perfino Cuba, squallida provincia dell’impero americano, una specie di bordello galleggiante al largo della costa americana, sollevò la testa. La vittoria di Castro e Guevara a Cuba, una nazione intimamente dentro il sistema imperialista statunitense sconvolse la borghesia americana. Sebbene ingrassati da anni di boom economico, i capitalisti americani non risero quando Krusciov urlò nel palazzo di Vetro: “Vi seppelliremo!”. C’era già chi faceva il conto alla rovescia per prevedere l’anno in cui l’Urss avrebbe dovuto superare il colosso americano (il 1984 circa).

In Italia e in Francia, ma non solo, il movimento operaio era controllato saldamente dagli scagnozzi del Cremlino. L’apoteosi della barbarie stalinista ebbe un effetto deprimente e disorganizzatore sulla quarta internazionale. Ancora una volta sorsero profondi dissidi sulla natura di questi stati. I satelliti di Mosca erano stati operai degenerati? E la Cina o la Iugoslavia, in cui gli stalinisti avevano preso il potere autonomamente, che natura di classe avevano? E i vari staterelli che si dichiaravano socialisti in giro per il mondo? Oggi potrebbe sembrare curioso che qualcuno potesse vedere delle differenze nella natura dell’Urss degli anni ‘60 e della Ddr o della Bulgaria, o anche della Iugoslavia e della Cina.

A uno sguardo anche superficiale questi stati apparivano così simili che qualsiasi differenziazione sarebbe sembrata quanto meno arbitraria. Eppure su questo problema l’internazionale si ruppe la testa. Il nodo del contendere era questo: si può accettare che uno stato operaio, anche se enormemente deformato, possa sorgere come conseguenza della vittoria bellica e dell’occupazione militare? Può l’Armata Rossa modificare i rapporti di produzione, sostituendosi in un certo senso alla classe operaia? E se si accetta questo, a che serve la quarta internazionale? Non sono più utili i carri armati come mezzo di espansione dello stato operaio? Le risposte date a questi punti tormentarono l’internazionale per tutto il periodo postbellico. Qui cercheremo di esporre brevemente quali risposte vennero date.

8. L’Urss sì, l’Ucraina forse, la Iugoslavia assolutamente no

Quelli che se la sbrigarono più facilmente furono i teorici del capitalismo di stato: l’Urss è uno stato capitalista che impone il proprio capitalismo ad altri paesi. La corrente che oggi si raccoglie attorno al giornale Lutte Ouvriere (l’Uci, Unione Comunista Internazionale, ma allora si chiamava diversamente), propose e in seguito difese la posizione, strana finché si vuole, che l’Urss rimaneva uno stato operaio degenerato mentre tutti gli altri paesi in cui non c’era stata una rivoluzione operaia, erano regimi a capitalismo di stato. In questo modo, secondo loro, difendevano il ruolo dei marxisti: uno stato operaio, anche degenerato, può essere frutto solo di una rivoluzione. L’Armata Rossa può imporre solo un diverso modo di funzionare del capitalismo.

Una parte del movimento trotskista passò a negare che anche l’Urss fosse uno stato operaio degenerato. In questo modo poterono mantenersi neutrali nei conflitti tra l’imperialismo e la burocrazia sovietica[6]. La maggioranza della quarta internazionale, rappresentata dal SI e soprattutto da Mandel e Pablo, avanzò una sorta di mediazione. Nel 1947 Mandel scrisse che “l’intera metodologia marxista è irreconciliabile con l’assurda teoria che stati operai degenerati possano essere installati in un paese senza prima una rivoluzione proletaria” (Fourth International, 2/1947, pag. 48). Per qualche anno dunque, la posizione della maggioranza era di rifiutare l’idea che lo stalinismo potesse estendersi con vittorie militari. Facendo così, questi dirigenti pensavano di rimanere fedeli al pensiero di Trotskij.

In realtà, negli ultimi lavori che analizzano l’Urss, Trotskij aveva già anticipato la possibilità di un’espansione dello stalinismo. Ipotizzò anche la possibilità che la burocrazia lasciasse intatti il capitalismo, ma spiegò che:

“E' più probabile, tuttavia, che nei territori destinati a far parte dell’Urss il governo di Mosca espropri i grandi proprietari terrieri e nazionalizzi i mezzi di produzione. Questa variante è la più probabile non perché la burocrazia resta fedele al programma socialista ma perché non è né desiderosa né capace di dividere il potere, ed i privilegi che implica, con le vecchie classi dominanti dei territori occupati.

A questo punto si potrebbe fare un’analogia storica calzante anche alla lettera: il primo Bonaparte arrestò la rivoluzione mediante una dittatura militare. Tuttavia, quando le truppe francesi invasero la Polonia, Napoleone firmò il decreto: la servitù è abolita. (…). Nella misura in cui la dittatura bonapartista di Stalin si basa sulla proprietà statale e non su quella privata, l’invasione della Polonia da parte della Armata Rossa, nel caso specifico, dovrebbe avere come risultato l’abolizione della proprietà privata capitalistica, portando così il regime dei territori occupati ad armonizzarsi con quello dell’Urss. Questo provvedimento, di carattere rivoluzionario – l’espropriazione degli espropriatori – è in questo caso realizzato in maniera militare-burocratica.” (In difesa del marxismo, pagg. 59-60).

E Trotskij andava avanti anticipando sia che la burocrazia avrebbe stroncato l’attività indipendente delle masse, sia gli effetti di questi successi:

“…l’estensione del territorio dominato dalla autocrazia burocratica e dal parassitismo, nascosta dietro misure socialiste, può aumentare il prestigio del Cremlino e diffondere illusioni sulla possibilità di rimpiazzare la rivoluzione proletaria con manovre burocratiche” (op. cit., pag. 61)

“Non affidiamo al Cremlino nessuna missione storica. Siamo stati e restiamo contrari alla conquista di nuovi territori da parte del Cremlino.” (op. cit., pag. 62)

Come abbiamo visto invece, la maggioranza della quarta internazionale negava queste tesi.

Ma all’inizio degli anni ‘50 non solo questa posizione venne cambiata, ma il SI effettuò una svolta opportunista appoggiando di fatto la burocrazia,come vedremo tra poco. E' interessante notare che, non potendo accettare comunque uno stato operaio che degenera senza prima essere stato sano, il SI adottò questa concezione: l’Urss era uno stato operaio degenerato, gli altri erano stati operai deformati. Cosa questa distinzione implicasse in termini di necessità della rivoluzione politica o di condizioni delle masse sotto tali regimi, questo è un mistero ancora oggi. Ma la differenza terminologica stava a significare che l’Urss un tempo era uno stato operaio sano, mentre gli altri sin dall’inizio non lo erano[7].

Come notato prima, analizzando la struttura della Cecoslovacchia, dell’Urss o di qualsiasi altra “democrazia popolare” non si sarebbero trovate più differenze che tra l’Italia e la Francia, per non parlare del Brasile o del Sudafrica, che ogni tendenza politica concordava essere tutti stati capitalisti. Eppure questo appariva chiaro solo alla direzione della sezione britannica, il Rcp (Revolutionary Communist Party).

9. Il ruolo del Rcp

La storia del trotskismo britannico, al pari di quello di ogni altro paese, è una storia di rotture, unioni di due gruppi che alla fine diventano dieci e così via. A tuttora in un solo periodo storico il movimento trotskista è stato unito in un’unica organizzazione, dal 1944 al 1948. Prima della guerra in Inghilterra c’erano due gruppi trotskisti, la Wil (Workers’ International League) e la Rsl (Revolutionary Socialist League). Sebbene la quarta internazionale riconoscesse ufficialmente la Rsl, questa era una piccola setta con poche radici nel movimento operaio.

La Wil, che pure era nata come frazione di minoranza del movimento, grazie al suo lavoro nei sindacati, nelle forze armate ecc., era diventata un punto di riferimento importante per l’avanguardia operaia. Nel 1944 la Wil inglobò i resti della Rsl per formare il Rcp, sezione britannica della quarta internazionale. Dal 1944 il Rcp fu la sezione ufficiale della quarta internazionale e alla fine della guerra era la sezione europea più sviluppata politicamente e tra quelle più grandi organizzativamente. Infatti il Rcp fu, come visto, l’unica sezione europea funzionante nel corso della guerra e raggiunse una forza considerevole, tanto che si trovarono in seguito dei piani dei servizi segreti per l’assassinio dei suoi dirigenti nel caso di una radicalizzazione della classe operaia inglese. Sin dall’inizio il Rcp ebbe fondamentali divergenze rispetto al SI.

Oltre alla natura di classe degli stati sorti con la vittoria militare dell’Urss, c’erano altri due nodi fondamentali che dividevano la direzione del Rcp e il SI: la possibilità del capitalismo di riprendersi e l’atteggiamento da avere verso i partiti socialisti e comunisti. Anche in questo caso, la direzione della quarta internazionale, utilizzando formalisticamente alcune idee di Trotskij, proponeva un’analisi scorretta. Innanzitutto il capitalismo non poteva avere ulteriori espansioni[8], in secondo luogo i partiti legati al riformismo e allo stalinismo si sarebbero distrutti rapidamente, lasciando alle sezioni della nuova internazionale lo spazio debito per la costruzione del partito rivoluzionario.

Vi furono vari scontri su questi problemi e molte voci contrastanti, ma solo la direzione del Rcp formulò un’analisi complessiva su questi nodi complessivi e si oppose al SI. Purtroppo nel 1948 il Rcp si frantumò per una serie di ragioni (condizioni oggettive negative, gli intrighi del SI che preferì spaccare la sezione piuttosto che rispondere politicamente ai suoi dirigenti, ecc.). Nello stesso periodo i dirigenti della quarta internazionale compirono una svolta politica e organizzativa che portò alla più forte divisione nell’internazionale.

10. Il “pablismo”

Nel 1949, Michel Pablo, segretario del SI, propose una nuova interpretazione dello stalinismo. Lungi dall’essere una degenerazione dovuta a cause specifiche, il bonapartismo proletario incorporava tendenze universali nella transizione storica al socialismo. Lo stalinismo non era più considerato un regime transitorio, seppur rafforzato per una certa epoca, senza nessuna funzione necessaria nella storia. Al contrario Pablo pronosticò “secoli di stati operai deformati” e arrivò a proporre la teoria “guerra-rivoluzione” di cui diremo tra poco. All’epoca in cui Pablo propose questa nuova interpretazione sembra che Mandel e gli altri dirigenti si opposero e ci furono degli scontri tra loro. Ma evidentemente la forza dello stalinismo convinse tutta la direzione della quarta internazionale della giustezza delle idee di Pablo.

In pratica la svolta era una razionalizzazione della debolezza dell’organizzazione. Anziché lottare per il consolidamento e la formazione dei quadri, la direzione cercò una scappatoia accodandosi alla principale forza del movimento operaio. La teoria “guerra-rivoluzione” fu il coronamento di questo processo. La rivoluzione mondiale non si basava più su una lotta generalizzata della classe operaia, ma nella visione del SI sarebbe stata il risultato dell’inevitabile conflitto tra Usa e Urss. Infatti questi dirigenti prevedevano che l’imperialismo avrebbe inevitabilmente attaccato l’Urss, scatenando la terza guerra mondiale.

Questa guerra, data la probabile vittoria dello stalinismo, avrebbe portato alla diffusione di tale regime in tutto il mondo e, data la stabilità che ne sarebbe seguita, lo stalinismo sarebbe durato secoli. Sin dal ‘45 Ted Grant, il principale dirigente del Rcp, chiarì l‘impossibilità per l’imperialismo di lanciare una guerra contro l’Urss, per alcune ragioni chiave tra cui la forza del movimento operaio. Nello stesso periodo aveva avanzato la prospettiva del ruolo della burocrazia come “agente di cambiamento sociale”, senza però darle una qualsiasi patente progressista. Pensandoci oggi, la teoria della “guerra-rivoluzione” assomiglia a una trama di un film di fantascienza, ma non era altro che il riflesso delle condizioni politiche della guerra fredda nella mente di teorici disorientati e isolati. Tale concezione si basava su una profonda sfiducia nella classe operaia che non avrebbe potuto mobilitarsi contro la guerra e in un certo senso non avrebbe dovuto.

Cercando di razionalizzare il proprio pessimismo, questi dirigenti facevano dell’olocausto militare il prerequisito del socialismo. Da un punto di vista organizzativo questo comportava una tattica denominata “entrismo sui generis”, che comportava la liquidazione della struttura delle sezioni nazionali e la loro adesione completa ai partiti stalinisti. Non si trattava di lavorare nelle organizzazioni di massa mantenendo la propria indipendenza politica e organizzativa, pur accettando la disciplina di partito. Si trattava di annullarsi nei partiti comunisti, visti come lo strumento della rivoluzione mondiale, anche se in una forma distorta.

Presentando questa tattica, Pablo aveva afferrato un aspetto corretto della situazione, il rafforzamento dei partiti operai tradizionali, in specie stalinisti, nel dopoguerra. In sé l’idea di lavorare come componenti di tali partiti era sensata e poteva evitare derive settarie. Il punto è che Pablo e Mandel andarono ben oltre il lavoro organizzato e di fatto proposero un lavoro disorganizzato, lo scioglimento delle sezioni della quarta internazionale. Nel periodo che va dal 1949 al 1953 queste tesi aprirono dibattiti aspri nell’internazionale. Per altro, come sempre succede, una prospettiva errata deve essere difesa con misure organizzative e conduce all’eliminazione del regime interno democratico. Così nel 1953 la sezione francese, che si opponeva alla svolta, venne espulsa (e fondò la corrente di P. Lambert che esiste ancora oggi).

Anche in Cina, dove i trotskisti lavoravano in enormi difficoltà ma con un certo successo, la svolta venne imposta, portando alla liquidazione della sezione. Solo in Sri-Lanka e in Bolivia, dove le sezioni erano numericamente molto forti, la svolta non venne condotta. La quarta internazionale si spaccò. Cannon, dirigente del Swp americano, formò una corrente internazionale per opporsi alla svolta pablista (l’International Commitee of the Fourth International). Il SI ottenne comunque la maggioranza e le correnti di opposizione per lo più formarono nuove quarte internazionali. Non tutte queste correnti attaccarono la direzione sulla base di considerazioni corrette. Molte erano semplicemente tendenze settarie che vedevano come fumo negli occhi ogni avvicinamento alle organizzazioni riconosciute del movimento operaio.

Lo stesso Cannon, un grande dirigente rivoluzionario per anni, non fu immune da cedimenti settari. Scrisse per esempio: “Se la relazione tra le forze richiede l’adattamento dei quadri dell’avanguardia alle organizzazione dominate al momento da tendenze ostili come gli stalinisti, i riformisti, i centristi, bene questo adattamento deve essere considerato in ogni momento come un adattamento tattico per facilitare la lotta contro di loro; mai per effettuare una riconciliazione con loro; mai per assegnargli un ruolo storico decisivo…” (Trotskysm versus Revisionism, pag. 65). Come si vede questo brano si presta a diverse interpretazioni e può essere equivocato nella sua applicazione concreta. La corrente originata in questo scontro lo interpretò nel modo più settario possibile.

La spaccatura del ‘51-’53 condusse alla formazione di quasi tutte le tendenze internazionali che ancora oggi si richiamano al trotskismo. Il fatto che la quarta internazionale fosse ancora molto poco omogenea e strutturata a livello di direzione, venne dimostrato anche dal fatto che le rotture si provocarono spesso a livello continentale, dove un gruppo dirigente locale non accettava la svolta pablista. Così la quarta internazionale, appena rinata dopo le devastazioni della guerra, era già profondamente spaccata sui problemi centrali.

11. Trotskismo inconscio

L’espansione dello stalinismo non avvenne solo grazie all’avanzata dei carri armati russi. In Iugoslavia Tito, basandosi sulla guerra partigiana di liberazione, arrivò al potere autonomamente. Qualche anno dopo Mao, alla testa di un esercito contadino, schiacciò i nazionalisti e portò a termine una rivoluzione che distrusse il capitalismo nel paese più popoloso del mondo. Molti dirigenti trotskisti vennero sorpresi da questi eventi. Non solo lo stalinismo usciva enormemente rafforzato dalla seconda guerra mondiale. Non solo si imponeva direttamente in mezza Europa, ma forniva il modello per delle rivoluzioni in vari paesi. Tito e Mao giunsero al potere per mezzo di rivoluzioni autonome, senza l’aiuto diretto di Mosca che anzi sostanzialmente li boicottò. La forza del modello sovietico si impose per tutta l’epoca postbellica.

Quello che in Russia era stato l’effetto di condizioni specifiche divenne la causa della deformazione di tutte le rivoluzioni successive. Per Marx ed Engels la rivoluzione socialista si sarebbe imposta prima nei paesi più avanzati, Inghilterra, Francia ecc., e quindi si sarebbe diffusa facilmente al resto del mondo. Il boom del periodo 1870-1917 e una direzione in via di degenerazione non diedero molte occasioni per prendere il potere alla classe operaia occidentale. Fu dunque la classe operaia russa, relativamente debole e arretrata, a prendere per prima il potere. Il suo isolamento e l’arretratezza sociale contribuirono alla degenerazione della rivoluzione. Ma i motivi che avevano rotto la catena dell’imperialismo nel suo anello più debole, la Russia, non svanirono con la fine della guerra, anzi, si rafforzarono.

Nonostante la ripresa vigorosa in tutti i paesi avanzati, il capitalismo segnava il passo nel mondo coloniale. I paesi europei stavano perdendo i propri possedimenti coloniali, più o meno volontariamente (India, Indocina ecc.). Gli Stati Uniti non sempre erano in grado di rimpiazzare la Francia, l’Inghilterra ecc. nei loro imperi morenti. In Cina l’impasse totale del capitalismo si vide chiaramente con il disastroso regime di Chang Kai Shek. Sebbene costui fosse appoggiato, armato e finanziato dall’imperialismo occidentale, non era in grado di sciogliere i nodi fondamentali della rivoluzione borghese in Cina: la riforma agraria, l’indipendenza nazionale ecc.

Il processo di rivoluzione permanente, in cui una classe ne sostituisce un’altra nei suoi compiti storici, che Trotskij aveva previsto per la Russia, si verificò in tutti i continenti per due ragioni fondamentali: l’impasse assoluta del capitalismo e la forza dell’esempio sovietico. Non deve sorprendere che alcuni dirigenti dell’internazionale, cristallizzando in teoria questa situazione, vedessero nella cricca del Cremlino un attore necessario della storia mondiale e delle rivoluzioni. L’unica sezione che non venne sconvolta dagli eventi fu il Rcp inglese. Non solo il Rcp aveva intuito la vittoria di Tito e di Mao già durante la guerra, ma soprattutto aveva capito che questi due bonaparti, nella misura in cui dovevano poco o nulla a Mosca, rispetto alle cricche staliniste dell’Europa orientale, sarebbero inevitabilmente entrati in attrito con l’Urss. Il conflitto tra Tito e Stalin, esploso nel 1948, fece definitivamente perdere la bussola al SI.

Alcune correnti trotskiste superavano il problema negando che esistessero stati operai oltre l’Urss. A quel tempo, la direzione della quarta internazionale non aveva ancora lanciato l’idea di sciogliersi nei partiti stalinisti, ma già stava cercando scorciatoie per superare la propria debolezza. Lo scontro tra paesi stalinisti fornì questa scorciatoia. Questo errore venne ripetuto in tutti i casi in cui gli stalinisti giunsero in modo autonomo al potere (Tito, Mao, negli anni ‘60, Cuba). Anziché chiarire la natura di questi conflitti tra paesi stalinisti, la quarta internazionale si alleava con una frazione stalinista contro l’altra. Nel ‘48 la Iugoslavia venne dichiarata uno stato operaio sano e Tito un trotskista ‘inconscio’. La quarta internazionale arrivò addirittura alla prospettiva veramente fantastica di poter ammettere il partito comunista iugoslavo come sezione dell’internazionale. Successivamente il titolo di trotskista inconscio passò a Mao; infine passò a Castro. La storia non fornì successivamente nessun nuovo bonaparte a cui donare questo riconoscimento.

Tutto ciò chiaramente aiutava lo stalinismo, non i rivoluzionari. Ma in realtà gli unici trotskisti inconsci sono stati gli operai dell’Europa dell’est che, senza un’organizzazione e senza leggere una pagina di Trotskij, hanno portato avanti una rivoluzione politica. Gli operai ungheresi del ‘56 che restarono nelle fabbriche occupate anche quando la reazione sovietica li bombardò con l’artiglieria, questi sì furono trotskisti inconsci. Contro tutte queste giustificazioni teoriche dell’opportunismo, la direzione del Rcp difese il metodo e i principi del marxismo. Innanzitutto, spiegando che senza il ruolo attivo e cosciente della classe operaia non si può avere una rivoluzione sana e la creazione di uno stato operaio sano.

Questa è una condizione necessaria, ma come mostra l’esempio russo, non sufficiente. In tutti i paesi dove lo stalinismo giunse al potere autonomamente, non solo la classe operaia giocò un ruolo marginale, ma venne schiacciata sin dall’inizio dalla repressione burocratica. Gli operai delle città industriali cinesi che accoglievano l’armata di Mao occupando le fabbriche vennero massacrati per “ristabilire l’ordine”. Prima che queste burocrazie indipendentemente da Mosca giungessero al potere, era inerente nella situazione la possibilità e anche la necessità di un conflitto con la burocrazia russa. Ognuna aveva da difendere i propri privilegi contro le caste degli altri paesi. Il punto è che il partito comunista cinese, per cercare appoggio nel movimento stalinista, cominciò a usare slogan radicali che ebbero una certa eco anche in occidente.

I maoisti cominciarono ad attaccare aspramente Mosca. Riprendendo tesi diffuse anche in ambito trotskista, sostennero che i paesi dell’est, Urss compresa, erano divenuti stati capitalisti. Secondo loro Krusciov aveva compiuto un colpo di stato. Senza tentare di dimostrare quali cambiamenti ci fossero tra l’Urss del 1950 e del 1960, attaccarono la teoria dello “stato operaio degenerato” ecc. Con questa retorica radicale riuscirono ad attirare molti consensi nei partiti comunisti.

Ma questa verniciatura ideologica non modificava certo la linea politica di fondo dello stalinismo cinese. Si può dire che Mosca e Pechino facessero a gara a sostenere regimi reazionari nel mondo coloniale, purché ciò danneggiasse l’altro e comunque secondo i propri comodi. Questo scontro si rifletteva nei partiti comunisti occidentali che riuscivano a rendersi più indipendenti dal Cremlino. Ciò segnò anche l’inizio della trasformazione di questi partiti in classici partiti riformisti, un processo concluso da poco e non ovunque. La tendenza che aveva fondato il Rcp e che in qualche modo era rimasta legata alla quarta internazionale fino al 1964, presentò una critica ai cedimenti della direzione verso le ali più ‘radicali’ dello stalinismo. All’VIII congresso della quarta internazionale, nel 1965 queste tesi vennero respinte e questa tendenza espulsa (le tesi vennero pubblicate nel documento La rivoluzione coloniale e il ruolo dei quadri marxisti).

12. La ripresa del capitalismo

Le prospettive per lo stalinismo non erano l’unico punto su cui la direzione della quarta internazionale si stava perdendo, appena finita la guerra. L’altro nodo era la possibilità di una ripresa economica. Anche in questo caso, rifacendosi ad alcune affermazioni di Trotskij, fatte in un preciso contesto, anni prima, il SI escludeva la possibilità di una ripresa. La direzione del Rcp propose un’ipotesi alternativa. Con la formula di “controrivoluzione in forma democratica”, Ted Grant spiegò come, grazie al ruolo dei partiti stalinisti e riformisti, la borghesia aveva lo spazio per reprimere, seppure non militarmente, la classe operaia e rilanciare l’economia.

Rispondendo alle posizioni di Pierre Franke (per il SI), che confondeva le acque sostenendo che in Europa c’erano solo regimi bonapartisti (con il trucco, per altro in voga anche recentemente, di parlare di “elementi di bonapartismo”). In questo modo la direzione del Rcp dimostrò di essere la vera continuatrice del metodo marxista: le sue analisi erano una guida per l’azione dell’avanguardia rivoluzionaria e non una giustificazione di errori commessi. Da un estremo ‘ultimatista’, simile alla teoria stalinista del terzo periodo, la direzione della quarta internazionale assunse una posizione all’altro estremo.

Negli anni ‘60 per questi “teorici” la classe operaia si era politicamente atrofizzata e non poteva essere attratta da un’organizzazione rivoluzionaria. Così da motore della rivoluzione, la classe operaia diveniva, nelle tesi della direzione quartinternazionalista, quasi un peso e nuove forze - i popoli oppressi, le minoranze di ogni genere - venivano promosse a forza decisiva per il cambiamento. Ancora una volta la quarta internazionale non faceva che teorizzare la propria incapacità. Anziché spiegare le condizioni particolari in cui si era potuto mantenere un quarto di secolo di crescita, costoro passarono a occuparsi dell’oppressione razziale, sessuale, della guerriglia contadina ecc. La conclusione fu che furono colti di sorpresa da tutti i movimenti di lotta che si verificarono negli anni ‘60 e ‘70 in Occidente. Il caso più eclatante fu quello del movimento del 1968 francese, in cui milioni di operai francesi occuparono le fabbriche e ci furono le più imponenti manifestazioni della storia in quel paese.

La Lcr, sezione della quarta internazionale, fu totalmente colta alla sprovvista. Si diede da sola il colpo di grazia pubblicando un volantino in cui, con un tono paternalista, chiedeva ai lavoratori di sottomettersi alla direzione rivoluzionaria, costituita appunto dalla Lcr, citando, fuori contesto, il brano del Che fare? in cui, in un modo poco felice e che in seguito rifiutò, Lenin chiarisce il ruolo della direzione rivoluzionaria. In generale alla lotta di classe venne sostituita ogni altra forma di lotta e questo impedì alle varie sezioni dell’internazionale di giocare un ruolo di qualche peso quando la classe operaia si risvegliò.

13. Lavoro nelle organizzazioni di massa

La quarta internazionale nacque con lo scopo di sostituire le direzioni reazionarie del movimento operaio, riformisti e stalinisti, che in modi diversi si erano prese il compito di salvare il capitalismo dalle lotte operaie, soprattutto boicottando e impedendo queste ultime. Le rivoluzioni sono un processo sociale oggettivo, come, in ambito diverso, le stagioni e le maree. La storia umana si è svolta attraverso fasi contraddistinte da modi di produzione diversi. Il passaggio attraverso queste diverse modalità di attuazione della produzione sociale sono state sempre traumatiche e rivoluzionarie. Ma sapere che ci saranno delle rivoluzioni, o anche prevedere il periodo in cui ci saranno, non basta per fare una direzione rivoluzionaria.

L’esito storico della rivoluzione è deciso dal ruolo che la classe rivoluzionaria ha nel processo produttivo. In questo senso la borghesia è condannata sin dal sorgere di un movimento operaio indipendente. Ma l’esito storico non equivale all’effetto concreto della lotta di classe in un singolo periodo e in un singolo paese. A questo proposito si può fare l’esempio della guerra civile americana. L’esercito pro schiavista del Sud era condannato dallo sviluppo del capitalismo alla sconfitta. Tuttavia l’abilità dei suoi ufficiali, la determinazione dei soldati, l’indecisione dello stato maggiore nordista e altri fattori, fecero sì che i primi anni di guerra produssero per il Nord solo disfatte.

Fin dall’inizio della guerra Marx ed Engels furono incrollabili nell’affermare che il Nord avrebbe vinto. Eppure in un dato momento sorsero dei dubbi anche a loro e in alcune lettere Engels non escluse la vittoria dei sudisti come effetto dei clamorosi errori della direzione nordista. Lo stesso può dirsi per la rivoluzione socialista: le condizioni dello stato maggiore della classe operaia sono decisive quando inizia la battaglia per il potere. Sono le stesse condizioni oggettive ad aprire enormi possibilità a una tendenza rivoluzionaria anche piccola. Ma se nel periodo precedente alla rivoluzione la tendenza rivoluzionaria non ha formato una struttura di quadri rivoluzionari temprati, esperti e riconosciuti nel movimento operaio, anche le condizioni migliori si perderanno. La frase con cui Trotskij apre il Programma di Transizione “la situazione politica è caratterizzata innanzitutto dalla crisi storica della direzione del proletariato” è stata vera sin da quando, circa sessanta anni fa, fu scritta.

La quarta internazionale doveva servire, nelle intenzioni di Trotskij, proprio a risolvere questa crisi. Ciò significava, e significa, radicarsi nel movimento operaio: divenirne una corrente riconosciuta, anche se, per una certa fase, minoritaria. Le modalità concrete con cui arrivare a questo ruolo non hanno un rapporto meccanico con l’autonomia o meglio la visibilità dell’organizzazione. Il feticismo della setta, che vede come suo primo compito dichiararsi pubblicamente come “lega” quando ha più di tre membri, e come “partito” quando ne ha più di cento, non ha nulla a che vedere con il marxismo.

I bolscevichi erano un vero partito anche quando formalmente costituivano l’ala sinistra della socialdemocrazia russa. In questo campo bisogna evitare due errori mortali opposti ma del tutto simili. Il primo è quello di costituire un’ala genericamente di sinistra del movimento operaio, disinteressandosi della costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria. Questo errore lo possiamo vedere nella tragica storia della sinistra socialdemocratica tedesca che venne annientata proprio per questa ragione. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i capi di quest’ala, erano dei grandi rivoluzionari, avevano sollevato critiche contro gli opportunisti della seconda internazionale perfino prima dei bolscevichi ed avevano un seguito di massa nella classe operaia.

Nel momento decisivo non mancò loro né il coraggio né la determinazione, gli mancò lo strumento concreto senza cui la rivoluzione, anche se vincente, viene facilmente lasciata morire su un binario morto, come avvenne in Germania, in Italia e altrove. Sebbene riuscirono a creare un’organizzazione rivoluzionaria, questo passo venne fatto troppo in ritardo per le esigenze della rivoluzione tedesca. La borghesia tedesca, con l’incalcolabile aiuto della direzione riformista, riuscì a riprendersi. L’altro errore è quello di ridurre l’attività rivoluzionaria alla costruzione dell’organizzazione, senza collegare questo al radicamento nella classe operaia. In questa concezione settaria, la capacità di entrare in contatto con i lavoratori non serve a molto, il partito deve avere il programma corretto, criticare aspramente i riformisti e attendere. Per questa gente la totale ininfluenza sulle sorti della classe operaia non significa che c’è qualcosa di sbagliato nella propria politica, si tratta dell’arretratezza della classe.

Storicamente i bordighisti sono stati i primi a portare avanti queste tesi, ma nel dopoguerra molti gruppi trotskisti gli hanno fatto concorrenza sul piano della virulenza settaria. Per i marxisti il segreto della costruzione del partito rivoluzionario passa per il lavoro nelle organizzazioni di massa. Le forme concrete con cui questo lavoro viene attuato dipendono da molti fattori e dunque variano molto tra i diversi periodi e i vari paesi, ma le finalità e i principi sono sempre gli stessi. La direzione dell’Internazionale Comunista elaborò il fronte unico. Trotskij, alle prese con una situazione ben diversa, elaborò la tattica dell‘entrismo. La nostra tendenza ha continuato questo lavoro nelle specifiche condizioni determinate dall’esito della seconda guerra mondiale e dagli eventi successivi.

Come abbiamo visto Pablo e Mandel proposero, alle sezioni dell’internazionale, una svolta verso le organizzazioni staliniste. Lungi dal costituire una proposta di lavoro in tali organizzazioni, questa tattica era intesa a un vero e proprio scioglimento delle sezioni. L’entrismo “sui generis”, come venne chiamato, era, più che altro, marxismo sui generis. Seppellendosi totalmente, non criticando mai la direzione stalinista, i militanti della quarta internazionale difficilmente acquisivano autorità e seguito nei partiti comunisti. Questo portava a frustrazione e spesso a sterzate estremiste, con un’uscita improvvisa dalle organizzazioni di massa.

Di solito, con un curioso tempismo, questa uscita avveniva alla vigilia di sconvolgimenti che aprivano la strada alla costruzione di una sinistra nel partito appena abbandonato in quanto “irrecuperabile”. Questo alternarsi di opportunismo e di settarismo vanno di pari passo con una profonda sfiducia verso la classe operaia: prima non si critica la direzione perché i militanti “non capirebbero” e poi si esce dal partito perché “tanto la classe operaia non si muoverà per decenni” ecc.

La tendenza marxista si basa sul lavoro nelle organizzazioni di massa. Questo lavoro non solo non ostacola ma aiuta la costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria. Lungi dall’uscire appena si acquista un po’ di forza, questa tattica ha lo scopo di conquistare l’organizzazione alle idee del marxismo. Così venne fatto nella gioventù laburista negli anni ‘70, così occorre fare dovunque è possibile. L’autonomia formale dell’organizzazione non ha nessun ruolo necessario nell’indipendenza reale, politica. Si pensi alla Fgci, che era formalmente autonoma dal Pci. Lo stesso si è visto molte volte nella storia. Solo a inguaribili settari può sembrare che se l’organizzazione non sventola la propria bandiera apertamente, magari facendo tessere e eleggendo segretari, allora la classe operaia non la considererà seriamente.

14. Addii e ricongiungimenti

Durante gli anni ‘60 il movimento trotskista rimane generalmente debole. Le condizioni oggettive non erano delle migliori ma ci furono comunque molte opportunità. I colossali errori politici tagliarono fuori la quarta internazionale da ogni sviluppo della lotta di classe. Essa perse anche l’unico partito di massa, il Lssp srilankese, che divenne riformista. Il Swp americano, che aveva formato una propria corrente dopo la scissione del ‘53, si riunificò con il SI sulla base del comune cedimento al castrismo. Da allora il Swp è divenuto una specie di ambasciata cubana negli Usa. Questo ha provocato forti lotte intestine e una serie di scissioni nel periodo 1964-1967. Con il Swp tornarono nell’internazionale tutti i gruppi che si erano scissi nel ‘51, tranne Healy in Inghilterra e Lambert in Francia. Così si assistette a una proliferazione di organizzazioni, nazionali e internazionali, che si richiamavano o si autoproclamavano quarta internazionale. Cercare di analizzare le differenze politiche tra tutti questi gruppi ha poco senso e pochissima utilità. Cercheremo invece, successivamente, di spiegare quali caratteristiche li accomunano.

La deriva presa dalla quarta internazionale proseguì. I nuovi eroi erano Castro, la guerriglia terzomondista e le direzioni nazionaliste di molti paesi arretrati (non è un caso che M. Pablo, segretario della quarta internazionale, finì nel 1965 a fare il ministro nel governo algerino di Ben Bella). Quando il SU passò ad appoggiare Castro, sperava, come già le altre volte, di essere accolto a braccia aperte. Castro invece, parlando a una conferenza nel 1966, denunciò “l’infiltrazione” dei trotskisti in America Latina. Ma le malefatte della burocrazia cubana non si arrestarono qui. Quando scoppiò il maggio francese, Castro, ormai totalmente succube del Cremlino, non lo appoggiò in nessun modo, cosa che, seppur demagogicamente, fecero gli stalinisti cinesi. Nel ‘68 Castro e il partito comunista vietnamita appoggiarono l’invasione sovietica della Cecoslovacchia.

Ma nonostante questi crimini e nonostante l’ovvia impasse della guerriglia, al XIII congresso della quarta internazionale (nel 1969), Castro venne considerato un rivoluzionario e la guerriglia venne presa come modello della lotta di classe e ciò quando già in Europa era esploso un decennio di dura lotta operaia. Il tentativo di utilizzare quella che sembra in un dato momento la sinistra dello stalinismo, aveva anche un altro effetto negativo: quando la quarta internazionale era costretta ad ammettere i crimini del “trotskista inconscio” di turno, allora passava improvvisamente a identificare quel regime come bonapartista proletario, confondendo i militanti e la classe operaia. Così quando la quarta internazionale passò ad appoggiare Castro, caratterizzò la Cina come stato operaio degenerato e Mandel scrisse: “la Cina è diretta da una burocrazia che per sua natura non è diversa dalla burocrazia sovietica” (Fourth International, 5/1969).

La posizione era corretta, e corrispondeva a quella assunta dal Rcp già venti anni prima, il problema è che fino a un momento prima si era affermato che la Cina era uno stato operaio “relativamente sano”. In questo modo si imitava il comportamento dei maoisti che alla morte di Stalin denunciarono un golpe in tutti i paesi orientali e il ritorno di questi al capitalismo di stato. Si avrebbe dunque questo patetico risultato: la classe operaia, dopo quarant’anni di socialismo, è arretrata così tanto da non riuscire a impedire alla borghesia di fare tranquillamente una controrivoluzione e prendere il controllo dello stato. In realtà, se il socialismo avesse un simile effetto sulla coscienza di classe, ci sarebbe da dubitare seriamente che possa costituire una società superiore a quella attuale! D’altra parte solo cavillando in modo ridicolo si potevano scorgere delle differenze sostanziali tra l’Urss di Stalin e quella kruscioviana, se si eccettua una riduzione del culto della personalità. Questa convergenza nei metodi di analisi tra quarta internazionale e maoisti non era un caso, derivava dal tentativo di sostituire al duro lavoro di formazione dei quadri marxisti il superficiale radicalismo di un dirigente stalinista.

15. Dagli anni ‘70 al crollo dello stalinismo

Nel corso degli anni ‘70 la quarta internazionale come organizzazione ebbe un impatto assai modesto nella ondata di lotte di classe che colpì praticamente tutto il mondo. D’altra parte avevano seminato fiducia In Mao e raccolsero successi per il maoismo. In Italia questo processo si vide in modo eclatante. Nessuno più della sezione italiana della quarta internazionale si adoperò per far conoscere il pensiero di Mao in Italia. Quando scoppiarono le lotte, nel ‘68-’69, la sezione era da poco tempo indipendente, essendo stata cacciata in modo indecoroso dal Pci, ma quello che più contava era la sua posizione precedente sulla Cina: non solo subì delle scissioni maoiste, che per altro divennero estremamente più forti, ma in genere rimase del tutto alla coda del movimento, dato che ormai tutti i gruppi si dichiaravano maoisti e lo erano in modo molto più conseguente.

Già da quel periodo il SU non fu altro che una federazione di sette, più forte di organizzazioni rivali ma molto meno coeso politicamente. Negli anni ‘80, tolta la situazione inglese di cui diremo in seguito, l’impatto politico rimane scarso. Con l’arrivo di Gorbaciov la quarta internazionale intravide il “trotskista inconscio” di ultima generazione. Costui venne addirittura dichiarato strumento della rivoluzione politica. Altri gruppi trotskisti si accodarono in questa opera di beatificazione. Healy, dirigente del Wrp inglese, volò addirittura a Mosca per incontrare l’eroe.

Così come la nascita dello stalinismo aveva provocato nuovi interrogativi e nuove sfide per i rivoluzionari, così come il suo sviluppo aveva prodotto infinite spaccature nella quarta internazionale, così il suo crollo non ebbe minori conseguenze. Mentre molti “trotskisti” dichiaravano l’appoggio incondizionato a Gorbaciov, altre sette passavano alla difesa incondizionata della ala più stalinista della burocrazia. Questo processo diveniva eclatante con il collasso finale dello stalinismo. La demoralizzazione per il crollo dello stalinismo condusse queste varie organizzazioni a ogni sorta di impazzimento.

Una parte passò ad appoggiare i crimini dello stalinismo. Così gli spartacisti cominciarono con il rimpiangere la morte di Andropov e per sostenere la repressione degli operai polacchi. Finirono nell’89 per allearsi con l’ala più stalinista della burocrazia della Ddr. Lo stesso Posadas, un tempo un dirigente trotskista di un certo livello, terminò la sua vita come un sostenitore dello stalinismo. Un’altra parte, tra cui il SU, passò definitivamente al riformismo. Al XIII congresso della quarta internazionale (1991), venne decretata la fine del ciclo storico della rivoluzione socialista e del ruolo della rivoluzione d’ottobre. Questo condusse a una decomposizione organizzativa notevole: uscirono il Swp americano, la Lcr spagnola ecc. Infine nei documenti del XIV congresso (1995) osserviamo il definitivo approdo al riformismo, che possiamo assaporare nelle posizioni di Bandiera Rossa in Italia.

Ma gli impazzimenti delle sette sono possibili in ogni direzione. Se da una parte c’erano gruppi sedicenti trotskisti che appoggiavano ogni crimine degli stalinisti, dall’altra parte si fecero largo posizioni che appoggiavano nei fatti l’imperialismo. Una parte dei gruppi provenienti dalla quarta internazionale (morenisti ecc.) già da decenni sosteneva una posizione simile a quella bordighista di “terzo campo”[9]. Secondo loro l’Urss, sebbene non uno stato capitalista, di fatto aveva stretto un’alleanza organica con l’imperialismo per la divisione del mondo. La burocrazia era divenuta in un certo senso una classe e la controrivoluzione capitalista non avrebbe dunque comportato un passo indietro per questi paesi.

La dissoluzione dello stalinismo ha dimostrato, ancora una volta, come la posizione verso l’Urss non fosse una questione “teorica”, “astratta”, come i settari hanno sempre sostenuto contro Trotskij, ma avesse precise e strategiche ripercussioni sull’azione politica. Coloro i quali definivano l’Urss uno stato capitalista o comunque un alleato dell’imperialismo, si trovavano a difendere l’aggressione imperialista che negli ultimi anni si è avuta verso questi regimi, anche se in forme “democratiche”, rispetto agli anni ‘30, quando Hitler minacciava militarmente il ritorno al capitalismo. Una posizione non basata sull’analisi di Trotskij è dunque servita a disarmare la classe operaia sovietica nei confronti della controrivoluzione capitalista. Non solo queste correnti hanno considerato il ritorno al capitalismo un passo avanti per il proletariato russo, ma hanno anche concepito una teoria, strana finché si vuole, secondo cui la natura di classe dei partiti comunisti era legata esclusivamente al suo rapporto con Mosca. Ne consegue che ora i partiti comunisti non sono più partiti operai, se si eccettua l’eccezione del Prc che molti, all’estero, considerano un “vero” partito comunista. Cosa siano allora il partito comunista francese, o sudafricano, o i due partiti comunisti indiani, questo è un mistero. Anche qui si vede come errori teorici comportino dei disastri completi nel lavoro politico concreto.

Negli ultimi anni, con la progressiva e non conclusa scomparsa del bonapartismo proletario dal mondo, sembra eliminata una fonte di divisione tra il movimento trotskista e altre componenti socialiste. In realtà l’analisi dello stalinismo era solo il nodo più eclatante di distinzione tra marxisti e revisionisti di ogni sorta. Non solo i trotskisti non sono più vicini alle direzioni dei partiti operai dopo il crollo dell’Urss, ma anzi ne sono più distanti che mai, dato che il collasso dello stalinismo è stata un’ottima scusa per una svolta a destra di quasi tutti i partiti socialisti ed ex stalinisti. Come negli anni ‘30, come negli scorsi decenni, i trotskisti mantengono il loro ruolo di avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio. Utilizzando la massima flessibilità tattica e la massima rigorosità teorica e politica, possiamo sperare di conquistare fasce sempre nuove di militanti, di giovani alle idee del marxismo che si è liberato finalmente di questo “falso fratello”.

17. Le sette

La storia del trotskismo, come detto, è una storia di innumerevoli rotture. In quasi ogni nazione vi sono innumerevoli gruppi trotskisti, e con rare eccezioni emanano tutti quell’inconfondibile aria di isterismo settario che li isola dal mondo circostante. Tolte poche eccezioni, questi gruppi non hanno nessun peso nel movimento operaio del proprio paese e la loro insignificanza, dati i metodi usati, non tende a scomparire. Questo aiuta le spaccature e la disperazione. Non solo pensano che aumentando l’astio verso le organizzazioni ufficiali riusciranno ad attrarre qualcuno, ma sono portati a continue scissioni: perché rimanere uniti dato che comunque si è insignificanti? Tentare di analizzare quali divergenze separino le varie organizzazioni richiederebbe anni di tempo e forti dosi alternate di camomilla ed eccitanti. Cosa più importante avrebbe un’utilità prossima allo zero. Giova invece cercare quegli elementi comuni che contraddistinguono i gruppi settari, spesso anche non trotskisti, e che derivano dalla natura stessa delle sette. Infatti queste caratteristiche derivano da una prospettiva politica errata, da metodi distorti.

Innanzitutto la setta tipica utilizza oltre la metà del proprio materiale pubblico, a volte il 90%, per attaccare altre sette e per descrivere la storia della propria setta, ritenendo fondamentale che i disgraziati che le si avvicinano abbiano subito chiara la posizione di quest’ultima nei confronti di tutte le altre sette. In secondo luogo hanno un atteggiamento isterico, aggressivo e provocatorio nei confronti delle organizzazioni operaie. Quanto più insultiamo i dirigenti riformisti, ragiona la setta, tanto più gli operai più arrabbiati si avvicineranno.

Quando poi gli operai, arrabbiati, effettivamente si avvicinano, è sempre per cacciarli da riunioni e assemblee, esasperati dal tono della loro propaganda. Inoltre, nel loro materiale danno sempre lo stesso aggettivo alla stessa persona (soprattutto i maoisti ma non solo) e nominano persone note a meno di mille persone in tutto il mondo senza spiegare chi sono e perché le odiano. Hanno una visione unilaterale di ogni problema. Anche se si rifanno letteralmente a Lenin o a Trotskij, riescono a distorcere enormemente il loro pensiero, isolando alcune tesi e costruendoci sopra la giustificazione a qualche posizione scorretta. Così sulla guerra in Bosnia metà delle sette difendeva l’autodeterminazione dei popoli (“come diceva Lenin”) senza analizzare che cosa concretamente significava questa tesi nel contesto dato. In questo modo divenivano l’ala “rivoluzionaria” dell’aggressione imperialista.

L’altra metà appoggiava la reazionaria burocrazia stalinista (“come diceva Trotskij”), approvando ogni azione criminale di quest’ultima. La cosa forse più curiosa che invariabilmente accomuna le sette è la fissazione per uno specifico argomento. Quando si legge la stampa di un gruppetto per un certo periodo, rapidamente ci si accorge che non differisce sostanzialmente dagli altri più simili a lui se non per alcune manie e fissazioni quasi paranoiche. Queste manie vengono quasi sempre dal guru della setta, leader carismatico e politico. Nella mente di questo dirigente si sono prodotte queste manie nel corso della lotta di frazione che ha occupato i nove decimi della sua vita adulta. Anziché stemperare le deviazioni che vengono dall’isolamento nazionale, la natura della setta le accresce e le coltiva. Dopo qualche anno sono come un morbo inestirpabile. Naturalmente la gravità di queste fissazioni è molto varia. Di solito, se la setta ha una certa consistenza, la dialettica tra i dirigenti le può ridurre, ma non è detto.

E' anche notevole la varietà delle manie stesse: possono essere l’interpretazione peculiare di un fatto storico, la predilezione per una attività anche non politica, la sopravvalutazione o sottovalutazione di un certo personaggio ecc. Chi vuole può divertirsi a individuare la mania della sua setta preferita. E' fin troppo facile sapere quale setta si è scelta il calcio (Repeat the game, A Militant pamphlet). Nei casi peggiori, ma per fortuna rari, la mania può essere un modo di comportarsi del guru nei confronti di altri compagni. L’ultima caratteristica è l’attaccamento quasi morboso che lega questa gente ad alcuni brani classici del marxismo che diventano nelle loro menti un feticcio slegato dalla teoria marxista complessiva e non gli evitano svolte politiche le più assurde.

Non si deve credere che queste osservazioni sulle sette abbiano una base “psicologica”. Sono invece la conseguenza pratica di deviazioni politiche. La foga isterica con cui spesso il settario approccia il manifestante, non deriva da carenze affettive, ma da un’educazione politica distorta. L’idea che a un lavoratore interessi sapere per filo e per segno la storia del “partito rivoluzionario” con cui ha avuto la disgrazia di venire in contatto non è che la riflessione verso l’esterno del metodo con cui la setta viene costruita. E' ovviamente facile scorgere differenze anche profonde tra i vari gruppi. Tipicamente quelli che hanno lavorato o lavorano nelle organizzazioni di massa tendono ad essere più “normali”. Inoltre le sette che vengono dal Nordamerica tendono a essere le più isteriche, forse perché provengono da un ambiente più isolato. Comunque, scrivendo ai bordighisti, Trotskij anticipò l’inevitabile vicolo cieco in cui una setta, isolata dalle masse, chiusa nel suo guscio nazionale, deve finire:

“Una corrente proletaria rivoluzionaria può evidentemente, all’epoca dell’imperialismo, sorgere e determinarsi in un paese piuttosto che in un altro, ma questa corrente non può esistere e svilupparsi in un solo paese, essa deve l’indomani della sua creazione cercare dei collegamenti internazionali, una piattaforma internazionale, perché è su questa via soltanto che si può trovare la correttezza di una politica nazionale. Una tendenza invece che per degli anni resta nazionalmente chiusa è votata inevitabilmente alla degenerazione.” (Scritti sull’Italia, p. 155)

18. Conclusioni

“La storia non avrebbe senso se non ci insegnasse qualche cosa” (L. Trotskij).

L’analisi delle lotte tra le correnti nel movimento operaio ha un ruolo importante nella comprensione dei compiti della direzione rivoluzionaria. E' uno studio indispensabile ma ovviamente non sufficiente per consolidare un nucleo di quadri marxisti. Molti scontri descritti sembrano ora del tutto lontani dalla lotta politica odierna, ma questo è vero solo superficialmente. Innanzitutto alcuni problemi chiave sono ancora scottanti (per esempio il lavoro nelle organizzazioni di massa), inoltre, come ricordato, senza l’analisi dello sviluppo sociale, economico, politico e teorico del passato, sarà facile essere colti di sorpresa dagli sviluppi futuri. Chiudiamo citando ancora una volta Trotskij, che spiegò con la sua consueta profondità, il ruolo della teoria marxista per una tendenza rivoluzionaria:

“Il marxismo non è una bacchetta per maestri di asilo al di sopra della storia, ma un metodo di analisi sociale delle vie e delle forme dello sviluppo storico sociale”.

Bibliografia

Riportiamo qui una serie di libri che possono essere utili per l’approfondimento dei temi trattati in questo contributo.

di L. Trotskij:

    Il nuovo corso
    Lezioni dell’ottobre
    Il terzo periodo di errori dell’Internazionale Comunista
    La terza Internazionale dopo Lenin
    Stalinismo e bolscevismo
    Scritti sull’Italia
    La mia vita
    La rivoluzione tradita
    Il programma di transizione
    La loro morale e la nostra
    On the Suppressed testament of Lenin
    In difesa del marxismo
    Guerra e rivoluzione
    (con altri): Piattaforma dell’Opposizione di sinistra

di E. Grant:

    Problemi sull’entrismo
    La rivoluzione coloniale e il ruolo dei quadri marxisti
    La teoria marxista dello stato
    The Unbroken Thread
    (con J. Haston): Behind the Tito-Stalin Clash
    (con A. Woods): Lenin & Trotsky: what they really stood for

[1] Il termine trotskismo nacque in senso dispregiativo a indicare quella che secondo i teorici della burocrazia era una deviazione politica nemica del bolscevismo. In questo subì una sorte analoga a “leninismo”, che per i revisionisti socialsciovinisti era la forma moderna del blanquismo. Con trotskisti si passò poi a indicare i rivoluzionari che si rifacevano al pensiero di Trotskij. Per noi il trotskismo non è altro che la teoria marxista alla luce delle esperienze della vittoria e della degenerazione della rivoluzione russa.

[2] Il partito bolscevico era sempre stato un’organizzazione di quadri rivoluzionari fino al 1917. Nel periodo che va dal febbraio all’ottobre 1917 divenne un partito operaio di massa. Ma anche dopo la rivoluzione, rimase un partito di rivoluzionari scelti e l’accesso era notevolmente selettivo. Questa tradizione di alto livello politico dei militanti era un ostacolo alla burocrazia. Nel 1924 venne lanciata una “leva leninista” che serviva ad annacquare il vecchio nucleo di militanti con una massa di iscritti, anche onesti e devoti alla rivoluzione, ma più facilmente manovrabili. A ciò va aggiunto che moltissimi quadri storici del partito erano stati falcidiati dalla guerra civile. Infine occorre notare che una serie di carrieristi e servitori dello zarismo entrarono nel partito come mezzo per difendere i propri privilegi. L’opposizione richiese, tra l’altro, un ritorno ai metodi leninisti di reclutamento e a una scrematura degli iscritti. Questo venne rifiutato. Invece, anni dopo, la burocrazia lanciò le epurazioni che qui citiamo come strumento per portare a termine lo svuotamento del partito espellendo i quadri legati alle tradizioni del partito di Lenin.

[3] Nei paragrafi conclusivi del Programma di Transizione Trotskij risponde a questa gente.

[4] Così come, definendo “marxisti”, i partiti stalinisti, occorre chiarire, con le virgolette, l’accezione totalmente distorta con cui si può utilizzare il termine in quel contesto, così occorrerebbe distinguere tra trotskisti e “trotskisti”. In questo contributo abbiamo evitato questa distinzione confidando nella capacità discriminatoria del lettore.

[5] Il SI: segretariato internazionale. Massimo organo di direzione della Quarta Internazionale. Si definirà così fino al 1963, quando, con il ritorno di alcuni gruppi che si erano scissi dieci anni prima, muterà nome in SU (segretariato unificato).

[6] Questa corrente, diretta da un ex membro del Rcp britannico, T. Cliff, aveva esposto le sue posizioni già nel ‘48, ma con la guerra di Corea del ‘51 si distinse definitivamente dalla Quarta Internazionale, dichiarandosi neutrale nella lotta tra stalinismo e imperialismo americano. Formerà la corrente dei “socialisti internazionali” e successivamente il gruppo Swp britannico.

[7] Anche in questo si vede l’incolmabile distanza tra i marxisti e ogni genere di setta. Trotskij, a differenza di questi epigoni, non condusse mai nessuna battaglia per questioni terminologiche. Era invece estremamente flessibile sulla questione delle definizioni. Il punto, per lui, come per noi, era stabilire la natura concreta di questi Stati.

[8] Sembra che questa posizione dell’impossibilità di una crescita del capitalismo sia stata difesa in modo assoluto dall’organizzazione lambertista, che ancora negli anni ‘60 negava che il capitalismo avesse avuto una crescita dopo il 1913.

[9] A rigore la posizione di “terzo campo” si riferisce a una tendenza ex trotskista americana (Schachtman ecc.), ma nel contesto si capisce a cosa ci stiamo riferendo.

La marcia verso la laicità

«Morirò rivoluzionario, proletario, marxista, materialista dialettico e di conseguenza ateo convinto. La mia fede nell'avvenire comunista dell'umanità non è meno ardente, anzi è più salda oggi di quanto non fosse nella prima gioventù [...] La vita è bella. Invito le generazioni future a purificarla da ogni male, oppressione e violenza e a goderla a pieno.»

La frase sopra è nel testamento di Lev Trotskij (1879-1940), uno dei maggiori personaggi del ‘900. Il Nostro era nato in un paese dell’Ucraina come Lev Davidovič Bronštejn . Prenderà il suo nome di battaglia con la fuga dal carcere in Siberia, copiandolo dal capo dei guardiani. Siamo nel 1902. Trotskij andrà a Vienna, Parigi, Londra. Nel 1905 torna in Russia per la prima rivoluzione del nuovo secolo, finita nel 1907 con qualche concessione democratica zarista, con molti arresti e deportazioni. Il giovane Trotskij fu esiliato a vita e si rifugiò prima a Londra, poi a Vienna. Le cose andarono meglio nel 1917, quando i rivoltosi eliminarono lo zar. Questi combattenti furono battezzati “Armata Rossa” proprio per iniziativa di Trotskij che, al suo comando, sconfisse l’Armata Bianca” filo zarista e pose fine alla guerra civile.

Trotskij vero marxista

Va detto che la componente demagogica era preponderante nella filosofia di Marx. Marx fu portato alla realizzazione di una specie di bibbia a sostegno dell’individuo e contro il sistema (storicizzato) per ragioni umanitarie. Non dimentichiamo che il marxismo nasce nel momento più difficile del periodo romantico, quello che vede le sue istanze frustrate dall’avanzata sempre più implacabile del capitalismo. La reazione marxiana si condensa nella dichiarazione che recita: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” (Critica del programma di Gotha), per la verità mutuata dagli “Atti degli apostoli”. La differenza fra i due concetti sta nel tono dell’esortazione: per Marx occorre costruire e condividere, per gli apostoli il problema è distributivo, venendo tutto dalla divinità. La costruzione marxiana è rivoluzionaria nel senso che il suo uomo non aspetta i beni dal cielo, ma li crea da sé. La condivisione è invece un gesto materiale che deriva dalla divisione ingiusta che ai suoi tempi era consuetudinaria al punto di divenire una sorta di assioma, favorito dalla concorrenza della mano d’opera, causa dei bassi salari. Marx si commuove al racconto di bambini che lavorano 12-14 ore al giorno, domeniche comprese, in industrie malsane per una paga da fame. L’iniquità, tuttavia, non sta tanto nella paga, quanto nello sfruttamento fisico, come se una parte dell’umanità non avesse il diritto di essere umana. Chi contesta che la famosa frase solidaristica da Marx ripresa dagli apostoli sia utopica, dimentica che il classico egoismo è frutto di reazione istintiva, non razionale. Marx pone invece, e con forza, la razionalità al centro dell’attenzione dell’uomo, e quindi opera un cambiamento totale nel modo di concepire l’esistenza propria e altrui. Si viene così a operare una specie di materializzazione del dettato cristiano: la spiritualità, profonda quanto astratta (e spesso vince l’astrazione), viene sostituita dal materialismo, magari superficiale, ma programmaticamente concreto. È su questa strada che Trotskij s’incammina, sino a collegarsi con le teorie transumaniste (così codificate da Julian Huxley nel 1957) che prevedono, grazie alla scienza, l’affermazione assoluta dell’uomo sull’imponderabile naturale.

Trotskij vs Lenin

Trotskij predicava la rivoluzione permanente. Aveva capito che l’ideologia egualitaria (cosa che non ha niente a che fare con l’appiattimento sociale, ovvero con la sconfitta dell’individualità – perno, ricordiamolo, del progresso) doveva reggersi sul consenso, non sull’imposizione e che, di conseguenza, perché fosse efficace, tutti dovevano poter intervenire nell’evoluzione del mutamento del sistema. Trotskij non era tanto sprovveduto da credere in un passaggio facile da posizioni classiche a posizioni nuove nelle quali doveri e diritti dovevano essere pareggiati. Le posizioni classiche si portavano appresso secoli di oppressione dell’uomo sull’uomo ed erano responsabili delle creazioni di classi sociali per facilitare l’operato oppressivo. Questo tipo di socialità, diffusa ovunque, si basa sul potere del padre nella famiglia primitiva ed è regolato, da sempre, dalla forza, nel tempo aggiornata in modo opportuno. Ribaltare una realtà del genere, penetrata in ciascuna psiche, non è per niente cosa lieve e questo Trotskij, dotato di acuta intelligenza, lo sapeva bene. Nasce da qui la contrapposizione con Lenin. Le caratteristiche delle due personalità erano insomma diverse: Trotskij era per un ribaltamento globale (pensava in grande), Lenin, oberato di problemi pratici immediati, era invece per una rivoluzione diffusa ma guidata dagli intellettuali (non ribaltamento, dunque, bensì sostituzione di capi, per quanto provvisoria: egli sosteneva la necessità della rotazione al comando, unico dato democratico del suo pensiero). Prima di tutto, però, per Lenin occorreva sistemare la Russia, ed era una cosa quanto mai urgente, data la fragilità del successo, peraltro baciato da una serie di avvenimenti favorevoli. La fretta portò Lenin a ordinare il soffocamento brutale della rivolta dei marinai e cittadini di Kronštadt, nel 1921, contrari al governo centralizzato bolscevico. Pare che qui Trotskij non ebbe alcun ruolo. Tutto questo induce a ritenere che in fin dei conti il comportamento di Lenin non fu diverso da quelli tradizionali: egli sostituiva semplicemente lo zar, il sistema, i poteri forti (governo e chiesa) che, al contrario, Trotskij avrebbe voluto eliminare per sempre, secondo motivi robusti, poggiati sulla dignità umana generale, eredità romantica di Marx.

Trotskij vs Stalin

Trotskij fu un avversario duro per l’intellighenzia rivoluzionaria. Egli ammirava i teorici puri, Marx ovviamente, Engels, il nostro Labriola, Herzen. Non sopportava Plechanov (e ne era ricambiato) e tanto meno Stalin. Per lo meno, Lenin era un dittatore intelligente e in qualche modo illuminato: sperava in un futuro migliore, nel quale la centralità governativa non avrebbe più avuto un ruolo primario, ma sarebbe stato un organo di consultazione in quando sede di intelligenze elette, mentre Stalin era un rozzo georgiano (vero sino a un certo punto) fermo alla lotta senza quartiere contro ogni ostacolo alla marcia dello stato populista. Stalin concepiva il populismo come rimedio ai danni del gretto egoismo. Egli aveva fretta di consolidare la trasformazione della Russia da realtà piccolo-borghese a realtà nuova. Sotto certi aspetti, Stalin ereditò il carisma di Lenin. Quest’ultimo, anche per mancanza di tempo, si risolse a guidare da solo la neonata Unione Sovietica, accettando qualche compromesso che Stalin cancellò immediatamente, assumendo una veste dittatoriale non prevista dalla rivoluzione sovietica. I tentativi di Trotskij di opporsi a questo tradimento non ebbero successo. Il Nostro fu costretto all’esilio e anche lì venne tormentato in tutti i modi da agenti staliniani. Fu probabilmente la promulgazione della Quarta Internazionale (1938) a perderlo. Essa era in netta opposizione a Stalin. Ospitato in Messico da Diego Rivera e Frida Kahlo (due artisti) subì prima un attentato da parte di David Alfaro Siqueiros (un altro artista) e quindi ucciso con una piccozza da Ramon Mercader.

Riflessioni sul comportamento di Trotskij

Appare chiaro che Lenin e Stalin appartengano al vecchio, non al nuovo. I due, unitamente a Mussolini e a Hitler, sono figli del sistema sociale che prevedeva la figura di una sorta di entità superiore, un “capo-gregge”, con il gregge alla mercé di forze esterne, fra cui, sicuramente le peggiori, quelle del tutto irrazionali rappresentate dalla religione istituzionalizzata, dalla chiesa insomma. Il cristianesimo irreggimentato perse lo slancio solidale per abbracciare il potere e ottenere sottomissione: una fine ingloriosa per Cristo. Trotskij appartiene, invece, alla disciplina razionale per cui l’umanità, a qualunque livello, deve poter fare i conti con la consapevolezza di sé, degli altri e del mondo, intervenendo in tutti i casi con senso di responsabilità, senza ricorrere a intermediazioni sia concrete sia astratte.

La rivoluzione permanente trotskiana è un robusto tassello alla costruzione di un mondo laico, di un mondo cioè privo di credulità. Meglio il dubbio, ovviamente se gestito con volontà di migliorare la propria condizione intellettuale. Trotskij non individua un obiettivo fermo, ma ne immagina uno mobile, perfettamente in linea con i principi darwiniani, riguardanti l’evoluzione, e quelli filosofici moderni (Derrida ad esempio) relativi all’emancipazione. L’emancipazione in gioco si riferisce alla creazione di un mondo in opposizione a quello tradizionale.

Il tutto sotto l’egida provvidenziale della ragione, una ragione finalmente non più oscurata da miti e leggende, bensì libera di usufruire delle proprie, enormi, capacità speculative. A questo punto, si deve parlare in termini di umanità, non di singolo individuo: è la conseguenza della valutazione del concetto di rivoluzione permanente che prevede l’ausilio di quante più intelligenze possibili al fine di rapidizzare la liberazione da forzature deprimenti, tali da umiliare gravemente l’essere umano.

Dello stesso autore:

Da anni presidente dell’A­CADA (Associazione Culturale Amici delle Arti) di Vignate (Mila­no) e direttore responsabile della rivista “Logos” . È autore di racconti, saggi, poesie. Con “Prospettiva Editrice” ha pubblicato “Variazioni sul Tema”. Collabora con Homolaicus, “Noncredo”, “Lucidamente”, “Lobodilattice” e “Prospektiva”. Non frequenta il mondo letterario tradizionale. Ha pubblicato:
Scrittori del '900 (e dintorni) Poesie innate, 2013, Abelbooks
L'amore degli amori, 2013, Abelbooks
Avventure sventurate, 2013 Abelbooks
Fatti e misfatti, 2011, Prospettiva Editrice
La rivoluzione cristiana, 2010 Prospettiva Editrice
Dentro la storia, 2010, Mjm Editore
Variazioni sul tema, 2009 Prospettiva Editrice
Magazzino 51 (ebook), Note a margine, Notte senza fine, Poesie per un attimo (Novantuno Virgole su un Punto)
Dentro la pittura, ed. Abel (ebook)
Il problema dell'equilibrio, ed. Abel (ebook)
Trotski e il trotskismo

di Dario Lodi

Lev Trotski (pseudonimo di Leib Bronstein) era nato lo stesso giorno della rivoluzione bolscevica: il 25 ottobre, e lo stesso anno, 1879, del suo futuro peggior rivale: Stalin. Suo padre disponeva di qualche centinaio di ettari nel villaggio di Yanovka, a sud dell'Ucraina. La sua famiglia -Trotski aveva un fratello e una sorella maggiori e un'altra sorella minore, di nome Olga, che poi sposerà Kamenev- non era particolarmente agiata, né fruiva di uno status sociale privilegiato. Mai però dovette affrontare situazioni materialmente difficili o esperienze d'ingiustizia sociale. Il giovane Trotski non aveva motivazioni particolari, oggettive, per diventare rivoluzionario.

Egli frequentò il liceo tecnico di Nikolaiev (città portuaria ucraina). Si distingueva alquanto dai suoi compagni per la sua brillante intelligenza, il suo eloquio e anche per il bisogno di emergere all'attenzione degli altri. Assai presto divenne il leader d'un piccolo gruppo di giovani contestatori facenti capo all'Unione operaia del sud della Russia, un'organizzazione rivoluzionaria semilegale che combatteva l'autocrazia zarista. Il docente di medicina, G. Ziv, che studiò con lui a Nikolaiev e a Odessa, scrisse che la caratteristica principale della personalità di Trotski era la ferma volontà di arrivare primo in ogni cosa a cui s'applicasse.

A quell'epoca egli non aveva alcun interesse per il marxismo. Ciò che lo attirava era l'ideologia liberal-populista e in particolare la corrente dell'economicismo, che era la versione russa dell'opportunismo alla Bernstein. Trotski poté rimanere alla direzione dell'Unione operaia suddetta semplicemente perché la polizia segreta zarista tollerava esperienze simili a quella del cosiddetto "marxismo legale" (Struve, Tugan-Baranovski, ecc.). Ma quando questa flessibilità venne meno, l'Unione fu smantellata e i suoi leaders, fra cui Trotski, incarcerati nella prigione di Odessa.

E fu appunto qui che Trotski decise di diventare un professionista della rivoluzione, scegliendo, come pseudonimo, il nome di un sorvegliante aguzzino. Era il gennaio 1898: Trotski aveva 19 anni. Venne condannato a 4 anni di esilio nella Siberia orientale, ma dopo circa un anno di permanenza, fuggì, presentandosi nel 1902 a Lenin che allora viveva, profugo, a Londra.

Nel marzo 1903, Lenin, riconoscendogli le sue molte qualità, gli propose di lavorare al comitato di redazione dell'Iskra. A ciò si oppose fermamente Plechanov, ma senza successo. In seguito, i menscevichi, capeggiati da Martov, Trotski e Akselrod, s'impadroniranno dell'Iskra, approfittando proprio di una successiva posizione conciliante assunta da Plechanov.

Nello stesso anno venne delegato dall'Unione siberiana (che univa le organizzazioni socialdemocratiche di molte province siberiane) al II congresso del Posdr (così si chiamò il Pcus dal 1898 al 1917), destinato, quest'ultimo, a spaccarsi in bolscevichi e menscevichi. Sin dai primi giorni, Trotski intervenne a favore di Lenin contro le pretese separatiste del Bund (unione ebraico-operaia, di tendenza menscevica, operante in Polonia, Lituania e Russia). Ma al momento dell'esame del programma e degli statuti del partito, passò dalla parte dei menscevichi, il cui leader era Martov. Ciò su cui non concordava erano le idee di Lenin relative all'organizzazione interna del partito (soprattutto la necessità di rispettare la disciplina e di partecipare attivamente a una delle sue organizzazioni). Non dimentichiamo che Trotski, fino al 1917, rimase svincolato da veri e propri legami partitici. Questa tendenza a mutare bruscamente princìpi e convinzioni, soprattutto ad abbandonare la lotta rivoluzionaria per ottenere vantaggi politici immediati, costituiva uno dei tratti principali di Trotski, quello che Lenin meno sopportava. Infatti, dopo il II congresso i due si separarono per alcuni anni.

Durante la rivoluzione democratico-borghese del 1905-907, Trotski era già conosciuto in tutta la Russia. Sotto il nome di Yanovski, era diventato il vicepresidente del soviet dei deputati operai di Pietroburgo, fondato nel 1905. Il presidente, G. Khrustalev-Nosar, era un uomo estremamente prudente, con concezioni politiche assai vaghe. Con molta facilità Trotski poté sostituirlo.

Per 52 giorni il soviet organizzò le masse popolari contro il governo. Trotski scrisse numerosi appelli, manifesti, editoriali nell'organo di stampa Izvestia, negoziò con il potere (lo stesso primo ministro S. Witte lo interpellò). Ciò conferì a Trotski un grande prestigio agli occhi dei lavoratori, un prestigio che aumentò soprattutto dopo la chiusura forzata del soviet nel dicembre 1905, con arresti e processi dei suoi leaders. Trotski venne di nuovo condannato all'esilio siberiano. Fuggito mentre stava per esservi tradotto, riparò di nuovo a Londra, assistendo nel 1907 al V congresso del Posdr in qualità di socialdemocratico indipendente.

Fu proprio nel corso della I rivoluzione russa che Trotski formulò la sua teoria della "rivoluzione permanente", riprendendo i concetti fondamentali elaborati da A. Parvus, un socialdemocratico tedesco originario della Russia. "Parvus ed io -scrisse Trotski- abbiamo difeso in Nachalo [giornale da loro edito nel 1905] l'idea che la rivoluzione russa sia il prologo di un'epoca socialrivoluzionaria nello sviluppo dell'Europa; che la rivoluzione russa non possa essere condotta a buon fine né attraverso l'alleanza del proletariato con la borghesia liberale, né attraverso l'alleanza del proletariato con i contadini rivoluzionari; che la rivoluzione non può trionfare se non come parte della rivoluzione del proletariato europeo". In pratica il fallimento dell'esperienza del 1905 lo aveva portato a dubitare delle capacità sovversive del proletariato russo. In questa valutazione, tuttavia, Trotski non mise in discussione i metodi di lotta da lui stesso usati in quel periodo.

Lenin criticò la teoria della "rivoluzione permanente" dicendo ch'essa desumeva dai bolscevichi l'appello al proletariato per una risoluta lotta rivoluzionaria e la conquista del potere politico, mentre desumeva dai menscevichi la "negazione" del ruolo della classe contadina. Una teoria dunque rivoluzionaria solo in apparenza. Da un lato infatti Trotski manifestava una forte esigenza di mutamento, dall'altro -soggiogato com'era dalle sue velleità utopiche- si negava la possibilità di poterla realizzare. Non a caso, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905, egli si dedicò alla totale riorganizzazione del Posdr sulla base dei princìpi liberal-borghesi che reggevano i partiti riformisti euroccidentali.

Nel 1912 la conferenza di Praga del Posdr espulse dal partito un gruppo di opportunisti (chiamati "liquidatori") che chiedeva la trasformazione del partito da rivoluzionario a riformista. Trotski contrattaccò organizzando il cosiddetto "blocco d'agosto", che appoggiava questi liquidatori. Ma la conferenza pose fine all'unità formale di bolscevichi e menscevichi e rifondò il Posdr. Il "blocco", cui facevano parte anche il Bund e gli estremisti otzovisti, si dissolse tra il 1913 e il 1914.

Quando scoppiò la I guerra mondiale, Trotski fondò a Parigi, con il menscevico Martov (leader dell'ala sinistra del menscevismo), il giornale Nashe Slovo, in cui attaccava i bolscevichi definendoli "scissionisti" e lanciava appelli per la realizzazione dell'unità coi "difensivisti", favorevoli a una guerra difensiva della Russia zarista contro la Germania. I bolscevichi invece erano contro la guerra e comunque speravano in una sconfitta dello zarismo, ovvero che la guerra imperialista si trasformasse in guerra civile. All'inizio del 1916 Trotski si recò negli USA per partecipare alla redazione della rivista socialdemocratica Novy Mir. Su quest'ultimo impegno Lenin ebbe a dire: "Appena arrivato, Trotski s'è legato alla destra di Novy Mir contro la sinistra di Zimmerwald: si atteggia a uomo di sinistra e aiuta di fatto la destra".

Dopo la rivoluzione del febbraio 1917, che rovesciò lo zarismo, Trotski ritornò a Pietroburgo, giocando di nuovo un ruolo di rilievo nell'organizzazione interdistrettuale unificata del Posdr, che era su posizioni centriste, fra i bolscevichi e i menscevichi, e che rimase in vigore dal 1913 al 1917. Tuttavia, più il fervore rivoluzionario cresceva e più le masse si spostavano a sinistra, e Trotski con loro.

Nell'agosto 1917, 4.000 membri dell'organizzazione centrista si uniscono al Posdr durante il suo VI congresso. Fra essi vi è anche Trotski, che aveva deciso di staccarsi dai "difensivisti". Benché egli non sia presente di persona al congresso, perché in prigione, si decide di cooptarlo ugualmente nel C.C. Su 134 congressisti che avevano partecipato all'elezione dell'organo direttivo del partito, 131 votarono per Trotski (tre voti in meno che per Lenin). Egli dunque godeva di grande credito in seno al partito.

Nel maggio 1917 Lenin nutriva ancora dei dubbi sulla personalità di Trotski, ma due mesi dopo decise di riprendere i rapporti. Nelle tesi che redasse per il suo rapporto alla "conferenza democratica" di Pietroburgo, che ebbe luogo l'8 ottobre, Lenin giustificò la candidatura di Trotski sulla base di tre motivazioni: 1) Trotski aveva adottato una posizione internazionalista (dopo la rivoluzione del febbraio 1917, Trotski aderì al gruppo degli "internazionalisti"), 2) s'era battuto in seno all'organizzazione centrista per la fusione col Posdr, 3) durante le dure giornate di luglio aveva dimostrato di saper difendere la causa del proletariato. Da notare, a tale proposito, che, proprio secondo Trotski, il partito bolscevico prese parte alla conferenza democratica per svolgervi un lavoro organico, non per denunciarvi le manovre dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi.

All'inizio di settembre, Trotski uscì di prigione e si mise a lavorare nel C.C. del partito, così come nelle riunioni del soviet di Pietroburgo. Il 24 settembre, una sessione del C.C. deliberò di nominarlo presidente del soviet. La crescente bolscevizzazione del soviet di Pietroburgo -afferma Lenin- portava a identificare la parola d'ordine ch'esso, a partire dalla metà di settembre, aveva lanciato, e cioè "Tutto il potere ai soviet!", con un invito esplicito all'insurrezione.

Ancora oggi è difficile farsi un'idea giusta di ciò che pensava Trotski circa l'insurrezione armata. Senza dubbio egli preparò attivamente l'insurrezione di ottobre, ma la sua partecipazione non fu così decisiva come lascia credere il menscevico N. Sukhanov o lo stesso Stalin che nell'articolo La rivoluzione d'Ottobre (apparso sulla Pravda del 6.XI.1918 ma non nelle sue Opere complete), sostenne addirittura che N. Podvoiski (uno dei principali leader dell'insurrezione armata d'ottobre) e che V. Antonov-Ovseenko (che guidò l'assalto al Palazzo d'Inverno) erano stati gli stretti esecutori della volontà di Trotski: il che non fu affatto vero. Nel 1924, nel suo discorso Trotskismo o leninismo, Stalin attribuì un ruolo ben più modesto a Trotski. Mentre -come noto- nel Sommario di storia del Pc (b) dell'URSS (1938), Trotski gioca un ruolo del tutto negativo negli avvenimenti dell'Ottobre.

Nella Storia della rivoluzione russa di Trotski, si ha l'impressione che senza di lui non si sarebbe compiuta alcuna rivoluzione. Effettivamente, in quanto presidente del soviet di Pietroburgo egli fece molto per impedire ai menscevichi e ai socialisti-rivoluzionari di boicottare il II congresso dei soviet, fissato al 20 di ottobre e poi posticipato al 25. Trotski partecipò anche alla creazione e all'attività del comitato rivoluzionario militare presso il soviet di Pietroburgo; aiutò il comitato ad armare gli operai, a controllare la fortezza di Pietro e Paolo, che era uno dei principali punti strategici della città e a far altre cose di carattere organizzativo e militare. Il 10 ottobre, durante la riunione del C.C. del Posdr, Trotski votò -come altri 10 membri- a favore della proposta insurrezionale di Lenin.

Tuttavia, nella sessione allargata del C.C. del partito bolscevico, tenutasi il 16 ottobre, per discutere veramente la questione dell'insurrezione, Trotski non fu presente. Il motivo non era dovuto a un semplice concorso di circostanze, come lui stesso ebbe a dire. Di fatto, pur criticando aspramente molti membri del C.C., specie Zinoviev e Kamenev, per le loro illusioni parlamentariste, egli, prima dell'assalto al Palazzo d'Inverno, aveva pubblicamente dichiarato che il comitato rivoluzionario militare era stato creato non come organo dell'insurrezione ma soltanto come comitato di "difesa" della rivoluzione. La sua idea era quella di realizzare un'insurrezione "pacifica", "legale". In ogni caso l'insurrezione avrebbe dovuto essere rinviata -a suo giudizio- sino al congresso dei soviet. Trotski ovviamente non osava pronunciarsi contro l'insurrezione armata, ma in pratica ne comprometteva la riuscita, non foss'altro perché rivelava i piani al governo borghese e disorganizzava i ranghi rivoluzionari, demoralizzando le masse pronte a intervenire. Egli in sostanza era convinto che il rifiuto bolscevico di opporsi alla richiesta del Governo provvisorio di ritirare le truppe da Pietroburgo, avrebbe assicurato almeno i 3/4 del successo della rivoluzione (si veda le sue Lezioni dell'Ottobre): il che però venne contraddetto dal disperato tentativo del governo di scongiurare la sua fine, dando fondo a tutte le risorse di cui disponeva.

Nel suo libro Su Lenin del 1925, Trotski afferma testualmente che "nel C.C. s'erano costituiti tre gruppi: gli avversari della presa del potere, che per forza di cose furono costretti a respingere lo slogan "Il potere ai soviet" [anzitutto Kamenev e Zinoviev]; Lenin, che insisteva per un'organizzazione immediata dell'insurrezione, indipendentemente dai soviet; e l'ultimo gruppo [anzitutto Trotski] che riteneva indispensabile legare strettamente l'insurrezione con il II congresso dei soviet e quindi di scatenarla all'ultimo momento". Ciò ovviamente non significava -come sostenne poi Stalin- che Trotski aveva intenzione di far fallire la rivoluzione, ma soltanto che la sua posizione era diversa da quella di Lenin. Da notare che quando il governo provvisorio di Kerenski decise di deferire Lenin al tribunale, Trotski, Kamenev e altri non si opposero alla richiesta. Lenin però, senza aspettare d'essere arrestato, era già passato alla clandestinità.

Dopo l'Ottobre

Nel primo governo sovietico Trotski era commissario del popolo (ministro) agli affari esteri. Egli pubblicò -cosa, allora, senza precedenti- i documenti segreti della diplomazia zarista e del governo provvisorio. Stabilì anche dei contatti con gli ambasciatori delle potenze straniere e diresse la delegazione sovietica ai negoziati di Brest-Litovsk, sulla conclusione del trattato di pace con la Germania. Proprio in questi negoziati le cose di complicarono alquanto quando Trotski volle assumere una posizione personale, non autorizzata dal partito, mirando a tradurre in pratica un proprio slogan: "né guerra né pace", ossia: non concludere un accordo di pace con la Germania (per non accreditare le accuse secondo cui i bolscevichi altro non erano che agenti dei tedeschi), né opporsi all'invasione tedesca (cioè la Russia avrebbe smobilitato l'esercito, dichiarando da sola la fine della guerra). Nel febbraio 1918, contrariamente alle direttive di Lenin ("la pace a qualsiasi condizione"), rifiutò di firmare il trattato, fornendo così alla Germania il pretesto di passare all'offensiva sull'intero fronte contro la repubblica dei soviet, che in quel momento ancora non disponeva di forze sufficienti per organizzare la resistenza. Di fronte alla massiccia offensiva tedesca, che penetrò per lunghi tratti nel territorio sovietico, Trotski decise di passare dalla parte di Lenin. Il trattato venne firmato il 3 marzo 1918, ovviamente a condizioni più onerose: Lettonia, Estonia e Polonia passarono alla Germania, la quale si riservava anche una protezione militare sull'Ucraina.

Il 14 marzo Trotski venne nominato ministro della difesa (prima dell'esercito, poi anche della marina). Egli divenne presidente del consiglio militare rivoluzionario della repubblica, creato il 2 settembre 1918 per far fronte alla guerra civile e all'intervento straniero (1918-20). Furono i suoi anni migliori. In questo campo, Trotski si dimostrava un dirigente risoluto, capace di mobilitare migliaia di uomini, di realizzare obiettivi anche molto difficili. In particolare, partecipò alla repressione della rivolta dei socialisti-rivoluzionari di sinistra, scatenata il 6.VII.1918 a Mosca, allo scopo di rovesciare il governo sovietico e di sabotare la pace di Brest (a tale scopo gli avventuristi arrivarono persino a uccidere l'ambasciatore tedesco Mirbach).

Trotski giocò un ruolo centrale anche nell'organizzazione dell'esercito regolare dell'Armata rossa, che era diventato un compito fondamentale dopo che le zone più ricche del Paese erano finite nelle mani degli interventisti stranieri e delle guardie bianche. Eseguendo le direttive del C.C. del partito, mise in atto i princìpi fondamentali per l'edificazione di questo esercito: istruzione militare generale e obbligatoria nelle scuole, nelle fabbriche e nei villaggi, formazione immediata di reparti combattenti particolarmente disposti al sacrificio, arruolamento di istruttori e specialisti militari, istituzione di commissari volti a controllare nell'esercito gli interessi della rivoluzione e del socialismo. Praticamente si erano riusciti a superare i limiti che in quelle condizioni non avrebbero permesso alcuna vittoria contro le forze avversarie: il volontariato, l'esercito non regolare, l'elezione per la scelta dei comandanti, ecc. Pretendendo il rispetto più rigoroso della disciplina militare, Trotski non si attirò solo le simpatie di Lenin, ma riuscì anche a debellare la guerriglia durante la guerra civile.

Vi era tuttavia un rovescio della medaglia. Trotski tendeva ad abusare dei metodi amministrativi, a sopravvalutare le istanze del potere, a reprimere eccessivamente i soldati e gli ufficiali. Esigeva la pena di morte per ogni crimine. "La fucilazione -diceva- è un mezzo di dissuasione, crudele certo, ma il più efficace". Di qui il tentativo di promuovere, con l'aiuto dei suoi seguaci, all'interno dell'Armata rossa, il culto della sua personalità. Nel 1922 arrivò persino a inserire nei regolamenti militari la sua biografia politica, nella quale egli si rappresentava come un eroe, come l'incarnazione dell'onore rivoluzionario e militare. Sotto questo aspetto, la sua diversità da Stalin era minima.

Oltre a ciò non si possono tacere i grossolani errori da lui commessi nel definire la strategia della guerra civile (ad es. nel momento di reprimere le truppe di Kolciak). Dal 1917 al 1922 egli non fece altro che ribadire, sotto forme diverse, i suoi concetti di fondo:

    il proletariato europeo è più maturo per il socialismo di quello russo;
    l'obiettivo principale del potere dei soviet consiste non tanto nel favorire le condizioni necessarie per edificare il socialismo in Russia, quanto piuttosto nel cercare di resistere in attesa della rivoluzione mondiale;
    la rivoluzione va esportata negli altri paesi attraverso la potenza dell'Armata rossa. "La guerra rivoluzionaria -scriveva- è la condizione indiscutibile della nostra politica". Queste tesi ovviamente non erano solo di Trotski, ma di molti altri leaders politici (ad es., oltre i già citati Zinoviev e Kamenev, anche M. Lasevic e E. Preobrazhenski).

Trotski sapeva rafforzare la disciplina del lavoro, stimolare l'entusiasmo della classe operaia, organizzare la produzione, capiva l'importanza del commercio estero e s'interessava al problema delle nazionalità. Lenin gli riconosceva queste e altre qualità: lo disse nel dicembre 1920, all'VIII congresso dei soviet, ed anche nel gennaio 1921.

Tuttavia, i suoi difetti erano per Lenin non meno gravi: pericolosa soprattutto era la sua tendenza a costruire un "socialismo militarista", assai simile al "socialismo da caserma" pre-marxista. Un modello, il suo, basato sull'idea della militarizzazione dell'economia del paese, ovvero della sua trasformazione in una sorta di gigantesca macchina militare in cui tutto si fa su ordini ricevuti dall'alto, in cui le masse sono le docili esecutrici della volontà dei capi.

Il disaccordo con Lenin si riaccese durante il dibattito sui sindacati. Lenin era convinto che il X congresso del partito (marzo 1921) avrebbe rifiutato i metodi burocratici di Trotski riguardo alla politica sindacale. In particolare gli rimproverava di non saper realizzare un vero legame con le masse. E in effetti il congresso gli diede ragione. Trotski veniva messo sull'avviso: doveva attenersi alle direttive del partito, evitando di crearsi propri quadri, con i quali comandare all'interno del partito stesso. Oltre a ciò, vi era la questione, ben più complessa, dell'indipendenza e neutralità dei sindacati, che i menscevichi e Trotski sostenevano contro le tesi bolsceviche, secondo cui i sindacati dovevano essere "una scuola di comunismo", strettamente legati al partito. Allora vinsero le posizioni centralistiche di Lenin, ma a scapito del pluralismo. La svolta della NEP, se proseguita con coerenza, dopo la morte di Lenin, avrebbe probabilmente risolto anche questo problema.

In una lettera indirizzata al congresso, un anno prima di morire, Lenin indicò con lungimiranza il dualismo della personalità di Trotski. Lo riteneva l'uomo più capace del C.C., ma anche quello meno affidabile, perché troppo sicuro di sé e troppo incline ad esagerare il lato amministrativo delle cose. Lenin trovò necessario ricordare al partito il "non-bolscevismo" di Trotski, facendo osservare però che questo limite non poteva essere imputato a lui personalmente, più di quanto non potesse essere imputato ai soli Zinoviev e Kamenev il tradimento nell'imminenza della rivoluzione. Una precisazione che Stalin dimenticherà volentieri. Va tuttavia qui ricordato che, a proposito di questo testamento, Trotski sarà il solo ad essere favorevole alla sua pubblicazione, almeno in un primo momento, poiché, in seguito, per ordine del C.C. del partito egli dichiarerà che non esisteva alcun "testamento di Lenin".

Ovviamente Lenin vedeva nell'ideologia di Trotski non l'espressione di una posizione individuale, bensì la manifestazione di uno stato d'animo assai determinato all'interno del partito, di cui Trotski s'era fatto interprete e realizzatore. Anche Kamenev aveva manifestato una chiara posizione non-bolscevica, eppure Lenin non gli impedì di lavorare nel C.C. del partito. "Quando nel C.C. si formano gruppi più o meno uguali -diceva Lenin- è il partito che giudica", cioè l'insieme dei militanti. Lenin non offriva solo la possibilità di correggere gli errori, ma cercava anche di stimolare un'aperta fiducia nelle capacità di tutti gli attivisti, propagandisti, intellettuali, operai, contadini..., che lottavano all'interno del partito.

Ma c'è di più. Lenin non stimava necessarie le divisioni, ma neppure se le nascondeva. In questo senso teneva a precisare due cose: 1) le divisioni vanno risolte nella legalità, cioè sulla base degli statuti e del programma del partito; 2) la discussione è una cosa, la linea e la lotta politica del partito un'altra: "Noi non siamo un club di dibattiti", diceva. Ciò significava che gli irriducibili andavano, dopo ampie discussioni, espulsi.

Ora, tutte le fondamentali discussioni degli anni '20 s'erano concentrate sulla possibilità o meno di costruire il socialismo in un solo paese, e addirittura in un paese economicamente arretrato. Trotski e il blocco dei suoi sostenitori che s'erano ritrovati sulla piattaforma del trotskismo nel 1926, affermavano che l'insieme della politica economica del paese soffriva di una deviazione a destra. Nel senso cioè che il partito -secondo questa opposizione- frenava lo sviluppo dell'industria statale, rispetto al tasso di crescita dell'intera economia nazionale. Essi in pratica non credevano nella possibilità di un'industrializzazione pianificata con le sole forze del Paese e proponevano di avviare l'industrializzazione dapprima a ritmi forzati, per saturare il mercato di merci, e quindi, rallentando i tempi di produzione, reggere sino alla vittoria del socialismo nei Paesi capitalisti più avanzati. Per tale "superindustrializzazione" proponevano di reperire i mezzi nelle campagne, aumentando le tasse ai contadini.

I trotskisti rifiutavano di considerare che questo provvedimento avrebbe comportato anche l'aumento dei prezzi di tutti i prodotti agricoli e un minore potere d'acquisto del rublo, nonché un netto divario fra industria e agricoltura e l'inevitabile rottura dell'alleanza, indispensabile alla NEP, tra operai e contadini. I principali beneficiari, di conseguenza, sarebbero stati i kulaki (contadini ricchi) e la nuova borghesia uscita dalla NEP, cioè proprio coloro contro cui mirava il programma dei trotskisti! A ciò -come se non bastasse- va aggiunto che questo blocco radical-gauchiste utilizzava metodi tipici di una corrente che vuole trasformarsi in un secondo partito: elaborazione e propaganda della propria piattaforma, attività frazionistica, diffusione di documenti antipartitici, ecc. In queste condizioni era indispensabile prendere misure urgenti.

Il plenum del C.C. del partito comunista, tenutosi nel gennaio 1925, destituì Trotski dal suo posto di presidente del consiglio militare rivoluzionario e lo sostituì con M. Frunze. Nell'ottobre 1926 Kirov propose al plenum riunito del C.C. e del C.C. esecutivo, a nome dell'organizzazione del partito di Leningrado, di escludere Trotski dall'ufficio politico. Un anno più tardi egli viene anche escluso dal C.C. (insieme a Zinoviev) e nel novembre -per aver organizzato una manifestazione dei suoi seguaci durante il X anniversario della Repubblica d'Ottobre- viene anche radiato dalla lista dei membri del partito. Espulsi dal partito furono anche Kamenev, Piatakov, Radek e altri ancora.

L'idea trotskista sull'acutizzazione della lotta di classe via via che si consolidano le basi del socialismo, stava cominciando a dare i suoi effetti, ma a beneficio dello stanilismo, il quale seppe approfittare della situazione per iniziare una durissima repressione nei confronti di tutti i trotskisti. In quell'occasione, Stalin si avvalse degli organi giudiziari, pur senza imbastire un processo col quale incriminare Trotski ufficialmente (il che sarebbe apparso ridicolo, poiché Trotski di fronte alla legge non era colpevole di nulle), ma in seguito le cose andranno ben diversamente.

All'inizio del 1928 Trotski viene inviato in esilio ad Alma-Ata nel Kazakhstan, ma egli continua la lotta contro il partito e il bolscevismo. Il plenum del CC del partito (luglio 1926) purtroppo era stato categorico nel rifiutare il pluripartitismo. La linea del blocco Trotski-Zinoviev ottiene lo 0,5% del consenso degli iscritti al Pc(b): a questa opposizione non si dà il diritto di esistere. Trotski chiede di denunciare la politica "opportunista" della direzione sovietica, esige che si organizzino degli scioperi, che ci si opponga alla stipula dei contratti collettivi nelle imprese, ecc. Alla fine di quell'anno, da Mosca un inviato speciale della polizia politica ad Alma-Ata comunica a Trotski l'ultimatum del governo: o smette di guidare l'opposizione o verrà espulso dal paese. Trotski sceglie la seconda alternativa. Insieme ad altri tre membri della sua famiglia, lasciò l'URSS per sempre. Era la sua terza emigrazione politica. All'esilio si erano opposti, nel C.C., Bucharin, Rykov e Tomski.

Il governo sovietico si rivolse a molti paesi perché accogliessero Trotski, ma solo la Turchia, dopo molte trattative, accettò. Solo durante il viaggio Trotski venne a conoscenza che il luogo del suo esilio era Istanbul: la sua richiesta d'essere inviato in Germania venne respinta. Arrivato ad Istanbul il 12 febbraio 1929, visse fino al 1933 nelle isole Kiziladalar, nei pressi della capitale turca. Nel 1932 viene privato, insieme ai familiari, della nazionalità sovietica. I suoi sostenitori, in Francia, fecero in modo che potesse ottenere un visto d'ingresso per questo paese. Ma nell'estate del 1935 è costretto a trasferirsi in Norvegia, ove rimane sino al gennaio 1937, dopodiché decide di accettare l'invito, grazie agli sforzi di D. Rivera, noto pittore messicano, del presidente Cardenas di risiedere in Messico. Prese dunque domicilio a Koyocan, un distretto della capitale, ma il 21 agosto 1940 fu assassinato con un colpo di piccone da Ramon Mercader, su incarico di Stalin.

La IV Internazionale

Durante l'emigrazione, l'attività di Trotski si concentrò sull'idea di fondare un'organizzazione chiamata ad attirare nelle sue fila tutti coloro che erano "a sinistra" dei partiti comunisti e del Komintern. Tale organizzazione si chiamerà "IV Internazionale". Essa nacque nel settembre 1938 in una conferenza dei trotskisti tenutasi a Parigi.

Trotski preparò la creazione della sua Internazionale scrivendo molti libri: da La Rivoluzione Permanente (1930) a La scuola staliniana della falsificazione (1932), dalla già citata Storia della rivoluzione russa (1931-33) a La Rivoluzione tradita (1936), nonché una quantità enorme di articoli. In queste e altre opere del periodo appaiono -come vuole lo specialista occidentale del trotskismo, I. Deutscher- nuove tesi rispetto a quelle formulate negli anni '20. La lotta contro lo stalinismo ne costituisce il perno centrale.

In effetti, dopo l'assassinio di Kirov (1934), Trotski seppe intravedere la crisi che avrebbe colpito il partito. Egli criticò sia la degenerazione verso il burocratismo, sia i processi di Mosca, ritenendoli una mistificazione ordita da Stalin e dal suo gruppo per liquidare gli avversari. Tuttavia, i suoi avvertimenti non vennero presi in considerazione né in seno al partito né nel movimento comunista internazionale. Ormai Trotski, col suo protagonismo a tout prix s'era per così dire "bruciato". Peraltro egli non aveva altra intenzione che quella di sostituire lo stalinismo con il "trotskismo". Tutti i difetti e le aberrazioni della politica staliniana venivano da lui utilizzate come prova della validità della sua tesi fondamentale della "rivoluzione permamente", ovvero dell'impossibilità di costruire il socialismo in un solo paese. Se poi consideriamo il fatto che Trotski, per realizzare il suo modello di socialismo, avrebbe impiegato dei metodi (si pensi solo all'idea di far coincidere le circoscrizioni militari con le unità produttive) che non si distinguevano qualitativamente da quelli di Stalin, si comprende facilmente quanto sia inutile rivalutare Trotski contro il leninismo.

Oggi, non pochi teorici della IV Internazionale affermano che su taluni aspetti occorre rivedere le concezioni di Trotski, ma, nonostante questo, il neo-trotskismo resta una semplice appendice di quello classico. Infatti, alla base della fraseologia rivoluzionaria di entrambi vi è una tesi comune, quella della "rivoluzione permanente".

Per elaborare questa tesi, Trotski si era riferito a quella formulata da Marx ed Engels nel 1850, nell'Indirizzo alla Lega dei comunisti. In esso, Marx ed Engels, intervenendo contro la subordinazione degli interessi della classe operaia (nella rivoluzione democratico-borghese) a quelli della borghesia, scrivevano che il proletariato doveva andare molto più lontano della borghesia, "rendendo la rivoluzione permanente, finché ogni classe più o meno possidente sia stata tolta dal potere...". L'opinione di Lenin, sotto questo aspetto, era analoga: "Noi siamo per la rivoluzione ininterrotta", cioè per la trasformazione della rivoluzione borghese in socialista. Lenin dunque riconosceva la necessità di tappe successive della lotta rivoluzionaria, ognuna delle quali preparava le condizioni indispensabili alla transizione verso la tappa seguente.

Viceversa, Trotski presentava l'idea di "permanenza" come il conseguimento simultaneo di tutti gli obiettivi politici del proletariato, il quale doveva rovesciare immediatamente, senza tappe successive, il dominio della borghesia. Ad es. la sua interpretazione delle Tesi di aprile di Lenin è radicalmente differente da quella che diedero, allora, i bolscevichi. Per Trotski quelle Tesi erano una proposta immediata della rivoluzione socialista e non la proposta di un approfondimento della rivoluzione democratico-borghese. Egli, in sostanza, non comprendeva che per realizzare la rivoluzione socialista occorreva l'alleanza con i contadini poveri contro i kulaki. Per lui la rivoluzione non era che uno scontro militare, dove i due eserciti contrapposti, schierati sin dall'inizio, debbono solo concludere militarmente uno scontro, i cui termini politici sono chiari fin da principio ad entrambi gli schieramenti. Trotski insomma era un esteta della rivoluzione. I suoi appelli avventuristici a bruciare le tappe non facevano che riflettere una profonda ignoranza delle leggi oggettive dello sviluppo sociale.

Peraltro un trotskista autentico non potrà mai ammettere che un determinato Paese s'è incamminato realmente sulla strada del socialismo. La negazione di una qualunque forma di socialismo si basa proprio sull'idea della rivoluzione proletaria mondiale. Anche oggi, i trotskisti, esaminando il fallimento del "socialismo reale", non traggono la conclusione che il socialismo deve democratizzarsi, ma quella che senza rivoluzione permanente fra la borghesia "mondiale" e il proletariato "mondiale", non vi potrà mai essere alcuna vera forma di socialismo: col che, in pratica, non fanno che avvalorare le tesi borghesi secondo cui l'unica alternativa al socialismo è il capitalismo.

Per i neo-trotskisti, la rivoluzione proletaria mondiale non è né la somma delle rivoluzioni nazionali, né l'abbandono progressivo del capitalismo da parte di diversi Paesi, né un'azione che abbia luogo in tutti i Paesi contemporaneamente. E' piuttosto un conflitto tra borghesia e proletariato mondiale, portato avanti per un lungo, indefinito periodo storico. Ciò che dà senso alla storia, per i trotskisti, è appunto l'eccitazione di una rivoluzione continua, il prolungamento all'infinito del momento esaltante della lotta eversiva, contestatrice: non è certo il duro, prosaico lavoro post-insurrezionale, che rischierebbe di far emergere il vuoto spirituale di questi "professionisti della rivoluzione", il cui scopo principale è sempre stato quello di seminare dubbi nella coscienza dei lavoratori circa la riuscita di una qualunque transizione.

Il fatto che i trotskisti abbiano bisogno di vivere in una situazione conflittuale in cui i conflitti non vengano mai risolti, è dimostrato anche dalla tesi sull'utilità della guerra per la rivoluzione mondiale, che Trotski elaborò nel 1940. Più la guerra è devastante -affermano i trotskisti- e maggiore sarà il ruolo rivoluzionario ch'essa giocherà nello sviluppo del mondo. Non a caso essi non fanno distinzione tra "guerra difensiva" e "guerra offensiva". Non avendo alcuna fiducia nelle forze delle classi che si oppongono al capitale, propugnano il fatalismo di una "guerra rivoluzionaria", riflettendo, in ciò, le concezioni degli strati estremisti piccolo-borghesi, sempre più rovinati dalla logica del profitto. Di fronte alle difficoltà quotidiane della lotta per la pace, essi si demoralizzano, non credono al principio dialettico per cui i cambiamenti quantitativi, che si accumulano nei rapporti di forza, possono condurre a dei profondi mutamenti qualitativi. Questi militanti dell'antiprosaicità, questi eroi ultrasinistri che si esaltano solo nei momenti "forti", spettacolari, sono vittime allucinate della tragica formula: "Meglio una fine orribile che un orrore senza fine".

Una piccola diversità, tuttavia, esiste fra vecchi e nuovi trotskisti. A suo tempo, Trotski, come noto, aveva predicato la concezione eurocentrica della rivoluzione sociale mondiale, affermando che questa non sarebbe stata possibile che nei Paesi più sviluppati. Egli inoltre negava la potenzialità rivoluzionaria delle masse agricole, che considerava come una forza conservatrice se non addirittura reazionaria, contro cui avrebbe dovuto lottare lo stesso potere rivoluzionario.

Viceversa, i neo-trotskisti (l'economista più significativo è E. Mandel), dopo aver costatato che l'occidente capitalistico non ha alcuna intenzione, almeno per il momento, di fare delle rivoluzioni proletarie, hanno preferito concentrare la loro attenzione, cercando di non autoemarginarsi dalla storia, sulle "rivoluzioni coloniali" dei Paesi del Terzo mondo, considerate come fattore prevalente della rivoluzione mondiale. Ora essi sono addirittura disposti ad ammettere che la classe agricola è la forza rivoluzionaria per eccellenza dell'epoca contemporanea, ma questa ammissione, ancora una volta, cela il trucco di sempre. Il loro scopo, in realtà, è quello di servirsi dei contadini del Terzo mondo per criticare il proletariato occidentale, non è quello di promuovere un'alleanza tra queste due forze sociali a livello mondiale. Costatando che il Terzo mondo è passato da una dipendenza "diretta" a una "indiretta" nei confronti dell'imperialismo, essi danno per scontato che quest'area geografica, da sola, non potrà mai veramente liberarsi dalle catene del neocolonialismo. Il risultato quindi, di tale ragionamento, è l'immobilismo e la solita fraseologia rivoluzionaria.

I neotrotskisti, lontani mille miglia dalle dinamiche sociali, vorrebbero una rivoluzione facile, a portata di mano, senza alcun lavoro tra le masse, che desse loro ogni potere per controllare in modo burocratico e amministrativo tutta la società. Siccome sanno benissimo di non poter ottenere questi obiettivi, ne traggono la conclusione che è impossibile realizzare il socialismo democratico. Di qui il netto rifiuto di creare legami tra mondo operaio e strati non proletari dei lavoratori, o alleanze di tipo antimonopolistico, o vaste intese nell'ambito della sinistra. Essi sanno soltanto difendere l'idea dell'assoluta, totale, autonomia delle correnti più diverse del movimento democratico. Preferiscono parlare di "esportazione della rivoluzione" piuttosto che costruirla in casa propria.

Bibliografia

Oltre alle molte opere di Isaac Deutscher, che sono indispensabili per chi voglia conoscere il trotskismo, si può consultare:

K. Mavrakis, Trotskismo teoria e storia, ed. Mazzotta
AA.VV., Trotski nel movimento operaio del XX sec., in "Il ponte" nn. 11-12/1980 (La Nuova Italia)
Day, Trotski e Stalin, Ed. Riuniti
Diverse opere di Trotski furono pubblicate negli anni '70 dall'ed. Savelli.






Dal sito della Lit-Quarta Internazionale 26 Agosto 2016 dc (pubblicato anche sul blog Jadawin di Atheia :
 A 76 anni dall'assassinio di Trotsky
L'attualità del trotskismo

 
Trotsky a Mosca
 
di Alejandro Iturbe (*)
 
 
Il 21 agosto 1940, in Messico, moriva assassinato Leon Trotsky, leader con Lenin della rivoluzione russa del 1917. Il giorno precedente, Ramon Mercader, un agente di Stalin che fingeva di essere un militante trotskista, aveva scaricato sulla sua testa un colpo di picozza a tradimento. Ciò avvenne nella casa in cui Trotsky viveva, a Città del Messico, nel quartiere di Coyoacán.

Trotsky aveva ottenuto asilo politico in Messico nel 1937, otto anni dopo la sua espulsione dall'URSS e dopo che i governi di vari Paesi europei gli avevano negato ospitalità.


Al momento della sua uccisione, molti dei principali dirigenti del Partito bolscevico che con Lenin avevano guidato la Rivoluzione d'Ottobre, erano stati sterminati da Stalin a conclusione dei vergognosi “processi di Mosca”, nel corso dei quali furono condannati (incluso Trotsky, che non era presente) per crimini e tradimenti inesistenti, sulla base di mostruose falsificazioni e di “confessioni” forzate.

Culminava così il processo di burocratizzazione - rafforzatosi dopo la morte di Lenin - del primo Stato operaio, con l'ascesa al potere di una casta burocratica controrivoluzionaria, portatrice della falsa teoria del “socialismo in un solo Paese”, che nel giro di cinque decenni finirà col ripristinare il capitalismo nel primo Paese in cui era stato espropriato.


Migliaia di militanti dell'opposizione di sinistra, guidata da Trotsky in Unione Sovietica, furono perseguitati, imprigionati e uccisi. La classe lavoratrice in Cina, Germania, Spagna subì pesanti sconfitte per la responsabilità dei partiti comunisti diretti dalla Comintern (III Internazionale o Internazionale Comunista), controllata dall stalinismo. Così come la morte durante la guerra civile di gran parte dell'avanguardia operaia rivoluzionaria e la sconfitta della rivoluzione tedesca favorirono l'ascesa dello stalinismo in URSS, le nuove sconfitte a loro volta spianarono la strada a Hitler e allo scoppio della seconda guerra mondiale. I militanti trotskisti erano pochi, eppure Stalin vedeva in Trotsky il suo peggior nemico, e ucciderlo era diventata la sua ossessione.


Non era il rancore personale la ragione principale di ciò, ma la fredda logica controrivoluzionaria. Trotsky incarnava in sé l'esperienza delle tre rivoluzioni russe (1905, febbraio e ottobre 1917) e le tradizioni rivoluzionarie del Partito bolscevico. Finché Trotsky era in vita, la nuova ascesa della mobilitazione di massa causata dagli stenti della nuova guerra avrebbe trovato in lui e nella IV Internazionale, di recente fondazione, una direzione rivoluzionaria alternativa.

 
La sua opera più importante

Trotsky, due volte presidente del Soviet di Pietrogrado, fondatore e organizzatore dell'Armata rossa, il grande teorico e leader del partito bolscevico e della Terza Internazionale, riteneva tuttavia che la sua opera più importante era stata la fondazione della Quarta internazionale. Dopo che la politica criminale dello stalinismo aveva permesso il trionfo del nazismo in Germania, Trotsky concluse che la Comintern era definitivamente passata dalla parte della controrivoluzione.

Era essenziale fondare una nuova internazionale per continuare la lotta per la costruzione di una direzione rivoluzionaria della classe operaia. La nuova internazionale raggruppava appena alcune centinaia di quadri rivoluzionari in tutto il mondo, ma era forte per la sua guida, la sua morale e i suoi principi rivoluzionari, e per la teoria e il programma che la cementavano: la teoria della rivoluzione permanente e il programma di transizione. Così, nonostante il duro colpo dovuto alla perdita del suo principale dirigente, la Quarta internazionale sopravvisse alla morte del suo fondatore. Trotsky aveva ragione, era riuscito a salvare la continuità del marxismo rivoluzionario per le nuove generazioni.
 
Un programma per la crisi attuale

La burocrazia stalinista portò alla restaurazione del capitalismo nell'ex Urss e negli altri Stati operai burocratizzati. Alla fine degli anni '80 e ai primi anni '90 le masse popolari dell'Urss e dell'Europa orientale misero in atto grandi mobilitazioni che liquidarono i regimi stalinisti, che ormai amministravano Stati capitalisti. Queste rivoluzioni liberarono i lavoratori del mondo dagli apparati controrivoluzionari dello stalinismo. È stata una grande vittoria che ha aperto una nuova fase della lotta di classe internazionale, e nel 2007 è scoppiata la più grande crisi del capitalismo dal 1929.

La crisi si approfondisce ogni settimana e nei Paesi imperialisti i governi varano finanziarie gigantesche di miliardi di dollari per salvare le banche e le imprese più importanti. Grecia e Spagna sono già in bancarotta, l'Italia e il Portogallo ne seguono i passi e tutta l'Unione europea è scossa. La ricetta dei governi per superare la crisi è la vecchia e amara medicina capitalista: attacchi selvaggi al mondo del lavoro, ai salari, alle pensioni, ai diritti, alla sanità e all'istruzione, con un brutale incremento dello sfruttamento. Come diceva Trotsky “la borghesia prende ogni volta con la mano destra il doppio di quanto dà con la sinistra”.

Questo ha innescato una risposta da parte dei lavoratori e dei settori popolari che non si vedeva da decenni. Milioni di lavoratori hanno organizzato scioperi generali combattivi in Grecia e Spagna. Centinaia di migliaia di persone scendono in piazza in Spagna contro le politiche di austerità e forniscono un supporto di massa all'eroico sciopero dei minatori.

Ma questo è anche il momento in cui il programma della Quarta internazionale mostri tutta la sua attualità e la sua validità storica come l'unica vera uscita dalla crisi per i lavoratori. Misure come la scala mobile dei salari in base all'inflazione, la distribuzione delle ore di lavoro con la stessa paga per garantire l'occupazione, la nazionalizzazione senza indennizzo delle banche e delle grandi imprese sotto il controllo dei lavoratori, contenute nel Programma di transizione, sono indispensabili per fornire al movimento operaio e popolare un piano alternativo per i lavoratori. E sono, come sosteneva Trotsky, il ponte attraverso il quale oggi il movimento operaio con la sua mobilitazione può avanzare per conquistare un proprio governo e aprire la strada ad una soluzione socialista.
 
Per la ricostruzione della Quarta Internazionale

La Lega Internazionale dei Lavoratori-Quarta Internazionale, organizzazione internazionale fondata da Nahuel Moreno, ha compiuto 34 anni. È l'erede della corrente guidata da Moreno, che ha lottato per decenni all'interno della IV Internazionale contro l'abbandono dei principi rivoluzionari che ha portato alla crisi e alla dispersione del trotskismo. Dopo aver superato la grave crisi causata dalla morte del nostro principale dirigente, e l'“alluvione opportunistica” che ha travolto la sinistra negli anni '90, la Lit-Qi ha ripreso la dura battaglia per la ricostruzione della IV Internazionale e il raggruppamento dei rivoluzionari.

Grazie all'intervento nella lotta di classe, al riarmo teorico, programmatico e politico degli ultimi anni siamo riusciti a fare dei passi avanti a livello  mondiale.

Il Pstu è parte attiva delle principali mobilitazioni in Brasile ed ha un ruolo nella direzione di CSP-Conlutas, principale sindacato di base del Paese.

Corriente Roja, in Spagna, sta svolgendo un ruolo essenziale nello scontro col governo Rajoy, supportando la lotta dei minatori e lavorando al raggruppamento del sindacalismo conflittuale.

Il Mas ha una parte importante nelle lotte in Portogallo.

Il Partito di Alternativa Comunista ha un ruolo nella direzione del coordinamento No austerity, in Italia.

In Argentina, una riunificazione di organizzazioni rivoluzionarie ha portato alla fondazione del Pstu.

In Paraguay, i compagni del Pt costituiscono parte attiva della CCT.

In Colombia, il Pst guida il coordinamento delle lotte a Cartagena e Bogotà.

La Lit-Qi è cresciuta anche in nuovi Paesi in America latina, come Honduras, Costa Rica, El Salvador.

Più recentemente, abbiamo incorporato nelle nostre file la nostra prima sezione africana (Lps, Senegal) e abbiamo avviato il lavoro nel continente asiatico (attraverso la formazione del Comitato per le repubbliche socialiste dell'Asia), in India e Pachistan.
 
Le battaglie attuali

Quando Trotsky fondò la IV Internazionale, lo fece, come abbiamo detto, per difendere la teoria e il programma rivoluzionari di fronte alla deformazione e alla distruzione che essi subirono da parte dello stalinismo.

Una delle principali battaglie politiche affrontate dalla IV Internazionale è stata la dura  lotta contro il riformismo e la collaborazione di classe con la borghesia, che lo stalinismo e la vecchia socialdemocrazia incoraggiavano in tutto il mondo. Sebbene le due tendenze abbiano giocato ruoli differenti e abbiano tenuto posizioni diverse, entrambe contribuirono a salvare il capitalismo e ad evitare il trionfo della Rivoluzione socialista nazionale ed internazionale.

Attualmente, la maggior parte delle organizzazioni socialdemocratiche (pagando il costo del sostegno incondizionato all'imperialismo) è in profonda decadenza. Lo stalinismo è entrato in una profonda crisi dopo la caduta dell'URSS, e una parte delle sue organizzazioni si è trasformata direttamente in partiti borghesi, mentre l'altra parte si è riciclata nella tendenza castro-chavista (quella che abbiamo combattuto in tutti questi anni), anch'essa duramente colpita dalla profonda crisi in Venezuela e dalla restaurazione del capitalismo a Cuba.

La realtà delle dinamiche sempre più regressive del capitalismo imperialista (intensificatesi pesantemente a partire dalla crisi apertasi nel 2007) non lascia spazio a concessioni o piccole riforme per ridurre i livelli di sfruttamento. Così, qualora dovessero arrivare al potere o pochi anni dopo, queste tendenze saranno costrette ad attuare rigidi piani di aggiustamento, che ne riveleranno il vero volto di agenti del capitalismo e dell'imperialismo.

Il chavismo in Venezuela e il Pt in Brasile avevano uno spazio di pochi anni, che ora è esaurito. Ma Alexis Tspiras e Syriza in Grecia non ne avevano, e fin dall'inizio dovevano attaccare duramente i lavoratori e le masse. Queste sono le ragioni che rafforzano la necessità dei rivoluzionari di opporsi a questi governi borghesi di sinistra, e di posizionarsi chiaramente accanto ai lavoratori e alle masse oppresse.

Un aspetto specifico della lotta in corso contro il neo-riformismo è il duro dibattito con quelle tendenze, provenienti dal movimento rivoluzionario e trotskista, che abbandonano la battaglia centrale di Trotsky e sostengono questi governi, apertamente o in silenzio, con argomentazioni secondo cui “essi riflettono l'attuale rapporto di forze e il livello di coscienza di massa”.

Questa è una falsa argomentazione che va contro la realtà, come la Grecia e il Brasile dimostrano, ad esempio. Ma anche se ciò avesse un fondamento reale, la necessità di lottare contro il riformismo, la collaborazione di classe e questo tipo di governi è una questione di principio per il trotskismo. In altre parole, questa lotta non può essere soggetta a considerazioni di circostanza. Chi ha abbandonato questi principi ha abbandonato anche le lezioni di Trotsky (sebbene, per nascondere la capitolazione, si rivendichi la figura del grande rivoluzionario).

Queste sono le battaglie che la Lit-Qi oggi affronta, e il modo concreto di sviluppare le lezioni di Trotsky. Siamo orgogliosi di rivendicare la sua eredità, e ancora una volta, facciamo nostro il suo grido di battaglia: Lavoratori di tutto il mondo, uniamoci sotto la bandiera della Quarta Internazionale, perché è la bandiera della nostra prossima vittoria!
 
* Dal sito della Lit-Quarta Internazionale: www.litci.org
(traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri)
 

Dal sito http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/trotskij.htm questa interessante biografia, con uno scritto del 2000 dc:

TrotskyVita e lotta di un rivoluzionario

60 anni fa, il 20 agosto 1940, Lev Trotskij veniva assassinato da un sicario di Stalin a Città del Messico. Per ricordarne la vita e le opere pubblichiamo ampi stralci di un articolo di Alan Woods intitolato In memory of Leon Trotsky. Il testo completo è consultabile in inglese alla pagina web www.marxist.com di Alan Woods.

Lev Davidovic Trotskij nasce a Ianovka nel 1879. Il suo vero nome era Leiba Bronstein, e la sua famiglia ebrea era di classe media.

Lev Davidovic Trotskij fu, insieme a Lenin, uno dei due più grandi marxisti del ventesimo secolo. Dedicò tutta la sua vita alla causa della classe operaia e del socialismo internazionale. E che vita!

Dalla sua prima giovinezza, quando lavorava di notte per produrre volantini per gli scioperi illegali che gli guadagnarono le prime reclusioni in carcere e l’esilio in Siberia, fino a che non fu ucciso da un sicario di Stalin nell’agosto del 1940, si impegnò senza sosta per il movimento rivoluzionario.

Nella prima rivoluzione russa del 1905, fu il presidente del soviet di Pietroburgo. Condannato ancora una volta all’esilio in Siberia, evase di nuovo e continuò la sua attività rivoluzionaria dall’esilio.

Durante la prima guerra mondiale, Trotskij adottò una posizione coerentemente internazionalista. Scrisse il manifesto di Zimmerwald che cercava di unire tutti gli oppositori rivoluzionari alla guerra. Nel 1917 giocò un ruolo dirigente nell’organizzare l’insurrezione di Pietrogrado.

Dopo la rivoluzione d’Ottobre Trotskij divenne il primo commissario degli affari esteri e fu incaricato dei negoziati con i tedeschi a Brest Litovsk. Durante la sanguinosa guerra civile, quando la Russia sovietica era invasa da 21 eserciti stranieri, e quando la sopravvivenza della rivoluzione era appesa a un filo, Trotskij organizzò l’Armata Rossa e guidò personalmente la lotta contro le armate bianche controrivoluzionarie, viaggiando migliaia di chilometri sul famoso treno blindato.

Trotsky al lavoro

Il ruolo di Trotskij nel consolidare il primo Stato operaio della storia non si limitò all’Armata Rossa. Egli giocò un ruolo dirigente, insieme con Lenin, nella costruzione della Terza internazionale, di cui scrisse i manifesti ai primi quattro congressi e molti dei documenti più importanti; nel periodo di ricostruzione Trotskij riorganizzò il disastrato sistema ferroviario dell’Urss. Inoltre Trotskij, che fu sempre uno scrittore prolifico, trovò il tempo per scrivere studi penetranti, non solo su questioni politiche, ma anche sull’arte e la letteratura ("Letteratura e rivoluzione") e anche sui problemi che la gente incontra nella vita di tutti i giorni nel periodo di transizione ("Problemi della vita quotidiana").

Dopo la morte di Lenin nel 1924, Trotskij guidò la lotta contro la degenerazione burocratica dello Stato sovietico, una lotta che Lenin aveva cominciato dal letto di morte. Nel corso della lotta, Trotskij fu il primo a proporre l’idea dei piani quinquennali, a cui si opposero Stalin e i suoi seguaci. In seguito, solo Trotskij continuò a difendere le tradizioni rivoluzionarie, democratiche e internazionaliste dell’Ottobre. Con opere come La rivoluzione tradita, In difesa del marxismo e Stalin, fu l’unico a fornire un’analisi scientifica marxista della degenerazione burocratica della rivoluzione russa. I suoi scritti del periodo 1930-1940 contengono un tesoro di teoria marxista, che spazia dai problemi immediati del movimento operaio internazionale (la rivoluzione cinese, l’ascesa di Hitler in Germania, la guerra civile spagnola), a una vasta serie di questioni culturali, artistiche e filosofiche.

Gli inizi

Il 26 agosto 1879, appena qualche mese prima della nascita di Trotskij, un piccolo gruppo di rivoluzionari, membri dell’organizzazione terrorista clandestina Narodnaja Volja, annunciava la condanna a morte per lo zar russo Alessandro II. Iniziò così un periodo di lotte eroiche di un pugno di giovani contro tutto l’apparato dello Stato che sarebbe culminato il 1 marzo 1881 con l’assassinio dello zar. Questi studenti e intellettuali odiavano la tirannia ed erano disposti a dare la propria vita per l’emancipazione della classe operaia, ma ritenevano che bastasse per "provocare" le mobilitazioni di massa la "propaganda attraverso l’azione diretta", in realtà, cercavano di sostituire il movimento cosciente della classe operaia con le bombe e le pistole.  I terroristi riuscirono effettivamente a uccidere lo zar. Ciò nonostante, tutti i loro sforzi non portarono a nulla. Anziché rafforzare il movimento di massa, le azioni terroriste ebbero l’effetto opposto di rafforzare l’apparato repressivo dello Stato, isolando e demoralizzando i quadri rivoluzionari e, alla fine, portando alla completa distruzione dell’organizzazione Narodnaja Volja.

La maggior parte dei giovani russi, in quel periodo, non era attratta dalle idee del marxismo. Non avevano tempo per la "teoria": chiedevano azione. Senza comprensione della necessità di conquistare la classe operaia con un lavoro paziente di spiegazione, presero le armi per distruggere lo zarismo con la lotta individuale. Il fratello maggiore di Lenin fu un terrorista; Trotskij iniziò la sua attività politica in un gruppo populista e probabilmente Lenin cominciò nello stesso modo. Tuttavia, il populismo era già in declino. Negli anni ‘90 quella che era stata un’atmosfera di eroismo era permeata di depressione, scontento e pessimismo nei circoli di intellettuali. E nel frattempo il movimento operaio era entrato sulla scena della storia con un’impressionante serie di scioperi. In pochi anni, la superiorità dei "teorici" marxisti rispetto ai "pratici" terroristi individuali fu dimostrata nei fatti con la crescita spettacolare dell’influenza del marxismo sulla classe operaia.

Lev Davidovic Bronstein, cominciò la sua carriera rivoluzionaria nel marzo del 1897 a Nikolaiev, dove organizzò la prima associazione illegale di lavoratori, l’Unione operaia della Russia meridionale. Lev Davidovic fu arrestato per la prima volta a soli 19 anni e restò due anni e mezzo in carcere, dopo di che fu esiliato in Siberia. Ma presto fuggì e, usando un passaporto falso, uscì dalla Russia recandosi da Lenin a Londra.

Trotskij e l’Iskra ("La scintilla")

Il giovane movimento socialdemocratico era ancora frammentato e quasi senza organizzazione. Il compito di organizzare e di unificare i numerosi gruppi socialdemocratici in Russia venne assunto da Lenin insieme con il gruppo esiliato di Plechanov l"Emancipazione del lavoro". Con l’appoggio di Plechanov, Lenin lanciò un nuovo giornale, l’Iskra, che avrebbe giocato un ruolo chiave nell’organizzare e unire la tendenza autenticamente marxista. Il lavoro di produrre e di distribuire il giornale e di mantenere una cospicua corrispondenza con la Russia fu condotto da Lenin e dalla sua infaticabile compagna Nadezda Krupskaja.

Nonostante tutti gli ostacoli, riuscirono a introdurre illegalmente l’Iskra in Russia, dove ebbe un enorme impatto. Rapidamente i veri marxisti si unirono attorno all’Iskra, divenendo, già nel 1903, la tendenza maggioritaria all’interno della socialdemocrazia russa. All’insaputa del giovane rivoluzionario, che era appena arrivato dalla Russia, i rapporti nella redazione erano già tesi. C’erano frequenti scontri tra Lenin e Plechanov su una serie di questioni politiche e organizzative. Il vero problema stava nel fatto che i vecchi attivisti del gruppo "Emancipazione del lavoro" erano stati pesantemente condizionati dai lunghi anni di esilio, quando il loro lavoro era stato limitato alla propaganda ai margini del movimento operaio russo. Si trattava di un piccolo gruppo di intellettuali, indubbiamente sinceri nelle loro idee rivoluzionarie, ma contagiati dai vizi dell’esilio e dei piccoli circoli di intellettuali.

Lenin stava disperatamente cercando un giovane compagno capace, proveniente dalla Russia, per cooptarlo nella redazione e rompere lo stallo con il gruppo dei vecchi. L’arrivo di Trotskij, da poco scappato dalla Siberia, fu utilizzato da Lenin per accelerare il ricambio. Nelle prime edizioni delle sue memorie su Lenin, la Krupskaja sottolinea l’ottima opinione che Lenin aveva della "giovane aquila".

Purtroppo, l’iniziale collaborazione tra Lenin e Trotskij si interruppe bruscamente con la spaccatura prodottasi al secondo congresso del Partito operaio socialdemocratico russo.

Il Secondo congresso

Ogni partito rivoluzionario deve attraversare uno stadio di lavoro relativamente lungo di propaganda e di costruzione di quadri. Questo periodo conduce inevitabilmente a una serie di abitudini e modi di pensare che, nel tempo, diventano un ostacolo nel trasformare il partito in un’organizzazione di massa. Se il partito si dimostra incapace di cambiare questi metodi quando muta la situazione oggettiva, diventa una setta ossificata. Al Secondo congresso la lotta tra le due ali del gruppo Iskra, che colse tutti di sorpresa, compresi quelli strettamente coinvolti, fu dovuta all’incompatibilità della posizione di Lenin, che consisteva nel consolidare un partito rivoluzionario di massa con un certo grado di disciplina ed efficacia e quello dei membri del vecchio gruppo "Emancipazione del lavoro" che si sentivano a proprio agio nella routine, non vedevano l’esigenza di cambiamenti e attribuivano la posizione di Lenin a questioni di personalità, a un desiderio di mettersi in mostra, "tendenze bonapartiste", "ultracentralismo" e tutto il resto.

La cosiddetta tendenza "morbida" rappresentata da Martov emerse come minoranza e dopo il congresso rifiutò di rinunciare alle proprie decisioni o di prendere parte al comitato centrale o alla redazione. Tutti gli sforzi di Lenin per trovare una soluzione di compromesso dopo il congresso fallirono a causa dell’opposizione della minoranza. Plechanov, che al congresso aveva sostenuto Lenin, si dimostrò incapace di resistere alle pressioni dei vecchi compagni ed amici. Alla fine, verso l’inizio del 1904, Lenin si trovò a dover organizzare "comitati di maggioranza" (bolscevichi) per salvare qualcosa dallo sfacelo del congresso. La spaccatura nel partito era un fatto compiuto.

Inizialmente Trotskij aveva sostenuto la minoranza contro Lenin. Tuttavia, al secondo congresso, bolscevismo e menscevismo non era ancora emersi come tendenze politiche chiaramente delineate. Solo un anno dopo, nel 1904, iniziarono effettivamente ad emergere differenze tra le due tendenze, che riguardavano la questione chiave di fronte alla rivoluzione: collaborazione con la borghesia liberale o indipendenza di classe. Appena emersero divergenze politiche, Trotskij ruppe con i menscevichi e rimase formalmente indipendente da entrambe le frazioni fino al 1917.

Trotskij nel 1905

Alla vigilia della guerra russo-giapponese, tutto il paese era in uno stato di fermento prerivoluzionario. Un’ondata di scioperi fu seguita da manifestazioni di studenti. Il fermento colpì i liberali borghesi che lanciarono una campagna di banchetti, basati sugli "Zemtsvo", comitati locali nelle campagne che servivano come piattaforma politica per i liberali. I menscevichi erano a favore di un totale appoggio ai liberali. I bolscevichi si opponevano radicalmente a ogni tipo di appoggio ai liberali e produssero una dura critica nelle loro pubblicazioni attaccandoli di fronte alla classe operaia. Trotskij aveva la stessa posizione dei bolscevichi, il che lo portò a rompere con i menscevichi. Da quel momento, fino al 1917, Trotskij rimase organizzativamente separato da entrambe le tendenze, sebbene su tutte le questioni politiche fu sempre molto più vicino ai bolscevichi.

La situazione rivoluzionaria maturava rapidamente. Le sconfitte militari dell’esercito zarista alimentavano il malcontento crescente che eruppe nella manifestazione nella giornata del 9 gennaio 1905 a San Pietroburgo che fu brutalmente repressa. Così cominciò la rivoluzione del 1905, nella quale Trotskij giocò un ruolo preminente.

Lunaciarskij, che al tempo era al fianco di Lenin, scrive nelle sue memorie:

"Devo dire che di tutti i dirigenti socialdemocratici del 1905-6 Trotskij si mostrò senza dubbio, nonostante la sua giovane età, il più preparato. Meno di chiunque altro si portava appresso quel retaggio, quella visione ristretta dell’emigrazione. Trotskij capiva meglio di tutti gli altri che cosa occorreva per condurre una lotta politica su scala nazionale. Emerse dalla rivoluzione con un enorme livello di popolarità, mentre in effetti né Lenin né Martov ne acquistarono alcuna. Plechanov perse molto, per la sua posizione quasi-cadetta [cioè liberale]. Trotskij stava allora in prima fila." (Lunaciarskij, Profili di rivoluzionari).

Non è questo il luogo per analizzare in dettaglio la rivoluzione del 1905. Uno dei migliori lavori su quegli eventi è 1905 di Trotskij, un classico del marxismo, il cui valore è aumentato dal fatto che fu scritto da uno dei protagonisti della rivoluzione. A soli 26 anni, Trotskij divenne il presidente del Soviet dei delegati operai di Pietroburgo, il principale di quei organismi che Lenin definì come "organi embrionali del potere rivoluzionario". La maggior parte dei manifesti e delle risoluzioni del Soviet sono opera di Trotskij, che dirigeva anche il giornale Izvestia. Nelle occasioni principali parlò sia a nome dei bolscevichi che dei menscevichi e per il Soviet nel suo complesso. I bolscevichi, a Pietroburgo, non riuscirono a capire l’importanza del Soviet e vi erano rappresentati debolmente.

Una situazione analoga si ebbe a ogni snodo fondamentale della storia della rivoluzione russa: la confusione e il tentennare dei dirigenti di partito in Russia, senza la guida di Lenin, di fronte alla necessità di un’iniziativa audace.

Come presidente del soviet, Trotskij fu arrestato, dopo la sconfitta della rivoluzione, con gli altri membri, ed esiliato un’altra volta in Siberia. Dal banco degli imputati, Trotskij pronunciò un discorso tonante che si trasformò in un atto d’accusa contro il regime zarista. Alla fine fu condannato alla "deportazione perpetua" ma in realtà rimase in Siberia solo otto giorni prima di evadere.

Gli anni della reazione che seguirono la sconfitta furono probabilmente il periodo più difficile nella storia del movimento operaio russo. Le masse erano esauste dopo la lotta; gli intellettuali erano demoralizzati. C’era un ambiente generale di scoraggiamento, di pessimismo e anche di disperazione. Ci furono molti casi di suicidio. Per di più, in questa situazione di generale reazione, si diffusero idee mistiche e religiose come una coltre nera nei circoli intellettuali, trovando un’eco nel movimento operaio in una serie di tentativi di rivedere le idee filosofiche del marxismo. In quegli anni difficili, Lenin si dedicò a una lotta implacabile contro il revisionismo, per la difesa della teoria e dei principi marxisti. Ma fu Trotskij che fornì la necessaria base teorica su cui la rivoluzione russa avrebbe potuto risollevarsi dalla sconfitta del 1905 e vincere.

La rivoluzione permanente

L’esperienza della rivoluzione del 1905 fece esplodere le differenze tra menscevismo e bolscevismo, cioè le differenze tra riformismo e rivoluzione, tra collaborazione di classe e marxismo. Il nodo del contendere era l’atteggiamento del movimento rivoluzionario verso la borghesia e i cosiddetti partiti "liberali". Su questa questione Trotskij aveva rotto con i menscevichi nel 1904. Anche prima del 1905, nelle discussioni sulla questione delle alleanze di classe, Trotskij aveva sviluppato le linee generali della teoria della rivoluzione permanente, uno dei contributi più brillanti alla teoria marxista.

In che cosa consiste questa teoria? I menscevichi spiegavano che la rivoluzione russa avrebbe avuto un carattere borghese democratico per cui la classe operaia non poteva aspirare a prendere il potere, ma avrebbe dovuto sostenere la borghesia liberale. Con questo modo meccanico di ragionare, i menscevichi facevano una parodia delle idee di Marx sullo sviluppo della società. La teoria menscevica degli "stadi" relegava la rivoluzione socialista a un lontano futuro. Nel frattempo la classe operaia doveva agire come appendice della borghesia "liberale".

Era la stessa teoria riformista che molti anni dopo avrebbe condotto alla sconfitta della classe operaia in Cina nel 1927, in Spagna nel 1936-39, in Indonesia nel 1965 e in Cile nel 1973.

Lenin spiegò che la borghesia russa, lungi dall’allearsi i lavoratori, sarebbe passata inevitabilmente con la controrivoluzione.

"La massa della borghesia - scrisse nel 1905 - si volgerà inevitabilmente alla controrivoluzione, verso l’autocrazia, contro la rivoluzione e contro il popolo, non appena il suo ristretto, egoistico interesse verrà raggiunto, non appena "rifuggirà" dalla autentica democrazia (e ne sta già rifuggendo!)."

Quale classe, nella visione di Lenin, poteva condurre la rivoluzione borghese-democratica?

"Rimane "il popolo", ovvero il proletariato e i contadini. Solo il proletariato andrà fino in fondo, perché supera di molto la rivoluzione democratica. Ecco perché il proletariato lotta all’avanguardia per la repubblica e respinge sdegnato consigli stupidi e indegni sulla possibilità che la borghesia si tiri indietro."

Sulla questione dell’atteggiamento verso i partiti borghesi, le idee di Lenin e Trotskij erano in completo accordo contro i menscevichi cusavano l’argomento della natura borghese della rivoluzione come una scusa per difendere la subordinazione del partito operaio alla borghesia. Argomentando contro la collaborazione di classe, sia Lenin che Trotskij spiegavano che solo la classe operaia, in alleanza con le masse contadine, poteva portare a termine i compiti della rivoluzione borghese-democratica.

Ma come potevano conquistare il potere i lavoratori in un paese arretrato e semifeudale come la Russia zarista? Trotskij rispose così:

"È possibile che i lavoratori prendano il potere in un paese arretrato economicamente prima che in un paese avanzato (...) Nella nostra prospettiva, la rivoluzione russa creerà le condizioni in cui il potere potrà passare nelle mani dei lavoratori (...) e con la vittoria della rivoluzione deve farlo (...) prima che la politica dei borghesi liberali abbia la possibilità di sviluppare appieno il proprio talento di governare." (Bilanci e prospettive, 1906)

Nel 1905, solo Trotskij era disposto a difendere l’idea che la rivoluzione potesse trionfare in Russia prima che in Europa occidentale. Lenin aveva una posizione incerta. Nel suo complesso, la posizione di Trotskij era molto vicina a quella dei bolscevichi, come Lenin stesso ammise più tardi. Tuttavia, nel 1905 solo Trotskij fu disposto a porre la necessità della rivoluzione socialista in Russia in modo chiaro e audace. Dodici anni dopo la storia gli avrebbe dato ragione.

Riunificazione

Nel periodo dell’ascesa rivoluzionaria, le due ali del movimento si erano unite di nuovo. Ma l’unità era stata più formale che reale. Con il riflusso, riemerse un’altra volta la tendenza dei menscevichi all’opportunismo, trovando una chiara espressione nella famosa dichiarazione di Plechanov: "I lavoratori non avrebbero dovuto prendere le armi." Le differenze tra le due tendenze tornarono alla superficie. E di nuovo Trotskij si trovò in una posizione politica vicina a quella dei bolscevichi.

La vera differenza tra Lenin e Trotskij in questo periodo non riguardava il programma e le prospettive ma riguardava il tentativo "conciliazionista" di Trotskij.

Il progresso della rivoluzione aveva dato un forte impulso al movimento per la riunificazione delle forze del marxismo russo. Lavoratori bolscevichi e menscevichi lottavano fianco a fianco con gli stessi slogan; comitati dei partiti rivali si fusero spontaneamente. La rivoluzione spinse i lavoratori delle due frazioni a unirsi.

Durante la seconda metà del 1905 ci fu un continuo e spontaneo processo di unità dal basso. Senza aspettare gli ordini dall’alto, le organizzazioni di partito bolsceviche e mensceviche si fondevano. Questo esprimeva in parte l’istinto naturale dei lavoratori verso l’unità, ma anche il fatto che i dirigenti menscevichi erano stati spinti a sinistra sotto la pressione della propria base. Alla fine, su suggerimento del CC bolscevico, compreso Lenin, si fecero delle mosse per la riunificazione. Nel dicembre del 1905 le due direzioni si erano effettivamente riunificate, formando un unico Comitato centrale.

Il congresso unitario si svolse nel maggio del 1906 a Stoccolma, ma già a quel tempo l’ondata rivoluzionaria era in riflusso e con essa lo spirito combattivo e i discorsi di "sinistra" dei menscevichi. Era inevitabile un conflitto tra i veri rivoluzionari e quelli che stavano già abbandonando le masse e adattandosi alla reazione. La sconfitta dell’insurrezione di Mosca a dicembre segnò l’inizio della fine per la rivoluzione del 1905. Gli avvenimenti di dicembre segnarono anche un cambiamento decisivo nell’atteggiamento dei cosiddetti "liberali". La borghesia dall’opposizione passò alla condanna della "pazzia" di dicembre. In realtà, i liberali erano già passati con la reazione a ottobre, dopo che lo zar aveva concesso una nuova costituzione.

L’essenza delle differenze tra Lenin e i menscevichi stava proprio in questo:

"La destra del nostro partito non crede nella vittoria completa della rivoluzione attuale, cioè democratico-borghese in Russia; teme questa vittoria; non propone con forza e convinzione questo slogan al popolo. Viene sviata continuamente dall’idea del tutto erronea che in realtà è un involgarimento del marxismo, che solo la borghesia può "fare" autonomamente la rivoluzione borghese, o che solo la borghesia dovrebbe guidare la rivoluzione borghese. Il ruolo del proletariato come avanguardia nella lotta per la vittoria completa e decisiva della rivoluzione borghese non è chiara ai socialdemocratici di destra."

Trotskij aveva irritato Lenin rifiutando, sebbene non ci fossero vere differenze politiche fra loro, di unirsi alla tendenza bolscevica. Restava convinto che prima o poi una nuova ondata rivoluzionaria avrebbe unito i migliori elementi delle due tendenze. Mantenendo questa posizione "conciliazionista" Trotskij fece il più grave errore della sua vita, come avrebbe ammesso in seguito. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che le cose non erano così chiare allora. Lo stesso Lenin, in più di un’occasione, cercò un riavvicinamento con alcuni strati dei menscevichi. Nel 1908 raggiunse un accordo con Plechanov e, secondo Lunaciarskij, "sognava un accordo con Martov". Ma l’esperienza doveva mostrare che questo era impossibile. Le due tendenze, la rivoluzionaria e la riformista, si stavano evolvendo in direzioni opposte. Prima o poi era inevitabile una rottura completa.

Trotskij più tardi ammise il suo errore su questo punto. Lenin trasse le necessarie conclusioni e ruppe definitivamente con i menscevichi nel 1912, il vero atto di nascita del partito bolscevico.

La prima guerra mondiale

La decisione dei dirigenti dei partiti dell’Internazionale socialista di sostenere le "proprie" borghesie nel 1914 fu il più grande tradimento della storia del movimento operaio internazionale. Giunse come un fulmine, sconvolgendo e disorientando i militanti dell’Internazionale. La posizione dei dirigenti della Seconda Internazionale sulla prima guerra mondiale segnalò di fatto il crollo dell’Internazionale. Dopo l’agosto del 1914 la questione della guerra concentrò l’attenzione dei socialisti di tutti i Paesi.

Furono in pochi a non perdere la bussola in quegli eventi. Lenin in Russia, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht in Germania, i dirigenti della socialdemocrazia serba, James Connolly in Irlanda e John Maclean in Scozia furono eccezioni. Sin dall’inizio Trotskij adottò una chiara posizione rivoluzionaria contro la guerra, come si vede dal suo libro La guerra e l’Internazionale. Alla conferenza di Zimmerwald del 1915, che raccolse tutti i socialisti che si opponevano alla guerra, Trotskij fu incaricato di scrivere il manifesto, che fu adottato da tutti i delegati, nonostante le loro divergenze.

Trotsky e Lenin, immagine dal web.Nella foto completa c'è anche Bucharin, sulla destra

A Parigi Trotskij pubblicò un giornale russo che difendeva i principi dell’internazionalismo proletario, il Nashe Slovo. I redattori avevano pochi collaboratori e anche meno soldi, ma con enormi sacrifici riuscivano a pubblicare un giornale quotidiano, un risultato unico, ineguagliato da qualsiasi altra tendenza del movimento russo, inclusi i bolscevichi in quel periodo. Per due anni e mezzo, sotto il vigile sguardo della censura, Nashe Slovo ebbe un’esistenza precaria finché le autorità francesi, sotto la pressione del governo russo, lo chiusero e deportarono Trotskij alla fine del 1916. Dopo un breve soggiorno in Spagna, dove Trotskij conobbe le carceri iberiche, fu di nuovo deportato a New York: qui collaborò con Bucharin e altri rivoluzionari russi nella pubblicazione del giornale Novy Mir. Stava ancora collaborando al giornale quando arrivarono le prime confuse notizie sull’insurrezione di Pietrogrado. La seconda rivoluzione russa era iniziata.

Lenin e Trotskij nel 1917

La politica rivoluzionaria è una scienza. Lo studio delle rivoluzioni passate è un metodo con cui ci si prepara per il futuro. La teoria non è un lusso ma una guida vitale per l’azione. Quando, prima della guerra, Trotskij difendeva l’idea che fosse possibile una rivoluzione proletaria in Russia prima della rivoluzione in occidente, nessuno lo prendeva sul serio. Solo nell’ottobre 1917 si dimostrò la superiorità del metodo marxista di Trotskij. Allo scoppio della rivoluzione di febbraio Lenin era in Svizzera e Trotskij a New York. Sebbene fossero lontani dalla rivoluzione, e l’uno dall’altro, trassero le stesse conclusioni. Gli articoli di Trotskij nella Novy Mir e le Lettere da lontano di Lenin sono praticamente identiche nelle questioni fondamentali concernenti la rivoluzione: l’atteggiamento verso i contadini e la borghesia liberale, il governo provvisorio e la rivoluzione mondiale.

Con la sola eccezione di Lenin gli altri dirigenti bolscevichi non compresero la situazione e furono travolti dagli eventi. È una legge storica che durante una situazione rivoluzionaria il partito, e soprattutto la sua direzione, subisca le enormi pressioni dei nemici di classe, della "pubblica opinione" borghese e anche dei pregiudizi delle masse lavoratrici. Nessuno dei dirigenti bolscevichi a Pietrogrado fu in grado di resistere a queste pressioni. Nessuno di loro sostenne che il proletariato dovesse prendere il potere come unica via per sviluppare la rivoluzione. Tutti questi avevano abbandonato una prospettiva di classe e avevano adottato una rozza posizione a favore della democratizzazione del Paese. Stalin era a favore di un sostegno "critico" al governo provvisorio e alla fusione con i menscevichi. Kamenev, Rijkov, Molotov e gli altri avevano la stessa posizione.

Trotsky a Petrograd il 4 maggio 1917 dc

Solo dopo l’arrivo di Lenin il partito bolscevico cambiò posizione, dopo una lotta interna sulle Tesi di aprile che Lenin fece pubblicare sulla Pravda a titolo personale. Nessuno era pronto a identificarsi con quella posizione. La verità è che non avevano capito il metodo di Lenin e avevano trasformato gli slogan del 1905 in un feticcio.

Da questo momento Trotskij e Lenin difesero le stesse posizioni, le vecchie differenze erano scomparse. Quando Trotskij arrivò a Pietrogrado nel maggio del 1917, Lenin e Zinoviev parteciparono alla cerimonia di benvenuto organizzata dai Mezhraijontsij (comitato inter-distrettuale). A quella riunione Trotskij dichiarò di non sostenere più l’unità di bolscevichi e menscevichi. Solo chi aveva rotto con il socialpatriottismo doveva unirsi sotto le bandiere di una nuova internazionale. Di fatto, dal momento del suo arrivo, Trotskij parlò e agì in piena solidarietà con i bolscevichi. Commentando l’argomento il bolscevico Raskolnikov scrisse:

"Lev Davidovic non era formalmente un membro del partito, ma nei fatti lavorò al suo interno dal suo arrivo dall’America; ad ogni modo, immediatamente dopo il suo primo discorso nel soviet, lo considerammo uno dei nostri dirigenti." (Proletarskaja Revolutsia, 1923)

Sulle controversie del passato, lo stesso autore scrisse:

"Gli echi dei passati dissidi durante il periodo prima della guerra si erano del tutto dissolte. Non c’erano differenze tra la linea tattica di Lenin e di Trotskij. Questa fusione, già osservabile durante la guerra, era completamente e definitivamente acquisita al momento del ritorno di Trotskij in Russia. Dal suo primo discorso pubblico tutti i vecchi leninisti lo considerarono uno di loro." (Ibidem)

Trotskij e la rivoluzione d’Ottobre

Non è possibile in questo breve scritto rendere giustizia al ruolo di Trotskij nella rivoluzione d’Ottobre. Oggi questo ruolo è universalmente riconosciuto. Tuttavia possiamo dire che l’esperienza della rivoluzione russa dimostra l’imprescindibile importanza del fattore soggettivo (la direzione) e il ruolo dell’individuo nella storia.

Nel breve spazio di nove mesi, tra febbraio e ottobre 1917, emerse chiaramente l’importanza della questione della direzione della classe e del partito. Il partito bolscevico è stato il partito più rivoluzionario della storia. Tuttavia, nonostante la sua grande esperienza e la forza accumulata nella sua direzione, al momento decisivo i dirigenti a Pietrogrado oscillarono ed entrarono in crisi. In ultima analisi, il destino della rivoluzione cadde sulle spalle di due uomini: Lenin e Trotskij. Senza di loro la rivoluzione d’Ottobre non ci sarebbe mai stata.

A prima vista, questa affermazione sembra confutare l’analisi marxista del ruolo dell’individuo nella storia. Ma non è così. Nella situazione che si sviluppava, Lenin e Trotskij senza il partito sarebbero stati impotenti. Ci erano voluti due decenni di lavoro, per costruire e perfezionare questo strumento, e guadagnarsi un’autorità nella classe operaia gettando radici profonde fra le masse, nelle fabbriche, nelle caserme e nei quartieri operai. Un singolo individuo, per quanto grande, non avrebbe mai potuto prendere il posto di questo strumento, che non potrà mai essere improvvisato.

Alla classe operaia occorre un partito per trasformare la società. Senza un partito rivoluzionario, capace di dare all’energia rivoluzionaria della classe una direzione cosciente, questa energia si disperde, proprio come il vapore non produce alcun movimento se non c’è una macchina che ne incanali l’energia. D’altra parte, ogni partito ha il suo lato conservatore. Nei momenti decisivi, quando la situazione richiede un brusco cambiamento dell’orientamento del partito, da un lavoro di routine alla conquista del potere, le vecchie abitudini possono entrare in conflitto con le esigenze della nuova situazione. È proprio in queste situazioni che il ruolo della direzione è decisivo.

Uno dei lavori più celebri sulla rivoluzione russa, Dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed, ha un’introduzione scritta da Lenin, che descrive il libro come "una delle più veritiere e vivide esposizioni" e raccomanda che sia ripubblicato in "milioni di copie e tradotto in tutte le lingue". Ma sotto Stalin il libro di John Reed scomparve dalle pubblicazioni sia del partito comunista sovietico che dei partiti comunisti all’estero. La ragione è piuttosto ovvia. Un’occhiata alle pagine mostra che l’autore menziona 63 volte Lenin, 53 volte Trotskij, otto volte Kamenev, sette volte Zinoviev, solo due volte Bucharin e Stalin. Questo riflette con una buona approssimazione il corso degli eventi.

La lotta interna del partito durò fino a ottobre e oltre. L’argomento principale dei conciliatori era che i bolscevichi non potevano prendere il potere da soli, ma dovevano formare una coalizione con gli altri partiti "socialisti", cioè i menscevichi e i socialrivoluzionari.

Ma questo equivaleva a ridare il potere alla borghesia, come sarebbe successo in Germania dopo il novembre 1918.

La vicinanza tra Lenin e Trotskij e la loro totale identità di vedute agli occhi della gente erano tali che il partito bolscevico era conosciuto come il partito di Lenin e Trotskij. A una riunione del comitato di Pietrogrado del 14 novembre 1917, Lenin parlò del pericolo delle tendenze conciliazioniste nella direzione del partito che costituivano un pericolo anche dopo la rivoluzione d’Ottobre. Proprio il 14 novembre, undici giorni dopo l’insurrezione vittoriosa, tre membri del CC (Kamenev, Zinoviev, Nogin) si dimisero per protesta contro la politica del partito e inviarono un ultimatum chiedendo la formazione di un governo di coalizione che includesse menscevichi e socialrivoluzionari, "altrimenti l’unica strada che rimane è mantenere un governo totalmente bolscevico per mezzo del terrore politico." Concludevano la loro dichiarazione con un appello ai lavoratori per una "conciliazione immediata" sulla base dello slogan "Viva il governo di tutti i partiti sovietici!".

Trotsky a Brest-Litovsk nel 1917 dc-Immagine dal web

Questa crisi fra i militanti sembrò in grado di distruggere tutte le conquiste dell’Ottobre. In risposta a una situazione pericolosa, Lenin propose l’espulsione dei dirigenti eretici. Fu in questa situazione che Lenin fece un discorso che finiva con le parole: "Nessun compromesso! Un governo bolscevico omogeneo." Nel testo originale del discorso di Lenin seguono queste parole: "Per quanto riguarda la coalizione, non ne posso parlare seriamente. Trotskij disse tanto tempo fa che era impossibile. Trotskij lo ha capito e da allora non c’è bolscevico migliore di lui."

Trotskij e l’Armata Rossa

Il vecchio esercito zarista era crollato e non c’era nulla da mettere al suo posto. La giovane repubblica sovietica era stata invasa da 21 eserciti imperialisti. In un certo momento, lo Stato sovietico si ridusse al territorio della vecchia Moscovia, l’area attorno a Mosca e Pietrogrado. Eppure la situazione venne ribaltata, e lo Stato operaio sopravvisse. Questo successo fu dovuto in non piccola misura al lavoro indefesso di Trotskij come creatore dell’Armata Rossa.

Nel settembre del 1918, quando il potere sovietico, nelle parole di Trotskij, aveva raggiunto il livello più basso, il governo emanò un decreto speciale che partiva dal fatto che la patria socialista era in pericolo. In frangenti così difficili, Trotskij fu mandato al fronte orientale, quello decisivo, dove la situazione militare era catastrofica. Simbirsk, e successivamente Kazan, erano cadute in mano dei bianchi. Le forze nemiche erano superiori in numero e in organizzazione. Alcuni reparti dei bianchi erano composti solo da ufficiali ed erano ben superiori alle forze sovietiche male addestrate e poco disciplinate. Il panico si diffondeva tra le truppe che si ritiravano disordinatamente davanti alla controrivoluzione trionfante. "Persino il suolo sembrava affetto dal panico", ricorda Trotskij nella sua autobiografia, "distaccamenti rossi freschi, che arrivavano con un atteggiamento vigoroso, venivano immediatamente presi dall’inerzia della ritirata. Si diffondevano voci, tra i contadini del luogo, che i soviet erano condannati. Preti e commercianti rialzavano la testa. Gli elementi rivoluzionari nei villaggi erano sulla difensiva. Tutto crollava non rimaneva nulla a cui aggrapparsi. La situazione sembrava disperata."

Questa era la situazione che Trotskij e i suoi agitatori trovarono al loro arrivo. Ma in una settimana Trotskij tornò vittorioso da Kazan, dopo la prima decisiva vittoria militare della rivoluzione. In un discorso al soviet di Pietrogrado, facendo appello per dei volontari per l’Armata Rossa, descrive la situazione al fronte:

"L’immagine è ancora davanti ai miei occhi. Era una delle notti più tristi e tragiche davanti a Kazan, quando giovani forze immature scappavano in preda al panico. Era agosto, nella prima metà, quando subivamo rovesci su rovesci. Arrivò un reparto di comunisti, erano una cinquantina, cinquantasei, penso. Alcuni di loro non avevano mai tenuto un fucile in mano prima di allora. C’erano quarantenni, ma erano principalmente ragazzi di diciotto, vent’anni. Ricordo come uno di essi, un militante comunista di Pietrogrado, diciottenne sbarbato, arrivò al quartier generale di notte, col fucile, e ci disse che il reggimento aveva disertato e che avevano preso il loro posto, e disse: "Siamo comunardi". Di quel reggimento di cinquanta, ne tornarono dodici, ma, compagni, crearono un esercito, questi lavoratori di Pietrogrado e di Mosca, che arrivavano alle posizioni abbandonate in distaccamenti di 50-60 e tornavano in dieci. Perivano senza che i loro nomi fossero conosciuti, come succede spesso agli eroi della classe operaia. Molti morirono lì, e non conosciamo più i loro nomi, ma costruirono per noi quell’Armata Rossa che difende la Russia sovietica e difende le conquiste della classe operaia, questa cittadella, questa fortezza della rivoluzione internazionale che la nostra Russia sovietica rappresenta. Da allora, compagni, la nostra posizione divenne, come sapete, molto migliore sul fronte orientale, dove il pericolo era maggiore, perché i cecoslovacchi e le guardie bianche, muovendo avanzando da Simbirsk a Kazan, ci minacciavano con un’offensiva su Nizni in un senso e, nell’altro, su Vologda, Yaroslavl e Arcangelo per unirsi alla spedizione anglo-francese. Ecco perché il nostro sforzo principale era diretto verso il fronte orientale, e questi sforzi diedero buoni risultati." (Discorsi di Leon Trotskij)

Dopo la liberazione di Kazan, Simbirsk, Celiavjnsk e le altre città della regione del Volga, a Trotskij fu assegnato il compito di coordinare e di dirigere la guerra sui molti fronti di quel vasto Paese.

Riorganizzò energicamente le forze armate della rivoluzione e compose anche la formula del giuramento dell’Armata Rossa, in cui ogni soldato giurava lealtà alla rivoluzione mondiale. Ma il suo successo più straordinario fu quello di ottenere la collaborazione di un gran numero di ufficiali del vecchio esercito zarista. Senza questo non ci sarebbe stata possibilità di trovare i quadri militari sufficienti per attrezzare più di quindici armate su fronti diversi. Alcuni, ovviamente, risultarono traditori. Altri obbedirono lamentandosi e di malavoglia. Ma un grande numero di essi venne attirato alla causa della rivoluzione che servì lealmente. Alcuni, come Tuchacevskij, un genio militare, divennero dei comunisti convinti. Quasi tutti furono assassinati da Stalin nelle purghe del 1937.

Trotsky e militari dell'Armata Rossa a Mosca

"I risultati di Trotskij furono riconosciuti anche dai nemici dichiarati della rivoluzione, tra cui ufficiali e diplomatici tedeschi". Max Bauer rese omaggio a Trotskij definendolo "un organizzatore militare e un dirigente nato" e aggiunse: "il modo in cui ha costruito un esercito dal nulla nel mezzo di dure battaglie, in cui ha organizzato e addestrato il nuovo esercito, è assolutamente napoleonico". E il generale Hoffmann arrivò alla stessa conclusione: "Anche da un punto di vista puramente militare si resta stupefatti che fosse possibile per le forze appena reclutate dei rossi vincere i reparti, allora ancora forti, dei generali bianchi e eliminarli completamente." (citato in La rivoluzione bolscevica, E. Carr).

La lotta di Trotskij contro la burocrazia

La rivoluzione d’Ottobre è stata l’evento più importante della storia umana. Per la prima volta, se escludiamo il breve episodio della Comune di Parigi, le masse oppresse prendevano il proprio destino in mano e si assumevano il compito di ricostruire la società. La rivoluzione socialista è totalmente differente da tutte le altre rivoluzioni nella storia, perché il fattore soggettivo diviene, per la prima volta, la forza motrice dello sviluppo sociale. La spiegazione di questo si deve cercare nella differenza dei rapporti di produzione. Nel capitalismo le forze di mercato funzionano in maniera incontrollata, senza nessuna pianificazione o azione cosciente. La rivoluzione socialista pone fine all’anarchia produttiva e impone controlli e pianificazione da parte della società. Come risultato, dopo la rivoluzione, il fattore soggettivo, la coscienza di classe, è un fattore decisivo. Nelle parole di Engels il socialismo "è un salto dal regno della necessità a quello della libertà".

Ma la coscienza delle masse non è qualcosa di separato dalle condizioni materiali dell’esistenza, dal livello della cultura, dalla giornata lavorativa. Non per nulla Marx ed Engels sottolineavano che i prerequisiti materiali del socialismo dipendevano dallo sviluppo delle forze produttive. Quando i menscevichi si scagliavano contro la rivoluzione d’Ottobre, sostenendo che non c’erano le condizioni materiali per il socialismo in Russia, c’era un elemento di verità in questo. Tuttavia, queste condizioni oggettive esistevano su scala mondiale.

L’internazionalismo per i bolscevichi non era una questione sentimentale. Lenin ripeté centinaia di volte che o la rivoluzione russa si sarebbe propagata in altri Paesi o sarebbe stata sconfitta. In effetti, dopo la rivoluzione russa ci fu un’ondata di situazioni rivoluzionarie e pre-rivoluzionarie in molti Paesi (Germania, Ungheria, Italia, Francia, ecc.) ma senza la presenza di un partito rivoluzionario di massa vennero sconfitte o, per essere più precisi, vennero tradite dai dirigenti socialdemocratici. A causa del tradimento dei dirigenti socialdemocratici in Germania e in altri Paesi, la rivoluzione russa rimase isolata in un Paese arretrato, dove le condizioni di vita delle masse erano atroci. In un anno morirono sei milioni di persone di fame. Alla fine della guerra civile la classe operaia era esausta.

In questa situazione una reazione era inevitabile. I risultati ottenuti non corrispondevano alle speranze delle masse. Un importante strato dei lavoratori più coscienti e combattivi era stato ucciso durante la guerra civile. Altri, assorbiti dai compiti di amministrazione dell’industria e dello Stato, si staccarono gradualmente dal resto della classe. In un’atmosfera di crescente stanchezza, scoraggiamento e disorientamento delle masse l’apparato statale si sollevò lentamente al di sopra della classe operaia. Ogni passo indietro della classe operaia incoraggiava ulteriormente i burocrati e i carrieristi. In questa situazione emerse una casta burocratica che era soddisfatta della propria posizione e non era d’accordo con l’idea "utopica" della rivoluzione mondiale. Questi elementi si aggrapparono entusiasticamente all’idea, avanzata per la prima volta nel 1924, del "socialismo in un solo Paese".

Lenin cercò di mettere in guardia dal pericolo della burocrazia. All’undicesimo congresso pose di fronte al partito una bruciante dichiarazione sulla burocratizzazione dell’apparato statale:

"Se prendiamo Mosca, disse, con i suoi 4.700 comunisti in posizioni di responsabilità, e se prendiamo la vasta macchina burocratica, questo gigantesco marchingegno, ci dobbiamo chiedere: chi guida e chi è guidato? Dubito seriamente che sia corretto dire che i comunisti dirigono questa massa. A dire il vero, non dirigono, sono diretti."

Per condurre a termine il compito di scacciare burocrati e carrieristi dall’apparato dello Stato e del partito, Lenin cominciò a costruire la Rabkrin (Ispettorato operaio e contadino) con a capo Stalin. Lenin vedeva la necessità di un buon organizzatore perché questo compito fosse portato fino in fondo: il curriculum di Stalin come organizzatore sembrava qualificarlo per il posto. In pochi anni Stalin occupò svariate posizioni organizzative nel partito: capo della Rabkrin, membro del CC e del Politburo, Orgburo e Segretariato. Ma la sua visione ristretta e organizzativista e le sue ambizioni personali lo portarono a occupare in poco tempo il posto di rappresentante capo della burocrazia nella direzione del partito, non suo oppositore.

Già nel 1920 Trotskij criticò il lavoro della Rabkrin, che da mezzo di lotta contro la burocrazia stava divenendo un suo covo. Inizialmente Lenin difese la Rabkrin contro Trotskij. La sua malattia gli impediva di capire che cosa stava succedendo alle sue spalle nel partito e nello Stato. Stalin usava quella posizione, che gli permetteva di selezionare il personale di posti chiave nello Stato e nel partito, per aggregare un blocco di alleati e nullità politiche grati a lui per la loro carriera. Nelle sue mani la Rabkrin divenne uno strumento per costruire la propria posizione ed eliminare i suoi rivali politici.

Lenin usò tutto il peso della propria autorità nella lotta per la rimozione di Stalin dal posto di segretario generale del partito che aveva occupato nel 1922, dopo la morte di Sverdlov. Tuttavia la paura principale di Lenin ora più che mai era che una divisione aperta nella direzione, ora che i bolscevichi erano al potere, conducesse a una spaccatura del partito su linee di classe. Cercò quindi di contenere la lotta al vertice e appunti come questi ed altro materiale non furono resi pubblici. Lenin scrisse segretamente ai bolscevichi georgiani epurati da Stalin (mandando copie a Trotskij e a Kamenev) aderendo alla loro causa contro Stalin "con tutto il cuore".

Poiché non riusciva a seguire l’affare di persona, scrisse a Trotskij chiedendogli di occuparsi della difesa dei georgiani nel CC. Durante l’ultimo periodo di malattia, per combattere il processo di burocratizzazione, chiese a Trotskij addirittura di formare un blocco per combattere Stalin al XII congresso di partito. Ma Lenin morì prima di poter attuare questo progetto. Le sue lettere al congresso, in cui descrive Trotskij come il più abile membro del CC e chiede le dimissioni di Stalin da segretario generale del partito, furono nascoste dalla cricca al potere e non vennero pubblicate per decenni.

"Socialismo in un solo Paese"

L’emergere di una nuova casta dominante aveva profonde radici sociali. L’isolamento della rivoluzione era il fattore centrale dietro l’ascesa di Stalin e della sua cricca, ma esso a sua volta divenne causa di nuove sconfitte per la rivoluzione internazionale: Bulgaria e Germania (1923); la sconfitta dello sciopero generale in Inghilterra (1926), Cina (1927); e la sconfitta peggiore di tutte, quella della rivoluzione in Germania (1933). Ogni sconfitta della rivoluzione mondiale aumentava la demoralizzazione della classe operaia e incoraggiava ulteriormente i burocrati e i carrieristi. Dopo la tremenda sconfitta in Cina nel 1927, la cui responsabilità diretta fu di Stalin e Bucharin, cominciò l’espulsione dell’Opposizione. Anche prima, i sostenitori dell’Opposizione vennero sistematicamente perseguitati, licenziati, ostracizzati e, in alcuni casi, spinti al suicidio.

Le mostruose azioni degli stalinisti erano in totale contraddizione con le tradizioni democratiche del partito bolscevico. Consistevano nel mandare teppisti a disperdere le riunioni, in una campagna di bugie e calunnie nella stampa ufficiale, nella persecuzione di amici e sostenitori di Trotskij che condusse alla morte di molti eminenti bolscevichi come Glazman (spinto al suicidio con il ricatto) e Joffe, il famoso diplomatico sovietico a cui fu negato il trattamento medico necessario e che si suicidò.

Alle riunioni di partito, gli oratori dell’opposizione erano soggetti a ogni sorta di atti di teppismo da parte di gruppi di sbandati semifascisti organizzati dall’apparato stalinista per intimidire l’Opposizione.

Dato l’isolamento della rivoluzione nelle condizioni di tremenda arretratezza, l’esaurimento della classe operaia e della sua avanguardia, la vittoria della burocrazia stalinista era scontata. Non in base alla bravura o delle intuizioni di Stalin. Al contrario. Stalin non prevedeva e non capiva nulla, ma procedeva empiricamente, come dimostrano i continui zig zag della sua politica. Stalin e il suo alleato Bucharin sterzarono a destra, cercandosi una base nei "contadini ricchi" (i kulak). Trotskij e l’Opposizione di sinistra avvertirono più volte del pericolo di una politica simile. Proposero una politica di industrializzazione, piani quinquennali e collettivizzazione nelle campagne coinvolgendo i contadini col buon esempio delle aziende statali. A una sessione plenaria del CC nell’aprile del 1927, Stalin si fece beffe di queste proposte. Infatti paragonò il piano di elettrificazione dell’Opposizione (la diga sul Dnieprostoi) all’idea di "offrire ad un contadino un grammofono invece di una mucca".

Gli avvertimenti dell’opposizione si dimostrarono corretti. Il pericolo dei kulak, che si manifestò in modo evidente nello sciopero del grano e nei sabotaggi, minacciava di rovesciare il potere sovietico e di mettere la controrivoluzione capitalista all’ordine del giorno. In una reazione di panico, Stalin fu costretto a rompere con Bucharin e a lanciarsi in un’avventura estremista. Dopo aver respinto sdegnosamente le proposte di Trotskij dei piani quinquennali per sviluppare l’economia sovietica, fece improvvisamente una svolta di 180 gradi e cominciò a proporre la pazzia del "piano quinquennale in quattro anni" e la "liquidazione dei kulak come classe" attraverso la collettivizzazione forzata. All’inizio questa svolta disorientò molti militanti dell’Opposizione, che pensarono che Stalin avesse adottato le loro politiche. Ma la linea di Stalin era solo una caricatura della politica dell’Opposizione. Era escluso qualsiasi ritorno alla democrazia sovietica di Lenin e venne rafforzato il dominio della burocrazia come casta dominante.

A cominciare da Zinoviev e Kamenev, gli oppositori capitolarono a Stalin uno dopo l’altro, nella speranza di essere riammessi nel partito. Era un’illusione. Questa abiura preparò solo la strada a nuove richieste e nuove capitolazioni, e sfociò nell’umiliazione finale dei processi di Mosca, dove Kamenev, Zinoviev e altri vecchi bolscevichi si dichiararono colpevoli dei crimini più mostruosi contro la rivoluzione. Ma anche questo non li salvò. Trovarono la morte per mano dei boia di Stalin dopo essersi coperti da soli la testa di immondizia.

Trotskij resistette, sebbene non avesse illusioni di poter vincere la lotta, dato il rapporto di forze del tutto sfavorevole. Ma stava combattendo per lasciare una bandiera, un programma e una tradizione per la nuova generazione. Come spiega nella sua biografia:

"Il gruppo dirigente dell’Opposizione arrivava a questo finale con gli occhi ben aperti. Sapevamo fin troppo bene che avremmo potuto trasmettere le nostre idee alla nuova generazione non con la diplomazia e i sotterfugi ma solo con una lotta aperta che non si arrendesse di fronte a nessuna conseguenza pratica. Sapevamo che andavamo incontro a una sconfitta inevitabile, fiduciosi però di preparare la strada alla vittoria delle nostre idee per un più lontano futuro". (La mia vita).

L’opposizione di sinistra internazionale

Nel 1929 Trotskij fu esiliato in Turchia. Stalin non aveva ancora consolidato a sufficienza la sua posizione per poterlo semplicemente uccidere. Dall’esilio, tra il 1927 e il 1933, Trotskij dedicò le sue energie a organizzare l’opposizione di sinistra internazionale, allo scopo di rigenerare l’Urss e l’internazionale comunista. La svolta estremista di Stalin in Unione Sovietica trovò un’espressione internazionale nella teoria del cosiddetto Terzo Periodo e del "socialfascismo". Questo, a sentire i partiti comunisti, doveva sfociare nella "crisi finale" del capitalismo su scala mondiale. Il Comintern, dietro istruzioni di Mosca, definì fascisti tutti i partiti che non fossero quelli comunisti. Questo valeva soprattutto per i partiti socialdemocratici che vennero rinominati "socialfascisti". Questa pazzia ebbe effetti particolarmente devastanti in Germania, dove determinò direttamente la vittoria di Hitler.

La catastrofica recessione mondiale del 1929-33 ebbe gli effetti più disastrosi sulla Germania. La disoccupazione arrivò a otto milioni. Una vasta parte della piccola borghesia era rovinata. Essendo stati delusi dalla socialdemocrazia nel 1918 e dai comunisti nel 1923, per la disperazione si spinsero verso il partito nazista di Hitler alla ricerca di una soluzione. Nelle elezioni del settembre 1930 i nazisti presero quasi sei milioni e mezzo di voti. Dal suo esilio in Turchia Trotskij avvertì insistentemente del pericolo del fascismo in Germania. Chiese ai comunisti tedeschi di formare un fronte unico con i socialdemocratici per fermare Hitler. Questo messaggio fu sottolineato con forza in una serie di articoli e documenti noti come La svolta dell’internazionale comunista e la situazione tedesca. Si trattava di una proposta di ritornare alla politica leninista del fronte unico. Ma era come parlare ai sordi.

Sebbene il movimento operaio tedesco fosse il più forte dell’occidente, rimase paralizzato al momento della verità dalle politiche dei suoi dirigenti.

Quando nel 1931 Hitler organizzò un referendum con lo scopo di abbattere il governo socialdemocratico in Prussia, il partito comunista, su ordine di Mosca, spinse i suoi sostenitori ad appoggiare i nazisti. Ancora nel 1932, il giornale stalinista inglese The Daily Worker scriveva:

significativo che Trotskij stia difendendo il fronte unico tra comunisti e partiti socialdemocratici contro il fascismo. In questo momento non si potrebbe proporre una linea più disfattista e controrivoluzionaria."

Lenin e Trotsky

Nel 1933 il partito comunista tedesco aveva circa sei milioni di sostenitori, i socialdemocratici circa otto milioni. I loro gruppi combattenti avevano insieme circa un milione di membri, un numero molto più alto delle guardie rosse a Pietrogrado e Mosca nel 1917. Eppure Hitler poté vantarsi di "aver preso il potere senza rompere un vetro". Fu un tradimento della classe operaia paragonabile a quello del 1914. Da un giorno ad un’altro le possenti organizzazioni del proletariato tedesco vennero ridotte in polvere. I lavoratori di tutto il mondo, e soprattutto dell’Unione Sovietica, pagarono un terribile prezzo per questo tradimento.

Trotskij sperò che questa sconfitta su scala mondiale servisse a scuotere l’Internazionale Comunista alle fondamenta e aprisse una discussione nelle file dei partiti comunisti che li spingesse a rigenerarsi, accogliendo le critiche dell’opposizione. Ma le cose andarono diversamente. Il Comintern e i suoi partiti erano così stalinizzati che non ci fu dibattito, né autocritica, solo una riproposizione delle stesse politiche fallimentari.

Un partito, e un’internazionale, incapace di imparare dai propri errori sono condannati. La tremenda sconfitta della classe operaia tedesca come risultato delle politiche degli stalinisti e dei socialdemocratici, seguita da una completa mancanza di qualsiasi autocritica e discussione in materia all’interno dei partiti dell’Internazionale comunista, convinse Trotskij che il Comintern era irrimediabilmente degenerato. Mentre nei primi anni la burocrazia non si era ancora consolidata come casta dominante, adesso era chiaro che non si trattava più di un’aberrazione storica che potesse essere corretta con la critica e le discussioni, ma rappresentava la controrivoluzione trionfante che aveva distrutto tutti gli elementi di democrazia operaia costruiti dalla rivoluzione d’Ottobre. Trotskij propose quindi lo slogan di una nuova Internazionale, la Quarta.

I processi di Mosca

La più chiara espressione della nuova situazione furono gli infami "processi di Mosca" che Trotskij descrisse come "una guerra unilaterale contro il partito bolscevico". Tra il 1936 e il 1938 tutti i membri del comitato centrale dei tempi di Lenin ancora vivi in Unione Sovietica furono assassinati. "Il processo dei sedici" (Zinoviev, Kamenev, Smirnov, ecc.); "il processo dei diciassette" (Radalev, Pyatakov, Sokolnikov, ecc.); "Il processo segreto agli ufficiali" (Tuchachevksij, ecc.); "il processo dei ventuno" (Bucharin, Rijkov, Rakovskij, ecc.). I vecchi compagni di Lenin vennero accusati di aver commesso i crimini più assurdi contro la rivoluzione. Di solito erano accusati di essere agenti di Hitler (come i giacobini vennero accusati di essere agenti inglesi durante la reazione termidoriana in Francia).

Gli scopi della burocrazia erano semplici: annientare tutti quelli che potevano divenire un punto di riferimento per lo scontento delle masse. Arrivarono ad arrestare e uccidere migliaia di persone, servi fedeli di Stalin, il cui unico crimine era un legame diretto con la rivoluzione d’Ottobre. Era pericoloso persino essere amici, vicini di casa, parenti degli arrestati. Nei campi di concentramento si trovavano intere famiglie, inclusi i bambini.

Negli anni 1930 Trotskij analizzò il fenomeno nuovo della burocrazia stalinista nel suo classico lavoro La rivoluzione tradita e spiegò la necessità di una nuova rivoluzione, una rivoluzione politica, per rigenerare l’Urss. Allo stesso modo delle altre classi o caste dominanti della storia, la burocrazia russa non sarebbe "scomparsa" di sua spontanea volontà. Già nel 1936, Trotskij spiegò che la burocrazia stalinista rappresentava un pericolo mortale per la sopravvivenza dell’Urss. Formulò la previsione, di un’esattezza sorprendente, che se la burocrazia non fosse stata spodestata dalla classe operaia, avrebbe condotto inesorabilmente alla controrivoluzione. Con un ritardo di cinquant’anni, la previsione di Trotskij si è verificata. Non soddisfatti dei loro voraci privilegi che derivavano dalla rapina ai danni dell’economia pianificata, figli e nipoti dei funzionari stalinisti si trasformano in proprietari dei mezzi di produzione in Russia e nei Paesi vicini sprofondando la terra dell’Ottobre in un nuovo medioevo di barbarie e di devastazioni.

Stalin e la casta privilegiata che rappresentava non potevano perdonare Trotskij per averli smascherati come usurpatori e affossatori dell’Ottobre. Il lavoro di Trotskij e dei suoi collaboratori rappresentava un pericolo mortale per la burocrazia che rispose con una campagna massiccia di omicidi, persecuzioni e calunnie. Si cercherebbe invano nella storia moderna un parallelo alle persecuzioni sofferte dai trotskisti per mano di Stalin e della sua mostruosa macchina per uccidere. Sarebbe necessario tornare ai tempi della persecuzione dei primi cristiani o al lavoro infame della Santa Inquisizione per trovare qualcosa di simile. Uno per uno i sostenitori di Trotskij in Unione Sovietica vennero messi a tacere dai boia di Stalin. Compagni, amici e intere famiglie finirono nei Gulag.

Anche in questi inferni, i trotskisti resistettero. Solo loro mantennero un’organizzazione e la disciplina. Riuscendo in qualche modo a seguire i problemi internazionali, organizzarono assemblee e gruppi di discussione marxisti e combatterono per i propri diritti. Organizzarono anche manifestazioni e scioperi della fame, come lo sciopero del campo di Peciora, nel 1936, che durò 136 giorni.

Crebbe il numero delle fucilazioni arbitrarie. Stalin aveva deciso la "soluzione finale". Verso la fine di marzo del 1938, i trotskisti furono portati in gruppi di circa venti alla volta nelle lande ghiacciate attorno al campo di Vorkuta dove trovarono la morte. I massacri andarono avanti per mesi. I macellai della Gpu fecero il loro lavoro, massacrando uomini, donne e bambini di meno di dodici anni. Nessuno fu risparmiato. Un testimone racconta come la moglie di un militante dell’opposizione marciò sulle stampelle fino al luogo dell’esecuzione.

"Per tutto aprile e parte di maggio, racconta il testimone oculare, proseguirono le esecuzioni. Ogni giorno venivano scelte trenta o quaranta persone, dagli altoparlanti risuonavano i comunicati: "per agitazione controrivoluzionaria, sabotaggio, banditismo, rifiuto di lavorare, tentativi di fuga, i nominativi seguenti verranno fucilati…", una volta un grosso gruppo di circa cento persone, per lo più trotskisti, vennero presi… allontanandosi cantavano l’internazionale e centinaia di voci nelle baracche si unirono al coro." (I. Deutscher, Il profeta esiliato)

Un uomo contro il mondo

Per il dirigente dell’Ottobre non c’erano rifugi né posti sicuri sulla Terra. Una porta dopo l’altra gli venne chiusa in faccia. Stati "democratici" che si consideravano ben più avanzati dei "dittatori" bolscevichi non mostrarono più tolleranza degli altri. Alla fine Trotskij e la sua fidata compagna Natalija Sedova trovarono rifugio in Messico sotto il governo del borghese progressista Lazar Cardenas.

Negli anni che precedettero la sua morte Trotskij vide l’assassinio di uno dei suoi figli e la scomparsa dell’altro, il suicidio di sua figlia, il massacro di amici e collaboratori dentro e fuori l’Urss, la distruzione delle conquiste della rivoluzione d’Ottobre. La figlia di Trotskij Zinaida si suicidò a causa delle persecuzioni di Stalin. Dopo il suicidio di sua figlia la sua prima moglie, Alexandra Sokolovskaja, una donna straordinaria che sarebbe morta nei campi staliniani, scrisse una lettera disperata a Trotskij: "I nostri figli sono condannati. Non credo più alla vita; non credo che diventeranno adulti. Aspetto sempre un nuovo disastro." E conclude: "Ho avuto difficoltà a scrivere e a spedire questa lettera. Scusami per questa crudeltà verso di te, ma devi sapere tutto sulla tua famiglia" (Deutscher, op. cit.).

Trotsky negli anni Trenta

Leon Sedov, il figlio maggiore di Trotskij, che giocò un ruolo chiave nell’Opposizione di sinistra internazionale, venne ucciso mentre era ricoverato per un’operazione in una clinica di Parigi nel febbraio del 1938. Due dei suoi segretari europei, Rudolf Klement e Erwin Wolff, vennero uccisi. Ignace Reiss, un funzionario della Gpu che ruppe pubblicamente con Stalin e si dichiarò in favore di Trotskij, fu un’altra vittima della macchina sterminatrice di Stalin, ucciso da un agente della Gpu in Svizzera.

Il colpo più duro per Trotskij venne con l’arresto del figlio minore Sergei, che era restato in Russia pensando che, non essendo attivo politicamente, sarebbe stato salvo. Vana speranza! Non potendo colpire il padre, Stalin usò la tortura più raffinata, quella di colpire i padri attraverso i figli. Nessuno può immaginare quale tormento colpì al tempo Trotskij e Natalija Sedova. Solo in anni recenti è emerso che Trotskij pensò persino al suicidio come mezzo per salvare suo figlio. Ma capì che un tale atto non avrebbe salvato Sergei e avrebbe dato a Stalin quello che voleva. Trotskij non aveva torto. Sergei era già morto, fucilato a quanto pare in segreto nel 1938, avendo rifiutato recisamente di accusare suo padre.

Uno per uno i collaboratori di Trotskij caddero vittime del terrore staliniano. Quelli che rifiutarono di abiurare vennero eliminati fisicamente. Ma anche la capitolazione non salvò la vita di quelli che si arresero. L’ultima delle figure dirigenti dell’Opposizione in Urss a resistere fu il grande marxista e veterano della rivoluzione Christian Rakovskij.

Nonostante tutto, fino alla fine, Trotskij rimase fermo nelle sue idee rivoluzionarie. Il suo testamento rivela un enorme ottimismo nel futuro socialista dell’umanità. Ma il suo vero testamento si trova nei suoi libri e negli altri scritti che continuano a essere un tesoro di idee marxiste per le nuove generazioni di rivoluzionari. Il fatto che oggi lo spettro del "trotskismo" continui a spaventare la borghesia, i riformisti e gli stalinisti è una prova sufficiente della forza delle idee del bolscevismo-leninismo, poiché questo è il vero significato di "trotskismo".

Soprattutto in Russia, la patria dell’Ottobre, le idee del trotskismo rimangono del tutto attuali.

Trotskij spiegò tanto tempo fa che la burocrazia stalinista, questo tumore nel corpo dello Stato operaio, avrebbe finito per distruggere le conquiste dell’Ottobre. Nel 1936 egli previde che "la caduta della attuale dittatura burocratica, se non verrà sostituita da un nuovo potere socialista, porterà al ritorno alle relazioni capitalistiche con un declino catastrofico dell’industria e della cultura." (La rivoluzione tradita)

Ora si vede la correttezza di questa previsione. Gli stessi dirigenti del cosiddetto partito comunista dell’Urss che ieri giuravano fedeltà a Lenin e al socialismo ora sono impegnati in una smodata corsa ad arricchirsi con il saccheggio sistematico delle proprietà dell’Unione sovietica. In confronto a questo mostruoso tradimento il comportamento dei dirigenti socialdemocratici nel 1914 sembra un giochetto.

Lenin amava citare molto il proverbio russo: "la vita insegna". Tanto più i lavoratoti russi capiranno in quale vicolo cieco il capitalismo li sta trascinando (e lo capiscono di più ogni giorno che passa), tanto più capiranno la necessità di tornare alle vecchie tradizioni. Riscopriranno, nell’azione, l’eredità del 1905 e del 1917. Riscopriranno le idee e il programma di Vladimir Ilic Lenin e dell’altro grande dirigente e martire della classe operaia, Lev Trotskij.

Dopo decenni della più terribile repressione, le idee del bolscevismo-leninismo rimangono vive e vibranti, le autentiche idee dell’Ottobre che non possono essere distrutte né con le calunnie né con le pallottole. Nelle parole di Lenin: "il marxismo è onnipotente perché è giusto."

Alan Woods - Londra 24 gennaio 2000


Un articolo di Arturo Colombo sul "Corriere della sera", nel 1978

Perché si parla del leader bolscevico vittima di Stalin- Ecco il suo ritratto

Trotski, profeta armato e disarmato

Una vita densa di lotte, finita con l'assassinio nel 1940 in Messico-Arresti, deportazione, esilio-L'incontro a Londra con Lenin e il ritorno in Russia alla vigilia della rivoluzione d'ottobre-Aveva sottovalutato il dittatore georgiano che s'impadronì di tutte le leve del partito e gli rinfacciò il <<peccato mortale>> della rivoluzione permanente

Il nome di Trotski é tornato all'improvviso alla ribalta soprattutto per il suo crudele assassinio nell'Estate del '40 e per le dirette responsabilità di Stalin, ormai riconosciute apertamente anche da parecchi comunisti europei (a cominciare dal PC francese, che ha riaperto il "caso" pubblicando su "l'Humanité" parti di un libro-testimonianza del messicano Valentin Campa).

Ma chi é stato davvero Trotski, il leader bolscevico che lo stalinismo ha preteso di cancellare addirittura dalla storia, mentre altri lo considerano uno degli eroi del nostro secolo?

Lev Davidovic Trotski (il suo vero cognome però era Bronstein) era nato il 7 Novembre 18799 a Janovka, in Ucraina, quinto di otto figli di una famiglia ebrea, proprietaria di una fattoria agricola, che viveva - lo dirà lui stesso - "in una certa agiatezza". Il padre voleva farne un ingegnere, ma Trotski sente presto il richiamo della politica, in un periodo in cui al declinante movimento populista e terrorista si sostituivano i gruppi marxisti. "Esitavo ancora fra la matematica pura e la rivoluzione" racconterà più tardi nell'autobiografia.

E' arrestato per la prima volta nel 1898, dopo avere partecipato a fondare l'Unione Operaia della Russia meridionale. va in prigione a Nikolaev, a Cherson, a Odessa (dove legge "con entusiasmo" due saggi di Antonio Labriola, tradotti in francese), é deportato in Siberia, dove ricorda che studiava i testi di Marx "cercando le blatte che si infilavano tra le pagine".

Fuggito con un passaporto falso intestato a Trotski (il nome che lo renderà famoso) comincia l'esilio a Vienna, a Parigi, a Zurigo, a Londra dove nell'Autunno del 1902 incontra Lenin, già impegnatissimo nel lavoro per il partito operaio socialdemocratico russo (POSDR), fondato quattro anni prima. Uno scontro con Lenin lo ha al secondo congresso del POSDR nel 1903, quando avviene la scissione tra i menscevichi, accusati di essere "molli" nella lotta rivoluzionaria, e i bolscevichi, sotto la guida di Lenin, ritenuti "duri", intransigenti nel volere un partito fatto solo di "rivoluzionari di professione". Trotski si schiera con i menscevichi, anche se se ne stacca presto, rimanendo fuori delle due fazioni. Poi, nel 1905, appena la "Domenica di sangue" lascia prevedere una lotta a fondo per abbattere lo zarismo, Trotski accorre in Russia e diventa l'esponente più in vista del Soviet di Pietrogrado. Per lui la rivoluzione del 1905, anche se non distrugge il sistema autocratico di Nicola II, sarà la "prova generale del 1917".

Di nuovo incarcerato e mandato in Siberia evade nel 1907 e inizia il secondo esilio, vivendo in prevalenza a Vienna ma con frequenti viaggi e soggiorni un po' in tutta Europa (in Bulgaria, Romania, Francia e Spagna). L'obiettivo é sempre lo stesso: lavorare coi vari gruppi rivoluzionari, magari discutere e litigare coi socialisti, specie coi "destri" della II Internazionale (Trotski infatti era il "re dei polemisti" secondo l'immagine di Bernard Shaw); comunque sempre convinto che la rivoluzione era l'unico mezzo indispensabile per dare un nuovo volto alla Russia e al quadro internazionale, dominato dal cosiddetto nemico di classe, la borghesia capitalistica. Agli inizi del '17 era andato sino a New York, "la città leggendariamente prosaica dell'automatismo capitalistico". Ma alla notizia della rivoluzione di Febbraio, quella menscevica capeggiata da Kerenski (lo "spaccone" lo chiamava Lenin) intuisce che per lo zarismo sta giungendo il "redde rationem".

Il 17 Maggio 1917 é di nuovo in Russia, un mese dopo che ci era tornato anche Lenin. E a contatto con la sconvolgente raltà di un sistema in sfacelo, con le masse operaie e contadine stremate dalla guerra e dalla crisi interna, Trotski (fino a Luglio capo del gruppo degli "interdistrettuali") decide di confluire definitivamente nelle file del bolscevismo, e Lenin dirà subito che "non c'é miglior bolscevico del compagno Trotski". La sua diagnosi politica, esposta già due mesi prima delle giornate di Ottobre, era drastica. "La rivoluzione permanente contro il massacro permanente! Questa é la lotta in cui sono in gioco le sorti dell'umanità". Da quando il 7 Novembre 1917 i bolscevichi conquistano il potere, sino al 1923, il nome di Trotski é a fianco di quello di Lenin, anche se talvolta "in concordia discors" su certi problemi di importanza vitale.

Per dare la misura del peso politico di Trotski bastano le cariche ricoperte: presidente del Soviet di Pietrogrado, capo del Comitato militare rivoluzionario, commissario del popolo agli affari esteri per la pace di Brest-Litovsk e poi dal '18 commissario alla guerra e capo dell'Armata Rossa durante l'esperienza terribile della guerra civile, quando bisognava battere i nemici interni e vincere i massicci attacchi esterni.

Anche il passaggio dal "comunismo di guerra" alla NEP, la nuova politica economica inaugurata nel '21, trova Trotski sostanzialmente d'accordo con Lenin, un Lenin costretto dal male a ridurre l'attività politica quotidiana, specie dalla seconda metà del '22. E infatti, già al XII Congresso del partito, tenutosi nel '23 (Lenin assente), comincia contro Trotski la congiura degli epigoni, orchestrata dalla trojka di Stalin, Zinovev e Kamenev.

Certo, anche Trotski non é esente da colpe: sottovaluta Stalin, che con spregiudicatezza si stava impadronendo di tutte le leve del partito, e non rinuncia a quell'insistente "eccesso di fiducia in se stesso", che anche Lenin gli aveva rimproverato nel testamento (scritto alla fine del '22), pur riconoscendolo "forse l'uomo più capace del comitato centrale".

"La calunnia vomitava lava gelata" dirà, commentando la violenza della lotta, che già nel '25 lo priva della carica di commissario alla guerra. Nel '26, appena Stalin si é disfatto anche di Zinovev e Kamenev, cerca di allearsi con loro nella cosiddetta "opposizione unificata". Ma dietro la disputa ideologica di Stalin, che voleva imporre la via del "socialismo in un paese solo" e rinfacciava a Trotski il peccato mortale della "rivoluzione permanente", in cui coinvolgere tutto il mondo, c'é lo scontro ben più aspro per imporsi al vertice del partito. E a vincere sarà il furbo georgiano, empirico e senza scrupoli, sempre "posseduto dalla volontà di potenza", come De Gaulle dirà di Stalin.

Nel '27 Trotski é espulso dal comitato centrale del partito e dal comitato esecutivo del Komintern, il 14 Novembre é radiato anche dal partito, e costretto al confino di Alma Ata, e nel '29 all'esilio nell'isola di Prinkipo, in Turchia, dove scriverà il suo capolavoro, la "Storia della rivoluzione russa".

Per 'indomito "profeta armato", come lo definirà Isaac Deutscher, il suo maggior biografo (che scriverà anche la successiva parabola del "profeta disarmato" (mia nota: e anche del "profeta esiliato"), cominciava il periodo tragico e amaro degli ultimi dodici anni di esilio, a fianco della seconda moglie Natalia, mentre da Mosca lo stalinismo trionfante lanciava contro di lui violente campagne per squalificare, anche sul piano morale, l'antico leader dell'Ottobre Rosso, dipingendolo come un traditore, un criminale, un venduto al soldo dei nemici antisovietici.

Trotski, ormai solitario e costretto a vagare per il mondo (in Francia, in Norvegia, infine nel Messico) cerca di ribattere le accuse più ignobili e smontare "le calunnie stupide e vili" come le chiamerà persino nel suo testamento. Denuncia con lungimirante acume la crescita del processo degenerativo nell'URSS, la "rivoluzione tradita" di Stalin ormai dittatore sovrano. Vede con notevole lucidità la minaccia del nazismo; tenta addirittura nel '38 di dar vita a Parigi alla IV Internazionale, per raccogliere quanti rifiutavano i crimini e le degenerazioni del comunismo sovietico.

Ma anche lontano, isolato, Trotski restava una voce troppo potente perché Stalin non facesse di tutto per ridurlo al silenzio, attraverso qualche sicario o qualche "longa manus" del Komintern o della GPU. Così, il 20 Agosto 1940 Trotski cade ucciso da un agente di Stalin, di nome Ramon Mercader, detto anche Jacques Mornard.

Adesso, sembra che anche i comunisti (almeno fuori dall'URSS) comincino a riconoscere che il manico della picozza, con cui Trotski ebbe spaccata la testa, fu manovrato dal Cremlino. Eppure se sarà lunga e tortuosa la via per "riabilitare" Trotski dopo le vergogne ripetute da tanta e sedicente storiografia ufficiale, ormai il processo é avviato. E al di là degli errori politici, da cui anche Trotski non fu immune, c'é solo da attendere da parte comunista un esame critico e autocritico.

"Verrà il giorno che il partito lo capirà e la storia lo riconoscerà", aveva scritto Adolf Joffe, suo compagno di lotta. L'anno venturo é il centenario della nascita di Trotski: non potrebbe essere la volta buona?


E ora un articolo sul settimanale "L'Espresso" di almeno 15 anni fa, circa il 1985. Il titolo era

Lev Trotzki

di Gianni Rocca, nella rubrica L'ORSA MAGGIORE

E così l'inquieto fantasma di Trotzki continuerà ad aggirarsi senza pace tra le mura del Cremlino. Nemmeno settant'anni sono bastati per restituirgli il diritto di far parte di quel pugno di uomini, fanatici e decisi, che nell'ottobre del 1917, a Pietrogrado, "sconvolsero il mondo". Anche Gorbaciov lo ha lasciato nell'inferno della storia comunista, dove con l'inganno e la violenza lo aveva gettato Stalin. Ha solo provveduto a spostarlo in un girone meno infamante. Non più "giuda del marxismo-leninismo", lacchè dell' "imperialismo", "agente provocatore", "spia della Gestapo", ma "piccolo borghese ambizioso", "nemico della linea di Lenin".

Milioni di sovietici, soprattutto delle nuove generazioni, avranno appreso della sua esistenza, per la prima volta, sentendolo nominare da Gorbaciov. E chi era mai Trotzki? Su di lui da molti decenni era calato il silenzio. Dopo le maledizioni di Stalin, i suoi successori al Cremlino avevano deciso di non parlarne più. Scomparso dai libri di storia, espunto persino nelle enciclopedie, il suo volto cancellato nelle storiche foto che lo vedevano accanto a Lenin, era ormai il "grande assente".

Non si poteva certo pretendere da un segretario del partito sovietico la "verità" storica. Ma in epoca di perestrojka e di glasnost riconoscere, almeno, che senza la selvaggia energia, l'infiammata oratoria, le eccezionali qualità organizzative di Trotzki non sarebbe stata possibile la conquista del Palazzo d'Inverno, era un atto dovuto.

Trotzki piccolo borghese? Ma chi se non lui seppe appieno capire, proprio settant'anni fa, l'intuizione di Lenin, secondo la quale la rivoluzione bolscevica o avrebbe vinto in quelle poche ore o sarebbe stata impossibile per sempre? E chi se non Trotzki, alla testa di un'Armata rossa, improvvisata e stracciona, seppe preservarla dalle guardie bianche di Denikin, Kolciak, Wrangel che la volevano soffocare nella culla? Come si può negare, ancora oggi, il ruolo decisivo del padre, con Lenin, del potere sovietico, unica legittimazione, sempre ricercata da tutti i segretari che dal 1924 si sono succeduti alla guida del partito?

Certo far posto all’ingombrante, aspro e ribelle Trotzki è difficile per chiunque non intenda ripudiare la politica staliniana. Lev Davidovic Bronstein non fu mai un dirigente ossequente alla volontà del "capo". Era un menscevico che solo poche settimane prima dell'Ottobre divenne bolscevico. Perché aveva un’altra concezione del partito rivoluzionario. E si oppose alla umiliante pace di Brest Litovsk, imposta da Lenin, e che aprì i territori russi alle truppe di Hindemburg e di Ludendorf, perché voleva che la rivoluzione russa fosse solo il prologo di quella più ampia che travolgesse in tutto il mondo l'imperialismo capitalista. E osteggiò la Nep di Lenin e di Bucharin perché la considerava un arretramento. Trotzki non intuì per tempo che il suo sogno era ormai tramontato, che Stalin stava "russificando" la rivoluzione, costruendo il "Socialismo in un solo Paese.

Non gli restò che recitare la parte del "profeta disarmato", da un esilio all’altro, finché il sicario di Stalin non pose fine alla sua esistenza in Messico. Ma non attese certo il XX° congresso kruscioviano per stabilire scientificamente che la rivoluzione d’Ottobre era stata tradita. Che la dittatura del proletariato si era trasformata nella tirannia di un uomo e di un apparato.


Intorno al 1979 il settimanale "L'Espresso" pubblicò un ampio servizio. Ne propongo una trascrizione quasi integrale.

Un doppio centenario/Stalin e Trotzky: pensiero, azione, conseguenze e bilancio.

Quei due terribili "ismi"

(colloquio con Lucio Colletti)

Stalinismo e trotskismo: due religioni che hanno terremotato la storia del ventesimo secolo. I loro profeti nacquero cento anni fa in Russia. Che ne è oggi delle loro profezie?

Nell'aprile del 1879 Karl Marx scrisse una lettera ad un amico russo in cui criticava aspramente coloro che prendevano per buono il mito della stabilità del regime zarista: sotto lo zar Alessandro, scriveva l'autore de "Il Capitale", le condizioni della Russia sono ad un punto di disgregazione analogo a quello della Francia sotto Luigi XV. Si sbagliava. Il 1879 non fu per Mosca e Pietroburgo l'anno dei Danton, Marat, Desmoulins e Robespierre. Bisognava aspettare ancora trentotto anni e una guerra mondiale prima che il regime dello zar fosse travolto dalla rivoluzione. Eppure quell'anno è passato ugualmente alla storia del movimento operaio russo anche se solo come anno di nascita dei due più importanti protagonisti - assieme a Lenin - della Rivoluzione d'Ottobre: Stalin e Trotsky.

Di Stalin e Trosky si è già ricominciato a parlare già da qualche mese, in particolare dalla fine di luglio dell'anno scorso quando il quotidiano del Partito Comunista Francese, "L'Humanité", ha pubblicato una testimonianza del dirigente comunista messicano Valentin Campa che raccontava di essere stato contattato da agenti di Stalin per organizzare l'uccisione di Trotsky. Era la prova definitiva della partecipazione del dittatore sovietico al delitto consumato nel 1940. Ma era anche l'occasione per riprendere la discussione sui due dirigenti sovietici in vista dei bilanci da centenario che si terranno quest'anno. Una discussione diversa da quella degli anni Sessanta che cercava di riportare sul piedistallo ora il monumento di Trotsky ora quelo di Stalin. Un bilancio in cui Leonard Shapiro può affermare che Trotsky avrebbe costruito una spietata dittatura forse peggiore di quella di Stalin e Roy Mevdevev può smontare pezzo a pezzo le teorie giustificazioniste dello stalinismo mostrando come molte di esse siano costruite su presupposti trotskisti. Un bilancio che con ogni probabilità sarà fatto all'insegna più delle somiglianze che delle diversità tra Trotsky e Stalin e che potrebbe portare quasi ad una sovrapposizione d'immagine dei due leader sovietici (**mia nota: il vecchio tentativo di accomunare due opposti caro sia alla borghesia che agli stalinisti!).

In queste pagine pubblichiamo alcuni inediti di Trotsky (le lettere che scriveva a Alfonso Leonetti); un racconto (a pag.75) di Victor Zaslavsky, uno scrittore sovietico emigrato in Canada, sullo stalinismo; una serie di opinioni e ricordi di esponenti della politica e della cultura sui due leader rivoluzionari, il confronto tra Stalin e Trotsky di due leadere delle rivolte degli anni sessanta (Silverio Corvisieri e Luca Cafiero). Riportiamo anche alcune pagine significative di Isaac Deutscher biografo di Trotsky e Stalin. Soprattutto ci chiediamo quali conseguenze hanno lasciato nella storia, nella politica del movimento operaio internazionale questi giganti del pensiero comunista. L'abbiamo chiesto in questa intervista a Lucio Colletti.

P.M.

Domanda. Professor Colletti, molti sostengono che Trotsky è stato con Lenin l'alfiere dell'"internazionalismo" della Rivoluzione d'Ottobre. E che perciò fu Trotsky e non Stalin il vero erede di Lenin. E' vero?

Risposta. Quando nel novembre del '17 il Partito bolscevico scatenò l'insurrezione e prese il potere, l'idea che dominava la mente di Lenin e Trotsky era che quello fosse il primo atto della rivoluzione mondiale. Il disegno non era quello di compiere la rivoluzione in un determinato paese e sia pure in un paese dalle proporzioni gigantesche come l'impero zarista, disteso su due continenti. Il disegno era la rivoluzione mondiale. La rivoluzione che i bolscevichi fecero in Russia fu da loro concepita non essenzialmente come una rivoluzione russa, ma come la prima tappa di una rivoluzione europea e mondiale. Come fenomeno esclusivamente russo essa non aveva per loro alcun significato, nessuna validità e nessuna possibilità di sopravvivere. Trotsky incarna quest proiezione internazionalista.

D. Ma Lenin e Trotsky non si erano divisi nel 1905?

R. Dato il carattere autocratico del regime zarista e l'assenza completa di qualsiasi forma di costituzionalismo liberale (oltreché, naturalmente, lo sviluppo ancora assai debole del capitalismo insustriale moderno), la situazione russa, nei primi anni del '900, poneva al partito marxista un compito difficile e insieme originale. Il partito si trovava ad operare in un ambiente dove, per uanime riconoscimento, prima della rivoluzione socialista avrebbe dovuto in ogni caso aver luogo la rivoluzione borghese. Ora, di fronte a questa situazione, come si sarebbe dovuto comportare il partito marxista? Prima del 1905 i marxisti russi avevano accettato la tesi secondo cui una rivoluzione socialista in un paese economicamente arretrato come la Russia non era possibile. In Russia, essi pensavano, la rivoluzione non poteva essere che una rivoluzione borghese e la funzione dei marxisti russi non poteva essere che quella di appoggiare la borghesia. Dopo il 1905 a sostenere questa tesi rimasero soltanto i menscevichi. Accanto alla loro linea nel corso della rivoluzione del 1905 presero definitivamente forma due altre prospettive strategiche (contrapposte alla prima e contrapposte anche tra loro): quella della "dittatura democratico-rivoluzionaria degli operai e dei contadini" elaborata da Lenin e quella della "rivoluzione permanente" di Trotsky. Rispetto ai menscevichi entrambe queste linee avvano in comune il fatto di assegnare ai socialdemocratici russi un ruolo dirigente anche nel corso della rivoluzione democratico-borghese ma con differenze così profonde ch le rendevano, per altri aspetti, antitetiche tra loro. Per Lenin il partito doveva farsi promotore di una rivoluzione operaio-contadina la quale, realizzando la rivoluzione borghese, avrebbe si preparato il terreno a quella socialista ma rimanendo pur sempre, almeno per tutto un periodo storico, una rivoluzione soltanto borghese, Trotsky, al contrario, riteneva che il proletariato russo avrebbe dovuto sì appoggiarsi ai contadini e guidarli alla rivoluzione borghese, ma che esso non avrebbe potuto arrestarsi lì: giacchè, completando la rivoluzione borghese, sarebbe stato inevitabile che il proletariato fosse indotto ad iniziare la propria, senza soluzione di continuità.

D. Malgrado queste differenze quali sono gli elementi che accomunano Lenin e Trotsky?

R. Entrambe le due strategie presupponevano un'integrazione, un sostegno o un completamento a livello internazionale. Cioè consideravano la rivoluzione in Russia un episodio che avrebbe potuto sostenersi soltanto se avesse ricevuto l'appoggio della rivoluzione in occidente. Fuori di questa premessa entrambe le due linee erano impraticabili. Impraticabile quella di Lenin, perché chiedeva al proletariato di partecipare come protagonista e forza dirigente all'instaurazione di un regime democratico-borghese in cui il proletariato stesso avrebbe trovato solo il regno generalizzato dello sfruttamento capitalistico e del lavoro salariato. Impraticabile quella di Trotsky, perché propugnava la continuazione ininterrotta della rivoluzione borghese in quella socialista in un paese dove il proletariato industriale era solo una piccola isola circondata da uno sterminato mare contadino. Una differenza significativa, tuttavia, tra Trotsky e Lenin è che mentre Trotsky in fondo rimane un marxista operaista secondo la tradizione occidentale, Lenin invece comincia a riconoscere un ruolo rivoluzionario (seppure ancora subordinato alla direzione operaia) ai contadini poveri. In questo senso, mentre è impossibile istituire un rapporto tra Trotsky e Mao, tra Lenin e Mao il rapporto può sussistere.

D. Fallita la rivoluzione in occidente Stalin elabora la teoria del "socialismo un paese solo"; egli viene presentato per questo come il solo tra i dirigenti bolscevichi in grado di offrire una prospettiva al paese...

R. Si vuole che Stalin sia stato il solo, in mezzo a un gruppo dirigente smarrito e confuso dopo il fallimento della rivoluzione in occidente, ad indicare una soluzione nelle condizioni di isolamento in cui l'URSS si era venuta a trovare. In realtà non c'è un programma o una strategia politica che porti propriamente il nome di Stalin. Zinoviev e Kamenev gli hanno fornito i temi della lotta antitrotskista. Le tesi di Bucharin sul "socialismo a passo di lumaca" gli sono servite da base per il "socialismo un paese solo" e per la lotta contro l'Opposizione Unificata. Il programma, infine, dell'industrializzazione, elaborato dall'Opposizione, gli è servito per battere Bucharin, dopo che però l'Opposizione era già stata espulsa dal partito. La teoria della pianificazione non risale a Stalin bensì alla "Nuova Economia" di Preobrazensky. Ma il tratto specifico di Stalin è stata la sua capacità di interpretare l'isolamento a cui la storia costringeva la Russia come un senso di fierezza "nazionalistico-rivoluzionario" che causava un piacere immenso a chi si sentiva assicurare che la Rssia sarebbe stata una guida per il mondo, non solo nel realizzare la rivoluzione ma anche nell'edificare una economia nuova. In cui riecheggiava qualcosa della vecchia tradizione slavofila russa.

D. Ma chi era "più marxista" Stalin o Trotsky?

R. Come per la maggior parte dei dirigenti bolscevichi e, anzi, assai più di loro Trotsky è l'intellettuale marxista occidentale per eccellenza. Un grande scrittore e un grande analista politico. Basti pensare alla "Storia della Rivoluzione Russa" e agli scritti in cui analizza la disfatta del partito comunista tedesco e l'avvento di Hitler. Come tutti i dirigenti della prima generazione e, anzi, in misura maggiore di tutti loro, Trotsky eredita, con il marxismo, tutta la tradizione del razionalismo occidentale del diciannovesimo secolo. Stalin, invece, si forma in una tradizione educativa e culturale che non solo è indifferente ai modi di vita e al pensiero occidentali, ma che li respinge deliberatamente. Come ha scritto Carr il marxismo di Stalin assume più "il carattere di una fede formalistica che di una convinzione intellettuale".

D. Dunque per Stalin l'importante era la "patria socialista". Come utilizzò in questo senso la seconda guerra mondiale?

R. Il passaggio all'epoca di Stalin si vede nelle "forze" e nei "valori" a cui si fa appello nel corso della seconda guerra mondiale. Non ci si mobilita in nome e a difesa del comunismo ma del "patriottismo russo". Il 7 Novembre del 1941, quando i nazisti premono su Mosca, Stalin fa appello ai fondatori della "patria russa" e ai grandi generali zaristi. La stessa guerra mondiale passa alla storia sotto il nome ufficiale di "grande guerra patriottica". Il passato politico dell'URSS staliniana non è dunque più tanto il passato politico del bolscevismo ma il passato della Russia zarista.

D. Ma allora non esiste continuità tra Lenin e Stalin?

R. Le differenze tra i due, naturalmente, sono profondissime. Impossibile immaginare Stalin che (come Lenin a Berna nel '14-'15) si chiude in biblioteca per leggere "La scienza della logica" di Hegel e la "Metafisica" di Aristotele. Comunque la pretesa di negare ogni elemento di continuità tra i due è senza fondamento storico. Stalin costruisce la sua opera su alcune premesse di Lenin:1. Teoria del partito unico; 2. Centralizzazione assoluta del potere; 3. confusione tra Stato e Partito; 4. Teoria della "partiticità" della cultura e sua completa subordinazione alla politica; 5. Economia centralizzata e la pianificazione dall'alto (**mia nota: qualsiasi attento studioso si accorgerebbe presto che tali caratteristiche NON SONO quelle bolsceviche ma quelle della degenerazione del bolscevismo...).

D. Ma anche Trotsky era assertore di questo tipo di pianificazione...

R. E' vero. Risale anzi a lui la proposta (contrastata da Lenin) della militarizzazione dei sindacati nel periodo del "comunismo di guerra" (**mia nota: appunto, nel 'periodo' del 'comunismo di guerra'. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire...). Trotsky è assertore dei soviet, della democrazia consiliare. Qui viene fuori l'aspetto per cui la teoria politica marxista dell'estinzione dello Stato è sostanzialmente improntata all'anarchismo. D'altra parte, nel momento stesso in cui il marxismo prospetta il deperimento e l'estinzione dello Stato (**mia nota: appunto, 'prospetta' nel lungo periodo e, comunque, io non sono d'accordo sul concetto di estinzione dello Stato), esso chiede l'avocazione allo Stato di tutti i mezzi di produzione: ciò che comporta l'espansione della burocrazia e la direzione gerarchica dell'economia.

D. In conclusione allora anche lei pensa che Stalin e Trotsky siano due facce della stessa medaglia?

R. Negli aspetti decisivi penso di no. Trotsky rimane fino all'ultimo un teorico e un politico marxista: continua a volere contemporaneamente sia la democrazia consiliare dei soviet sia la pianificazione centralizzata. E' significativo che, man mano che passano gli anni dalla Rivoluzione d'Ottobre, il suo discorso perda progressivamente di presa sulla realtà (**mia nota: povero Colletti, in confronto alla 'presa sulla realtà' di Trotsky l'intera tua carriera di voltagabbana è poco più di un esercizio da circo...). Stalin, viceversa, man mano che procede nell'edificazione dello stato sovietico, rompe progressivamente con la tradizione marxista e con il significato della Rivoluzione d'Ottobre. La sua opera di costruttore di un grande stato moderno si compie sempre più nel segno del realismo politico. Stalin si libera progressivamente da tutti i lacci dell'ideologia. Capisce che la pianificazione economica dall'alto è incompatibile con i soviet. Ma lo Stato che costruisce non ha più nulla a che fare con le speranze dell'Ottobre. Esso non è più un capitolo che appartenga alla storia del movimento operaio. E' un grande Stato imperiale, di tipo nuovo, che si muove ormai secondo le coordinate della realpolitik e della geopolitica.


Il 5-6 Ottobre 1980 l'intera doppia pagina centrale "Cultura" de "la Repubblica", in occasione del convegno internazionale per il quarantesimo anniversario della morte di Trotski, tenutosi a Follonica dal 7 all'11 Ottobre, fu dedicata alla figura di Trotski. Riproduco solamente l'articolo di Aldo Natoli.

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L'ombra del Termidoro.

Secondo la ricostruzione che ne ha fatto Isaac Deutscher, il primo ad evocare l'ombra del Termidoro (il colpo di Stato del 1794 che portò all'eliminazione di Robespierre) per indicare l'involuzione del processo rivoluzionario nella Russia degli anni '20 sarebbe stato P. Zalutzkij, segretario dell'organizzazione di Leningrado, un pubblicista di origine operaia. Lo fece in un discorso pubblico, verso la metà del 1925. A quell'epoca Leningrado era ancora il punto di forza principale controllato da Zinovjev: questi aveva già condotto alcune fra le più violente campagne contro il "trozkismo" e non aveva ancora spezzato la propria alleanza con Stalin, Trotski era stato allontanato da poco dalla presidenza del Consiglio Militare Rivoluzionario, Bucharin aveva appena lanciato ai contadini la famosa parola d'ordine "arricchitevi!", infine nessuno sospettava il ruolo grande e terribile che Stalin avrebbe assunto prima che passassero tre anni. Oggi può sembrare un'ironia della storia il fatto che l'acceso sostenitore di Zinovjev, Zalutzkij, così precocemente preoccupato da presagi ternidoriani, sia stato forse il primo a chiedere pubblicamente, circa nello stesso periodo, che Trotski venisse espulso dal partito: e che fosse proprio Stalin a far respingere quella proposta (siamo nei primi mesi del 1925).

Per qualche anno Trotski pensò che il "Termidoro sovietico" fosse solo un pericolo che si andava profilando sulla base dell'apatia e della stanchezza dilaganti fra le grandi masse, del regime interno di partito sempre più fortemente repressivo, dell'iniziale formazione di un blocco sociale spostato "a destra" nel quadro della Nuova Politica Economica (NEP: la quale stimolava, secondo lui, un'alleanza fra la burocrazia ormai dominante, gli strati ricchi ed agiati della campagna e i nuovi mercanti e speculatori prosperanti negli spazi riaperti del libero mercato).

Nell'analisi che Trotski fin da quegli anni conduce del sistema staliniano ancora in formazione (lui stesso fu probabilmente l'inventore del termine "stalinismo", che ricorre in un suo discorso della fine del 1927, l'ultimo che egli pronunciò in un'assemblea di partito prima della espulsione e della successiva deportazione) colpisce l'insistenza con cui ritornano le analogie storiche fra i processi che caratterizzano rispettivamente la rivoluzione francese e la Russia degli anni '20. Il filo condutore parallelo dell'analisi di Trotski indica che in due epoche storiche diverse l'ascesa di una classe rivoluzionaria (la borghese nella prima, la classe operaia nella seconda (**mia nota: io preferisco la definizione di 'classe proletaria') rovesciò un sistema politico e un modo di produzione storicamente superati (rispettivamente: il feudalesimo e il capitalismo). Ma, nella fase post-rivoluzionaria, una stagnazione della spinta trasformatrice delle masse può portare a una involuzione moderata del sistema politico senza che si abbia la restaurazione del modo di produzione precedente: il potere può essere infatti usurpato da nuovi raggruppamenti sociali - moderati e conservatori, appunto - senza che si abbia una vera e propria controrivoluzione. Il Termidoro e il colpo di Stato di Bonaparte non furono controrivoluzionari: essi stabilizzarono definitivamente le conquiste della borghesia e del capitalismo, tagliando contemporaneamente le punte più avanzate di nuove forse sociali.

Anche nell'URSS, fin dal 1924, avrebbe avuto inizio la formazione di un blocco sociale moderato intorno alla burocrazia dominante (Termidoro): e con l'accentramento di tutti i poteri nelle mani di Stalin sarebbe avvenuto il colpo di Stato bonapartista. Tuttavia all'usurpazione del potere non avrebbe corrisposto l'annientamento dei contenuti sociali: i rapporti di produzione e la natura di classe, proletaria, dello Stato sarebbero rimasti mmutati. Infatti, sempre secondo Trotski, la burocrazia non aveva restaurato il capitale privato: piuttosto, era stata costretta dal proletariato a rafforzare la proprietà statale dei mezzi di produzione. L'URSS rimaneva insomma uno Stato operaio affetto da degenerazione burocratica: la contraddizione fra il regime politico e le esigenze dello sviluppo socialista avrebbe finito col provocare il crollo della dittatura attraverso una nuova rivoluzione: politica, non sociale.

La verità è che Trotski, pur fornendo con "La rivoluzione tradita" (1936) il saggio per quel tempo più profondo e acuto sul sistema staliniano, non riuscì a cogliere fini in fondo i mutamenti intervenuti nei rapporti di produzione nell'URSS, specialmente in seguito alla collettivizzazione nelle campagne e all'industrializzazione accellerata. Egli continuò a ritenere che i rapporti fra le classi e le loro alleanze fossero quelli della fine degli anni '20 quando, a suo giudizio, la base sociale del blocco termidoriano era costituita dalla burocrazia, dai contadini ricchi e dai nuovi mercanti. Uno schema che risaliva ad una insistente affermazione di Lenin, secondo cui dalla piccola attività mercantile privata, in particolare contadina, si sarebbero riprodotte le basi per la rinascita e la restaurazione del capitalismo.

In realtà, a partire dalla fine del 1928, non vi fu alcuna alleanza fra burocrazia, contadini ricchi e mercanti. Il commercio privato fu praticamente abolito: i contadini ricchi furono "distrutti come classe", la massa dei lavoratori ridotta sotto una oppressione "militare-feudale", secondo la triste profezia di Bucharin. L'alleato fondamentale della burocrazia politica  e amministrativa fu costituito invece dai dirigenti dell'industria e dell'economia e, subordinatamente, dai nuovi strati di tecnici e di aristocrazia operaia. Questo fu il nuovo blocco sociale dominante, termidoriano, se si vuole insistere nell'analogia storica: ed esso si formò nel corso tempestoso del 1° Piano quinquennale, parallelamente all'accellerata trasformazione repressiva e poliziesca del partito-Stato.

A Trotski non era sfuggito l'affermarsi di disuguaglianze e di privilegi nella dinamica della società sovietica. E tuttavia egli non colse il rapporto genetico fra la disuguaglianza e lo sviluppo del fenomeno burocratico. La burocrazia era per lui una sorta di escrescenza sociale, necessaria per la distribuzione dei consumi in una condizione di scarsezza di merci. Vedeva il pericolo di una restaurazione capitalistica nelle forme arretrate del capitalismo anarchico del mercato liberista. Non si rese conto che le modificazioni (comparse già al tempo della prima guerra mondiale e poi sviluppate e sperimentate fino a e dopo la grande crisi del '29) nel rapporto fra Stato ed economia in regime capitalistico - controllo attivo del mercato, politica di piano, nazionalizzazioni - avevano tolto ogni specificità socialista e proletaria alla proprietà statale dei mezzi di produzione, alla programmazione, alla politica di intervento anticongiunturale. Dimostrò eccessivo disprezzo per le idee di Bucharin sul "capitalismo organizzato": così gli sfuggì anche la sostanza restauratrice (e insieme "progressista", rispetto all'arretratezza della Russia) dell'industrializzazione accellerata. Nasceva allora una formazione economica, sociale e politica che era storicamente nuova. Il dramma di Trotski consistè nel non aver capito che quella formazione, senza riprodurre vecchie forme borghesi, era andata oltre Termidoro, aveva insomma perduto ogni stigmata operaia e socialista.


Sono in possesso di questo articolo fotocopiato, ma non si è in grado di risalire alla testata che lo ha pubblicato (sembrerebbe "Storia illustrata") ne alla data (all'incirca il 1988). L'autore è Aurelio Lepre. Chiunque possa aiutarmi a colmare queste lacune mi scriva, grazie!

Ovviamente, come sempre, nulla mi vieta di commentare e criticare, anche duramente, le affermazioni contenute negli articoli che pubblico sul sito. Questo articolo del signor Lepre non fa eccezione...

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(rubrica) Protagonisti

Dopo Nikolaj Bucharin anche Lev Trotzki verrà riabilitato?

Il profeta della rivoluzione

Fu il più convinto assertore della vittoria del proletariato. E il più duro antagonista di Stalin. Qual era il suo credo politico? Perché entrò in contrasto con la vecchia guardia marxista? E come mai ora torna alla ribalta?

La riabilitazione di Bucharin ha avuto un significato politico: alcune delle tesi da lui sostenute (sulla necessità di uno sviluppo economico più equilibrato della democrazia socialista) hanno, infatti, un forte sapore di attualità dell'URSS di Gorbaciov. Ma la riabilitazione di Trotzki, che comincia ad apparire anch'essa possibile nell'URSS di oggi, avrebbe, invece, un significato diverso. Nessun governo responsabile potrebbe, in realtà, rifarsi a quello che è l'elemento centrale dell'ideologia di Trotzki, cioè alla "rivoluzione permanente", intesa come necessario passaggio dalle rivoluzioni nazionali alla rivoluzione mondiale. E non esiste nemmeno, come riteneva invece Trotzki, un proletariato mondiale, senza il quale la "rivoluzione permanente" è impossibile. Tuttavia la riabilitazione di Trotzki, qualunque sia il giudizio che si voglia dare della sua attività ideologica e politica, resta una necessità per l'URSS: ignorando il ruolo che egli ha avuto nelle vicende del 1905, del 1917 e degli anni seguenti, o avendone una immagine deformata, il cittadino sovietico può conoscere solo una parte della storia dell'URSS o averne una visione fortemente falsata.

Lev Davidovic Bronstein, che sarebbe passato alla storia con il nome di battaglia di Trotzki, nacque il 26 ottobre 1879 (o, secondo il nuovo calendario, il 7 novembre), nella provincia di Cherson, in Ucraina, in una fattoria chiamata Janovka, che apparteneva al padre, David. David Bronstein era un ebreo non praticante, anzi indifferente verso la religione. Aveva raggiunto una certa agiatezza coltivando la terra e Lev, da bambino, cominciò a capire che le condizioni di vita dei poveri erano molto dure proprio osservando i contadini che lavoravano nella fattoria della sua famiglia.

Nel 1889 andò a studiare ad Odessa, dove rimase per sette anni. Nel 1896 si recò nella cittadina di Nikolaev per proseguire gli studi e lì entrò in contatto con un gruppo di studenti e operai di opinioni radicali. Fu un'esperienza molto importante, come avrebbe ricordato lui stesso nel 1937: nei quartieri operai di Nikolaev acquistò fede nella ragione, nella verità e nella solidarietà umana. Da quel momento l'apprendistato fu molto rapido. Già nel 1897 fondò un gruppo di opposizione operaia e nel 1898 fu arrestato. In carcere lesse molto e cercò di dare un fondamento teorico ad atteggiamenti di rivolta che all'inizio avevano avuto una radice soprattutto sentimentale. Ma i suoi primi contatti con le ideologie rivoluzionarie furono piuttosto confusi. Solo più tardi, come scrisse lui stesso, avrebbe trovato negli scritti di Marx, Engels e del russo Plechanov una conferma di quelle che, in prigione, gli erano sembrate soprattutto delle ipotesi da verificare. Al processo fu condannato alla deportazione in Siberia per quattro anni. Nell'esilio lesse la rivista Iskra (La scintilla), su cui scrivevano i maggiori rappresentanti del socialismo russo, e anche il Che fare? di Lenin, del quale già nel 1899 aveva letto un'altra importante opera, Lo sviluppo del capitalismo in Russia.

Nel 1902 Trotzki fuggì dalla Siberia e si recò a Londra per conoscervi Lenin. Lenin abitava allora, insieme alla moglie Nadezka Krupskaja, al numero 10 di Horfold square, in un modesto appartamento. I vicini ignoravano che sotto il nome del signor Richter, dalle apparenti abitudini piccolo-borghesi, si nascondeva quello che già allora era uno dei più noti e temuti rivoluzionari europei. Quando Trozki bussò rumorosamente alla porta, dopo aver detto al cocchiere che lo aveva portato a Horfold square di aspettarlo, la Krupskaja si affrettò ad aprire, prima che i vicini, disturbati dal rumore, potessero insospettirsi. Era ancora l'alba. Lenin, avrebbe ricordato poi la Krupskaja, "si era appena svegliato ed era ancora a letto. Li lasciai soli e me ne andai a pagare il cocchiere e poi a preparare il caffè. Quando tornai Ilic era sempre seduto sul letto, in conversazioni animate con Trotzki su un tema astratto".

Di conversazioni animate, e su temi assai concreti, se ne sarebbero svolte molte altre, tra Lenin e Trotzki. E vi sarebbero stati scontri molto duri. Ma anche periodi di intesa e fruttuosa collaborazione. Il fatto che gli storici dell'URSS debbano ancora oggi ignorare questi periodi per mettere l'accento solo sui contrasti impedisce ai sovietici, come si è detto sopra, di avere un'immagine chiara della loro storia (mia nota: l'autore dell'articolo sembra ignorare le mostruosità e le nefandezze commesse durante lo stalinismo, tra le quali la falsificazione sistematica della storia e dei fatti è solo uno degli aspetti di ciò che fu l'annientamento della rivoluzione e dei rivoluzionari...).

A Londra Trotzki cominciò a collaborare alla rivista Iskra, la cui redazione cominciava però a dividersi su alcuni importanti problemi. Le divisioni vennero alla luce nel 1903, a Bruxelles, al secondo convegno (mia nota: convegno o congresso?) del POSDR, il partito operaio socialdemocratico russo, in cui si delinearono anche altre questioni che, in seguito, avrebbero diviso i movimenti rivoluzionari. Ad esempio, quella della partecipazione degli ebrei. Al congresso (mia nota: oh, guarda, adesso è un congresso....), infatti, i delegati dell'organizzazione ebraica Bund chiesero di avere autonomia nel partito, con il diritto di eleggere un proprio comitato centrale. L'ebreo Trotzki, e anche un altro collaboratore ebreo dell'Iskra, Martov, si schierarono contro la richiesta del Bund, respingendo ogni forma di separatismo ebraico (mia nota: posizione più che giusta, addirittura ovvia...). Uno scontro più importante si ebbe tra l'intero gruppo dell'Iskra e i cosiddetti "economisti". I primi sostenevano il predominio della lotta politica rivoluzionaria, i secondi erano per il sindacalismo e le riforme.

Ma alla fine anche l'Iskra si divise: Lenin voleva che il partito fosse formato solo da coloro che militavano nella clandestinità; Martov, invece, voleva che fosse un'associazione più aperta. In quest'occasione Trotzki si schierò contro Lenin, a fianco di Martov, che ebbe l'appoggio dei delegati ebrei del Bund e degli "economisti". Era, però, una maggioranza eterogenea (mia nota: l'autore dell'articolo non ha scritto quale fosse la maggioranza. Lenin o Martov? Ma come scrive questo giornalista!), e quando fu il momento di eleggere i membri del comitato centrale (mia nota: si stava parlando dell'Iskra! Ora sembra che si parli del congresso del POSDR...Che stile chiaro e limpido!), vinsero i sostenitori di Lenin, che furono perciò detti bolscevichi ("maggioritari"), mentre i suoi oppositori furono chiamati menscevichi ("minoritari").

Si delineava così una prima, importante differenza fra Trotzki e Lenin. Questi voleva una centralizzazione di carattere giacobino del movimento rivoluzionario, sull'esempio di ciò che era avvenuto in Francia nel 1789. Trotzki la respingeva, attaccando Lenin con estrema violenza, anche sul piano personale (mia nota: in effetti ci furono toni accesi da parte di Trotski, un po' meno da parte di Lenin). Su quello politico, ne criticava ciò che definiva "sostituzionismo". Lenin, secondo Trotzki, stava cercando di formare un partito che "si sostituisse" alle classi lavoratrici. Per Trotzki il possesso della teoria proletaria marxista non poteva "sostituirsi" a un proletariato economicamente sviluppato. Se così fosse avvenuto, con il tempo l'organizzazione del partito si sarebbe "sostituita" al partito, il comitato centrale all'organizzazione del partito e infine il dittatore si sarebbe "sostituito" al comitato centrale.

Alla luce di ciò che è avvenuto nelle società socialiste, non si può certo dire che le previsioni di Trotzki fossero infondate. In realtà, già allora egli mostrava di possedere spiccate capacità di analisi, alle quali non si accompagnava una analoga capacità di fare concretamente politica, in modo da influire su quei processi di cui prevedeva gli approdi negativi. Era, come è stato definito da Isaac Deutcher, il suo maggiore biografo, "un profeta".

Sebbene continuasse a essere considerato un menscevico, Trotzki si distaccò da loro già nel 1904. Nello stesso anno conobbe le tesi di Parvus (pseudonimo di Aleksandr Helphand), il quale sosteneva che lo stato nazionale, così come si era venuto formando nel capitalismo, era ormai un'istituzione superata e che lo sviluppo economico mondiale avrebbe portato a una sollevazione rivoluzionaria proprio in un Paese, come la Russia, che sul piano economico era più arretrato di altri Paesi europei. Erano, allora, tesi eretiche per il marxismo ortodosso, che legava ancora la rivoluzione allo sviluppo economico. Trotzki ne fu fortemente e favorevolmente colpito.

La rivoluzione russa del 1905 sembrò dar ragione a Parvus. Trotzki tornò a Pietrogrado e diventò il rappresentante dei menscevichi nel Soviet, il nuovo organo di governo formato dalle forze rivoluzionarie. Ma la rivoluzione fu sconfitta e il 3 dicembre il Soviet venne sciolto dalla polizia. Quando un ufficiale entrò nella sala in cui il Soviet teneva quella che sarebbe stata la sua ultima riunione e annunziò di essere venuto ad arrestare i suoi dirigenti, Trotzki lo interruppe dicendogli: "Per favore, non disturbate l'oratore. Se desiderate la parola, date il vostro nome e chiederò all'assemblea se acconsente ad ascoltarvi". L'ufficiale rimase perplesso, temendo una reistenza armata, e aspettò. Ma quando, infine, poté leggere ("a scopo informativo", precisò Trotzki) l'ordine di arresto, Trotzki propose ironicamente che se ne prendesse atto e fosse posto all'ordine del giorno. Poi lo espulse dalla sala e l'ufficiale dovette tornare alla testa di un plotone di soldati. E' un episodio che mostra, insieme, il senso dell'umorismo di Trotzki e la sua propensione a gesti teatrali.

Nuovamente imprigionato, Trotzki rifletté in carcere sugli avvenimenti del 1905, arrivando a una prima formulazione della teoria della "rivoluzione permanente". In polemica con i marxisti tradizionali, i quali ritenevano che i socialisti avrebbero potuto conquistare il potere in Russia solo quando vi si fosse realizzata una moderna società capitalista, Trotzki si convinse che il proletariato russo, grazie alla sua preparazione politica, avrebbe potuto condurre la rivoluzione russa fino alla fase socialista, anche prima che la rivoluzione fosse cominciata in Occidente. Su questo punto si sarebbero trovati d'accordo con lui, nel 1917, tutti i rivoluzionari russi. Ma Trotzki credeva anche che la classe operaia sarebbe stata incapace di mantenersi al potere senza l'appoggio del proletariato europeo.

Processato per i fatti del 1905, Trotzki fu nuovamente deportato in Siberia, per dove partì il 5 gennaio 1907. Ma ne fuggì ancora una volta e riprese la sua lotta all'estero, a Londra, a Berlino, a Vienna. Nel 1912 fu di nuovo contro Lenin, quando questi proclamò che la frazione bolscevica costituiva ormai l'intero partito. Nel 1913 conobbe Stalin. Già allora i due provavano una reciproca avversione. A Trotzki Stalin appariva "torvo, ostile, chiuso". Per Stalin, lui era "un semplice atleta vanaglorioso, con falsi muscoli".

Nel 1914 lo scoppio della prima guerra mondiale pose nuovamente all'ordine del giorno la questione della rivoluzione. Trotzki ripropose le sue tesi: il proletariato non doveva difendere una ormai anacronistica patria nazionale, ma crearsene una nuova negli Stati Uniti d'Europa, prima tappa per la creazione degli Stati Uniti del mondo sul fondamento di un'organizzazione socialista dell'economia mondiale. La rivoluzione doveva cominciare su base nazionale ma, data l'interdipendenza economica e politico-militare degli stati europei, non poteva concludersi su quella stessa base. Riaffermava, perciò, la necessità della "rivoluzione permanente": le rivoluzioni nazionali dovevano trasformarsi in rivoluzione mondiale. Non credeva nemmeno, diversamente da Lenin, che una disfatta militare avrebbe potuto favorire la rivoluzione.

Ma nel 1917 la rivoluzione in Russia scoppiò proprio in conseguenza della disfatta. Trotzki, che era negli Stati Uniti, rientrò in Russia. Sebbene non fosse ancora un bolscevico Lenin gli concesse piena fiducia. Gli altri bolscevichi, invece, lo guardavano con sospetto per le aspre polemiche che li avevano divisi negli anni precedenti: il 4 agosto rifiutarono di accoglierlo nelle loro file e solo in settembre vi venne tacitamente ammesso. I giorni che prepararono l'insurrezione del 7 novembre videro Trotzki svolgere un intenso lavoro di organizzazione e propaganda. I suoi discorsi, come disse un testimone, erano ascoltati in uno stato d'animo "assai prossimo al delirio estasiato". I suoi ordini diedero l'avvio all'insurrezione. "Quei giorni e quelle notti", ha ricordato la seconda moglie di Trozki, Natalia Sedova, che li visse accanto a lui, "mi hanno lasciato il ricordo di un lucido delirio. Tante cose accadevano e si accavallavano, che in seguito fu molto difficile ristabilire un po' alla volta l'ordine degli avvenimenti, le presenze, la parte che ciascuno aveva avuto in quell'azione così complessa".

Dopo la conquista del potere Trotzki diventò commissario agli esteri (mia nota: i bolscevichi rifiutarono, giustamente, il vecchio e pomposo termine di  "ministero" e adottarono quello di Commissariato del Popolo: quindi Trotzki fu nominato, più esattamente di quanto scriva il giornalista, commissario del popolo agli affari esteri). Il compito più difficile dovette affrontarlo trattando, a Brest-Litovsk, la pace con i tedeschi. Non era facile, per i rivoluzionari russi, accettarne le dure condizioni. D'altra parte, essi non erano nemmeno in grado di continuare la guerra. Trotzki assunse una posizione che avrebbe dovuto conciliare le due esigenze: "Ci ritiriamo dalla guerra e ne diamo l'annuncio a tutti i popoli e a tutti i governi", proclamò. Ma, aggiunse, "non possiamo mettere la firma della rivoluzione russa sotto un trattato di pace che porta oppressione, dolore e disgrazie a milioni di esseri umani". Una posizione del genere sarebbe stata sostenibile solo se anche il proletariato tedesco fosse insorto. Ma ciò non avvenne e l'esercito tedesco riprese la marcia verso oriente. Lenin allora decise di accettare la pace a qualsiasi condizione e alla fine anche Trotzki fu d'accordo.

Negli anni seguenti Trotzki impiegò tutte le sue forse nella lotta contro le truppe dei generali "bianchi". Come commissario (del popolo) alla guerra (mia aggiunta: "incarico a cui fu nominato subito dopo") riorganizzò l'esercito, che volle fortemente centralizzato e disciplinato. Per rafforzarlo si servì anche dei generali zaristi. L'esercito non sarebbe dovuto servire per esportare la rivoluzione. Ma, pur rifiutando la tesi di una rivoluzione da attuare mediante la conquista armata, Trotzki continuò a ritenere che il proletariato europeo sarebbe insorto contro i governi capitalistici e che la "rivoluzione permanente" si sarebbe realizzata.

Negli anni 1919-'20, dopo avere affermato che occorreva restituire ai contadini una certa libertà economica di fronte all'aggravamento delle loro condizioni di vita, si convinse che era necessario ricorrere alle misure più estreme. Isaac Deutscher ha cercato di giustificarlo scrivendo: "Poiché il partito aveva rifiutato di attenuare i rigori del comunismo di guerra non restò che aggravarli". Non è una spiegazione molto convincente. (mia nota: la spiegazione di Deutscher non è convincente, ma bisogna anche considerare che, nella realtà, molti contadini svolgevano effettivamente un ruolo reazionario accantonando derrate e prodotti. Le requisizioni forzate furono un dramma ma, come spesso accade nelle situazioni di conflitto, furono commessi degli abusi e delle angherie). 

Trotzki, in realtà, fronteggiò il pericolo del collasso economico e della controrivoluzione adottando con convinzione, almeno apparente, gli stessi duri strumenti voluti da Lenin e da Stalin. Fu lui, del resto, a piegare o piuttosto, come disse lui stesso, a "schiacciare" la rivolta di Kronstadt (mia nota: la determinazione estrema dei bolscevichi, e di Trotzki, a trattare gli insorti di Kronstadt unicamente come "controrivoluzionari" fu sicuramente eccessiva ma bisogna pur tuttavia dire, una volta per tutte, che a Kronstadt, insieme ad anarchici e rivoluzionari che volevano il ripristino del potere effettivo dei soviet in opposizione alla dittatura del partito unico, c'erano anche effettivamente molti controrivoluzionari e reazionari autentici che giocavano uno sporco ed ambiguo ruolo nel tentativo di destabilizzare il potere bolscevico).

La stella di Trotzki cominciò a offuscarsi subito dopo la fine della guerra civile. Trotzki non si adattò facilmente ai compiti non meno importanti ma certamente molto meno esaltanti della difficile costruzione di una nuova società. Un dirigente bolscevico, Lunaciarski, notò alcuni significativi aspetti del suo carattere, facendo un paragone con Lenin. Lenin "non pensa mai a ciò che diranno i posteri"; Trotzki "tiene estremamente al suo ruolo storico" e sarebbe pronto a sacrificare la sua stessa vita "per restare nella memoria dell'umanità con l'aureola del capo rivoluzionario tragico".

Nelle situazioni in cui era possibile il gesto eroico (qualche volta anche quello teatrale), come le rivoluzioni del 1905 e del 1917 e la guerra civile, Trotzki fu protagonista. Quando si trattò di lavorare in maniera più oscura, insieme con gli altri, si sentì a disagio e, nello sforzo di continuare ad affermare la sua personalità, tese a isolarsi.

Nel 1923 si trovò in contrapposizione a tutta la vecchia guardia bolscevica. Fu contro Bucharin, che voleva lasciare un po' di respiro alla gente, dopo tanti sacrifici e sofferenze, facendo sviluppare l'agricoltura e l'industria leggera, mentre Trotzki era per lo svilupo accellerato dell'industria pesante. Fu anche contro Stalin, Zinov'ev e Kamenev, anch'essi consapevoli di non poter puntare, per il momento, su un'intensificazione dello sforzo economico, per il suo costo sociale troppo elevato. Ma il punto di maggior dissenso fu quello della possibilità di costruire il socialismo in un solo Paese. Trotzki restò in minoranza, sia nel partito che nel Paese.

Negli anni seguenti si impegnò a fondo nella lotta culturale Combattè la Proletkult che proclamava la necessità di una scienza e di un'arte proletaria. In Trotzki, come del resto in Lenin, non c'era nessuna idealizzazione del proletariato. Non riteneva che la conquista del potere fosse sufficiente a trasformare la classe operaia. Le offriva solo la possibilità di apprendere, di liberarsi dal sapere approssimativo e dalla scarsa competenza. Non poteva esistere, perciò, un'arte proletaria. L'arte, affermava Trotzki, doveva trovare la sua strada al di fuori del controllo del partito comunista. Anche lui, però, come gli altri capi bolscevichi, era favorevole alla censura, sia pure vista come una necessità temporanea, legata alle esigenze del più difficile periodo iniziale della rivoluzione, in attesa che "il proletariato vincesse durevolmente nei più potenti Paesi dell'occidente". Secondo Trotzki non si dovevano trasferire le concezioni proprie di una scienza sociale, qual era il marxismo, in altri campi scientifici. Per esempio, alcuni scienziati materialisti guardavano con scetticismo alla possibilità di scindere l'atomo, perché ritenevano la radioattività fondata su premesse antimaterialistiche. Trotzki era di diverso parere: "il massimo compito dei fisici contemporanei è di estrarre dall'atomo la sua energia latente, aprire una breccia da cui tale energia sprizzi con tutta la sua forza. Allora si potranno sostituire il carbone e il petrolio con l'energia atomica, che diventerà il nostro principale combustibile e forza motrice". Anche in questo, era un profeta.

Nel 1926, di fronte all'alleanza tra Stalin e Bucharin, Zinov'ev e Kamenev si riavvicinarono a Trotzki e diedero vita a un'alleanza "si sinistra" contro il nuovo gruppo dirigente che si era raccolto intorno a Stalin e Bucharin. Nel 1927 l'opposizione diede battaglia su questioni internazionali e interne.

Già nel 1919 Trotzki aveva sostenuto che la rivoluzione, fermata in occidente, avrebbe potuto trovare una nuova direttrice d'espansione a oriente. Nel 1927 la sinistra sostenne che i comunisti cinesi, abbandonando ogni tentativo di allearsi con il Kuomintang di Chaing Kai-shek, dovevano sviluppare la rivoluzione socialista anche in Cina. All'interno, chiese una lotta decisa contro un indirizzo economico che considerava favorevole alla rinascita di elementi capitalistici Il gruppo dirigente reagì con durezza. Trotzki lo accusò, riprendendo il paragone con la rivoluzione francese del 1789 che gli era sempre stato caro, (mia aggiunta: con l'accusa) di "degenerazione termidoriana". Lo scontro si fece sempre più acuto e i capi dell'opposizione furono espulsi dal partito. Quando, più tardi, Stalin, con una delle sue tipiche "svolte", adottò i metodi di industrializzazione che erano stati chiesti proprio dalla sinistra, Trotzki si trovò nuovamente isolato, perché Zinov'ev e Kamenev si riavvicinarono a Stalin.

Nel novembre del 1927 Trotki fu espulso dal partito comunista dell'Unione Sovietica. Nell'anno seguente fu deportato ad Alma Ata, che la moglie di Trotzki ricorda come un grosso villaggio, "senza fogne, senza luce, abbandonato alla miseria degli indigeni, alla malaria e a tutte le malattie dell'Asia centrale". Da Alma Ata Trotzki cercò di mantenere i contatti con i suoi amici, ma in condizioni sempre più difficili. Nel gennaio 1929 ricevette l'ordine di espulsione dall'URSS

La prima tappa del suo esilio fu a Prinkipo, un isolotto posto di fronte a Istambul, dove il governo turco gli concesse ospitalità (altri governi si erano rifiutati di accoglierlo). A Prinkipo svolse un'intensa attività intellettuale. Scrisse un'autobiografia e una storia della rivoluzione russa (nel 1930 fu pubblicata a Berlino anche una sua opera sulla rivoluzione permanente, che aveva però scritto ad Alma Ata). Uno studioso italiano, Vittorio Strada, ha riportato le origini di queste due opere alla concezione autobiografica e drammatica che Trotzki ebbe della storia e del ruolo che vi recitava dopo la sconfitta e l'espulsione dall'URSS: quello, a lui congeniale, del "cavaliere errante (e perseguitato) di una rivoluzione immaginaria". Per Trotzki era molto importante la costruzione di "un'autobiografia perfetta" e quindi di una "sua" interpretazione della "sua" rivoluzione d'ottobre (mia nota: curiose queste affermazioni dell'"ortodosso" Vittorio Strada, a cui andrebbero ricordate le ben più oscene e rivoltanti "interpretazioni storiche" di osservanza stalinista, tra cui il famoso Breve corso di storia del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, pubblicato da L'unità nel secondo dopoguerra). A Prinkipo comunque nutrì ancora qualche speranza di rientrare nel gioco politico. Nel 1929, infatti, si ebbe la frattura tra Stalin e la destra di Bucharin. Stalin riprese e, anzi, portò all'estremo alcune tesi sostenute dalla sinistra. Ma l'atteggiamento di Stalin verso Trotki non cambiò ne, del resto, cambiò quello di Trotzki verso Stalin.

In quegli anni Trotzki sembrò rivedere alcune sue idee. Per la politica interna dell'URSS espresse forti riserve sulla durissima linea adottata da Stalin contro i contadini. Sul piano europeo, pur riaffermando la sua fedeltà alla "rivoluzione permanente", criticò, negli anni che precedettero la conquista del potere da parte di Hitler, la linea antisocialdemocratica del partito comunista tedesco e dell'Internazionale comunista. Nel 1935 e nel 1936 fu contro i Fronti popolari e condannò il tentativo dell'URSS di fronteggiare il nazismo attraverso alleanze con i governi borghesi e attraverso la Lega delle nazioni. Scondo Trotzki L'Unione Sovietica non avrebbe potuto vincere una futura guerra senza trasformarla in rivoluzione: "Se non viene paralizzato da una rivoluzione in occidente", affermò, "l'imperialismo spazzerà via il regime nato dalla rivoluzione d'ottobre". Era un grave errore di valutazione. Come tutti i profeti Trotzki alternava momenti di grande lucidità con momenti di totale annebbiamento.

I processi che si svolsero nell'URSS dal 1936 al 1938 videro come rpicnipale imputato un assente: Lev Davidovic Trotzki. Tra le accuse rivolte ai Zinov'ev, Kamenev e Bucharin quella di "trotzkismo" fu considerata la più grave. Nel gennaio del 1937 Trotki prese dimora in Messico, a Coyoacàn, un sobborgo della capitale.

L'attacco di SDtalin a Trotki divise gli intellettuali, che però si schierarono in massima parte contro di lui. Nell'URSS si schierarono contro Trotzki, tra gli altri, Gorkj, Sholokov ed Ehrenburg; negli USA Theodor Dreiser e Paul Sweezy; in Francia Aragon, Barbusse e Romain Rolland. Trotzki rispose chiedendo la formazione di una commissione d'inchiesta che fu presieduta dal filosofo americano John Dewey. Le sue sedute furono per Trotzki, nel 1937, un'importante tribuna per difendersi dalle accuse, ma il verdetto favorevole della commissione ebbe scarsa eco in Europa. Nel 1938 Trotzki si adoperò per fondare la quarta Internazionale. I suoi seguaci ormai erano pochissimi, ma egli credeva che la guerra avrebbe fatto crollare, oltre al fascismo, anche i partiti della seconda e della terza Internazionale. Anche questa si sarebbe rivelata una previsione errata.

Nello stesso 1938 una trotzkista americana, Sylvia Agelof, conobbe un uomo che si presentò come Jacques Mornard, figlio di un diplomatico belga, ma che in realtà era un agente della polizia segreta dell'URSS. Attraverso di lei Mornard riuscì ad avere accesso alla casa di Trotzki. Il 20 agosto 1940 si recò da lui con il pretesto di fargli leggere un suo articolo. Mentre Trotzki leggeva il dattiloscritto, Mornard lo colpì alla testa con una piccozza che nascondeva sotto l'impermeabile. Il giorno dopo Trotzki morì.

Alla luce di ciò che si è detto sopra può sembrare che il pensiero di Trotzki sia di scarsa attualità. Un suo studioso, Baruch Knei-Paz, ha scritto che Trotzki appare "un lupo solitario in ampo politico come in quello teorico, praticamente per tutto il corso della sua vita". Ma lo stesso Keni-Paz ha affermato che la teoria della "rivoluzione permanente" costituisce una teoria della rivoluzione socialista applicabile, in  modo specifico, alle società arretrate (in fondo lo stesso Mao Dzedong, che ha sempre proclamato la sua ortodossia marxista-leninista, nella sua attività concreta si è rifatto più a Trotzki che a Stalin). Il fatto che la rivoluzione oggi appaia sempre più legata all'arretratezza rende utile la rilettura degli scritti di Trotzki. Una critica a fondo dello stalinismo, inoltre, non può essere compiuta senza tener conto delle posizioni di Trotzki, che fu il più duro e coerente antagonista di Stalin. Infine, ci sono molte sue analisi che gettano luce non soltanto sulle vicende degli anni in cui visse Trotzki, ma anche sui nostri. Egli capì che la costruzione del socialismo in un solo Paese conteneva in germe il pericolo di un nuovo espansionismo russo e capì anche che, senza la rivoluzione in occidente, sarebbe stato molto difficile realizzare il sogno di Marx di una società che fosse non solo più giusta, ma anche più libera.

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Dal sito http://www.trotsky.it la biografia, anche se in parte ricalca cose che già appaiono in questa stessa pagina:

Lev Davidovic Bronstein nacque il 26 ottobre 1879 nel villaggio di Yanovka (oggi Bereslawka), nella provincia di Kherson (Ucraina meridionale).
Suo padre, David Leont'evich Bronstein (1847-1922), e sua madre, Anna L'vovna Zhivotovskaia (1850?-1910), erano agricoltori di origine ebraica e provenivano dalla provincia di Poltava.

I genitori possedevano una fiorente fattoria nella quale lavoravano e dove Lev, in famiglia soprannominato Liova, quinto di otto figli (di cui quattro deceduti in tenera età), visse fino all'età di nove anni. Dei suoi fratelli: Aleksandr Davidovich Bronstein (1870-1938) verrà fucilato e riabilitato solo nel 1956; Elizaveta Davidovna Bronstein (1875-1924), sposerà Lev Naumovich Meilman e perirà in seguito ad una malattia; Ol'ga Davidovna Bronstein (1883-1941), prima moglie di Lev Kamenev, sarà giustiziata per ordine di Stalin.
Dal 1888 al 1895 Lev si spostò ad Odessa, accolto in casa di un nipote della madre, Moissei Filipovic Spentzer, per poter frequentare il ginnasio del Collegio San Paolo, facendo ritorno a Yanovka solo per le vacanze estive.


Nell'estate del 1896 si trasferì a Nikolajev per iscriversi all'anno di scuola preparatoria per l'università: all'età di diciassette anni la sua massima aspirazione era quella di essere ammesso all'ateneo per dedicarsi allo studio della matematica. In questo periodo il giovane si imbattè per la prima volta nelle dottrine rivoluzionarie: i figli della sua affittacamere furono i primi a introdurlo nel gruppo di un eccentrico giardiniere di nome Shvigovski, presso il quale si riunivano i giovani rivoltosi della città.


Le tesi politiche dibattute erano alquanto nebulose e semplicistiche; prevalevano i populisti mentre i pochi marxisti erano rappresentati da Aleksandra Lvovna Sokolovskaya, futura moglie di Trotsky.


Nel 1897 il giovane Bronstein ottenne la licenza liceale a pieni voti e poté iscriversi alla facoltà di matematica dell'Università di Odessa, con grande disappunto del padre che avrebbe preferito un indirizzo più considerevole. Questo dissenso portò Lev a rifiutare gli assegni di mantenimento del padre ed a provvedere il proprio sostentamento dando ripetizioni private. Nel mondo universitario entrò in contatto con altri circoli rivoluzionari ed ebbe modo di reperire testi e giornali clandestini che migliorarono la sua preparazione politica.
Già alla fine di quel anno fondò un'organizzazione clandestina vera e propria: L'Unione operaia della Russia meridionale. Il gruppo contò in poco tempo circa duecento iscritti e stabilì contatti con gli ambienti culturali di Odessa e con il mondo del lavoro di Nikolajev, arrivando ad avere propri rappresentanti nelle fabbriche e negli scali. L'attività dell'Unione era concentrata sulla denuncia delle iniquità, giudicate da un punto di vista che oscillava tra marxismo e populismo. Le delazioni del movimento venivano diffuse da volantini e da un giornale clandestino, Il Nashe Delo (La nostra causa), scritto, ricopiato e ciclostilato esclusivamente dal giovane Bronstein.
La polizia riuscì a risalire in poco tempo al gruppo di ragazzi a capo dell'organizzazione che furono tutti arrestati (1898). Il diciannovenne Lev Davidovic scontò un anno di pena in cella di isolamento prima di essere trasferito tra i detenuti comuni del carcere di Odessa per un ulteriore anno e mezzo. In seguito trascorse sei mesi in un carcere di Mosca prima di essere deportato in Siberia.


Il primo periodo della detenzione in isolamento fu particolarmente duro: rinchiuso per tutto il tempo in una cella non riscaldata e infestata di parassiti, non poteva ne lavarsi ne cambiarsi la biancheria, ne leggere e scrivere. Per non impazzire tenne la mente occupata nel comporre canzonette popolari, alcune delle quali saranno trascritte anni più tardi. Durante la prigionia a Mosca, nella primavera del 1900 Lev sposò Aleksandra Lvovna Sokolovskaya (1872-1938?) e ottenne di poter affrontare con lei il confino di quattro anni a Verkholensk, sulle montagne del lago Bajkal (Siberia orientale). Da questo matrimonio nacquero due figlie, Zanaida (1901-1933) e Nina (1902-1928).


Il giovane rivoluzionario entrò in contatto con i membri locali del Partito Socialdemocratico russo del lavoro (Posdr) e cominciò a scivere per la Rivista dell'Est con lo pseudonimo di Antid Odo (dalla parola italiana antidoto). Nell'esilio siberiano ricevette una profonda impressione dalla prima lettura di un opera di Lenin Che fare?. Alcuni mesi dopo decise di fuggire. Nell'estate del 1902, con la complicità della moglie, rimasta nel campo con le due figlie, Lev evase dirigendosi verso occidente sotto la falsa identità di Leon Trotsky, dal nome di un suo vecchio carceriere di Odessa (la traslitterazione corretta del russo Троцкий è Trockij, ma il nome con cui egli si firmò in tutti i propri scritti in alfabeto latino è Trotsky, è perciò quest'ultimo con cui lo si designa universalmente).


La sua prima destinazione fu Samara sul Volga, ma Lenin, a cui erano giunte notizie delle grandi capacità del giovane, lo invitò presso di sé a Londra dove l'evaso giunse nell'ottobre 1902. Egli entrò subito a far parte della redazione dell'Iskra, mettendosi in mostra per il suo acume straordinario e guadagnandosi il nomignolo di Pirò (Penna). Il suo operato ottenne l'apprezzamento incondizionato di Lenin il quale, ritenendolo indispensabile per il giornale, ottenne di renderlo membro permanente portando il numero degli effettivi da sei a sette. Così facendo Lenin sperava di contrastare la predominanza decisionale dei tre membri "anziani", Vera Zasulich, Axelrod e Plechanov; il giudizio di quest'ultimo, avendo diritto al doppio voto, risultava essere costantemente vincolante. Trotsky scrisse instancabilmente su ogni numero dell'Iskra, mettendo in mostra la sua bravura di giornalista, e tenne numerosi discorsi pubblici di grande successo, confermandosi un oratore formidabile. Gli esponenti del Posdr lo inviarono a far propaganda negli ambienti degli immigrati russi a Bruxelles, a Liegi e a Parigi, dove nel 1903 conobbe colei che sarebbe diventata la sua seconda moglie e la compagna di tutta la vita: Natalia Ivanovna Sedova (1882-1962), una giovane rivoluzionaria che aveva studiato storia dell'arte alla Sorbona.
Il matrimonio con Aleksandra Sokolovskaya si sciolse di comune accordo ed i due continuarono a mantenere un ottimo rapporto per tutta la vita. Dall'unione con Natalia Sedova, nacquero due figli maschi, Lev (1906-1938) e Sergei (1908-1937).


In quello stesso anno, al II° congresso del Posdr , in seguito alla spaccatura del partito in bolscevichi e menscevichi, il giovane Lev si schierò decisamente con questi ultimi, entrando in polemica infuocata con Lenin. Solo molti anni dopo egli capì le ragioni del capo dei bolscevichi, che intendeva estromettere dall'Iskra i tre anziani, a suo giudizio incapaci di essere al servizio della rivoluzione. Tutta la faccenda della divisione del partito era sembrata fino a quel momento di carattere del tutto personale, più che una divergenza politica profonda. Perciò Trotsky si allineò tranquillamente con i menscevichi, sicuro che la frattura si sarebbe ricomposta. In seguito però l'acuirsi delle divergenze tra i due schieramenti portò gli stessi alla rottura insanabile sulle questioni fondamentali. Man mano che i menscevichi si spostarono su posizioni sempre più moderatamente riformiste, in antitesi al radicalismo rivoluzionario dei bolscevichi, Trotsky aumentò il proprio dissenso verso queste scelte e, nel settembre 1904, annunciò la sua rottura dall'ala menscevica del partito con una lettera aperta all'Iskra.


Da Ginevra, dove era stata trasferita la redazione dell'Iskra, Lev Bronstein si spostò a Monaco prima di intraprendere la strada del ritorno in Russia nel febbraio 1905 insieme a Natalia Sedova, sull'onda dei moti rivoluzionari che stavano attraversando l'impero zarista. Nel gennaio di quell'anno infatti si verificò nel paese il primo tentativo di insurrezione contro il potere centrale, scatenata dalla feroce repressione da parte delle autorità di una manifestazione di lavoratori a San Pietroburgo ("la domenica di sangue").


Trotsky, sotto il falso nome del militare a riposo Arbuzov e poi del magnate Vikentiev, lavorò incessantemente alla stesura di opuscoli e volantini, acquistando in breve tempo grande notorietà. Il 1° maggio la polizia arrestò durante una manifestazione sua moglie, per sfuggire alla cattura Lev dovette rifugiarsi in Finlandia. Il 14 giugno 1905 si verificò l'ammutinamento clamoroso della corazzata Potiomkin, seguito da quello di altre due navi della marina russa, ma l'iniziativa rivoluzionaria arrivò rapidamente a subire una battuta d'arresto, sotto l'azione tenace della repressione, e la situazione sembrò evolvere per la trattazione di un certo numero di riforme. Trotsky rientrò a Pietroburgo in ottobre proprio quando gli operai riaccesero la protesta. La nuova offensiva portò allo sciopero generale, cominciato dai tipografi, al quale aderirono 750.000 ferrovieri. La nazione venne paralizzata completamente quando l'astensione dal lavoro coinvolse anche i commercianti, gli impiegati ed i mezzi di trasporto urbani. Nella necessità di dotarsi di un nucleo direttivo per il coordinamento delle azioni di lotta, gli scioperanti cominciarono ad eleggere dei delegati che avrebbero formato dei consigli direttivi. Fecero la loro comparsa così i primi organi rappresentativi delle masse lavoratrici russe: i Soviet.


I menscevichi appoggiarono la creazione dei soviet e in quello di Pietroburgo Trotsky occupò da subito un posto di rilievo. Nei primi mesi presidente del soviet della capitale fu l'avvocato Krustalev-Nossar, ma il ruolo di Lev Bronstein, si rivelò fondamentale per dirigere l'assemblea. Grazie alle sue capacità di saper percepire l'evolversi della situazione politica, fu il primo a profetizzare che riforme contenute nel Manifesto del 17 ottobre, sarebbero state facilmente disilluse. D'altro canto, giudicate inadeguate le forze sulle quali i rivoltosi avrebbero potuto contare, suggerì ed ottenne che il movimento adottasse una tattica di lotta moderata, basata sopra tutto su azioni di disturbo e su ritirate strategiche.


Questo condotta era l'unica strada percorribile nell'incerta situazione del 1905, in quanto ancora era assente sia l'elemento che avrebbe sostenuto la rivoluzione del 1917, cioè l'appoggio dell'esercito, sia il coinvolgimento delle masse contadine, le quali erano invece rimaste escluse dal movimento. Il 19 ottobre Trotsky stesso suggerì l'interruzione dello sciopero generale. Tre giorni dopo lo zar fece arrestare il presidente Kustalev-Nossar ed altri esponenti del Consiglio. Il Soviet, su indicazione di Trotsky, rinunciò a rappresaglie immediate e riprese i suoi lavori, sotto la sorveglianza della polizia, dopo aver nominato un presidium di tre persone, Trotsky, Sverchkov e Zlydniev. I rivoluzionari attuarono la strategia del "boicottaggio finanziario" contro lo zar, rifiutandosi di pagare le tasse, ritirando i depositi dalle banche ed esigendo solo oro per i pagamenti. Per l'occasione venne compilato il "Manifesto finanziario" nel quale si annunciava il proposito di scompigliare il regime tagliando le entrate, constatata l'impossibilità di ricorrere alle armi.


Il pomeriggio del 3 dicembre 1905 la polizia, penetrata in forze nella sala di riunione, arrestò tutti i membri dell'esecutivo del soviet. Questa iniziativa delle autorità scatenò una violenta reazione popolare, soprattutto a Mosca, dove si combatté sulle barricate per dieci giorni. L'insurrezione venne soffocata e una serie di spedizioni punitive, volute dal nuovo primo ministro Stolypin, mirarono a scoraggiare qualsiasi ulteriore tentativo di rivolta. Al processo dei membri del soviet assistettero soltanto un centinaio di persone, ma lo scontro in aula fu quanto mai duro. Il 5 gennaio 1907 Trotsky, insieme ad altri quattordici delegati, iniziò il viaggio verso la deportazione a vita in Siberia. Il luogo prescelto per la detenzione era particolarmente ostico: si trattava di Obdorsk, un piccolo insediamento nella tundra gelida del circolo polare artico, raggiungibile solo con le renne. Mentre il treno percorreva il territorio di Berezov, ultima parte del viaggio su rotaia, Lev Davidovic si gettò dal convoglio iniziando così una avventurosa fuga attraverso la Siberia. Il fuggitivo raggiunse la moglie a Pietroburgo e partì con lei alla volta di Londra.

 

Nell'aprile 1907 partecipò al congresso del Posdr, che si tenne nella capitale inglese, dove espose per la prima volta la sua teoria della "Rivoluzione permanente". Dopo il congresso, con la moglie ed un figlio neonato, si trasferì prima a Berlino, poi a Vienna dove visse sette anni di tranquilla vita familiare e di intensa attività culturale. Frequentando i caffè e le case dei più prestigiosi rappresentanti degli ambienti intellettuali mitteleuropei, ebbe modo di conoscere uomini come Bebell, Kautskij, Adler, Renner e Hilferding. Nell'ottobre 1908 lanciò un giornale rilevato da un gruppo menscevico ucraino, rinominato Pravda (in russo: Verità) a cui diede subito una nuova linea editoriale ed una vasta tiratura.

 

Il primo numero della Pravda uscì a Vienna il 3 ottobre 1908. Lo staff editoriale iniziale fu formato, oltre che da Trotsky, dagli intellettuali Victor Kopp, Adolf Joffe e Matvey Skobelev. Questi ultimi due, discendenti da famiglie benestanti, erano anche i finanziatori del progetto.


Il quotidiano provò più volte a rappresentare un punto di incontro tra le diverse correnti del partito socialdemocratico. Per il suo linguaggio vivace e comprensibile, la Pravda, introdotta clandestinamente in Russia per sfuggire la censura del governo zarista, divenne presto molto popolare.


Nel gennaio 1910 il comitato centrale del partito in riunione plenaria, votò il finanziamento del giornale che divenne l'organo ufficiale del RSDLP. Nel tentativo di risolvere le controversie interne tra le fazioni, Lev Kamenev, esponente di spicco del gruppo bolscevico, fu invitato alla collaborazione editoriale nel giornale, ma pochi mesi dopo (agosto 1910), essendo tramontata ogni ipotesi di riconciliazione, si tirò indietro dall'incarico. Nello stesso periodo in cui la Pravda di Trotsky cessò le sue pubblicazioni, uscì a S.Pietroburgo il primo numero della nuova Pravda dei bolscevichi (22 aprile 1912), che, pubblicato legalmente sotto la rigida censura del governo, divenne l'organo di stampa del neonato partito bolscevico.


Trotsky continuò a scrivere anche per altri giornali articoli non solo politici ma anche letterari ed artistici. Nonostante i proventi derivati dai suoi lavori venissero interamente utilizzati per finanziare la Pravda, quest'ultima, per mancanza di fondi, spesso si trasformò da quindicinale a mensile o bimestrale.


Nel settembre 1912 Lev partì come corrispondente della Guerra dei Balcani (1912-1913) per il Kievskaia Mysl' (Pensiero di Kiev) e per altri periodici. La nuova attività di reporter lo appassionò totalmente mettendolo in luce tra le più considerevoli firme del giornalismo europeo; ma il clima di guerra che si apprestava a propagarsi in tutta Europa, lo costrinse a tornare a Vienna per ricongiungersi con la sua famiglia. I suoi articoli di quel periodo furono successivamente raccolti nel volume Le guerre balcaniche 1912-1913 pubblicate nel 1926.

 

Trasferitosi in seguito a Zurigo, Trotsky pubblicò l'opera La guerra e l'Internazionale nella quale venivano accusati i socialisti di non essersi opposti in modo compatto al conflitto incombente e di essersi lasciati coinvolgere in atteggiamenti nazionalistici. Questo scritto riportò l'autore vicino alla collocazione politica di Lenin e lo separò sempre più dalle scelte mensceviche. Alla fine di novembre 1914 Lev Davidovic si trasferì in Francia dove continuò a scrivere per il "Pensiero di Kiev" per mantenersi, e per il Golos e il Nashe Slovo per finanziare il proprio impegno rivoluzionario. Partecipò alla conferenza di Zimmerwald (Svizzera) nel 1915.


La sua permanenza parigina venne interrotta nel settembre 1916, quando il governo francese, per compiacere l'alleato russo, chiuse i giornali socialisti in lingua russa e fece scortare Trotsky fino alla frontiera spagnola. Rifiutato anche dalla Spagna, Lev venne imbarcato su un bastimento il 13 gennaio 1917 e raggiunse il porto di New York due mesi più tardi.


Alle prime notizie giunte negli Stati Uniti sulla rivoluzione scoppiata in Russia, Trotsky decise di riprendere di nuovo il mare (27 marzo) per far ritorno in patria. Ma allo scalo di Halifax (Canada) la polizia, salita a bordo, lo prelevò a forza per internarlo in un campo di prigionia. Soltanto l'intervento del ministro degli esteri del governo provvisorio russo, Miljukov, presso l'ambasciata inglese consentì il rilascio del prigioniero che poté ripartire ed arrivare a Pietrogrado il 4 maggio 1917.


Quando Trotsky giunse in patria si era appena formato il secondo governo provvisorio, composto da una coalizione di cadetti menscevichi e socialisti rivoluzionari. Questo esecutivo si trovò a dibattersi tra compromessi e contraddizioni causate dalle opposte tendenze dei suoi componenti. I menscevichi infatti consideravano completata la fase rivoluzionaria con la deposizione dello zar, mentre i socialisti rivoluzionari richiedevano l'abolizione della proprietà terriera e la distribuzione dei latifondi ai contadini. L'ambiguità della scelta del proseguimento del conflitto e nello stesso tempo la condanna delle "mire imperialiste" insite nello stesso, così come il riconoscimento dell'urgenza di riforme sociali e il continuo rimando delle stesse, rivelarono la debolezza di fondo dei socialisti moderati.
Trotsky aderì al partito di Lenin avendo oramai realizzato una comune identità di vedute e fece confluire nel partito bolscevico il suo gruppo Mezrayonka (Organizzazione intercittadina) fondato nel 1913 e composto da eminenti personalità come Lunaciarskij, Riazanov, Joffe, Uritskij ecc. Il 10 maggio 1917 Lenin e Trotsky si incontrarono per la prima dopo molti anni anni per discutere i dettagli della fusione dei due gruppi che avvenne formalmente solo ai primi di agosto. Lenin accolse Trotsky e i suoi senza porre condizioni e offrì loro cariche direttive e collaborazione nella Pravda. I bolscevichi vennero incolpati per le sommosse popolari delle "giornate di luglio". Ciò provocò l'arresto della maggioranza dei capi del movimento, compresi Trotsky e Lunaciarskij, che vennero rinchiusi nella prigione di Kresty il 23 luglio.


Per fronteggiare il tentativo di colpo di stato (in agosto) del comandante in capo delle forze armate, generale Kornilov, il primo ministro Kerenskij fu costretto a chiedere aiuto anche ai suoi avversari bolscevichi, in particolare ai marinai della fortezza di Krostadt. Trotsky convinse i marinai a combattere per difendere quello stesso governo che lo aveva incarcerato. Il 4 settembre, dopo che Kornilov era stato sconfitto, Trotsky venne rilasciato mentre i bolscevichi guadagnavano vasti consensi in tutto il paese, fino a ritrovarsi in maggioranza al soviet di Pietrogrado, del quale Trotsky venne eletto presidente. Il nuovo soviet rappresentò tutti i partiti minoritari e il suo presidente si affrettò a proclamare che "nessuna mano del presidium si allungherà mai su alcuna minoranza per soffocarla".


Avendo ottenuto una sempre maggiore influenza grazie al suo impegno organizzativo ed alle sue indiscusse capacità persuasive, nel luglio Trosky entrò a far parte del Comitato centrale del partito bolscevico. Appoggiò la richiesta di Lenin, rifugiatosi in Finlandia, che si preparasse subito l'insurrezione armata per rovesciare il governo provvisorio, mentre si erano schierati contro questa proposta Zinov'ev e Kamenev, che giudicavano il momento non adatto. A differenza di Lenin tuttavia, Trosky chiese che l'azione coincidesse con il Congresso nazionale panrusso dei Soviet, in modo da presentare la rivolta socialista come la volontà del popolo russo e non quella di un solo partito.


Lev Davidovic cominciò a pianificare l'insurrezione, lavorando in modo da non generare sospetti su quanto stava per accadere. Il 9 ottobre venne organizzato il Comitato militare rivoluzionario da una sessione dell'esecutivo del Soviet, che aveva il compito di assicurare la difesa della capitale. Il Comitato era composto da sette sezioni, ad ognuna delle quali era affidato un compito specifico come l' approvvigionamento, le informazioni, i collegamenti con la flotta del Baltico e con i reparti dell'esercito impegnati sul fronte settentrionale, la formazione delle milizie operaie ecc. Vennero quindi nominati dei commissari in rappresentanza del Comitato in tutti i distaccamenti delle truppe.


Il 16 ottobre i reggimenti della guarnigione di Pietrogrado si ribellarono all'ordine di Kerenskij di trasferirsi al fronte, nello stesso tempo venne diramato un ordine del Comitato militare rivoluzionario affinché fossero consegnati dagli arsenali cinquemila fucili alla Guardia rossa. Il momento che coincise con punto di maggior debolezza del governo provvisorio, fu quello in cui Trotsky poté saggiare l'effettiva efficienza del Comitato. Intorno al 20 ottobre, in un incontro segreto con Lenin, Lev poté approntare un piano accurato che avrebbe garantito il successo della rivoluzione. Picchetti armati erano pronti ad occupare tutte le posizioni strategiche della capitale mentre Trotsky avrebbe atteso un pretesto provocatorio da parte di Kerenskij, che arrivò il 23 ottobre, quando venne chiusa d'autorità la redazione della Pravda.


I tipografi del giornale ottennero dal Comitato il consenso di rompere i sigilli governativi e la pubblicazione riprese sotto la protezione armata della Guardia rossa. Il primo ministro ordinò l'incriminazione dell'intero Comitato militare rivoluzionario e l'arresto dei suoi dirigenti, scatenando con quel gesto l'inizio della sollevazione. Lev Davidovic diramò ai soldati della capitale l'ordine di mobilitazione, dichiarando il Soviet di Pietrogrado in pericolo, e ordinò all'incrociatore Aurora di posizionarsi nella Neva per tenere sotto tiro il Palazzo d'inverno, sede del governo provvisorio.


La notte tra il 24 e 25 ottobre i soldati e le guardie rosse occuparono tutti i punti nevralgici della città: centrali elettriche, centrali telefoniche, uffici postali, stazioni ferroviarie ecc. Kerenskij fuggì da Pietrogrado su un automobile dell'ambasciata americana poco prima che Trotsky annunciasse al Soviet la caduta del governo. Il palazzo d'inverno venne facilmente conquistato in quello stesso giorno ed i ministri che si erano asserragliati al suo interno, condotti alla fortezza di Pietro e Paolo.


Il 26 ottobre si riunì il II° Congresso panrusso dei Soviet, nel quale i bolscevichi avevano una maggioranza di due terzi, e venne dichiarata solennemente la destituzione di Kerenskij. Il primo governo della R.S.F.S.R. presieduto da Lenin e con il trentottenne Trotsky al Commissariato del popolo per gli Affari esteri, dovette fare i conti fin da subito con le promesse di pace e di assegnazione della terra ai contadini. Nei disegni dei bolscevichi vi era l'intenzione di proporre una trattato ai paesi belligeranti, "senza annessioni ne indennizzi", convincendo tutti a deporre le armi.


L'invito non fu raccolto dalle potenze dell'Intesa (Francia, Inghilterra, Italia e Stati Uniti) ma ottenne il consenso degli imperi Austro-ungarico e germanico. Il 14 novembre Russia e Germania iniziarono i negoziati per l'armistizio che si materializzarono il 27 dicembre, quando la delegazione russa guidata da Trotsky giunse a Brest-Litovsk per trattare con il capo della delegazione tedesca Kuhlmann. Dalla pretesa della Germania di annettere la Polonia ed i Paesi Baltici nacque una lunga ed estenuante trattativa, che si concluse senza un accordo poiché le condizioni imposte dalla controparte tedesca furono giudicate troppo gravose.


Trotsky dichiarò che il suo paese non avrebbe dovuto accettare quelle proposte di pace ma nemmeno avrebbe dovuto riprendere a combattere, confidando nel fatto che gli imperi centrali avrebbero rivolto le loro forze verso i fronti occidentali e che non avrebbero avuto la forza di andare contro l'opinione pubblica interna che chiedeva a gran voce la fine del conflitto. Nel partito bolscevico invece Lenin era propenso ad accettare qualsiasi condizioni di pace, convinto della assoluta impossibilità di difendere il paese, mentre Bukharin prospettava la trasformazione del conflitto in "guerra rivoluzionaria" cullando l'illusione che gli operai e i contadini russi avrebbero trovato nuove energie per combattere a favore di una causa più sentita.


La linea di Trotsky ottenne la maggioranza dei consensi nel partito ed egli stesso ritornò a Best-Litovsk il 19 febbraio 1918, ma i negoziati furono interrotti quando le truppe tedesche penetrarono in Russia senza incontrare resistenza. Nei giorni seguenti, visto il precipitare degli eventi, venne approvata d'urgenza la mozione di Lenin, anche con il favore di Trotsky, ed il governo sovietico, che si era per sicurezza spostato a Mosca, si arrese alle condizioni del Kaiser.


La Russia cedette, oltre alla Polonia e gli Stati baltici, anche la Finlandia e l' Ucraina, oltre a concedere ingenti risarcimenti per i danni di guerra. La resa fu firmata il 3 marzo 1918.


Già a pochi mesi dalla rivoluzione d'ottobre si erano andati costituendo sul Don i primi battaglioni di Guardie bianche, i cui generali miravano esplicitamente alla dittatura personale o alla restaurazione della monarchia. Questi gruppi di militari reazionari, inizialmente in compagini piuttosto esigue, indussero il governo a creare un esercito in grado di farli fronte. Il compito fu assegnato a Trotsky che fondò l'Armata rossa il 23 febbraio 1918 (in principio chiamata Armata socialista volontaria) iniziando ad arruolare dei volontari e degli ex ufficiali zaristi, per sfruttarne le competenze. Al fine di mantenere il controllo su questi ultimi venne affiancato loro un commissario politico, con il compito di rispondere della loro lealtà.


Trotsky sottolineò il fatto che non venivano tradite le conquiste rivoluzionarie dei soldati, che avevano ottenuto il diritto di eleggere propri comandanti e comitati, bensì si intraprendeva una nuova fase della rivoluzione che avrebbe addestrato gli individui ad una nuova disciplina sociale. L'arruolamento divenne poi obbligatorio (22 aprile 1918) per "difendere la pace perpetua" e "la cooperazione tra i popoli".


Il primo attacco rilevante alla Russia bolscevica venne dalla legione cecoslovacca, composta da ex prigionieri di guerra. La legione occupò gran parte della Russia asiatica, si alleò con le truppe del generale Kolciak e con le forze alleate sbarcate ad Arcangelo e Murmansk e si impadronì prima di Samara e poi di Kazan (6 agosto 1918). Trotsky fece allestire un treno formato da otto vagoni armati di mitragliatrici e cannoni, che utilizzò come quartier generale e si mosse per le regioni del Volga. Sul convoglio era presente la segreteria particolare del comandante delle forze armate dove prestavano servizio numerose dattilografe ed impiegate, un ufficio propaganda con tipografia e una stazione radio che manteneva i collegamenti con Mosca. Giunto all' ultimo avamposto sovietico, rinvigorì il morale dei combattenti e guidò di persona una temeraria incursione notturna nella città di Kazan. L'azione dell'Armata rossa permise di bloccare sulla riva orientale del Volga l'avanzata del nemico il quale, in caso contrario, avrebbe avuto la strada spianata verso Mosca.


Kazan venne riconquistata il 10 settembre, mentre due giorni dopo il generale Tukacievskij entrava a Simbirsk. Sul suo treno blindato, divenuto presto leggendario, Trotsky continuò ad agire su tutti i fronti ,apparendo quasi onnipresente. Nel novembre 1918 l'impero austro-ungarico e germanico uscirono sconfitti dal conflitto mondiale e si ritirarono dai territori russi occupati, annullando di fatto le conseguenze della pace di Brest-Litovsk.


A quel punto la presenza degli interventisti stranieri sul suolo russo venne a non essere più giustificata ed i paesi dell'Alleanza, dovendo dar conto alla propria opinione pubblica, scelsero di fornire alle armate bianche solo un sostegno economico. Nel marzo 1919 Kolciak sferrò un nuovo attacco sul fronte orientale, costringendo Trotsky a ripartire per il territorio delle operazioni belliche. Dopo una ritirata disordinata, l'esercito rosso venne riordinato e preparato per il contrattacco. Ad aprile le milizie del generale bianco furono sbaragliate con un'abile manovra di accerchiamento; una sorte simile toccò alle truppe del generale Denikin in estate ed a quelle del generale Judenic in autunno.


L'offensiva portata avanti in particolare da Judenic, che aveva puntato decisamente su Pietrogrado, fu particolarmente dura da respingere per la repubblica dei soviet. Trotsky rimase a Pietrogado quando sembrava irrimediabilmente perduta e convinse tutti gli abitanti della città a combattere con "eroica follia", come affermato dallo stesso avversario bianco. Nel giro di una settimana i rossi passarono al contrattacco e respinsero Judenic.

 

A due anni esatti dalla rivoluzione d'ottobre la guerra civile poteva dirsi praticamente conclusa con la totale disfatta dei tre più forti eserciti bianchi. Il quarantenne Trotsky venne insignito dell'ordine della Bandiera rossa. L'ultima impresa bellica di Trotsky fu quella di soffocare la rivolta antibolscevica scoppiata tra i marinai della base navale di Kronstadt (1-7 marzo 1921), che fu repressa con decisione nel timore che l'agitazione si fosse potuta estendere.

 

Terminati gli impegni di guerra, Lev Daviovic poté dedicarsi ad affrontare problemi di ordine economico e di ricostruzione che attanagliavano la Russia. Nel 1920 fu nominato Commissario per le ferrovie, in aggiunta al Commissariato per la guerra. Lenin riuscì a far approvare la NEP (Nuova Politica Economica), una serie di riforme di liberalizzazione del mercato capaci di favorire la ripresa dell'economia, mentre Trotsky proponeva un maggiore industrializzazione. I due tuttavia, sebbene avessero alcune divergenze di vedute, costituivano agli occhi della Russia un binomio quasi inscindibile: in loro si identificava il potere sovietico.
Gli altri leaders di partito erano assai distanziati in quanto a prestigio, popolarità e potere. Quando Lenin venne bloccato dalla malattia, aveva da poco cominciato la sua battaglia contro gli abusi della burocrazia, dominata direttamente da Stalin, appena divenuto segretario generale del partito (1922). Egli mise a punto una revisione della politica del commercio estero, contando sull'appoggio di Trotsky.
I burocrati erano stati accusati di aver diminuito il controllo statale, Trotsky riuscì a convincere la maggioranza del Politburo a ripristinare la supremazia del governo. Nel dicembre 1922 Lenin scrisse al Politburo sull' importanza della pianificazione proposta da Trotsky ma un secondo attaccò di ictus lo colpì prima che potesse elaborare un piano definito. Pochi mesi dopo il leader bolscevico dettò una lettera per il Politburo nella quale veniva criticato duramente l'operato del Rabkrin (Ispettorato degli operai e dei contadini) e del suo responsabile Stalin. Il 5 marzo 1923 incaricò formalmente Trotsky di difendere la questione georgiana nella imminente seduta del Comitato centrale, leggendo un suo scritto nel quale condannava esplicitamente la politica di Stalin nei confronti delle nazionalità non russe.

 

Approfittando dell'assenza di Lenin, che non poté più presenziare ad alcuna riunione, Stalin aveva trasformato l'ufficio politico secondo le sue convenienze, stringendo alleanze mirate con Zinov'ev e Kamenev. Prima ancora di cominciare ad enunciare le indicazioni di Lenin, Trotsky si ritrovò isolato, con la sola eccezione di Bukarin. Per settimane egli si adoperò affinché la critica di Lenin e il suo schema di riorganizzazione del Comitato centrale venissero resi pubblici ma il gruppo di alleati di Stalin riuscì abilmente a trovare il modo di insabbiarli. Prendendo a pretesto alcune differenze tra lo schema originale di Lenin e quello presentato da Trotsky, il Politburo riuscì ad accusare quest' ultimo di voler travisare il pensiero del leader.

 

Lenin esortò Trotsky a portare avanti la battaglia sulla questione georgiana al XII congresso del partito senza lasciarsi persuadere ad addivenire a nessun "precario compromesso" con Stalin. Tuttavia al Congresso Trotsky si accontentò di vincere ma, convinto dalle scuse e dai buoni propositi elargiti da Stalin, desistette dal denunciarlo e dal chiedere la sua rimozione dalla carica di segretario generale.

 

Lenin subì il terzo durissimo attacco della sua malattia che lo privò di ogni possibilità di azione e che il 21 gennaio 1924 lo condusse alla morte, lasciando aperta la questione della sua successione. Le sue ultime volontà furono riportate nella celebre Lettera al congresso, meglio conosciuta come Testamento, di cui fu data lettura pochi giorni dopo il decesso nel comitato centrale. Il documento dava precisi giudizi su tutti i principali esponenti del partito senza designarne nessuno alla successione ma dichiarando espressamente Stalin non adatto a ricoprire l'incarico di segretario generale.

 

Zinov'ev sostenne con convinzione che il giudizio su Stalin doveva essere stato dettato dalla mancanza di informazioni corrette ricevute da Lenin e rimarcò l'operato leale del georgiano. Alla fine il comitato, con il consenso di Trotsky, scelse di non divulgare il testamento al congresso del partito. Stalin così poté uscire indenne dalla più grave crisi della sua carriera.

 

Lev Davidovic condusse la sua battaglia incentrandola sul problema della democrazia all'interno del partito. Quest'ultimo avrebbe dovuto accogliere varie correnti di pensiero, in linea però con le sue direttive, e combattere i funzionari che avevano instaurato un centralismo eccessivo.

 

La troika (Stalin, Zinov'ev, Kamenev) ribadì che un partito unitario era alla base del leninismo ed accusò Trotsky di non aver mai accettato quel principio, essendo stato per lungo tempo menscevico. Già il 16 gennaio 1924, nel corso di una conferenza, era stata scagliata per la prima volta contro Trotsky l'accusa di "deviazionismo piccolo borghese dal leninismo", questa imputazione venne ratificata al XIII congresso del PCUS (maggio 1924).

 

Ancora una volta Trotsky scelse di non controbattere direttamente alle accuse ma preferì affidare la propria difesa alle "Lezioni di ottobre", una prefazione al terzo volume delle sue opere. Lo scritto dissertava sul ruolo ambiguo tenuto da alcuni membri del partito bolscevico durante la rivoluzione: in particolare Zinov'ev e Kamenev venivano accusati di esitazioni ed ostruzionismo.
L'opera venne presto ritirata dalle librerie e si diede l'avvio ad imponenti controaccuse e ad un graduale processo di falsificazione della storia. Il ruolo di Trotsky nell' Ottobre venne ridimensionato agli occhi dell'opinione pubblica e fu propagandato invece il messaggio che a capo dell'insurrezione vi fosse stato Stalin.

 

Ebbe inizio così l'emarginazione dell'ala trotzkista, che iniziò a farsi chiamare Opposizione di sinistra. Trotsky si schierò contro la politica stalinista del "socialismo in un solo paese". I punti fondamentali su cui si accese la disputa furono la critica al regime autoritario instaurato all'interno del partito da Stalin, la condanna dello sviluppo di deformazioni burocratiche nell'apparato statale, la denuncia della creazione di una nuova borghesia causata dall'estensione incontrollata delle misure economiche della NEP. L'Opposizione di sinistra rivendicò la necessità di una politica di forte industrializzazione, di un piano di collettivizzazione volontaria nelle campagne (da realizzarsi in tempi lunghi) e soprattutto di un impegno ad appoggiare le iniziative rivoluzionarie negli altri paesi, l'unico mezzo per far fronte ai pericoli di involuzione del regime sovietico.

 

Il 17 gennaio 1925 la troika riuscì a far destituire Trotsky dalla carica di Commissario per la guerra, escludendo così di fatto la sua candidatura alla successione a Lenin.

 

Negli anni 1925-1926 la lotta interna sembrò essersi arrestata finché Kamenev e Zinov'ev non la riaccesero, passando all'opposizione con Trotsky. I tre si allearono per contrastare il potere divenuto dispotico di Stalin e formarono l'Opposizione unificata. Il movimento raccolse numerosi adepti e tentò di organizzare incontri e comizi per cercare l'appoggio della popolazione operaia e contadina nel tentativo di sovvertire l'apparato tenuto in mano da Stalin. Ma le masse avevano perso gli antichi entusiasmi rivoluzionari e rimasero apatiche alle iniziative dell'Opposizione anche dopo la tragica sconfitta della rivoluzione cinese del 1927, quando Stalin aveva ordinato ai comunisti locali di appoggiare Chang Kai-Shek e questi li aveva fatti trucidare. Fu facile per gli agenti stalinisti scoraggiare e neutralizzare gli avversatori che avevano colpevolizzato la politica stalinista.
Nell'ottobre 1926 Trotsky ed i suoi alleati furono espulsi dal Politburo e, un anno dopo, dal Comitato centrale. Di lì a breve giunse anche l'espulsione dal partito (insieme a Zinov'ev, Kamenev e altri) e l'allontanamento dal Cremlino. Gli altri due esponenti dell'Opposizione capitolarono definitivamente di fronte a Stalin nel dicembre 1927.

 

Il 12 gennaio 1928 gli agenti della GPU (organismo politico incaricato di vigilare sulla sicurezza dell'Unione Sovietica) notificarono a Trotsky il provvedimento di deportazione per attività controrivoluzionaria. Il 16 gennaio Lev Davidovic fu prelevato di forza e accompagnato ad Alma Ata, nel Turkestan, presso la frontiera orientale. Nella piccola città Trotsky si stabilì abbastanza bene, guadagnandosi da vivere traducendo le opere di Marx per l'amico Rjazanov, direttore dell'Istituto Marx-Engels di Mosca, e lavorando ad alcune sue importanti opere come: La rivoluzione permanente (1930), La mia vita (1932) e Storia della Rivoluzione russa (1932).

 

Intanto Stalin varava per la Russia i piani di industrializzazione forzata e di collettivizzazione dell'agricoltura.
Nel febbraio 1929 Trotsky venne espulso dalla Russia e su una nave vuota, insieme a Natalia Sedova ed al loro figlio maggiore, raggiunse l'isola di Prinkipo in Turchia. Da quella data e fino al luglio 1933 Lev Davidovic e la sua famiglia rimasero nel villaggio di Bujuk Ada, il principale centro dell'isola. Questo soggiorno fu caratterizzato dal seguire sia gli avvenimenti politici che si stavano succedendo in Europa (Trotsky evidenziò con estrema lucidità la pericolosità della ascesa del nazismo in Germania) sia la grave forma di depressione psichica in cui si dibatteva la sua secondogenita Zanaida (detta Zina), giunta presso di lui nel gennaio 1931 che la condurrà di lì a breve al suicidio.

 

Nel luglio 1933 la Francia, dietro le insistenti pressioni di militanti trotskisti, concesse l'asilo politico a Lev Davidovic purché si mantenesse lontano dalla capitale e conservasse l'incognito. Egli visse per due mesi a St. Palais, sulla costa atlantica per poi trasferirsi a Barbizon. Un banale incidente smascherò la sua falsa identità e la sua scoperta suscitò clamore in tutta la nazione. I conservatori e i socialisti francesi condannarono la presenza dell'esule sul proprio territorio e ne chiesero l'espulsione. Il governo cedette alle pressioni di costoro e emanò l'ordine di lasciare la Francia, ma per quattordici mesi non si trovò paese disposto ad ospitarlo.
Nella primavera del 1935 la Norvegia gli concesse asilo su richiesta dei laburisti appena saliti al potere. Trotsky si stabilì a Honefoss, un tranquillo luogo di campagna a circa sessanta chilometri da Oslo, accolto in casa dalla famiglia Knudsen, dove poté dedicarsi alla scrittura de La rivoluzione tradita, una violenta denuncia dei crimini dello stalinismo. Nell'opera egli previde che "la caduta della attuale dittatura burocratica, se non verrà sostituita da
un nuovo potere socialista, porterà al ritorno alle relazioni capitalistiche con un declino catastrofico dell'industria e della cultura”.

 

La tranquillità della famiglia durò pochi mesi: il 1936, "l'anno di Caino", vide l'inizio dei grandi processi di Mosca e delle purghe staliniane. Lev Davidovic Bronstein era l'imputato primario di tutti i processi a carico dei membri del partito: l'accusa principale che portò alla condanna a morte di gran parte dei quadri dirigenti fu quella di complicità con Trotsky. Quest'ultimo, secondo gli accusatori congiurava contro l'Unione sovietica, coordinava il terrorismo e tramava per sopprimere Stalin.

 

Agli imputati, tramite agghiaccianti torture, venivano estorte confessioni di tradimento su istigazione di Trotsky. Sebbene Lev Davidovic negò sempre ogni addebito, le false accuse produssero imbarazzo nel governo norvegese che, per non inimicarsi il dittatore georgiano, finì per relegare il rivoluzionario nel fiordo di Hurum, in attesa che qualche altra nazione si offrisse di ospitarlo.
Nessuna nazione democratica occidentale concesse asilo a Trotsky, finchè fu il presidente socialista messicano Cardenas ad offrirsi di accoglierlo sul suo territorio. Lev e sua moglie giunsero a Tampico il 9 gennaio 1937 a bordo della petroliera Ruth. Furono ospiti nella "Villa azzurra" del pittore Diego Rivera a Coyoàcan, un sobborgo di Città del Messico.

 

Nel 1937-38 furono indetti nuovi processi pubblici a Mosca, durante i quali molti degli esponenti del Pcus, dell'Armata rossa e del Servizio civile, vennero giustiziati. Nello stesso periodo una commissione costituita sotto la presidenza del filosofo americano John Dewey, dichiarò Trotsky innocente di tutte le accuse attribuitegli nei processi di Mosca.

 

Dopo aver perso ogni speranza di poter riformare il Comintern, oramai irrimediabilmente caduto nelle mani della burocrazia stalinista, Trotsky iniziò a lavorare alla costruzione di una nuova Internazionale. Tre movimenti socialisti europei si unirono alla Opposizione Internazionale di Sinistra firmando un documento scritto da Trotsky invocante la Quarta Internazionale, che divenne nota come "Dichiarazione dei Quattro". Di queste organizzazioni, due se ne distanziarono presto, ma il Partito Socialista Olandese lavorò con l'Opposizione per avviare la Lega Comunista Internazionale. Lo scopo della Quarta Internazionale sarebbe stato quello di assistere la costituzione di nuovi movimenti rivoluzionari di massa, capaci di guidare alla rivoluzione i lavoratori dei vari Paesi.

 

Trenta delegati in rappresentanza di diversi stati europei, nordamericani e asiatici si riunirono in un congresso per la fondazione della Quarta Internazionale nel settembre 1938 vicino Parigi, nella casa del trotskista Alfred Rosmer. L'impegno del nuovo gruppo, nato come"organizzazione internazionale del movimento operaio e dei lavoratori", per riaffermare i veri principi socialisti in contrapposizione al Comintern, divenne uno dei compiti più importanti della vita di Trotsky. In Messico la lotta contro Stalin continuò attraverso la pubblicazione di un Bollettino dell'opposizione, diffuso clandestinamente in URSS.

 

La tomba di Trotsky a Coyoacàn in Messico, nella sua ultima dimora, ora museo Negli anni che precedettero la sua morte, Trotsky vide la scomparsa dei suoi figli, lo sterminio di amici e collaboratori, e il disfacimento delle conquiste della rivoluzione d'Ottobre. Il figlio maggiore di Trotsky, Leon Sedov, membro dell'Opposizione di sinistra internazionale, perì misteriosamente durante una banale operazione di appendicite in una clinica di Parigi nel febbraio del 1938. L'altro figlio maschio, Sergei, sicuro di non correre alcun pericolo vista la sua estraneità ad ogni impegno politico, rimase in Russia ma venne incarcerato e fucilato in segreto (1938), essendosi rifiutato decisamente di incriminare suo padre.

La prima moglie, Aleksandra Sokolovskaya, arrestata nel 1935, scomparve circa tre anni più tardi nel Gulag di Kolyma. Due dei suoi segretari europei, Rudolf Klement e Erwin Wolff, vennero assassinati. Ignace Reiss, un funzionario della Gpu che si schierò pubblicamente con Trotsky, fu massacrato da un agente stalinista in Svizzera.

Nel 1939, mentre in Europa era scoppiata la seconda guerra mondiale, essendosi rovinati i rapporti con Rivera, Trotsky, insieme ai suoi familiari e ad alcuni collaboratori, si trasferì in una casa dell'Avenida Viena, successivamente trasformata in fortezza.

Nella notte del 23 maggio del 1940 la nuova casa di Trotsky fu oggetto di un raid eseguito in pieno stile militare. I membri della famiglia scamparono miracolosamente al fuoco incrociato delle mitragliatrici. Il partito comunista messicano dichiarò questo attentato una messa in scena per denigrare Stalin. Trotsky smentì energicamente.

 

In questa sua ultima dimora riuscì ad insinuarsi Ramon Mercader del Rio (detto "Jacson"), agente segreto di Stalin, dopo un lungo e paziente lavoro teso a procurarsi la fiducia dei risiedenti. L'uomo aveva sposato due anni prima Sylvia Ageloff, una fervente trotskista americana che aveva partecipato alla costruzione della IV° Internazionale.

 

Nel tardo pomeriggio del 20 agosto Jacson chiese di essere ricevuto da Trotsky per sottoporgli un articolo. Nonostante la stranezza della pretesa, Lev Davidovic si sentì in dovere di dargli un occhiata e ricevette l'uomo nel suo studio.
All'improvviso il sicario di Stalin estrasse una piccozza, tenuta nascosta tra le pieghe dell'impermeabile, e sferrò un violento colpo alla testa del vecchio rivoluzionario, che gli sfondò il cranio. Lev Davidovic riuscì ancora a trovare la forza di impegnarsi in un drammatico corpo a copro col suo assalitore e a chiamare aiuto.

 

Trasportato d'urgenza all'ospedale Puesto Central de Socorro de la Cruz Verde, Trotsky spirò alle 18,48 del giorno successivo (21 agosto 1940).

 

Scomparve così uno dei maggiori protagonisti della rivoluzione sovietica, nonché uno dei massimi teorici del marxismo del Novecento e uno scrittore di finissimo talento. Il suo ultimo articolo, lasciato incompiuto sulla sua scrivania, riguardava la difesa del marxismo dai revisionisti e dagli scettici contemporanei.

 

La villa di Trotsky a Coyoacán è stata conservata nelle stesse condizioni in cui si trovava il giorno del suo assassinio ed è oggi un museo. La sua tomba si trova nel giardino accanto alla casa.

 

Il 27 febbraio 1940 Trotsky scrisse quello che sarebbe divenuto il suo testamento, qui di seguito riportato nella sua versione integrale:

 

"La mia pressione alta (e in continuo aumento) inganna chi mi sta vicino sullo stato reale della mia salute. Sono attivo e abile al lavoro, ma la fine, evidentemente, è vicina.

 

Queste righe saranno rese pubbliche dopo la mia morte. Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v' è una macchia sul mio onore rivoluzionario.

 

Né direttamente né indirettamente non sono mai sceso ad accordi, o anche solo a trattative dietro le quinte, coi nemici della classe operaia. Migliaia d'oppositori di Stalin sono cadute vittime d'accuse analoghe, e non meno false.

 

Le nuove generazioni rivoluzionarie ne riabiliteranno l'onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si meritano.
Ringrazio con tutto il cuore, gli amici che mi sono stati fedeli nei momenti più difficili della mia vita. Non ne nomino nessuno in particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto facendo un'eccezione per la mia compagna, Natalja Ivanova Sedova. Oltre alla felicità di essere un combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato la felicità d'essere suo marito. Durante i circa quarant'anni di vita comune, ella è rimasta per me una sorgente inesauribile d'amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto nell'ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.

 

Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell'errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico, e quindi da ateo inconciliabile.

 

La mia fede nell'avvenire comunista del genere umano non è meno ardente, anzi è ancora più salda, che nei giorni della mia giovinezza.

 

Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile, e l'ha aperta in modo che l'aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell'erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al disopra del muro, e sole dappertutto.
La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore."

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