Trotski
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Riproduco alcuni testi su Trotski comparsi su riviste, libri, quotidiani e siti Internet. Gli eventuali miei interventi sono in colore rosso
Dal sito http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/trotskij.htm questa interessante biografia, con uno scritto del 2000 dc:
Vita e lotta di un rivoluzionario
60 anni fa, il 20 agosto 1940, Lev Trotskij veniva assassinato da un sicario di Stalin a Città del Messico. Per ricordarne la vita e le opere pubblichiamo ampi stralci di un articolo di Alan Woods intitolato In memory of Leon Trotsky. Il testo completo è consultabile in inglese alla pagina web www.marxist.com di Alan Woods.
Lev Davidovic Trotskij nasce a Ianovka nel 1879. Il suo vero nome era Leiba Bronstein, e la sua famiglia ebrea era di classe media.
Lev Davidovic Trotskij fu, insieme a Lenin, uno dei due più grandi marxisti del ventesimo secolo. Dedicò tutta la sua vita alla causa della classe operaia e del socialismo internazionale. E che vita!
Dalla sua prima giovinezza, quando lavorava di notte per produrre volantini per gli scioperi illegali che gli guadagnarono le prime reclusioni in carcere e l’esilio in Siberia, fino a che non fu ucciso da un sicario di Stalin nell’agosto del 1940, si impegnò senza sosta per il movimento rivoluzionario.
Nella prima rivoluzione russa del 1905, fu il presidente del soviet di Pietroburgo. Condannato ancora una volta all’esilio in Siberia, evase di nuovo e continuò la sua attività rivoluzionaria dall’esilio.
Durante la prima guerra mondiale, Trotskij adottò una posizione coerentemente internazionalista. Scrisse il manifesto di Zimmerwald che cercava di unire tutti gli oppositori rivoluzionari alla guerra. Nel 1917 giocò un ruolo dirigente nell’organizzare l’insurrezione di Pietrogrado.
Dopo la rivoluzione d’Ottobre Trotskij
divenne il primo commissario degli affari esteri e fu incaricato dei negoziati
con i tedeschi a Brest Litovsk. Durante la sanguinosa guerra civile, quando la
Russia sovietica era invasa da 21 eserciti st
Il ruolo di Trotskij nel consolidare il primo Stato operaio della storia non si limitò all’Armata Rossa. Egli giocò un ruolo dirigente, insieme con Lenin, nella costruzione della Terza internazionale, di cui scrisse i manifesti ai primi quattro congressi e molti dei documenti più importanti; nel periodo di ricostruzione Trotskij riorganizzò il disastrato sistema ferroviario dell’Urss. Inoltre Trotskij, che fu sempre uno scrittore prolifico, trovò il tempo per scrivere studi penetranti, non solo su questioni politiche, ma anche sull’arte e la letteratura ("Letteratura e rivoluzione") e anche sui problemi che la gente incontra nella vita di tutti i giorni nel periodo di transizione ("Problemi della vita quotidiana").
Dopo la morte di Lenin nel 1924, Trotskij guidò la lotta contro la degenerazione burocratica dello Stato sovietico, una lotta che Lenin aveva cominciato dal letto di morte. Nel corso della lotta, Trotskij fu il primo a proporre l’idea dei piani quinquennali, a cui si opposero Stalin e i suoi seguaci. In seguito, solo Trotskij continuò a difendere le tradizioni rivoluzionarie, democratiche e internazionaliste dell’Ottobre. Con opere come La rivoluzione tradita, In difesa del marxismo e Stalin, fu l’unico a fornire un’analisi scientifica marxista della degenerazione burocratica della rivoluzione russa. I suoi scritti del periodo 1930-1940 contengono un tesoro di teoria marxista, che spazia dai problemi immediati del movimento operaio internazionale (la rivoluzione cinese, l’ascesa di Hitler in Germania, la guerra civile spagnola), a una vasta serie di questioni culturali, artistiche e filosofiche.
Gli inizi
Il 26 agosto 1879, appena qualche mese prima della nascita di Trotskij, un piccolo gruppo di rivoluzionari, membri dell’organizzazione terrorista clandestina Narodnaja Volja, annunciava la condanna a morte per lo zar russo Alessandro II. Iniziò così un periodo di lotte eroiche di un pugno di giovani contro tutto l’apparato dello Stato che sarebbe culminato il 1 marzo 1881 con l’assassinio dello zar. Questi studenti e intellettuali odiavano la tirannia ed erano disposti a dare la propria vita per l’emancipazione della classe operaia, ma ritenevano che bastasse per "provocare" le mobilitazioni di massa la "propaganda attraverso l’azione diretta", in realtà, cercavano di sostituire il movimento cosciente della classe operaia con le bombe e le pistole. I terroristi riuscirono effettivamente a uccidere lo zar. Ciò nonostante, tutti i loro sforzi non portarono a nulla. Anziché rafforzare il movimento di massa, le azioni terroriste ebbero l’effetto opposto di rafforzare l’apparato repressivo dello Stato, isolando e demoralizzando i quadri rivoluzionari e, alla fine, portando alla completa distruzione dell’organizzazione Narodnaja Volja.
La maggior parte dei giovani russi, in quel periodo, non era attratta dalle idee del marxismo. Non avevano tempo per la "teoria": chiedevano azione. Senza comprensione della necessità di conquistare la classe operaia con un lavoro paziente di spiegazione, presero le armi per distruggere lo zarismo con la lotta individuale. Il fratello maggiore di Lenin fu un terrorista; Trotskij iniziò la sua attività politica in un gruppo populista e probabilmente Lenin cominciò nello stesso modo. Tuttavia, il populismo era già in declino. Negli anni ‘90 quella che era stata un’atmosfera di eroismo era permeata di depressione, scontento e pessimismo nei circoli di intellettuali. E nel frattempo il movimento operaio era entrato sulla scena della storia con un’impressionante serie di scioperi. In pochi anni, la superiorità dei "teorici" marxisti rispetto ai "pratici" terroristi individuali fu dimostrata nei fatti con la crescita spettacolare dell’influenza del marxismo sulla classe operaia.
Lev Davidovic Bronstein, cominciò la sua carriera rivoluzionaria nel marzo del 1897 a Nikolaiev, dove organizzò la prima associazione illegale di lavoratori, l’Unione operaia della Russia meridionale. Lev Davidovic fu arrestato per la prima volta a soli 19 anni e restò due anni e mezzo in carcere, dopo di che fu esiliato in Siberia. Ma presto fuggì e, usando un passaporto falso, uscì dalla Russia recandosi da Lenin a Londra.
Trotskij e l’Iskra ("La scintilla")
Il giovane movimento socialdemocratico era ancora frammentato e quasi senza organizzazione. Il compito di organizzare e di unificare i numerosi gruppi socialdemocratici in Russia venne assunto da Lenin insieme con il gruppo esiliato di Plechanov l"Emancipazione del lavoro". Con l’appoggio di Plechanov, Lenin lanciò un nuovo giornale, l’Iskra, che avrebbe giocato un ruolo chiave nell’organizzare e unire la tendenza autenticamente marxista. Il lavoro di produrre e di distribuire il giornale e di mantenere una cospicua corrispondenza con la Russia fu condotto da Lenin e dalla sua infaticabile compagna Nadezda Krupskaja.
Nonostante tutti gli ostacoli, riuscirono a introdurre illegalmente l’Iskra in Russia, dove ebbe un enorme impatto. Rapidamente i veri marxisti si unirono attorno all’Iskra, divenendo, già nel 1903, la tendenza maggioritaria all’interno della socialdemocrazia russa. All’insaputa del giovane rivoluzionario, che era appena arrivato dalla Russia, i rapporti nella redazione erano già tesi. C’erano frequenti scontri tra Lenin e Plechanov su una serie di questioni politiche e organizzative. Il vero problema stava nel fatto che i vecchi attivisti del gruppo "Emancipazione del lavoro" erano stati pesantemente condizionati dai lunghi anni di esilio, quando il loro lavoro era stato limitato alla propaganda ai margini del movimento operaio russo. Si trattava di un piccolo gruppo di intellettuali, indubbiamente sinceri nelle loro idee rivoluzionarie, ma contagiati dai vizi dell’esilio e dei piccoli circoli di intellettuali.
Lenin stava disperatamente cercando un giovane compagno capace, proveniente dalla Russia, per cooptarlo nella redazione e rompere lo stallo con il gruppo dei vecchi. L’arrivo di Trotskij, da poco scappato dalla Siberia, fu utilizzato da Lenin per accelerare il ricambio. Nelle prime edizioni delle sue memorie su Lenin, la Krupskaja sottolinea l’ottima opinione che Lenin aveva della "giovane aquila".
Purtroppo, l’iniziale collaborazione tra Lenin e Trotskij si interruppe bruscamente con la spaccatura prodottasi al secondo congresso del Partito operaio socialdemocratico russo.
Il Secondo congresso
Ogni partito rivoluzionario deve attraversare uno stadio di lavoro relativamente lungo di propaganda e di costruzione di quadri. Questo periodo conduce inevitabilmente a una serie di abitudini e modi di pensare che, nel tempo, diventano un ostacolo nel trasformare il partito in un’organizzazione di massa. Se il partito si dimostra incapace di cambiare questi metodi quando muta la situazione oggettiva, diventa una setta ossificata. Al Secondo congresso la lotta tra le due ali del gruppo Iskra, che colse tutti di sorpresa, compresi quelli strettamente coinvolti, fu dovuta all’incompatibilità della posizione di Lenin, che consisteva nel consolidare un partito rivoluzionario di massa con un certo grado di disciplina ed efficacia e quello dei membri del vecchio gruppo "Emancipazione del lavoro" che si sentivano a proprio agio nella routine, non vedevano l’esigenza di cambiamenti e attribuivano la posizione di Lenin a questioni di personalità, a un desiderio di mettersi in mostra, "tendenze bonapartiste", "ultracentralismo" e tutto il resto.
La cosiddetta tendenza "morbida" rappresentata da Martov emerse come minoranza e dopo il congresso rifiutò di rinunciare alle proprie decisioni o di prendere parte al comitato centrale o alla redazione. Tutti gli sforzi di Lenin per trovare una soluzione di compromesso dopo il congresso fallirono a causa dell’opposizione della minoranza. Plechanov, che al congresso aveva sostenuto Lenin, si dimostrò incapace di resistere alle pressioni dei vecchi compagni ed amici. Alla fine, verso l’inizio del 1904, Lenin si trovò a dover organizzare "comitati di maggioranza" (bolscevichi) per salvare qualcosa dallo sfacelo del congresso. La spaccatura nel partito era un fatto compiuto.
Inizialmente Trotskij aveva sostenuto la minoranza contro Lenin. Tuttavia, al secondo congresso, bolscevismo e menscevismo non era ancora emersi come tendenze politiche chiaramente delineate. Solo un anno dopo, nel 1904, iniziarono effettivamente ad emergere differenze tra le due tendenze, che riguardavano la questione chiave di fronte alla rivoluzione: collaborazione con la borghesia liberale o indipendenza di classe. Appena emersero divergenze politiche, Trotskij ruppe con i menscevichi e rimase formalmente indipendente da entrambe le frazioni fino al 1917.
Trotskij nel 1905
Alla vigilia della guerra russo-giapponese, tutto il paese era in uno stato di fermento prerivoluzionario. Un’ondata di scioperi fu seguita da manifestazioni di studenti. Il fermento colpì i liberali borghesi che lanciarono una campagna di banchetti, basati sugli "Zemtsvo", comitati locali nelle campagne che servivano come piattaforma politica per i liberali. I menscevichi erano a favore di un totale appoggio ai liberali. I bolscevichi si opponevano radicalmente a ogni tipo di appoggio ai liberali e produssero una dura critica nelle loro pubblicazioni attaccandoli di fronte alla classe operaia. Trotskij aveva la stessa posizione dei bolscevichi, il che lo portò a rompere con i menscevichi. Da quel momento, fino al 1917, Trotskij rimase organizzativamente separato da entrambe le tendenze, sebbene su tutte le questioni politiche fu sempre molto più vicino ai bolscevichi.
La situazione rivoluzionaria maturava rapidamente. Le sconfitte militari dell’esercito zarista alimentavano il malcontento crescente che eruppe nella manifestazione nella giornata del 9 gennaio 1905 a San Pietroburgo che fu brutalmente repressa. Così cominciò la rivoluzione del 1905, nella quale Trotskij giocò un ruolo preminente.
Lunaciarskij, che al tempo era al fianco di Lenin, scrive nelle sue memorie:
"Devo dire che di tutti i dirigenti socialdemocratici del 1905-6 Trotskij si mostrò senza dubbio, nonostante la sua giovane età, il più preparato. Meno di chiunque altro si portava appresso quel retaggio, quella visione ristretta dell’emigrazione. Trotskij capiva meglio di tutti gli altri che cosa occorreva per condurre una lotta politica su scala nazionale. Emerse dalla rivoluzione con un enorme livello di popolarità, mentre in effetti né Lenin né Martov ne acquistarono alcuna. Plechanov perse molto, per la sua posizione quasi-cadetta [cioè liberale]. Trotskij stava allora in prima fila." (Lunaciarskij, Profili di rivoluzionari).
Non è questo il luogo per analizzare in dettaglio la rivoluzione del 1905. Uno dei migliori lavori su quegli eventi è 1905 di Trotskij, un classico del marxismo, il cui valore è aumentato dal fatto che fu scritto da uno dei protagonisti della rivoluzione. A soli 26 anni, Trotskij divenne il presidente del Soviet dei delegati operai di Pietroburgo, il principale di quei organismi che Lenin definì come "organi embrionali del potere rivoluzionario". La maggior parte dei manifesti e delle risoluzioni del Soviet sono opera di Trotskij, che dirigeva anche il giornale Izvestia. Nelle occasioni principali parlò sia a nome dei bolscevichi che dei menscevichi e per il Soviet nel suo complesso. I bolscevichi, a Pietroburgo, non riuscirono a capire l’importanza del Soviet e vi erano rappresentati debolmente.
Una situazione analoga si ebbe a ogni snodo fondamentale della storia della rivoluzione russa: la confusione e il tentennare dei dirigenti di partito in Russia, senza la guida di Lenin, di fronte alla necessità di un’iniziativa audace.
Come presidente del soviet, Trotskij fu arrestato, dopo la sconfitta della rivoluzione, con gli altri membri, ed esiliato un’altra volta in Siberia. Dal banco degli imputati, Trotskij pronunciò un discorso tonante che si trasformò in un atto d’accusa contro il regime zarista. Alla fine fu condannato alla "deportazione perpetua" ma in realtà rimase in Siberia solo otto giorni prima di evadere.
Gli anni della reazione che seguirono la sconfitta furono probabilmente il periodo più difficile nella storia del movimento operaio russo. Le masse erano esauste dopo la lotta; gli intellettuali erano demoralizzati. C’era un ambiente generale di scoraggiamento, di pessimismo e anche di disperazione. Ci furono molti casi di suicidio. Per di più, in questa situazione di generale reazione, si diffusero idee mistiche e religiose come una coltre nera nei circoli intellettuali, trovando un’eco nel movimento operaio in una serie di tentativi di rivedere le idee filosofiche del marxismo. In quegli anni difficili, Lenin si dedicò a una lotta implacabile contro il revisionismo, per la difesa della teoria e dei principi marxisti. Ma fu Trotskij che fornì la necessaria base teorica su cui la rivoluzione russa avrebbe potuto risollevarsi dalla sconfitta del 1905 e vincere.
La rivoluzione permanente
L’esperienza della rivoluzione del 1905 fece esplodere le differenze tra menscevismo e bolscevismo, cioè le differenze tra riformismo e rivoluzione, tra collaborazione di classe e marxismo. Il nodo del contendere era l’atteggiamento del movimento rivoluzionario verso la borghesia e i cosiddetti partiti "liberali". Su questa questione Trotskij aveva rotto con i menscevichi nel 1904. Anche prima del 1905, nelle discussioni sulla questione delle alleanze di classe, Trotskij aveva sviluppato le linee generali della teoria della rivoluzione permanente, uno dei contributi più brillanti alla teoria marxista.
In che cosa consiste questa teoria? I menscevichi spiegavano che la rivoluzione russa avrebbe avuto un carattere borghese democratico per cui la classe operaia non poteva aspirare a prendere il potere, ma avrebbe dovuto sostenere la borghesia liberale. Con questo modo meccanico di ragionare, i menscevichi facevano una parodia delle idee di Marx sullo sviluppo della società. La teoria menscevica degli "stadi" relegava la rivoluzione socialista a un lontano futuro. Nel frattempo la classe operaia doveva agire come appendice della borghesia "liberale".
Era la stessa teoria riformista che molti anni dopo avrebbe condotto alla sconfitta della classe operaia in Cina nel 1927, in Spagna nel 1936-39, in Indonesia nel 1965 e in Cile nel 1973.
Lenin spiegò che la borghesia russa, lungi dall’allearsi i lavoratori, sarebbe passata inevitabilmente con la controrivoluzione.
"La massa della borghesia - scrisse nel 1905 - si volgerà inevitabilmente alla controrivoluzione, verso l’autocrazia, contro la rivoluzione e contro il popolo, non appena il suo ristretto, egoistico interesse verrà raggiunto, non appena "rifuggirà" dalla autentica democrazia (e ne sta già rifuggendo!)."
Quale classe, nella visione di Lenin, poteva condurre la rivoluzione borghese-democratica?
"Rimane "il popolo", ovvero il proletariato e i contadini. Solo il proletariato andrà fino in fondo, perché supera di molto la rivoluzione democratica. Ecco perché il proletariato lotta all’avanguardia per la repubblica e respinge sdegnato consigli stupidi e indegni sulla possibilità che la borghesia si tiri indietro."
Sulla questione dell’atteggiamento verso i partiti borghesi, le idee di Lenin e Trotskij erano in completo accordo contro i menscevichi cusavano l’argomento della natura borghese della rivoluzione come una scusa per difendere la subordinazione del partito operaio alla borghesia. Argomentando contro la collaborazione di classe, sia Lenin che Trotskij spiegavano che solo la classe operaia, in alleanza con le masse contadine, poteva portare a termine i compiti della rivoluzione borghese-democratica.
Ma come potevano conquistare il potere i lavoratori in un paese arretrato e semifeudale come la Russia zarista? Trotskij rispose così:
"È possibile che i lavoratori prendano il potere in un paese arretrato economicamente prima che in un paese avanzato (...) Nella nostra prospettiva, la rivoluzione russa creerà le condizioni in cui il potere potrà passare nelle mani dei lavoratori (...) e con la vittoria della rivoluzione deve farlo (...) prima che la politica dei borghesi liberali abbia la possibilità di sviluppare appieno il proprio talento di governare." (Bilanci e prospettive, 1906)
Nel 1905, solo Trotskij era disposto a difendere l’idea che la rivoluzione potesse trionfare in Russia prima che in Europa occidentale. Lenin aveva una posizione incerta. Nel suo complesso, la posizione di Trotskij era molto vicina a quella dei bolscevichi, come Lenin stesso ammise più tardi. Tuttavia, nel 1905 solo Trotskij fu disposto a porre la necessità della rivoluzione socialista in Russia in modo chiaro e audace. Dodici anni dopo la storia gli avrebbe dato ragione.
Riunificazione
Nel periodo dell’ascesa rivoluzionaria, le due ali del movimento si erano unite di nuovo. Ma l’unità era stata più formale che reale. Con il riflusso, riemerse un’altra volta la tendenza dei menscevichi all’opportunismo, trovando una chiara espressione nella famosa dichiarazione di Plechanov: "I lavoratori non avrebbero dovuto prendere le armi." Le differenze tra le due tendenze tornarono alla superficie. E di nuovo Trotskij si trovò in una posizione politica vicina a quella dei bolscevichi.
La vera differenza tra Lenin e Trotskij in questo periodo non riguardava il programma e le prospettive ma riguardava il tentativo "conciliazionista" di Trotskij.
Il progresso della rivoluzione aveva dato un forte impulso al movimento per la riunificazione delle forze del marxismo russo. Lavoratori bolscevichi e menscevichi lottavano fianco a fianco con gli stessi slogan; comitati dei partiti rivali si fusero spontaneamente. La rivoluzione spinse i lavoratori delle due frazioni a unirsi.
Durante la seconda metà del 1905 ci fu un continuo e spontaneo processo di unità dal basso. Senza aspettare gli ordini dall’alto, le organizzazioni di partito bolsceviche e mensceviche si fondevano. Questo esprimeva in parte l’istinto naturale dei lavoratori verso l’unità, ma anche il fatto che i dirigenti menscevichi erano stati spinti a sinistra sotto la pressione della propria base. Alla fine, su suggerimento del CC bolscevico, compreso Lenin, si fecero delle mosse per la riunificazione. Nel dicembre del 1905 le due direzioni si erano effettivamente riunificate, formando un unico Comitato centrale.
Il congresso unitario si svolse nel maggio del 1906 a Stoccolma, ma già a quel tempo l’ondata rivoluzionaria era in riflusso e con essa lo spirito combattivo e i discorsi di "sinistra" dei menscevichi. Era inevitabile un conflitto tra i veri rivoluzionari e quelli che stavano già abbandonando le masse e adattandosi alla reazione. La sconfitta dell’insurrezione di Mosca a dicembre segnò l’inizio della fine per la rivoluzione del 1905. Gli avvenimenti di dicembre segnarono anche un cambiamento decisivo nell’atteggiamento dei cosiddetti "liberali". La borghesia dall’opposizione passò alla condanna della "pazzia" di dicembre. In realtà, i liberali erano già passati con la reazione a ottobre, dopo che lo zar aveva concesso una nuova costituzione.
L’essenza delle differenze tra Lenin e i menscevichi stava proprio in questo:
"La destra del nostro partito non crede nella vittoria completa della rivoluzione attuale, cioè democratico-borghese in Russia; teme questa vittoria; non propone con forza e convinzione questo slogan al popolo. Viene sviata continuamente dall’idea del tutto erronea che in realtà è un involgarimento del marxismo, che solo la borghesia può "fare" autonomamente la rivoluzione borghese, o che solo la borghesia dovrebbe guidare la rivoluzione borghese. Il ruolo del proletariato come avanguardia nella lotta per la vittoria completa e decisiva della rivoluzione borghese non è chiara ai socialdemocratici di destra."
Trotskij aveva irritato Lenin rifiutando, sebbene non ci fossero vere differenze politiche fra loro, di unirsi alla tendenza bolscevica. Restava convinto che prima o poi una nuova ondata rivoluzionaria avrebbe unito i migliori elementi delle due tendenze. Mantenendo questa posizione "conciliazionista" Trotskij fece il più grave errore della sua vita, come avrebbe ammesso in seguito. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che le cose non erano così chiare allora. Lo stesso Lenin, in più di un’occasione, cercò un riavvicinamento con alcuni strati dei menscevichi. Nel 1908 raggiunse un accordo con Plechanov e, secondo Lunaciarskij, "sognava un accordo con Martov". Ma l’esperienza doveva mostrare che questo era impossibile. Le due tendenze, la rivoluzionaria e la riformista, si stavano evolvendo in direzioni opposte. Prima o poi era inevitabile una rottura completa.
Trotskij più tardi ammise il suo errore su questo punto. Lenin trasse le necessarie conclusioni e ruppe definitivamente con i menscevichi nel 1912, il vero atto di nascita del partito bolscevico.
La prima guerra mondiale
La decisione dei dirigenti dei partiti dell’Internazionale socialista di sostenere le "proprie" borghesie nel 1914 fu il più grande tradimento della storia del movimento operaio internazionale. Giunse come un fulmine, sconvolgendo e disorientando i militanti dell’Internazionale. La posizione dei dirigenti della Seconda Internazionale sulla prima guerra mondiale segnalò di fatto il crollo dell’Internazionale. Dopo l’agosto del 1914 la questione della guerra concentrò l’attenzione dei socialisti di tutti i Paesi.
Furono in pochi a non perdere la bussola in quegli eventi. Lenin in Russia, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht in Germania, i dirigenti della socialdemocrazia serba, James Connolly in Irlanda e John Maclean in Scozia furono eccezioni. Sin dall’inizio Trotskij adottò una chiara posizione rivoluzionaria contro la guerra, come si vede dal suo libro La guerra e l’Internazionale. Alla conferenza di Zimmerwald del 1915, che raccolse tutti i socialisti che si opponevano alla guerra, Trotskij fu incaricato di scrivere il manifesto, che fu adottato da tutti i delegati, nonostante le loro divergenze.
A Parigi Trotskij pubblicò un giornale russo che difendeva i principi dell’internazionalismo proletario, il Nashe Slovo. I redattori avevano pochi collaboratori e anche meno soldi, ma con enormi sacrifici riuscivano a pubblicare un giornale quotidiano, un risultato unico, ineguagliato da qualsiasi altra tendenza del movimento russo, inclusi i bolscevichi in quel periodo. Per due anni e mezzo, sotto il vigile sguardo della censura, Nashe Slovo ebbe un’esistenza precaria finché le autorità francesi, sotto la pressione del governo russo, lo chiusero e deportarono Trotskij alla fine del 1916. Dopo un breve soggiorno in Spagna, dove Trotskij conobbe le carceri iberiche, fu di nuovo deportato a New York: qui collaborò con Bucharin e altri rivoluzionari russi nella pubblicazione del giornale Novy Mir. Stava ancora collaborando al giornale quando arrivarono le prime confuse notizie sull’insurrezione di Pietrogrado. La seconda rivoluzione russa era iniziata.
Lenin e Trotskij nel 1917
La politica rivoluzionaria è una scienza. Lo studio delle rivoluzioni passate è un metodo con cui ci si prepara per il futuro. La teoria non è un lusso ma una guida vitale per l’azione. Quando, prima della guerra, Trotskij difendeva l’idea che fosse possibile una rivoluzione proletaria in Russia prima della rivoluzione in occidente, nessuno lo prendeva sul serio. Solo nell’ottobre 1917 si dimostrò la superiorità del metodo marxista di Trotskij. Allo scoppio della rivoluzione di febbraio Lenin era in Svizzera e Trotskij a New York. Sebbene fossero lontani dalla rivoluzione, e l’uno dall’altro, trassero le stesse conclusioni. Gli articoli di Trotskij nella Novy Mir e le Lettere da lontano di Lenin sono praticamente identiche nelle questioni fondamentali concernenti la rivoluzione: l’atteggiamento verso i contadini e la borghesia liberale, il governo provvisorio e la rivoluzione mondiale.
Con la sola eccezione di Lenin gli altri dirigenti bolscevichi non compresero la situazione e furono travolti dagli eventi. È una legge storica che durante una situazione rivoluzionaria il partito, e soprattutto la sua direzione, subisca le enormi pressioni dei nemici di classe, della "pubblica opinione" borghese e anche dei pregiudizi delle masse lavoratrici. Nessuno dei dirigenti bolscevichi a Pietrogrado fu in grado di resistere a queste pressioni. Nessuno di loro sostenne che il proletariato dovesse prendere il potere come unica via per sviluppare la rivoluzione. Tutti questi avevano abbandonato una prospettiva di classe e avevano adottato una rozza posizione a favore della democratizzazione del Paese. Stalin era a favore di un sostegno "critico" al governo provvisorio e alla fusione con i menscevichi. Kamenev, Rijkov, Molotov e gli altri avevano la stessa posizione.
Solo dopo l’arrivo di Lenin il partito bolscevico cambiò posizione, dopo una lotta interna sulle Tesi di aprile che Lenin fece pubblicare sulla Pravda a titolo personale. Nessuno era pronto a identificarsi con quella posizione. La verità è che non avevano capito il metodo di Lenin e avevano trasformato gli slogan del 1905 in un feticcio.
Da questo momento Trotskij e Lenin difesero le stesse posizioni, le vecchie differenze erano scomparse. Quando Trotskij arrivò a Pietrogrado nel maggio del 1917, Lenin e Zinoviev parteciparono alla cerimonia di benvenuto organizzata dai Mezhraijontsij (comitato inter-distrettuale). A quella riunione Trotskij dichiarò di non sostenere più l’unità di bolscevichi e menscevichi. Solo chi aveva rotto con il socialpatriottismo doveva unirsi sotto le bandiere di una nuova internazionale. Di fatto, dal momento del suo arrivo, Trotskij parlò e agì in piena solidarietà con i bolscevichi. Commentando l’argomento il bolscevico Raskolnikov scrisse:
"Lev Davidovic non era formalmente un membro del partito, ma nei fatti lavorò al suo interno dal suo arrivo dall’America; ad ogni modo, immediatamente dopo il suo primo discorso nel soviet, lo considerammo uno dei nostri dirigenti." (Proletarskaja Revolutsia, 1923)
Sulle controversie del passato, lo stesso autore scrisse:
"Gli echi dei passati dissidi durante il periodo prima della guerra si erano del tutto dissolte. Non c’erano differenze tra la linea tattica di Lenin e di Trotskij. Questa fusione, già osservabile durante la guerra, era completamente e definitivamente acquisita al momento del ritorno di Trotskij in Russia. Dal suo primo discorso pubblico tutti i vecchi leninisti lo considerarono uno di loro." (Ibidem)
Trotskij e la rivoluzione d’Ottobre
Non è possibile in questo breve scritto rendere giustizia al ruolo di Trotskij nella rivoluzione d’Ottobre. Oggi questo ruolo è universalmente riconosciuto. Tuttavia possiamo dire che l’esperienza della rivoluzione russa dimostra l’imprescindibile importanza del fattore soggettivo (la direzione) e il ruolo dell’individuo nella storia.
Nel breve spazio di nove mesi, tra febbraio e ottobre 1917, emerse chiaramente l’importanza della questione della direzione della classe e del partito. Il partito bolscevico è stato il partito più rivoluzionario della storia. Tuttavia, nonostante la sua grande esperienza e la forza accumulata nella sua direzione, al momento decisivo i dirigenti a Pietrogrado oscillarono ed entrarono in crisi. In ultima analisi, il destino della rivoluzione cadde sulle spalle di due uomini: Lenin e Trotskij. Senza di loro la rivoluzione d’Ottobre non ci sarebbe mai stata.
A prima vista, questa affermazione sembra confutare l’analisi marxista del ruolo dell’individuo nella storia. Ma non è così. Nella situazione che si sviluppava, Lenin e Trotskij senza il partito sarebbero stati impotenti. Ci erano voluti due decenni di lavoro, per costruire e perfezionare questo strumento, e guadagnarsi un’autorità nella classe operaia gettando radici profonde fra le masse, nelle fabbriche, nelle caserme e nei quartieri operai. Un singolo individuo, per quanto grande, non avrebbe mai potuto prendere il posto di questo strumento, che non potrà mai essere improvvisato.
Alla classe operaia occorre un partito per trasformare la società. Senza un partito rivoluzionario, capace di dare all’energia rivoluzionaria della classe una direzione cosciente, questa energia si disperde, proprio come il vapore non produce alcun movimento se non c’è una macchina che ne incanali l’energia. D’altra parte, ogni partito ha il suo lato conservatore. Nei momenti decisivi, quando la situazione richiede un brusco cambiamento dell’orientamento del partito, da un lavoro di routine alla conquista del potere, le vecchie abitudini possono entrare in conflitto con le esigenze della nuova situazione. È proprio in queste situazioni che il ruolo della direzione è decisivo.
Uno dei lavori più celebri sulla rivoluzione russa, Dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed, ha un’introduzione scritta da Lenin, che descrive il libro come "una delle più veritiere e vivide esposizioni" e raccomanda che sia ripubblicato in "milioni di copie e tradotto in tutte le lingue". Ma sotto Stalin il libro di John Reed scomparve dalle pubblicazioni sia del partito comunista sovietico che dei partiti comunisti all’estero. La ragione è piuttosto ovvia. Un’occhiata alle pagine mostra che l’autore menziona 63 volte Lenin, 53 volte Trotskij, otto volte Kamenev, sette volte Zinoviev, solo due volte Bucharin e Stalin. Questo riflette con una buona approssimazione il corso degli eventi.
La lotta interna del partito durò fino a ottobre e oltre. L’argomento principale dei conciliatori era che i bolscevichi non potevano prendere il potere da soli, ma dovevano formare una coalizione con gli altri partiti "socialisti", cioè i menscevichi e i socialrivoluzionari.
Ma questo equivaleva a ridare il potere alla borghesia, come sarebbe successo in Germania dopo il novembre 1918.
La vicinanza tra Lenin e Trotskij e la loro totale identità di vedute agli occhi della gente erano tali che il partito bolscevico era conosciuto come il partito di Lenin e Trotskij. A una riunione del comitato di Pietrogrado del 14 novembre 1917, Lenin parlò del pericolo delle tendenze conciliazioniste nella direzione del partito che costituivano un pericolo anche dopo la rivoluzione d’Ottobre. Proprio il 14 novembre, undici giorni dopo l’insurrezione vittoriosa, tre membri del CC (Kamenev, Zinoviev, Nogin) si dimisero per protesta contro la politica del partito e inviarono un ultimatum chiedendo la formazione di un governo di coalizione che includesse menscevichi e socialrivoluzionari, "altrimenti l’unica strada che rimane è mantenere un governo totalmente bolscevico per mezzo del terrore politico." Concludevano la loro dichiarazione con un appello ai lavoratori per una "conciliazione immediata" sulla base dello slogan "Viva il governo di tutti i partiti sovietici!".
Questa crisi fra i militanti sembrò in grado di distruggere tutte le conquiste dell’Ottobre. In risposta a una situazione pericolosa, Lenin propose l’espulsione dei dirigenti eretici. Fu in questa situazione che Lenin fece un discorso che finiva con le parole: "Nessun compromesso! Un governo bolscevico omogeneo." Nel testo originale del discorso di Lenin seguono queste parole: "Per quanto riguarda la coalizione, non ne posso parlare seriamente. Trotskij disse tanto tempo fa che era impossibile. Trotskij lo ha capito e da allora non c’è bolscevico migliore di lui."
Trotskij e l’Armata Rossa
Il vecchio esercito zarista era crollato e non c’era nulla da mettere al suo posto. La giovane repubblica sovietica era stata invasa da 21 eserciti imperialisti. In un certo momento, lo Stato sovietico si ridusse al territorio della vecchia Moscovia, l’area attorno a Mosca e Pietrogrado. Eppure la situazione venne ribaltata, e lo Stato operaio sopravvisse. Questo successo fu dovuto in non piccola misura al lavoro indefesso di Trotskij come creatore dell’Armata Rossa.
Nel settembre del 1918, quando il potere sovietico, nelle parole di Trotskij, aveva raggiunto il livello più basso, il governo emanò un decreto speciale che partiva dal fatto che la patria socialista era in pericolo. In frangenti così difficili, Trotskij fu mandato al fronte orientale, quello decisivo, dove la situazione militare era catastrofica. Simbirsk, e successivamente Kazan, erano cadute in mano dei bianchi. Le forze nemiche erano superiori in numero e in organizzazione. Alcuni reparti dei bianchi erano composti solo da ufficiali ed erano ben superiori alle forze sovietiche male addestrate e poco disciplinate. Il panico si diffondeva tra le truppe che si ritiravano disordinatamente davanti alla controrivoluzione trionfante. "Persino il suolo sembrava affetto dal panico", ricorda Trotskij nella sua autobiografia, "distaccamenti rossi freschi, che arrivavano con un atteggiamento vigoroso, venivano immediatamente presi dall’inerzia della ritirata. Si diffondevano voci, tra i contadini del luogo, che i soviet erano condannati. Preti e commercianti rialzavano la testa. Gli elementi rivoluzionari nei villaggi erano sulla difensiva. Tutto crollava non rimaneva nulla a cui aggrapparsi. La situazione sembrava disperata."
Questa era la situazione che Trotskij e i suoi agitatori trovarono al loro arrivo. Ma in una settimana Trotskij tornò vittorioso da Kazan, dopo la prima decisiva vittoria militare della rivoluzione. In un discorso al soviet di Pietrogrado, facendo appello per dei volontari per l’Armata Rossa, descrive la situazione al fronte:
"L’immagine è ancora davanti ai miei occhi. Era una delle notti più tristi e tragiche davanti a Kazan, quando giovani forze immature scappavano in preda al panico. Era agosto, nella prima metà, quando subivamo rovesci su rovesci. Arrivò un reparto di comunisti, erano una cinquantina, cinquantasei, penso. Alcuni di loro non avevano mai tenuto un fucile in mano prima di allora. C’erano quarantenni, ma erano principalmente ragazzi di diciotto, vent’anni. Ricordo come uno di essi, un militante comunista di Pietrogrado, diciottenne sbarbato, arrivò al quartier generale di notte, col fucile, e ci disse che il reggimento aveva disertato e che avevano preso il loro posto, e disse: "Siamo comunardi". Di quel reggimento di cinquanta, ne tornarono dodici, ma, compagni, crearono un esercito, questi lavoratori di Pietrogrado e di Mosca, che arrivavano alle posizioni abbandonate in distaccamenti di 50-60 e tornavano in dieci. Perivano senza che i loro nomi fossero conosciuti, come succede spesso agli eroi della classe operaia. Molti morirono lì, e non conosciamo più i loro nomi, ma costruirono per noi quell’Armata Rossa che difende la Russia sovietica e difende le conquiste della classe operaia, questa cittadella, questa fortezza della rivoluzione internazionale che la nostra Russia sovietica rappresenta. Da allora, compagni, la nostra posizione divenne, come sapete, molto migliore sul fronte orientale, dove il pericolo era maggiore, perché i cecoslovacchi e le guardie bianche, muovendo avanzando da Simbirsk a Kazan, ci minacciavano con un’offensiva su Nizni in un senso e, nell’altro, su Vologda, Yaroslavl e Arcangelo per unirsi alla spedizione anglo-francese. Ecco perché il nostro sforzo principale era diretto verso il fronte orientale, e questi sforzi diedero buoni risultati." (Discorsi di Leon Trotskij)
Dopo la liberazione di Kazan, Simbirsk, Celiavjnsk e le altre città della regione del Volga, a Trotskij fu assegnato il compito di coordinare e di dirigere la guerra sui molti fronti di quel vasto Paese.
Riorganizzò energicamente le forze armate della rivoluzione e compose anche la formula del giuramento dell’Armata Rossa, in cui ogni soldato giurava lealtà alla rivoluzione mondiale. Ma il suo successo più straordinario fu quello di ottenere la collaborazione di un gran numero di ufficiali del vecchio esercito zarista. Senza questo non ci sarebbe stata possibilità di trovare i quadri militari sufficienti per attrezzare più di quindici armate su fronti diversi. Alcuni, ovviamente, risultarono traditori. Altri obbedirono lamentandosi e di malavoglia. Ma un grande numero di essi venne attirato alla causa della rivoluzione che servì lealmente. Alcuni, come Tuchacevskij, un genio militare, divennero dei comunisti convinti. Quasi tutti furono assassinati da Stalin nelle purghe del 1937.
"I risultati di Trotskij furono riconosciuti anche dai nemici dichiarati della rivoluzione, tra cui ufficiali e diplomatici tedeschi". Max Bauer rese omaggio a Trotskij definendolo "un organizzatore militare e un dirigente nato" e aggiunse: "il modo in cui ha costruito un esercito dal nulla nel mezzo di dure battaglie, in cui ha organizzato e addestrato il nuovo esercito, è assolutamente napoleonico". E il generale Hoffmann arrivò alla stessa conclusione: "Anche da un punto di vista puramente militare si resta stupefatti che fosse possibile per le forze appena reclutate dei rossi vincere i reparti, allora ancora forti, dei generali bianchi e eliminarli completamente." (citato in La rivoluzione bolscevica, E. Carr).
La lotta di Trotskij contro la burocrazia
La rivoluzione d’Ottobre è stata l’evento più importante della storia umana. Per la prima volta, se escludiamo il breve episodio della Comune di Parigi, le masse oppresse prendevano il proprio destino in mano e si assumevano il compito di ricostruire la società. La rivoluzione socialista è totalmente differente da tutte le altre rivoluzioni nella storia, perché il fattore soggettivo diviene, per la prima volta, la forza motrice dello sviluppo sociale. La spiegazione di questo si deve cercare nella differenza dei rapporti di produzione. Nel capitalismo le forze di mercato funzionano in maniera incontrollata, senza nessuna pianificazione o azione cosciente. La rivoluzione socialista pone fine all’anarchia produttiva e impone controlli e pianificazione da parte della società. Come risultato, dopo la rivoluzione, il fattore soggettivo, la coscienza di classe, è un fattore decisivo. Nelle parole di Engels il socialismo "è un salto dal regno della necessità a quello della libertà".
Ma la coscienza delle masse non è qualcosa di separato dalle condizioni materiali dell’esistenza, dal livello della cultura, dalla giornata lavorativa. Non per nulla Marx ed Engels sottolineavano che i prerequisiti materiali del socialismo dipendevano dallo sviluppo delle forze produttive. Quando i menscevichi si scagliavano contro la rivoluzione d’Ottobre, sostenendo che non c’erano le condizioni materiali per il socialismo in Russia, c’era un elemento di verità in questo. Tuttavia, queste condizioni oggettive esistevano su scala mondiale.
L’internazionalismo per i bolscevichi non era una questione sentimentale. Lenin ripeté centinaia di volte che o la rivoluzione russa si sarebbe propagata in altri Paesi o sarebbe stata sconfitta. In effetti, dopo la rivoluzione russa ci fu un’ondata di situazioni rivoluzionarie e pre-rivoluzionarie in molti Paesi (Germania, Ungheria, Italia, Francia, ecc.) ma senza la presenza di un partito rivoluzionario di massa vennero sconfitte o, per essere più precisi, vennero tradite dai dirigenti socialdemocratici. A causa del tradimento dei dirigenti socialdemocratici in Germania e in altri Paesi, la rivoluzione russa rimase isolata in un Paese arretrato, dove le condizioni di vita delle masse erano atroci. In un anno morirono sei milioni di persone di fame. Alla fine della guerra civile la classe operaia era esausta.
In questa situazione una reazione era inevitabile. I risultati ottenuti non corrispondevano alle speranze delle masse. Un importante strato dei lavoratori più coscienti e combattivi era stato ucciso durante la guerra civile. Altri, assorbiti dai compiti di amministrazione dell’industria e dello Stato, si staccarono gradualmente dal resto della classe. In un’atmosfera di crescente stanchezza, scoraggiamento e disorientamento delle masse l’apparato statale si sollevò lentamente al di sopra della classe operaia. Ogni passo indietro della classe operaia incoraggiava ulteriormente i burocrati e i carrieristi. In questa situazione emerse una casta burocratica che era soddisfatta della propria posizione e non era d’accordo con l’idea "utopica" della rivoluzione mondiale. Questi elementi si aggrapparono entusiasticamente all’idea, avanzata per la prima volta nel 1924, del "socialismo in un solo Paese".
Lenin cercò di mettere in guardia dal pericolo della burocrazia. All’undicesimo congresso pose di fronte al partito una bruciante dichiarazione sulla burocratizzazione dell’apparato statale:
"Se prendiamo Mosca, disse, con i suoi 4.700 comunisti in posizioni di responsabilità, e se prendiamo la vasta macchina burocratica, questo gigantesco marchingegno, ci dobbiamo chiedere: chi guida e chi è guidato? Dubito seriamente che sia corretto dire che i comunisti dirigono questa massa. A dire il vero, non dirigono, sono diretti."
Per condurre a termine il compito di scacciare burocrati e carrieristi dall’apparato dello Stato e del partito, Lenin cominciò a costruire la Rabkrin (Ispettorato operaio e contadino) con a capo Stalin. Lenin vedeva la necessità di un buon organizzatore perché questo compito fosse portato fino in fondo: il curriculum di Stalin come organizzatore sembrava qualificarlo per il posto. In pochi anni Stalin occupò svariate posizioni organizzative nel partito: capo della Rabkrin, membro del CC e del Politburo, Orgburo e Segretariato. Ma la sua visione ristretta e organizzativista e le sue ambizioni personali lo portarono a occupare in poco tempo il posto di rappresentante capo della burocrazia nella direzione del partito, non suo oppositore.
Già nel 1920 Trotskij criticò il lavoro della Rabkrin, che da mezzo di lotta contro la burocrazia stava divenendo un suo covo. Inizialmente Lenin difese la Rabkrin contro Trotskij. La sua malattia gli impediva di capire che cosa stava succedendo alle sue spalle nel partito e nello Stato. Stalin usava quella posizione, che gli permetteva di selezionare il personale di posti chiave nello Stato e nel partito, per aggregare un blocco di alleati e nullità politiche grati a lui per la loro carriera. Nelle sue mani la Rabkrin divenne uno strumento per costruire la propria posizione ed eliminare i suoi rivali politici.
Lenin usò tutto il peso della propria autorità nella lotta per la rimozione di Stalin dal posto di segretario generale del partito che aveva occupato nel 1922, dopo la morte di Sverdlov. Tuttavia la paura principale di Lenin ora più che mai era che una divisione aperta nella direzione, ora che i bolscevichi erano al potere, conducesse a una spaccatura del partito su linee di classe. Cercò quindi di contenere la lotta al vertice e appunti come questi ed altro materiale non furono resi pubblici. Lenin scrisse segretamente ai bolscevichi georgiani epurati da Stalin (mandando copie a Trotskij e a Kamenev) aderendo alla loro causa contro Stalin "con tutto il cuore".
Poiché non riusciva a seguire l’affare di persona, scrisse a Trotskij chiedendogli di occuparsi della difesa dei georgiani nel CC. Durante l’ultimo periodo di malattia, per combattere il processo di burocratizzazione, chiese a Trotskij addirittura di formare un blocco per combattere Stalin al XII congresso di partito. Ma Lenin morì prima di poter attuare questo progetto. Le sue lettere al congresso, in cui descrive Trotskij come il più abile membro del CC e chiede le dimissioni di Stalin da segretario generale del partito, furono nascoste dalla cricca al potere e non vennero pubblicate per decenni.
"Socialismo in un solo Paese"
L’emergere di una nuova casta dominante aveva profonde radici sociali. L’isolamento della rivoluzione era il fattore centrale dietro l’ascesa di Stalin e della sua cricca, ma esso a sua volta divenne causa di nuove sconfitte per la rivoluzione internazionale: Bulgaria e Germania (1923); la sconfitta dello sciopero generale in Inghilterra (1926), Cina (1927); e la sconfitta peggiore di tutte, quella della rivoluzione in Germania (1933). Ogni sconfitta della rivoluzione mondiale aumentava la demoralizzazione della classe operaia e incoraggiava ulteriormente i burocrati e i carrieristi. Dopo la tremenda sconfitta in Cina nel 1927, la cui responsabilità diretta fu di Stalin e Bucharin, cominciò l’espulsione dell’Opposizione. Anche prima, i sostenitori dell’Opposizione vennero sistematicamente perseguitati, licenziati, ostracizzati e, in alcuni casi, spinti al suicidio.
Le mostruose azioni degli stalinisti erano in totale contraddizione con le tradizioni democratiche del partito bolscevico. Consistevano nel mandare teppisti a disperdere le riunioni, in una campagna di bugie e calunnie nella stampa ufficiale, nella persecuzione di amici e sostenitori di Trotskij che condusse alla morte di molti eminenti bolscevichi come Glazman (spinto al suicidio con il ricatto) e Joffe, il famoso diplomatico sovietico a cui fu negato il trattamento medico necessario e che si suicidò.
Alle riunioni di partito, gli oratori dell’opposizione erano soggetti a ogni sorta di atti di teppismo da parte di gruppi di sbandati semifascisti organizzati dall’apparato stalinista per intimidire l’Opposizione.
Dato l’isolamento della rivoluzione nelle condizioni di tremenda arretratezza, l’esaurimento della classe operaia e della sua avanguardia, la vittoria della burocrazia stalinista era scontata. Non in base alla bravura o delle intuizioni di Stalin. Al contrario. Stalin non prevedeva e non capiva nulla, ma procedeva empiricamente, come dimostrano i continui zig zag della sua politica. Stalin e il suo alleato Bucharin sterzarono a destra, cercandosi una base nei "contadini ricchi" (i kulak). Trotskij e l’Opposizione di sinistra avvertirono più volte del pericolo di una politica simile. Proposero una politica di industrializzazione, piani quinquennali e collettivizzazione nelle campagne coinvolgendo i contadini col buon esempio delle aziende statali. A una sessione plenaria del CC nell’aprile del 1927, Stalin si fece beffe di queste proposte. Infatti paragonò il piano di elettrificazione dell’Opposizione (la diga sul Dnieprostoi) all’idea di "offrire ad un contadino un grammofono invece di una mucca".
Gli avvertimenti dell’opposizione si dimostrarono corretti. Il pericolo dei kulak, che si manifestò in modo evidente nello sciopero del grano e nei sabotaggi, minacciava di rovesciare il potere sovietico e di mettere la controrivoluzione capitalista all’ordine del giorno. In una reazione di panico, Stalin fu costretto a rompere con Bucharin e a lanciarsi in un’avventura estremista. Dopo aver respinto sdegnosamente le proposte di Trotskij dei piani quinquennali per sviluppare l’economia sovietica, fece improvvisamente una svolta di 180 gradi e cominciò a proporre la pazzia del "piano quinquennale in quattro anni" e la "liquidazione dei kulak come classe" attraverso la collettivizzazione forzata. All’inizio questa svolta disorientò molti militanti dell’Opposizione, che pensarono che Stalin avesse adottato le loro politiche. Ma la linea di Stalin era solo una caricatura della politica dell’Opposizione. Era escluso qualsiasi ritorno alla democrazia sovietica di Lenin e venne rafforzato il dominio della burocrazia come casta dominante.
A cominciare da Zinoviev e Kamenev, gli oppositori capitolarono a Stalin uno dopo l’altro, nella speranza di essere riammessi nel partito. Era un’illusione. Questa abiura preparò solo la strada a nuove richieste e nuove capitolazioni, e sfociò nell’umiliazione finale dei processi di Mosca, dove Kamenev, Zinoviev e altri vecchi bolscevichi si dichiararono colpevoli dei crimini più mostruosi contro la rivoluzione. Ma anche questo non li salvò. Trovarono la morte per mano dei boia di Stalin dopo essersi coperti da soli la testa di immondizia.
Trotskij resistette, sebbene non avesse illusioni di poter vincere la lotta, dato il rapporto di forze del tutto sfavorevole. Ma stava combattendo per lasciare una bandiera, un programma e una tradizione per la nuova generazione. Come spiega nella sua biografia:
"Il gruppo dirigente dell’Opposizione arrivava a questo finale con gli occhi ben aperti. Sapevamo fin troppo bene che avremmo potuto trasmettere le nostre idee alla nuova generazione non con la diplomazia e i sotterfugi ma solo con una lotta aperta che non si arrendesse di fronte a nessuna conseguenza pratica. Sapevamo che andavamo incontro a una sconfitta inevitabile, fiduciosi però di preparare la strada alla vittoria delle nostre idee per un più lontano futuro". (La mia vita).
L’opposizione di sinistra internazionale
Nel 1929 Trotskij fu esiliato in Turchia. Stalin non aveva ancora consolidato a sufficienza la sua posizione per poterlo semplicemente uccidere. Dall’esilio, tra il 1927 e il 1933, Trotskij dedicò le sue energie a organizzare l’opposizione di sinistra internazionale, allo scopo di rigenerare l’Urss e l’internazionale comunista. La svolta estremista di Stalin in Unione Sovietica trovò un’espressione internazionale nella teoria del cosiddetto Terzo Periodo e del "socialfascismo". Questo, a sentire i partiti comunisti, doveva sfociare nella "crisi finale" del capitalismo su scala mondiale. Il Comintern, dietro istruzioni di Mosca, definì fascisti tutti i partiti che non fossero quelli comunisti. Questo valeva soprattutto per i partiti socialdemocratici che vennero rinominati "socialfascisti". Questa pazzia ebbe effetti particolarmente devastanti in Germania, dove determinò direttamente la vittoria di Hitler.
La catastrofica recessione mondiale del 1929-33 ebbe gli effetti più disastrosi sulla Germania. La disoccupazione arrivò a otto milioni. Una vasta parte della piccola borghesia era rovinata. Essendo stati delusi dalla socialdemocrazia nel 1918 e dai comunisti nel 1923, per la disperazione si spinsero verso il partito nazista di Hitler alla ricerca di una soluzione. Nelle elezioni del settembre 1930 i nazisti presero quasi sei milioni e mezzo di voti. Dal suo esilio in Turchia Trotskij avvertì insistentemente del pericolo del fascismo in Germania. Chiese ai comunisti tedeschi di formare un fronte unico con i socialdemocratici per fermare Hitler. Questo messaggio fu sottolineato con forza in una serie di articoli e documenti noti come La svolta dell’internazionale comunista e la situazione tedesca. Si trattava di una proposta di ritornare alla politica leninista del fronte unico. Ma era come parlare ai sordi.
Sebbene il movimento operaio tedesco fosse il più forte dell’occidente, rimase paralizzato al momento della verità dalle politiche dei suoi dirigenti.
Quando nel 1931 Hitler organizzò un referendum con lo scopo di abbattere il governo socialdemocratico in Prussia, il partito comunista, su ordine di Mosca, spinse i suoi sostenitori ad appoggiare i nazisti. Ancora nel 1932, il giornale stalinista inglese The Daily Worker scriveva:
"È significativo che Trotskij stia difendendo il fronte unico tra comunisti e partiti socialdemocratici contro il fascismo. In questo momento non si potrebbe proporre una linea più disfattista e controrivoluzionaria."
Nel 1933 il partito comunista tedesco aveva circa sei milioni di sostenitori, i socialdemocratici circa otto milioni. I loro gruppi combattenti avevano insieme circa un milione di membri, un numero molto più alto delle guardie rosse a Pietrogrado e Mosca nel 1917. Eppure Hitler poté vantarsi di "aver preso il potere senza rompere un vetro". Fu un tradimento della classe operaia paragonabile a quello del 1914. Da un giorno ad un’altro le possenti organizzazioni del proletariato tedesco vennero ridotte in polvere. I lavoratori di tutto il mondo, e soprattutto dell’Unione Sovietica, pagarono un terribile prezzo per questo tradimento.
Trotskij sperò che questa sconfitta su scala mondiale servisse a scuotere l’Internazionale Comunista alle fondamenta e aprisse una discussione nelle file dei partiti comunisti che li spingesse a rigenerarsi, accogliendo le critiche dell’opposizione. Ma le cose andarono diversamente. Il Comintern e i suoi partiti erano così stalinizzati che non ci fu dibattito, né autocritica, solo una riproposizione delle stesse politiche fallimentari.
Un partito, e un’internazionale, incapace di imparare dai propri errori sono condannati. La tremenda sconfitta della classe operaia tedesca come risultato delle politiche degli stalinisti e dei socialdemocratici, seguita da una completa mancanza di qualsiasi autocritica e discussione in materia all’interno dei partiti dell’Internazionale comunista, convinse Trotskij che il Comintern era irrimediabilmente degenerato. Mentre nei primi anni la burocrazia non si era ancora consolidata come casta dominante, adesso era chiaro che non si trattava più di un’aberrazione storica che potesse essere corretta con la critica e le discussioni, ma rappresentava la controrivoluzione trionfante che aveva distrutto tutti gli elementi di democrazia operaia costruiti dalla rivoluzione d’Ottobre. Trotskij propose quindi lo slogan di una nuova Internazionale, la Quarta.
I processi di Mosca
La più chiara espressione della nuova situazione furono gli infami "processi di Mosca" che Trotskij descrisse come "una guerra unilaterale contro il partito bolscevico". Tra il 1936 e il 1938 tutti i membri del comitato centrale dei tempi di Lenin ancora vivi in Unione Sovietica furono assassinati. "Il processo dei sedici" (Zinoviev, Kamenev, Smirnov, ecc.); "il processo dei diciassette" (Radalev, Pyatakov, Sokolnikov, ecc.); "Il processo segreto agli ufficiali" (Tuchachevksij, ecc.); "il processo dei ventuno" (Bucharin, Rijkov, Rakovskij, ecc.). I vecchi compagni di Lenin vennero accusati di aver commesso i crimini più assurdi contro la rivoluzione. Di solito erano accusati di essere agenti di Hitler (come i giacobini vennero accusati di essere agenti inglesi durante la reazione termidoriana in Francia).
Gli scopi della burocrazia erano semplici: annientare tutti quelli che potevano divenire un punto di riferimento per lo scontento delle masse. Arrivarono ad arrestare e uccidere migliaia di persone, servi fedeli di Stalin, il cui unico crimine era un legame diretto con la rivoluzione d’Ottobre. Era pericoloso persino essere amici, vicini di casa, parenti degli arrestati. Nei campi di concentramento si trovavano intere famiglie, inclusi i bambini.
Negli anni 1930 Trotskij analizzò il fenomeno nuovo della burocrazia stalinista nel suo classico lavoro La rivoluzione tradita e spiegò la necessità di una nuova rivoluzione, una rivoluzione politica, per rigenerare l’Urss. Allo stesso modo delle altre classi o caste dominanti della storia, la burocrazia russa non sarebbe "scomparsa" di sua spontanea volontà. Già nel 1936, Trotskij spiegò che la burocrazia stalinista rappresentava un pericolo mortale per la sopravvivenza dell’Urss. Formulò la previsione, di un’esattezza sorprendente, che se la burocrazia non fosse stata spodestata dalla classe operaia, avrebbe condotto inesorabilmente alla controrivoluzione. Con un ritardo di cinquant’anni, la previsione di Trotskij si è verificata. Non soddisfatti dei loro voraci privilegi che derivavano dalla rapina ai danni dell’economia pianificata, figli e nipoti dei funzionari stalinisti si trasformano in proprietari dei mezzi di produzione in Russia e nei Paesi vicini sprofondando la terra dell’Ottobre in un nuovo medioevo di barbarie e di devastazioni.
Stalin e la casta privilegiata che rappresentava non potevano perdonare Trotskij per averli smascherati come usurpatori e affossatori dell’Ottobre. Il lavoro di Trotskij e dei suoi collaboratori rappresentava un pericolo mortale per la burocrazia che rispose con una campagna massiccia di omicidi, persecuzioni e calunnie. Si cercherebbe invano nella storia moderna un parallelo alle persecuzioni sofferte dai trotskisti per mano di Stalin e della sua mostruosa macchina per uccidere. Sarebbe necessario tornare ai tempi della persecuzione dei primi cristiani o al lavoro infame della Santa Inquisizione per trovare qualcosa di simile. Uno per uno i sostenitori di Trotskij in Unione Sovietica vennero messi a tacere dai boia di Stalin. Compagni, amici e intere famiglie finirono nei Gulag.
Anche in questi inferni, i trotskisti resistettero. Solo loro mantennero un’organizzazione e la disciplina. Riuscendo in qualche modo a seguire i problemi internazionali, organizzarono assemblee e gruppi di discussione marxisti e combatterono per i propri diritti. Organizzarono anche manifestazioni e scioperi della fame, come lo sciopero del campo di Peciora, nel 1936, che durò 136 giorni.
Crebbe il numero delle fucilazioni arbitrarie. Stalin aveva deciso la "soluzione finale". Verso la fine di marzo del 1938, i trotskisti furono portati in gruppi di circa venti alla volta nelle lande ghiacciate attorno al campo di Vorkuta dove trovarono la morte. I massacri andarono avanti per mesi. I macellai della Gpu fecero il loro lavoro, massacrando uomini, donne e bambini di meno di dodici anni. Nessuno fu risparmiato. Un testimone racconta come la moglie di un militante dell’opposizione marciò sulle stampelle fino al luogo dell’esecuzione.
"Per tutto aprile e parte di maggio, racconta il testimone oculare, proseguirono le esecuzioni. Ogni giorno venivano scelte trenta o quaranta persone, dagli altoparlanti risuonavano i comunicati: "per agitazione controrivoluzionaria, sabotaggio, banditismo, rifiuto di lavorare, tentativi di fuga, i nominativi seguenti verranno fucilati…", una volta un grosso gruppo di circa cento persone, per lo più trotskisti, vennero presi… allontanandosi cantavano l’internazionale e centinaia di voci nelle baracche si unirono al coro." (I. Deutscher, Il profeta esiliato)
Un uomo contro il mondo
Per il dirigente dell’Ottobre non c’erano rifugi né posti sicuri sulla Terra. Una porta dopo l’altra gli venne chiusa in faccia. Stati "democratici" che si consideravano ben più avanzati dei "dittatori" bolscevichi non mostrarono più tolleranza degli altri. Alla fine Trotskij e la sua fidata compagna Natalija Sedova trovarono rifugio in Messico sotto il governo del borghese progressista Lazar Cardenas.
Negli anni che precedettero la sua morte Trotskij vide l’assassinio di uno dei suoi figli e la scomparsa dell’altro, il suicidio di sua figlia, il massacro di amici e collaboratori dentro e fuori l’Urss, la distruzione delle conquiste della rivoluzione d’Ottobre. La figlia di Trotskij Zinaida si suicidò a causa delle persecuzioni di Stalin. Dopo il suicidio di sua figlia la sua prima moglie, Alexandra Sokolovskaja, una donna straordinaria che sarebbe morta nei campi staliniani, scrisse una lettera disperata a Trotskij: "I nostri figli sono condannati. Non credo più alla vita; non credo che diventeranno adulti. Aspetto sempre un nuovo disastro." E conclude: "Ho avuto difficoltà a scrivere e a spedire questa lettera. Scusami per questa crudeltà verso di te, ma devi sapere tutto sulla tua famiglia" (Deutscher, op. cit.).
Leon Sedov, il figlio maggiore di Trotskij, che giocò un ruolo chiave nell’Opposizione di sinistra internazionale, venne ucciso mentre era ricoverato per un’operazione in una clinica di Parigi nel febbraio del 1938. Due dei suoi segretari europei, Rudolf Klement e Erwin Wolff, vennero uccisi. Ignace Reiss, un funzionario della Gpu che ruppe pubblicamente con Stalin e si dichiarò in favore di Trotskij, fu un’altra vittima della macchina sterminatrice di Stalin, ucciso da un agente della Gpu in Svizzera.
Il colpo più duro per Trotskij venne con l’arresto del figlio minore Sergei, che era restato in Russia pensando che, non essendo attivo politicamente, sarebbe stato salvo. Vana speranza! Non potendo colpire il padre, Stalin usò la tortura più raffinata, quella di colpire i padri attraverso i figli. Nessuno può immaginare quale tormento colpì al tempo Trotskij e Natalija Sedova. Solo in anni recenti è emerso che Trotskij pensò persino al suicidio come mezzo per salvare suo figlio. Ma capì che un tale atto non avrebbe salvato Sergei e avrebbe dato a Stalin quello che voleva. Trotskij non aveva torto. Sergei era già morto, fucilato a quanto pare in segreto nel 1938, avendo rifiutato recisamente di accusare suo padre.
Uno per uno i collaboratori di Trotskij caddero vittime del terrore staliniano. Quelli che rifiutarono di abiurare vennero eliminati fisicamente. Ma anche la capitolazione non salvò la vita di quelli che si arresero. L’ultima delle figure dirigenti dell’Opposizione in Urss a resistere fu il grande marxista e veterano della rivoluzione Christian Rakovskij.
Nonostante tutto, fino alla fine, Trotskij rimase fermo nelle sue idee rivoluzionarie. Il suo testamento rivela un enorme ottimismo nel futuro socialista dell’umanità. Ma il suo vero testamento si trova nei suoi libri e negli altri scritti che continuano a essere un tesoro di idee marxiste per le nuove generazioni di rivoluzionari. Il fatto che oggi lo spettro del "trotskismo" continui a spaventare la borghesia, i riformisti e gli stalinisti è una prova sufficiente della forza delle idee del bolscevismo-leninismo, poiché questo è il vero significato di "trotskismo".
Soprattutto in Russia, la patria dell’Ottobre, le idee del trotskismo rimangono del tutto attuali.
Trotskij spiegò tanto tempo fa che la burocrazia stalinista, questo tumore nel corpo dello Stato operaio, avrebbe finito per distruggere le conquiste dell’Ottobre. Nel 1936 egli previde che "la caduta della attuale dittatura burocratica, se non verrà sostituita da un nuovo potere socialista, porterà al ritorno alle relazioni capitalistiche con un declino catastrofico dell’industria e della cultura." (La rivoluzione tradita)
Ora si vede la correttezza di questa previsione. Gli stessi dirigenti del cosiddetto partito comunista dell’Urss che ieri giuravano fedeltà a Lenin e al socialismo ora sono impegnati in una smodata corsa ad arricchirsi con il saccheggio sistematico delle proprietà dell’Unione sovietica. In confronto a questo mostruoso tradimento il comportamento dei dirigenti socialdemocratici nel 1914 sembra un giochetto.
Lenin amava citare molto il proverbio russo: "la vita insegna". Tanto più i lavoratoti russi capiranno in quale vicolo cieco il capitalismo li sta trascinando (e lo capiscono di più ogni giorno che passa), tanto più capiranno la necessità di tornare alle vecchie tradizioni. Riscopriranno, nell’azione, l’eredità del 1905 e del 1917. Riscopriranno le idee e il programma di Vladimir Ilic Lenin e dell’altro grande dirigente e martire della classe operaia, Lev Trotskij.
Dopo decenni della più terribile repressione, le idee del bolscevismo-leninismo rimangono vive e vibranti, le autentiche idee dell’Ottobre che non possono essere distrutte né con le calunnie né con le pallottole. Nelle parole di Lenin: "il marxismo è onnipotente perché è giusto."
Alan Woods - Londra 24 gennaio 2000
Un articolo di Arturo Colombo sul "Corriere della sera", nel 1978
Perché si parla del leader bolscevico vittima di Stalin- Ecco il suo ritratto
Trotski, profeta armato e disarmato
Una vita densa di lotte, finita con l'assassinio nel 1940 in Messico-Arresti, deportazione, esilio-L'incontro a Londra con Lenin e il ritorno in Russia alla vigilia della rivoluzione d'ottobre-Aveva sottovalutato il dittatore georgiano che s'impadronì di tutte le leve del partito e gli rinfacciò il <<peccato mortale>> della rivoluzione permanente
Il nome di Trotski é tornato all'improvviso alla ribalta soprattutto per il suo crudele assassinio nell'Estate del '40 e per le dirette responsabilità di Stalin, ormai riconosciute apertamente anche da parecchi comunisti europei (a cominciare dal PC francese, che ha riaperto il "caso" pubblicando su "l'Humanité" parti di un libro-testimonianza del messicano Valentin Campa).
Ma chi é stato davvero Trotski, il leader bolscevico che lo stalinismo ha preteso di cancellare addirittura dalla storia, mentre altri lo considerano uno degli eroi del nostro secolo?
Lev Davidovic Trotski (il suo vero cognome però era Bronstein) era nato il 7 Novembre 18799 a Janovka, in Ucraina, quinto di otto figli di una famiglia ebrea, proprietaria di una fattoria agricola, che viveva - lo dirà lui stesso - "in una certa agiatezza". Il padre voleva farne un ingegnere, ma Trotski sente presto il richiamo della politica, in un periodo in cui al declinante movimento populista e terrorista si sostituivano i gruppi marxisti. "Esitavo ancora fra la matematica pura e la rivoluzione" racconterà più tardi nell'autobiografia.
E' arrestato per la prima volta nel 1898, dopo avere partecipato a fondare l'Unione Operaia della Russia meridionale. va in prigione a Nikolaev, a Cherson, a Odessa (dove legge "con entusiasmo" due saggi di Antonio Labriola, tradotti in francese), é deportato in Siberia, dove ricorda che studiava i testi di Marx "cercando le blatte che si infilavano tra le pagine".
Fuggito con un passaporto falso intestato a Trotski (il nome che lo renderà famoso) comincia l'esilio a Vienna, a Parigi, a Zurigo, a Londra dove nell'Autunno del 1902 incontra Lenin, già impegnatissimo nel lavoro per il partito operaio socialdemocratico russo (POSDR), fondato quattro anni prima. Uno scontro con Lenin lo ha al secondo congresso del POSDR nel 1903, quando avviene la scissione tra i menscevichi, accusati di essere "molli" nella lotta rivoluzionaria, e i bolscevichi, sotto la guida di Lenin, ritenuti "duri", intransigenti nel volere un partito fatto solo di "rivoluzionari di professione". Trotski si schiera con i menscevichi, anche se se ne stacca presto, rimanendo fuori delle due fazioni. Poi, nel 1905, appena la "Domenica di sangue" lascia prevedere una lotta a fondo per abbattere lo zarismo, Trotski accorre in Russia e diventa l'esponente più in vista del Soviet di Pietrogrado. Per lui la rivoluzione del 1905, anche se non distrugge il sistema autocratico di Nicola II, sarà la "prova generale del 1917".
Di nuovo incarcerato e mandato in Siberia evade nel 1907 e inizia il secondo esilio, vivendo in prevalenza a Vienna ma con frequenti viaggi e soggiorni un po' in tutta Europa (in Bulgaria, Romania, Francia e Spagna). L'obiettivo é sempre lo stesso: lavorare coi vari gruppi rivoluzionari, magari discutere e litigare coi socialisti, specie coi "destri" della II Internazionale (Trotski infatti era il "re dei polemisti" secondo l'immagine di Bernard Shaw); comunque sempre convinto che la rivoluzione era l'unico mezzo indispensabile per dare un nuovo volto alla Russia e al quadro internazionale, dominato dal cosiddetto nemico di classe, la borghesia capitalistica. Agli inizi del '17 era andato sino a New York, "la città leggendariamente prosaica dell'automatismo capitalistico". Ma alla notizia della rivoluzione di Febbraio, quella menscevica capeggiata da Kerenski (lo "spaccone" lo chiamava Lenin) intuisce che per lo zarismo sta giungendo il "redde rationem".
Il 17 Maggio 1917 é di nuovo in Russia, un mese dopo che ci era tornato anche Lenin. E a contatto con la sconvolgente raltà di un sistema in sfacelo, con le masse operaie e contadine stremate dalla guerra e dalla crisi interna, Trotski (fino a Luglio capo del gruppo degli "interdistrettuali") decide di confluire definitivamente nelle file del bolscevismo, e Lenin dirà subito che "non c'é miglior bolscevico del compagno Trotski". La sua diagnosi politica, esposta già due mesi prima delle giornate di Ottobre, era drastica. "La rivoluzione permanente contro il massacro permanente! Questa é la lotta in cui sono in gioco le sorti dell'umanità". Da quando il 7 Novembre 1917 i bolscevichi conquistano il potere, sino al 1923, il nome di Trotski é a fianco di quello di Lenin, anche se talvolta "in concordia discors" su certi problemi di importanza vitale.
Per dare la misura del peso politico di Trotski bastano le cariche ricoperte: presidente del Soviet di Pietrogrado, capo del Comitato militare rivoluzionario, commissario del popolo agli affari esteri per la pace di Brest-Litovsk e poi dal '18 commissario alla guerra e capo dell'Armata Rossa durante l'esperienza terribile della guerra civile, quando bisognava battere i nemici interni e vincere i massicci attacchi esterni.
Anche il passaggio dal "comunismo di guerra" alla NEP, la nuova politica economica inaugurata nel '21, trova Trotski sostanzialmente d'accordo con Lenin, un Lenin costretto dal male a ridurre l'attività politica quotidiana, specie dalla seconda metà del '22. E infatti, già al XII Congresso del partito, tenutosi nel '23 (Lenin assente), comincia contro Trotski la congiura degli epigoni, orchestrata dalla trojka di Stalin, Zinovev e Kamenev.
Certo, anche Trotski non é esente da colpe: sottovaluta Stalin, che con spregiudicatezza si stava impadronendo di tutte le leve del partito, e non rinuncia a quell'insistente "eccesso di fiducia in se stesso", che anche Lenin gli aveva rimproverato nel testamento (scritto alla fine del '22), pur riconoscendolo "forse l'uomo più capace del comitato centrale".
"La calunnia vomitava lava gelata" dirà, commentando la violenza della lotta, che già nel '25 lo priva della carica di commissario alla guerra. Nel '26, appena Stalin si é disfatto anche di Zinovev e Kamenev, cerca di allearsi con loro nella cosiddetta "opposizione unificata". Ma dietro la disputa ideologica di Stalin, che voleva imporre la via del "socialismo in un paese solo" e rinfacciava a Trotski il peccato mortale della "rivoluzione permanente", in cui coinvolgere tutto il mondo, c'é lo scontro ben più aspro per imporsi al vertice del partito. E a vincere sarà il furbo georgiano, empirico e senza scrupoli, sempre "posseduto dalla volontà di potenza", come De Gaulle dirà di Stalin.
Nel '27 Trotski é espulso dal comitato centrale del partito e dal comitato esecutivo del Komintern, il 14 Novembre é radiato anche dal partito, e costretto al confino di Alma Ata, e nel '29 all'esilio nell'isola di Prinkipo, in Turchia, dove scriverà il suo capolavoro, la "Storia della rivoluzione russa".
Per 'indomito "profeta armato", come lo definirà Isaac Deutscher, il suo maggior biografo (che scriverà anche la successiva parabola del "profeta disarmato" (mia nota: e anche del "profeta esiliato"), cominciava il periodo tragico e amaro degli ultimi dodici anni di esilio, a fianco della seconda moglie Natalia, mentre da Mosca lo stalinismo trionfante lanciava contro di lui violente campagne per squalificare, anche sul piano morale, l'antico leader dell'Ottobre Rosso, dipingendolo come un traditore, un criminale, un venduto al soldo dei nemici antisovietici.
Trotski, ormai solitario e costretto a vagare per il mondo (in Francia, in Norvegia, infine nel Messico) cerca di ribattere le accuse più ignobili e smontare "le calunnie stupide e vili" come le chiamerà persino nel suo testamento. Denuncia con lungimirante acume la crescita del processo degenerativo nell'URSS, la "rivoluzione tradita" di Stalin ormai dittatore sovrano. Vede con notevole lucidità la minaccia del nazismo; tenta addirittura nel '38 di dar vita a Parigi alla IV Internazionale, per raccogliere quanti rifiutavano i crimini e le degenerazioni del comunismo sovietico.
Ma anche lontano, isolato, Trotski restava una voce troppo potente perché Stalin non facesse di tutto per ridurlo al silenzio, attraverso qualche sicario o qualche "longa manus" del Komintern o della GPU. Così, il 20 Agosto 1940 Trotski cade ucciso da un agente di Stalin, di nome Ramon Mercader, detto anche Jacques Mornard.
Adesso, sembra che anche i comunisti (almeno fuori dall'URSS) comincino a riconoscere che il manico della picozza, con cui Trotski ebbe spaccata la testa, fu manovrato dal Cremlino. Eppure se sarà lunga e tortuosa la via per "riabilitare" Trotski dopo le vergogne ripetute da tanta e sedicente storiografia ufficiale, ormai il processo é avviato. E al di là degli errori politici, da cui anche Trotski non fu immune, c'é solo da attendere da parte comunista un esame critico e autocritico.
"Verrà il giorno che il partito lo capirà e la storia lo riconoscerà", aveva scritto Adolf Joffe, suo compagno di lotta. L'anno venturo é il centenario della nascita di Trotski: non potrebbe essere la volta buona?
E ora un articolo sul settimanale "L'Espresso" di almeno 15 anni fa, circa il 1985. Il titolo era
Lev Trotzki
di Gianni Rocca, nella rubrica L'ORSA MAGGIORE
E così l'inquieto fantasma di Trotzki continuerà ad aggirarsi senza pace tra le mura del Cremlino. Nemmeno settant'anni sono bastati per restituirgli il diritto di far parte di quel pugno di uomini, fanatici e decisi, che nell'ottobre del 1917, a Pietrogrado, "sconvolsero il mondo". Anche Gorbaciov lo ha lasciato nell'inferno della storia comunista, dove con l'inganno e la violenza lo aveva gettato Stalin. Ha solo provveduto a spostarlo in un girone meno infamante. Non più "giuda del marxismo-leninismo", lacchè dell' "imperialismo", "agente provocatore", "spia della Gestapo", ma "piccolo borghese ambizioso", "nemico della linea di Lenin".
Milioni di sovietici, soprattutto delle nuove generazioni, avranno appreso della sua esistenza, per la prima volta, sentendolo nominare da Gorbaciov. E chi era mai Trotzki? Su di lui da molti decenni era calato il silenzio. Dopo le maledizioni di Stalin, i suoi successori al Cremlino avevano deciso di non parlarne più. Scomparso dai libri di storia, espunto persino nelle enciclopedie, il suo volto cancellato nelle storiche foto che lo vedevano accanto a Lenin, era ormai il "grande assente".
Non si poteva certo pretendere da un segretario del partito sovietico la "verità" storica. Ma in epoca di perestrojka e di glasnost riconoscere, almeno, che senza la selvaggia energia, l'infiammata oratoria, le eccezionali qualità organizzative di Trotzki non sarebbe stata possibile la conquista del Palazzo d'Inverno, era un atto dovuto.
Trotzki piccolo borghese? Ma chi se non lui seppe appieno capire, proprio settant'anni fa, l'intuizione di Lenin, secondo la quale la rivoluzione bolscevica o avrebbe vinto in quelle poche ore o sarebbe stata impossibile per sempre? E chi se non Trotzki, alla testa di un'Armata rossa, improvvisata e stracciona, seppe preservarla dalle guardie bianche di Denikin, Kolciak, Wrangel che la volevano soffocare nella culla? Come si può negare, ancora oggi, il ruolo decisivo del padre, con Lenin, del potere sovietico, unica legittimazione, sempre ricercata da tutti i segretari che dal 1924 si sono succeduti alla guida del partito?
Certo far posto all’ingombrante, aspro e ribelle Trotzki è difficile per chiunque non intenda ripudiare la politica staliniana. Lev Davidovic Bronstein non fu mai un dirigente ossequente alla volontà del "capo". Era un menscevico che solo poche settimane prima dell'Ottobre divenne bolscevico. Perché aveva un’altra concezione del partito rivoluzionario. E si oppose alla umiliante pace di Brest Litovsk, imposta da Lenin, e che aprì i territori russi alle truppe di Hindemburg e di Ludendorf, perché voleva che la rivoluzione russa fosse solo il prologo di quella più ampia che travolgesse in tutto il mondo l'imperialismo capitalista. E osteggiò la Nep di Lenin e di Bucharin perché la considerava un arretramento. Trotzki non intuì per tempo che il suo sogno era ormai tramontato, che Stalin stava "russificando" la rivoluzione, costruendo il "Socialismo in un solo Paese.
Non gli restò che recitare la parte del "profeta disarmato", da un esilio all’altro, finché il sicario di Stalin non pose fine alla sua esistenza in Messico. Ma non attese certo il XX° congresso kruscioviano per stabilire scientificamente che la rivoluzione d’Ottobre era stata tradita. Che la dittatura del proletariato si era trasformata nella tirannia di un uomo e di un apparato.
Intorno al 1979 il settimanale "L'Espresso" pubblicò un ampio servizio. Ne propongo una trascrizione quasi integrale.
Un doppio centenario/Stalin e Trotzky: pensiero, azione, conseguenze e bilancio.
Quei due terribili "ismi"
(colloquio con Lucio Colletti)
Stalinismo e trotskismo: due religioni che hanno terremotato la storia del ventesimo secolo. I loro profeti nacquero cento anni fa in Russia. Che ne è oggi delle loro profezie?
Nell'aprile del 1879 Karl Marx scrisse una lettera ad un amico russo in cui criticava aspramente coloro che prendevano per buono il mito della stabilità del regime zarista: sotto lo zar Alessandro, scriveva l'autore de "Il Capitale", le condizioni della Russia sono ad un punto di disgregazione analogo a quello della Francia sotto Luigi XV. Si sbagliava. Il 1879 non fu per Mosca e Pietroburgo l'anno dei Danton, Marat, Desmoulins e Robespierre. Bisognava aspettare ancora trentotto anni e una guerra mondiale prima che il regime dello zar fosse travolto dalla rivoluzione. Eppure quell'anno è passato ugualmente alla storia del movimento operaio russo anche se solo come anno di nascita dei due più importanti protagonisti - assieme a Lenin - della Rivoluzione d'Ottobre: Stalin e Trotsky.
Di Stalin e Trosky si è già ricominciato a parlare già da qualche mese, in particolare dalla fine di luglio dell'anno scorso quando il quotidiano del Partito Comunista Francese, "L'Humanité", ha pubblicato una testimonianza del dirigente comunista messicano Valentin Campa che raccontava di essere stato contattato da agenti di Stalin per organizzare l'uccisione di Trotsky. Era la prova definitiva della partecipazione del dittatore sovietico al delitto consumato nel 1940. Ma era anche l'occasione per riprendere la discussione sui due dirigenti sovietici in vista dei bilanci da centenario che si terranno quest'anno. Una discussione diversa da quella degli anni Sessanta che cercava di riportare sul piedistallo ora il monumento di Trotsky ora quelo di Stalin. Un bilancio in cui Leonard Shapiro può affermare che Trotsky avrebbe costruito una spietata dittatura forse peggiore di quella di Stalin e Roy Mevdevev può smontare pezzo a pezzo le teorie giustificazioniste dello stalinismo mostrando come molte di esse siano costruite su presupposti trotskisti. Un bilancio che con ogni probabilità sarà fatto all'insegna più delle somiglianze che delle diversità tra Trotsky e Stalin e che potrebbe portare quasi ad una sovrapposizione d'immagine dei due leader sovietici (**mia nota: il vecchio tentativo di accomunare due opposti caro sia alla borghesia che agli stalinisti!).
In queste pagine pubblichiamo alcuni inediti di Trotsky (le lettere che scriveva a Alfonso Leonetti); un racconto (a pag.75) di Victor Zaslavsky, uno scrittore sovietico emigrato in Canada, sullo stalinismo; una serie di opinioni e ricordi di esponenti della politica e della cultura sui due leader rivoluzionari, il confronto tra Stalin e Trotsky di due leadere delle rivolte degli anni sessanta (Silverio Corvisieri e Luca Cafiero). Riportiamo anche alcune pagine significative di Isaac Deutscher biografo di Trotsky e Stalin. Soprattutto ci chiediamo quali conseguenze hanno lasciato nella storia, nella politica del movimento operaio internazionale questi giganti del pensiero comunista. L'abbiamo chiesto in questa intervista a Lucio Colletti.
P.M.
Domanda. Professor Colletti, molti sostengono che Trotsky è stato con Lenin l'alfiere dell'"internazionalismo" della Rivoluzione d'Ottobre. E che perciò fu Trotsky e non Stalin il vero erede di Lenin. E' vero?
Risposta. Quando nel novembre del '17 il Partito bolscevico scatenò l'insurrezione e prese il potere, l'idea che dominava la mente di Lenin e Trotsky era che quello fosse il primo atto della rivoluzione mondiale. Il disegno non era quello di compiere la rivoluzione in un determinato paese e sia pure in un paese dalle proporzioni gigantesche come l'impero zarista, disteso su due continenti. Il disegno era la rivoluzione mondiale. La rivoluzione che i bolscevichi fecero in Russia fu da loro concepita non essenzialmente come una rivoluzione russa, ma come la prima tappa di una rivoluzione europea e mondiale. Come fenomeno esclusivamente russo essa non aveva per loro alcun significato, nessuna validità e nessuna possibilità di sopravvivere. Trotsky incarna quest proiezione internazionalista.
D. Ma Lenin e Trotsky non si erano divisi nel 1905?
R. Dato il carattere autocratico del regime zarista e l'assenza completa di qualsiasi forma di costituzionalismo liberale (oltreché, naturalmente, lo sviluppo ancora assai debole del capitalismo insustriale moderno), la situazione russa, nei primi anni del '900, poneva al partito marxista un compito difficile e insieme originale. Il partito si trovava ad operare in un ambiente dove, per uanime riconoscimento, prima della rivoluzione socialista avrebbe dovuto in ogni caso aver luogo la rivoluzione borghese. Ora, di fronte a questa situazione, come si sarebbe dovuto comportare il partito marxista? Prima del 1905 i marxisti russi avevano accettato la tesi secondo cui una rivoluzione socialista in un paese economicamente arretrato come la Russia non era possibile. In Russia, essi pensavano, la rivoluzione non poteva essere che una rivoluzione borghese e la funzione dei marxisti russi non poteva essere che quella di appoggiare la borghesia. Dopo il 1905 a sostenere questa tesi rimasero soltanto i menscevichi. Accanto alla loro linea nel corso della rivoluzione del 1905 presero definitivamente forma due altre prospettive strategiche (contrapposte alla prima e contrapposte anche tra loro): quella della "dittatura democratico-rivoluzionaria degli operai e dei contadini" elaborata da Lenin e quella della "rivoluzione permanente" di Trotsky. Rispetto ai menscevichi entrambe queste linee avvano in comune il fatto di assegnare ai socialdemocratici russi un ruolo dirigente anche nel corso della rivoluzione democratico-borghese ma con differenze così profonde ch le rendevano, per altri aspetti, antitetiche tra loro. Per Lenin il partito doveva farsi promotore di una rivoluzione operaio-contadina la quale, realizzando la rivoluzione borghese, avrebbe si preparato il terreno a quella socialista ma rimanendo pur sempre, almeno per tutto un periodo storico, una rivoluzione soltanto borghese, Trotsky, al contrario, riteneva che il proletariato russo avrebbe dovuto sì appoggiarsi ai contadini e guidarli alla rivoluzione borghese, ma che esso non avrebbe potuto arrestarsi lì: giacchè, completando la rivoluzione borghese, sarebbe stato inevitabile che il proletariato fosse indotto ad iniziare la propria, senza soluzione di continuità.
D. Malgrado queste differenze quali sono gli elementi che accomunano Lenin e Trotsky?
R. Entrambe le due strategie presupponevano un'integrazione, un sostegno o un completamento a livello internazionale. Cioè consideravano la rivoluzione in Russia un episodio che avrebbe potuto sostenersi soltanto se avesse ricevuto l'appoggio della rivoluzione in occidente. Fuori di questa premessa entrambe le due linee erano impraticabili. Impraticabile quella di Lenin, perché chiedeva al proletariato di partecipare come protagonista e forza dirigente all'instaurazione di un regime democratico-borghese in cui il proletariato stesso avrebbe trovato solo il regno generalizzato dello sfruttamento capitalistico e del lavoro salariato. Impraticabile quella di Trotsky, perché propugnava la continuazione ininterrotta della rivoluzione borghese in quella socialista in un paese dove il proletariato industriale era solo una piccola isola circondata da uno sterminato mare contadino. Una differenza significativa, tuttavia, tra Trotsky e Lenin è che mentre Trotsky in fondo rimane un marxista operaista secondo la tradizione occidentale, Lenin invece comincia a riconoscere un ruolo rivoluzionario (seppure ancora subordinato alla direzione operaia) ai contadini poveri. In questo senso, mentre è impossibile istituire un rapporto tra Trotsky e Mao, tra Lenin e Mao il rapporto può sussistere.
D. Fallita la rivoluzione in occidente Stalin elabora la teoria del "socialismo un paese solo"; egli viene presentato per questo come il solo tra i dirigenti bolscevichi in grado di offrire una prospettiva al paese...
R. Si vuole che Stalin sia stato il solo, in mezzo a un gruppo dirigente smarrito e confuso dopo il fallimento della rivoluzione in occidente, ad indicare una soluzione nelle condizioni di isolamento in cui l'URSS si era venuta a trovare. In realtà non c'è un programma o una strategia politica che porti propriamente il nome di Stalin. Zinoviev e Kamenev gli hanno fornito i temi della lotta antitrotskista. Le tesi di Bucharin sul "socialismo a passo di lumaca" gli sono servite da base per il "socialismo un paese solo" e per la lotta contro l'Opposizione Unificata. Il programma, infine, dell'industrializzazione, elaborato dall'Opposizione, gli è servito per battere Bucharin, dopo che però l'Opposizione era già stata espulsa dal partito. La teoria della pianificazione non risale a Stalin bensì alla "Nuova Economia" di Preobrazensky. Ma il tratto specifico di Stalin è stata la sua capacità di interpretare l'isolamento a cui la storia costringeva la Russia come un senso di fierezza "nazionalistico-rivoluzionario" che causava un piacere immenso a chi si sentiva assicurare che la Rssia sarebbe stata una guida per il mondo, non solo nel realizzare la rivoluzione ma anche nell'edificare una economia nuova. In cui riecheggiava qualcosa della vecchia tradizione slavofila russa.
D. Ma chi era "più marxista" Stalin o Trotsky?
R. Come per la maggior parte dei dirigenti bolscevichi e, anzi, assai più di loro Trotsky è l'intellettuale marxista occidentale per eccellenza. Un grande scrittore e un grande analista politico. Basti pensare alla "Storia della Rivoluzione Russa" e agli scritti in cui analizza la disfatta del partito comunista tedesco e l'avvento di Hitler. Come tutti i dirigenti della prima generazione e, anzi, in misura maggiore di tutti loro, Trotsky eredita, con il marxismo, tutta la tradizione del razionalismo occidentale del diciannovesimo secolo. Stalin, invece, si forma in una tradizione educativa e culturale che non solo è indifferente ai modi di vita e al pensiero occidentali, ma che li respinge deliberatamente. Come ha scritto Carr il marxismo di Stalin assume più "il carattere di una fede formalistica che di una convinzione intellettuale".
D. Dunque per Stalin l'importante era la "patria socialista". Come utilizzò in questo senso la seconda guerra mondiale?
R. Il passaggio all'epoca di Stalin si vede nelle "forze" e nei "valori" a cui si fa appello nel corso della seconda guerra mondiale. Non ci si mobilita in nome e a difesa del comunismo ma del "patriottismo russo". Il 7 Novembre del 1941, quando i nazisti premono su Mosca, Stalin fa appello ai fondatori della "patria russa" e ai grandi generali zaristi. La stessa guerra mondiale passa alla storia sotto il nome ufficiale di "grande guerra patriottica". Il passato politico dell'URSS staliniana non è dunque più tanto il passato politico del bolscevismo ma il passato della Russia zarista.
D. Ma allora non esiste continuità tra Lenin e Stalin?
R. Le differenze tra i due, naturalmente, sono profondissime. Impossibile immaginare Stalin che (come Lenin a Berna nel '14-'15) si chiude in biblioteca per leggere "La scienza della logica" di Hegel e la "Metafisica" di Aristotele. Comunque la pretesa di negare ogni elemento di continuità tra i due è senza fondamento storico. Stalin costruisce la sua opera su alcune premesse di Lenin:1. Teoria del partito unico; 2. Centralizzazione assoluta del potere; 3. confusione tra Stato e Partito; 4. Teoria della "partiticità" della cultura e sua completa subordinazione alla politica; 5. Economia centralizzata e la pianificazione dall'alto (**mia nota: qualsiasi attento studioso si accorgerebbe presto che tali caratteristiche NON SONO quelle bolsceviche ma quelle della degenerazione del bolscevismo...).
D. Ma anche Trotsky era assertore di questo tipo di pianificazione...
R. E' vero. Risale anzi a lui la proposta (contrastata da Lenin) della militarizzazione dei sindacati nel periodo del "comunismo di guerra" (**mia nota: appunto, nel 'periodo' del 'comunismo di guerra'. Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire...). Trotsky è assertore dei soviet, della democrazia consiliare. Qui viene fuori l'aspetto per cui la teoria politica marxista dell'estinzione dello Stato è sostanzialmente improntata all'anarchismo. D'altra parte, nel momento stesso in cui il marxismo prospetta il deperimento e l'estinzione dello Stato (**mia nota: appunto, 'prospetta' nel lungo periodo e, comunque, io non sono d'accordo sul concetto di estinzione dello Stato), esso chiede l'avocazione allo Stato di tutti i mezzi di produzione: ciò che comporta l'espansione della burocrazia e la direzione gerarchica dell'economia.
D. In conclusione allora anche lei pensa che Stalin e Trotsky siano due facce della stessa medaglia?
R. Negli aspetti decisivi penso di no. Trotsky rimane fino all'ultimo un teorico e un politico marxista: continua a volere contemporaneamente sia la democrazia consiliare dei soviet sia la pianificazione centralizzata. E' significativo che, man mano che passano gli anni dalla Rivoluzione d'Ottobre, il suo discorso perda progressivamente di presa sulla realtà (**mia nota: povero Colletti, in confronto alla 'presa sulla realtà' di Trotsky l'intera tua carriera di voltagabbana è poco più di un esercizio da circo...). Stalin, viceversa, man mano che procede nell'edificazione dello stato sovietico, rompe progressivamente con la tradizione marxista e con il significato della Rivoluzione d'Ottobre. La sua opera di costruttore di un grande stato moderno si compie sempre più nel segno del realismo politico. Stalin si libera progressivamente da tutti i lacci dell'ideologia. Capisce che la pianificazione economica dall'alto è incompatibile con i soviet. Ma lo Stato che costruisce non ha più nulla a che fare con le speranze dell'Ottobre. Esso non è più un capitolo che appartenga alla storia del movimento operaio. E' un grande Stato imperiale, di tipo nuovo, che si muove ormai secondo le coordinate della realpolitik e della geopolitica.
Il 5-6 Ottobre 1980 l'intera doppia pagina centrale "Cultura" de "la Repubblica", in occasione del convegno internazionale per il quarantesimo anniversario della morte di Trotski, tenutosi a Follonica dal 7 all'11 Ottobre, fu dedicata alla figura di Trotski. Riproduco solamente l'articolo di Aldo Natoli.
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L'ombra del Termidoro.
Secondo la ricostruzione che ne ha fatto Isaac Deutscher, il primo ad evocare l'ombra del Termidoro (il colpo di Stato del 1794 che portò all'eliminazione di Robespierre) per indicare l'involuzione del processo rivoluzionario nella Russia degli anni '20 sarebbe stato P. Zalutzkij, segretario dell'organizzazione di Leningrado, un pubblicista di origine operaia. Lo fece in un discorso pubblico, verso la metà del 1925. A quell'epoca Leningrado era ancora il punto di forza principale controllato da Zinovjev: questi aveva già condotto alcune fra le più violente campagne contro il "trozkismo" e non aveva ancora spezzato la propria alleanza con Stalin, Trotski era stato allontanato da poco dalla presidenza del Consiglio Militare Rivoluzionario, Bucharin aveva appena lanciato ai contadini la famosa parola d'ordine "arricchitevi!", infine nessuno sospettava il ruolo grande e terribile che Stalin avrebbe assunto prima che passassero tre anni. Oggi può sembrare un'ironia della storia il fatto che l'acceso sostenitore di Zinovjev, Zalutzkij, così precocemente preoccupato da presagi ternidoriani, sia stato forse il primo a chiedere pubblicamente, circa nello stesso periodo, che Trotski venisse espulso dal partito: e che fosse proprio Stalin a far respingere quella proposta (siamo nei primi mesi del 1925).
Per qualche anno Trotski pensò che il "Termidoro sovietico" fosse solo un pericolo che si andava profilando sulla base dell'apatia e della stanchezza dilaganti fra le grandi masse, del regime interno di partito sempre più fortemente repressivo, dell'iniziale formazione di un blocco sociale spostato "a destra" nel quadro della Nuova Politica Economica (NEP: la quale stimolava, secondo lui, un'alleanza fra la burocrazia ormai dominante, gli strati ricchi ed agiati della campagna e i nuovi mercanti e speculatori prosperanti negli spazi riaperti del libero mercato).
Nell'analisi che Trotski fin da quegli anni conduce del sistema staliniano ancora in formazione (lui stesso fu probabilmente l'inventore del termine "stalinismo", che ricorre in un suo discorso della fine del 1927, l'ultimo che egli pronunciò in un'assemblea di partito prima della espulsione e della successiva deportazione) colpisce l'insistenza con cui ritornano le analogie storiche fra i processi che caratterizzano rispettivamente la rivoluzione francese e la Russia degli anni '20. Il filo condutore parallelo dell'analisi di Trotski indica che in due epoche storiche diverse l'ascesa di una classe rivoluzionaria (la borghese nella prima, la classe operaia nella seconda (**mia nota: io preferisco la definizione di 'classe proletaria') rovesciò un sistema politico e un modo di produzione storicamente superati (rispettivamente: il feudalesimo e il capitalismo). Ma, nella fase post-rivoluzionaria, una stagnazione della spinta trasformatrice delle masse può portare a una involuzione moderata del sistema politico senza che si abbia la restaurazione del modo di produzione precedente: il potere può essere infatti usurpato da nuovi raggruppamenti sociali - moderati e conservatori, appunto - senza che si abbia una vera e propria controrivoluzione. Il Termidoro e il colpo di Stato di Bonaparte non furono controrivoluzionari: essi stabilizzarono definitivamente le conquiste della borghesia e del capitalismo, tagliando contemporaneamente le punte più avanzate di nuove forse sociali.
Anche nell'URSS, fin dal 1924, avrebbe avuto inizio la formazione di un blocco sociale moderato intorno alla burocrazia dominante (Termidoro): e con l'accentramento di tutti i poteri nelle mani di Stalin sarebbe avvenuto il colpo di Stato bonapartista. Tuttavia all'usurpazione del potere non avrebbe corrisposto l'annientamento dei contenuti sociali: i rapporti di produzione e la natura di classe, proletaria, dello Stato sarebbero rimasti mmutati. Infatti, sempre secondo Trotski, la burocrazia non aveva restaurato il capitale privato: piuttosto, era stata costretta dal proletariato a rafforzare la proprietà statale dei mezzi di produzione. L'URSS rimaneva insomma uno Stato operaio affetto da degenerazione burocratica: la contraddizione fra il regime politico e le esigenze dello sviluppo socialista avrebbe finito col provocare il crollo della dittatura attraverso una nuova rivoluzione: politica, non sociale.
La verità è che Trotski, pur fornendo con "La rivoluzione tradita" (1936) il saggio per quel tempo più profondo e acuto sul sistema staliniano, non riuscì a cogliere fini in fondo i mutamenti intervenuti nei rapporti di produzione nell'URSS, specialmente in seguito alla collettivizzazione nelle campagne e all'industrializzazione accellerata. Egli continuò a ritenere che i rapporti fra le classi e le loro alleanze fossero quelli della fine degli anni '20 quando, a suo giudizio, la base sociale del blocco termidoriano era costituita dalla burocrazia, dai contadini ricchi e dai nuovi mercanti. Uno schema che risaliva ad una insistente affermazione di Lenin, secondo cui dalla piccola attività mercantile privata, in particolare contadina, si sarebbero riprodotte le basi per la rinascita e la restaurazione del capitalismo.
In realtà, a partire dalla fine del 1928, non vi fu alcuna alleanza fra burocrazia, contadini ricchi e mercanti. Il commercio privato fu praticamente abolito: i contadini ricchi furono "distrutti come classe", la massa dei lavoratori ridotta sotto una oppressione "militare-feudale", secondo la triste profezia di Bucharin. L'alleato fondamentale della burocrazia politica e amministrativa fu costituito invece dai dirigenti dell'industria e dell'economia e, subordinatamente, dai nuovi strati di tecnici e di aristocrazia operaia. Questo fu il nuovo blocco sociale dominante, termidoriano, se si vuole insistere nell'analogia storica: ed esso si formò nel corso tempestoso del 1° Piano quinquennale, parallelamente all'accellerata trasformazione repressiva e poliziesca del partito-Stato.
A Trotski non era sfuggito l'affermarsi di disuguaglianze e di privilegi nella dinamica della società sovietica. E tuttavia egli non colse il rapporto genetico fra la disuguaglianza e lo sviluppo del fenomeno burocratico. La burocrazia era per lui una sorta di escrescenza sociale, necessaria per la distribuzione dei consumi in una condizione di scarsezza di merci. Vedeva il pericolo di una restaurazione capitalistica nelle forme arretrate del capitalismo anarchico del mercato liberista. Non si rese conto che le modificazioni (comparse già al tempo della prima guerra mondiale e poi sviluppate e sperimentate fino a e dopo la grande crisi del '29) nel rapporto fra Stato ed economia in regime capitalistico - controllo attivo del mercato, politica di piano, nazionalizzazioni - avevano tolto ogni specificità socialista e proletaria alla proprietà statale dei mezzi di produzione, alla programmazione, alla politica di intervento anticongiunturale. Dimostrò eccessivo disprezzo per le idee di Bucharin sul "capitalismo organizzato": così gli sfuggì anche la sostanza restauratrice (e insieme "progressista", rispetto all'arretratezza della Russia) dell'industrializzazione accellerata. Nasceva allora una formazione economica, sociale e politica che era storicamente nuova. Il dramma di Trotski consistè nel non aver capito che quella formazione, senza riprodurre vecchie forme borghesi, era andata oltre Termidoro, aveva insomma perduto ogni stigmata operaia e socialista.
Sono in possesso di questo articolo fotocopiato, ma non si è in grado di risalire alla testata che lo ha pubblicato (sembrerebbe "Storia illustrata") ne alla data (all'incirca il 1988). L'autore è Aurelio Lepre. Chiunque possa aiutarmi a colmare queste lacune mi scriva, grazie!
Ovviamente, come sempre, nulla mi vieta di commentare e criticare, anche duramente, le affermazioni contenute negli articoli che pubblico sul sito. Questo articolo del signor Lepre non fa eccezione...
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(rubrica) Protagonisti
Dopo Nikolaj Bucharin anche Lev Trotzki verrà riabilitato?
Il profeta della rivoluzione
Fu il più convinto assertore della vittoria del proletariato. E il più duro antagonista di Stalin. Qual era il suo credo politico? Perché entrò in contrasto con la vecchia guardia marxista? E come mai ora torna alla ribalta?
La riabilitazione di Bucharin ha avuto un significato politico: alcune delle tesi da lui sostenute (sulla necessità di uno sviluppo economico più equilibrato della democrazia socialista) hanno, infatti, un forte sapore di attualità dell'URSS di Gorbaciov. Ma la riabilitazione di Trotzki, che comincia ad apparire anch'essa possibile nell'URSS di oggi, avrebbe, invece, un significato diverso. Nessun governo responsabile potrebbe, in realtà, rifarsi a quello che è l'elemento centrale dell'ideologia di Trotzki, cioè alla "rivoluzione permanente", intesa come necessario passaggio dalle rivoluzioni nazionali alla rivoluzione mondiale. E non esiste nemmeno, come riteneva invece Trotzki, un proletariato mondiale, senza il quale la "rivoluzione permanente" è impossibile. Tuttavia la riabilitazione di Trotzki, qualunque sia il giudizio che si voglia dare della sua attività ideologica e politica, resta una necessità per l'URSS: ignorando il ruolo che egli ha avuto nelle vicende del 1905, del 1917 e degli anni seguenti, o avendone una immagine deformata, il cittadino sovietico può conoscere solo una parte della storia dell'URSS o averne una visione fortemente falsata.
Lev Davidovic Bronstein, che sarebbe passato alla storia con il nome di battaglia di Trotzki, nacque il 26 ottobre 1879 (o, secondo il nuovo calendario, il 7 novembre), nella provincia di Cherson, in Ucraina, in una fattoria chiamata Janovka, che apparteneva al padre, David. David Bronstein era un ebreo non praticante, anzi indifferente verso la religione. Aveva raggiunto una certa agiatezza coltivando la terra e Lev, da bambino, cominciò a capire che le condizioni di vita dei poveri erano molto dure proprio osservando i contadini che lavoravano nella fattoria della sua famiglia.
Nel 1889 andò a studiare ad Odessa, dove rimase per sette anni. Nel 1896 si recò nella cittadina di Nikolaev per proseguire gli studi e lì entrò in contatto con un gruppo di studenti e operai di opinioni radicali. Fu un'esperienza molto importante, come avrebbe ricordato lui stesso nel 1937: nei quartieri operai di Nikolaev acquistò fede nella ragione, nella verità e nella solidarietà umana. Da quel momento l'apprendistato fu molto rapido. Già nel 1897 fondò un gruppo di opposizione operaia e nel 1898 fu arrestato. In carcere lesse molto e cercò di dare un fondamento teorico ad atteggiamenti di rivolta che all'inizio avevano avuto una radice soprattutto sentimentale. Ma i suoi primi contatti con le ideologie rivoluzionarie furono piuttosto confusi. Solo più tardi, come scrisse lui stesso, avrebbe trovato negli scritti di Marx, Engels e del russo Plechanov una conferma di quelle che, in prigione, gli erano sembrate soprattutto delle ipotesi da verificare. Al processo fu condannato alla deportazione in Siberia per quattro anni. Nell'esilio lesse la rivista Iskra (La scintilla), su cui scrivevano i maggiori rappresentanti del socialismo russo, e anche il Che fare? di Lenin, del quale già nel 1899 aveva letto un'altra importante opera, Lo sviluppo del capitalismo in Russia.
Nel 1902 Trotzki fuggì dalla Siberia e si recò a Londra per conoscervi Lenin. Lenin abitava allora, insieme alla moglie Nadezka Krupskaja, al numero 10 di Horfold square, in un modesto appartamento. I vicini ignoravano che sotto il nome del signor Richter, dalle apparenti abitudini piccolo-borghesi, si nascondeva quello che già allora era uno dei più noti e temuti rivoluzionari europei. Quando Trozki bussò rumorosamente alla porta, dopo aver detto al cocchiere che lo aveva portato a Horfold square di aspettarlo, la Krupskaja si affrettò ad aprire, prima che i vicini, disturbati dal rumore, potessero insospettirsi. Era ancora l'alba. Lenin, avrebbe ricordato poi la Krupskaja, "si era appena svegliato ed era ancora a letto. Li lasciai soli e me ne andai a pagare il cocchiere e poi a preparare il caffè. Quando tornai Ilic era sempre seduto sul letto, in conversazioni animate con Trotzki su un tema astratto".
Di conversazioni animate, e su temi assai concreti, se ne sarebbero svolte molte altre, tra Lenin e Trotzki. E vi sarebbero stati scontri molto duri. Ma anche periodi di intesa e fruttuosa collaborazione. Il fatto che gli storici dell'URSS debbano ancora oggi ignorare questi periodi per mettere l'accento solo sui contrasti impedisce ai sovietici, come si è detto sopra, di avere un'immagine chiara della loro storia (mia nota: l'autore dell'articolo sembra ignorare le mostruosità e le nefandezze commesse durante lo stalinismo, tra le quali la falsificazione sistematica della storia e dei fatti è solo uno degli aspetti di ciò che fu l'annientamento della rivoluzione e dei rivoluzionari...).
A Londra Trotzki cominciò a collaborare alla rivista Iskra, la cui redazione cominciava però a dividersi su alcuni importanti problemi. Le divisioni vennero alla luce nel 1903, a Bruxelles, al secondo convegno (mia nota: convegno o congresso?) del POSDR, il partito operaio socialdemocratico russo, in cui si delinearono anche altre questioni che, in seguito, avrebbero diviso i movimenti rivoluzionari. Ad esempio, quella della partecipazione degli ebrei. Al congresso (mia nota: oh, guarda, adesso è un congresso....), infatti, i delegati dell'organizzazione ebraica Bund chiesero di avere autonomia nel partito, con il diritto di eleggere un proprio comitato centrale. L'ebreo Trotzki, e anche un altro collaboratore ebreo dell'Iskra, Martov, si schierarono contro la richiesta del Bund, respingendo ogni forma di separatismo ebraico (mia nota: posizione più che giusta, addirittura ovvia...). Uno scontro più importante si ebbe tra l'intero gruppo dell'Iskra e i cosiddetti "economisti". I primi sostenevano il predominio della lotta politica rivoluzionaria, i secondi erano per il sindacalismo e le riforme.
Ma alla fine anche l'Iskra si divise: Lenin voleva che il partito fosse formato solo da coloro che militavano nella clandestinità; Martov, invece, voleva che fosse un'associazione più aperta. In quest'occasione Trotzki si schierò contro Lenin, a fianco di Martov, che ebbe l'appoggio dei delegati ebrei del Bund e degli "economisti". Era, però, una maggioranza eterogenea (mia nota: l'autore dell'articolo non ha scritto quale fosse la maggioranza. Lenin o Martov? Ma come scrive questo giornalista!), e quando fu il momento di eleggere i membri del comitato centrale (mia nota: si stava parlando dell'Iskra! Ora sembra che si parli del congresso del POSDR...Che stile chiaro e limpido!), vinsero i sostenitori di Lenin, che furono perciò detti bolscevichi ("maggioritari"), mentre i suoi oppositori furono chiamati menscevichi ("minoritari").
Si delineava così una prima, importante differenza fra Trotzki e Lenin. Questi voleva una centralizzazione di carattere giacobino del movimento rivoluzionario, sull'esempio di ciò che era avvenuto in Francia nel 1789. Trotzki la respingeva, attaccando Lenin con estrema violenza, anche sul piano personale (mia nota: in effetti ci furono toni accesi da parte di Trotski, un po' meno da parte di Lenin). Su quello politico, ne criticava ciò che definiva "sostituzionismo". Lenin, secondo Trotzki, stava cercando di formare un partito che "si sostituisse" alle classi lavoratrici. Per Trotzki il possesso della teoria proletaria marxista non poteva "sostituirsi" a un proletariato economicamente sviluppato. Se così fosse avvenuto, con il tempo l'organizzazione del partito si sarebbe "sostituita" al partito, il comitato centrale all'organizzazione del partito e infine il dittatore si sarebbe "sostituito" al comitato centrale.
Alla luce di ciò che è avvenuto nelle società socialiste, non si può certo dire che le previsioni di Trotzki fossero infondate. In realtà, già allora egli mostrava di possedere spiccate capacità di analisi, alle quali non si accompagnava una analoga capacità di fare concretamente politica, in modo da influire su quei processi di cui prevedeva gli approdi negativi. Era, come è stato definito da Isaac Deutcher, il suo maggiore biografo, "un profeta".
Sebbene continuasse a essere considerato un menscevico, Trotzki si distaccò da loro già nel 1904. Nello stesso anno conobbe le tesi di Parvus (pseudonimo di Aleksandr Helphand), il quale sosteneva che lo stato nazionale, così come si era venuto formando nel capitalismo, era ormai un'istituzione superata e che lo sviluppo economico mondiale avrebbe portato a una sollevazione rivoluzionaria proprio in un Paese, come la Russia, che sul piano economico era più arretrato di altri Paesi europei. Erano, allora, tesi eretiche per il marxismo ortodosso, che legava ancora la rivoluzione allo sviluppo economico. Trotzki ne fu fortemente e favorevolmente colpito.
La rivoluzione russa del 1905 sembrò dar ragione a Parvus. Trotzki tornò a Pietrogrado e diventò il rappresentante dei menscevichi nel Soviet, il nuovo organo di governo formato dalle forze rivoluzionarie. Ma la rivoluzione fu sconfitta e il 3 dicembre il Soviet venne sciolto dalla polizia. Quando un ufficiale entrò nella sala in cui il Soviet teneva quella che sarebbe stata la sua ultima riunione e annunziò di essere venuto ad arrestare i suoi dirigenti, Trotzki lo interruppe dicendogli: "Per favore, non disturbate l'oratore. Se desiderate la parola, date il vostro nome e chiederò all'assemblea se acconsente ad ascoltarvi". L'ufficiale rimase perplesso, temendo una reistenza armata, e aspettò. Ma quando, infine, poté leggere ("a scopo informativo", precisò Trotzki) l'ordine di arresto, Trotzki propose ironicamente che se ne prendesse atto e fosse posto all'ordine del giorno. Poi lo espulse dalla sala e l'ufficiale dovette tornare alla testa di un plotone di soldati. E' un episodio che mostra, insieme, il senso dell'umorismo di Trotzki e la sua propensione a gesti teatrali.
Nuovamente imprigionato, Trotzki rifletté in carcere sugli avvenimenti del 1905, arrivando a una prima formulazione della teoria della "rivoluzione permanente". In polemica con i marxisti tradizionali, i quali ritenevano che i socialisti avrebbero potuto conquistare il potere in Russia solo quando vi si fosse realizzata una moderna società capitalista, Trotzki si convinse che il proletariato russo, grazie alla sua preparazione politica, avrebbe potuto condurre la rivoluzione russa fino alla fase socialista, anche prima che la rivoluzione fosse cominciata in Occidente. Su questo punto si sarebbero trovati d'accordo con lui, nel 1917, tutti i rivoluzionari russi. Ma Trotzki credeva anche che la classe operaia sarebbe stata incapace di mantenersi al potere senza l'appoggio del proletariato europeo.
Processato per i fatti del 1905, Trotzki fu nuovamente deportato in Siberia, per dove partì il 5 gennaio 1907. Ma ne fuggì ancora una volta e riprese la sua lotta all'estero, a Londra, a Berlino, a Vienna. Nel 1912 fu di nuovo contro Lenin, quando questi proclamò che la frazione bolscevica costituiva ormai l'intero partito. Nel 1913 conobbe Stalin. Già allora i due provavano una reciproca avversione. A Trotzki Stalin appariva "torvo, ostile, chiuso". Per Stalin, lui era "un semplice atleta vanaglorioso, con falsi muscoli".
Nel 1914 lo scoppio della prima guerra mondiale pose nuovamente all'ordine del giorno la questione della rivoluzione. Trotzki ripropose le sue tesi: il proletariato non doveva difendere una ormai anacronistica patria nazionale, ma crearsene una nuova negli Stati Uniti d'Europa, prima tappa per la creazione degli Stati Uniti del mondo sul fondamento di un'organizzazione socialista dell'economia mondiale. La rivoluzione doveva cominciare su base nazionale ma, data l'interdipendenza economica e politico-militare degli stati europei, non poteva concludersi su quella stessa base. Riaffermava, perciò, la necessità della "rivoluzione permanente": le rivoluzioni nazionali dovevano trasformarsi in rivoluzione mondiale. Non credeva nemmeno, diversamente da Lenin, che una disfatta militare avrebbe potuto favorire la rivoluzione.
Ma nel 1917 la rivoluzione in Russia scoppiò proprio in conseguenza della disfatta. Trotzki, che era negli Stati Uniti, rientrò in Russia. Sebbene non fosse ancora un bolscevico Lenin gli concesse piena fiducia. Gli altri bolscevichi, invece, lo guardavano con sospetto per le aspre polemiche che li avevano divisi negli anni precedenti: il 4 agosto rifiutarono di accoglierlo nelle loro file e solo in settembre vi venne tacitamente ammesso. I giorni che prepararono l'insurrezione del 7 novembre videro Trotzki svolgere un intenso lavoro di organizzazione e propaganda. I suoi discorsi, come disse un testimone, erano ascoltati in uno stato d'animo "assai prossimo al delirio estasiato". I suoi ordini diedero l'avvio all'insurrezione. "Quei giorni e quelle notti", ha ricordato la seconda moglie di Trozki, Natalia Sedova, che li visse accanto a lui, "mi hanno lasciato il ricordo di un lucido delirio. Tante cose accadevano e si accavallavano, che in seguito fu molto difficile ristabilire un po' alla volta l'ordine degli avvenimenti, le presenze, la parte che ciascuno aveva avuto in quell'azione così complessa".
Dopo la conquista del potere Trotzki diventò commissario agli esteri (mia nota: i bolscevichi rifiutarono, giustamente, il vecchio e pomposo termine di "ministero" e adottarono quello di Commissariato del Popolo: quindi Trotzki fu nominato, più esattamente di quanto scriva il giornalista, commissario del popolo agli affari esteri). Il compito più difficile dovette affrontarlo trattando, a Brest-Litovsk, la pace con i tedeschi. Non era facile, per i rivoluzionari russi, accettarne le dure condizioni. D'altra parte, essi non erano nemmeno in grado di continuare la guerra. Trotzki assunse una posizione che avrebbe dovuto conciliare le due esigenze: "Ci ritiriamo dalla guerra e ne diamo l'annuncio a tutti i popoli e a tutti i governi", proclamò. Ma, aggiunse, "non possiamo mettere la firma della rivoluzione russa sotto un trattato di pace che porta oppressione, dolore e disgrazie a milioni di esseri umani". Una posizione del genere sarebbe stata sostenibile solo se anche il proletariato tedesco fosse insorto. Ma ciò non avvenne e l'esercito tedesco riprese la marcia verso oriente. Lenin allora decise di accettare la pace a qualsiasi condizione e alla fine anche Trotzki fu d'accordo.
Negli anni seguenti Trotzki impiegò tutte le sue forse nella lotta contro le truppe dei generali "bianchi". Come commissario (del popolo) alla guerra (mia aggiunta: "incarico a cui fu nominato subito dopo") riorganizzò l'esercito, che volle fortemente centralizzato e disciplinato. Per rafforzarlo si servì anche dei generali zaristi. L'esercito non sarebbe dovuto servire per esportare la rivoluzione. Ma, pur rifiutando la tesi di una rivoluzione da attuare mediante la conquista armata, Trotzki continuò a ritenere che il proletariato europeo sarebbe insorto contro i governi capitalistici e che la "rivoluzione permanente" si sarebbe realizzata.
Negli anni 1919-'20, dopo avere affermato che occorreva restituire ai contadini una certa libertà economica di fronte all'aggravamento delle loro condizioni di vita, si convinse che era necessario ricorrere alle misure più estreme. Isaac Deutscher ha cercato di giustificarlo scrivendo: "Poiché il partito aveva rifiutato di attenuare i rigori del comunismo di guerra non restò che aggravarli". Non è una spiegazione molto convincente. (mia nota: la spiegazione di Deutscher non è convincente, ma bisogna anche considerare che, nella realtà, molti contadini svolgevano effettivamente un ruolo reazionario accantonando derrate e prodotti. Le requisizioni forzate furono un dramma ma, come spesso accade nelle situazioni di conflitto, furono commessi degli abusi e delle angherie).
Trotzki, in realtà, fronteggiò il pericolo del collasso economico e della controrivoluzione adottando con convinzione, almeno apparente, gli stessi duri strumenti voluti da Lenin e da Stalin. Fu lui, del resto, a piegare o piuttosto, come disse lui stesso, a "schiacciare" la rivolta di Kronstadt (mia nota: la determinazione estrema dei bolscevichi, e di Trotzki, a trattare gli insorti di Kronstadt unicamente come "controrivoluzionari" fu sicuramente eccessiva ma bisogna pur tuttavia dire, una volta per tutte, che a Kronstadt, insieme ad anarchici e rivoluzionari che volevano il ripristino del potere effettivo dei soviet in opposizione alla dittatura del partito unico, c'erano anche effettivamente molti controrivoluzionari e reazionari autentici che giocavano uno sporco ed ambiguo ruolo nel tentativo di destabilizzare il potere bolscevico).
La stella di Trotzki cominciò a offuscarsi subito dopo la fine della guerra civile. Trotzki non si adattò facilmente ai compiti non meno importanti ma certamente molto meno esaltanti della difficile costruzione di una nuova società. Un dirigente bolscevico, Lunaciarski, notò alcuni significativi aspetti del suo carattere, facendo un paragone con Lenin. Lenin "non pensa mai a ciò che diranno i posteri"; Trotzki "tiene estremamente al suo ruolo storico" e sarebbe pronto a sacrificare la sua stessa vita "per restare nella memoria dell'umanità con l'aureola del capo rivoluzionario tragico".
Nelle situazioni in cui era possibile il gesto eroico (qualche volta anche quello teatrale), come le rivoluzioni del 1905 e del 1917 e la guerra civile, Trotzki fu protagonista. Quando si trattò di lavorare in maniera più oscura, insieme con gli altri, si sentì a disagio e, nello sforzo di continuare ad affermare la sua personalità, tese a isolarsi.
Nel 1923 si trovò in contrapposizione a tutta la vecchia guardia bolscevica. Fu contro Bucharin, che voleva lasciare un po' di respiro alla gente, dopo tanti sacrifici e sofferenze, facendo sviluppare l'agricoltura e l'industria leggera, mentre Trotzki era per lo svilupo accellerato dell'industria pesante. Fu anche contro Stalin, Zinov'ev e Kamenev, anch'essi consapevoli di non poter puntare, per il momento, su un'intensificazione dello sforzo economico, per il suo costo sociale troppo elevato. Ma il punto di maggior dissenso fu quello della possibilità di costruire il socialismo in un solo Paese. Trotzki restò in minoranza, sia nel partito che nel Paese.
Negli anni seguenti si impegnò a fondo nella lotta culturale Combattè la Proletkult che proclamava la necessità di una scienza e di un'arte proletaria. In Trotzki, come del resto in Lenin, non c'era nessuna idealizzazione del proletariato. Non riteneva che la conquista del potere fosse sufficiente a trasformare la classe operaia. Le offriva solo la possibilità di apprendere, di liberarsi dal sapere approssimativo e dalla scarsa competenza. Non poteva esistere, perciò, un'arte proletaria. L'arte, affermava Trotzki, doveva trovare la sua strada al di fuori del controllo del partito comunista. Anche lui, però, come gli altri capi bolscevichi, era favorevole alla censura, sia pure vista come una necessità temporanea, legata alle esigenze del più difficile periodo iniziale della rivoluzione, in attesa che "il proletariato vincesse durevolmente nei più potenti Paesi dell'occidente". Secondo Trotzki non si dovevano trasferire le concezioni proprie di una scienza sociale, qual era il marxismo, in altri campi scientifici. Per esempio, alcuni scienziati materialisti guardavano con scetticismo alla possibilità di scindere l'atomo, perché ritenevano la radioattività fondata su premesse antimaterialistiche. Trotzki era di diverso parere: "il massimo compito dei fisici contemporanei è di estrarre dall'atomo la sua energia latente, aprire una breccia da cui tale energia sprizzi con tutta la sua forza. Allora si potranno sostituire il carbone e il petrolio con l'energia atomica, che diventerà il nostro principale combustibile e forza motrice". Anche in questo, era un profeta.
Nel 1926, di fronte all'alleanza tra Stalin e Bucharin, Zinov'ev e Kamenev si riavvicinarono a Trotzki e diedero vita a un'alleanza "si sinistra" contro il nuovo gruppo dirigente che si era raccolto intorno a Stalin e Bucharin. Nel 1927 l'opposizione diede battaglia su questioni internazionali e interne.
Già nel 1919 Trotzki aveva sostenuto che la rivoluzione, fermata in occidente, avrebbe potuto trovare una nuova direttrice d'espansione a oriente. Nel 1927 la sinistra sostenne che i comunisti cinesi, abbandonando ogni tentativo di allearsi con il Kuomintang di Chaing Kai-shek, dovevano sviluppare la rivoluzione socialista anche in Cina. All'interno, chiese una lotta decisa contro un indirizzo economico che considerava favorevole alla rinascita di elementi capitalistici Il gruppo dirigente reagì con durezza. Trotzki lo accusò, riprendendo il paragone con la rivoluzione francese del 1789 che gli era sempre stato caro, (mia aggiunta: con l'accusa) di "degenerazione termidoriana". Lo scontro si fece sempre più acuto e i capi dell'opposizione furono espulsi dal partito. Quando, più tardi, Stalin, con una delle sue tipiche "svolte", adottò i metodi di industrializzazione che erano stati chiesti proprio dalla sinistra, Trotzki si trovò nuovamente isolato, perché Zinov'ev e Kamenev si riavvicinarono a Stalin.
Nel novembre del 1927 Trotki fu espulso dal partito comunista dell'Unione Sovietica. Nell'anno seguente fu deportato ad Alma Ata, che la moglie di Trotzki ricorda come un grosso villaggio, "senza fogne, senza luce, abbandonato alla miseria degli indigeni, alla malaria e a tutte le malattie dell'Asia centrale". Da Alma Ata Trotzki cercò di mantenere i contatti con i suoi amici, ma in condizioni sempre più difficili. Nel gennaio 1929 ricevette l'ordine di espulsione dall'URSS
La prima tappa del suo esilio fu a Prinkipo, un isolotto posto di fronte a Istambul, dove il governo turco gli concesse ospitalità (altri governi si erano rifiutati di accoglierlo). A Prinkipo svolse un'intensa attività intellettuale. Scrisse un'autobiografia e una storia della rivoluzione russa (nel 1930 fu pubblicata a Berlino anche una sua opera sulla rivoluzione permanente, che aveva però scritto ad Alma Ata). Uno studioso italiano, Vittorio Strada, ha riportato le origini di queste due opere alla concezione autobiografica e drammatica che Trotzki ebbe della storia e del ruolo che vi recitava dopo la sconfitta e l'espulsione dall'URSS: quello, a lui congeniale, del "cavaliere errante (e perseguitato) di una rivoluzione immaginaria". Per Trotzki era molto importante la costruzione di "un'autobiografia perfetta" e quindi di una "sua" interpretazione della "sua" rivoluzione d'ottobre (mia nota: curiose queste affermazioni dell'"ortodosso" Vittorio Strada, a cui andrebbero ricordate le ben più oscene e rivoltanti "interpretazioni storiche" di osservanza stalinista, tra cui il famoso Breve corso di storia del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, pubblicato da L'unità nel secondo dopoguerra). A Prinkipo comunque nutrì ancora qualche speranza di rientrare nel gioco politico. Nel 1929, infatti, si ebbe la frattura tra Stalin e la destra di Bucharin. Stalin riprese e, anzi, portò all'estremo alcune tesi sostenute dalla sinistra. Ma l'atteggiamento di Stalin verso Trotki non cambiò ne, del resto, cambiò quello di Trotzki verso Stalin.
In quegli anni Trotzki sembrò rivedere alcune sue idee. Per la politica interna dell'URSS espresse forti riserve sulla durissima linea adottata da Stalin contro i contadini. Sul piano europeo, pur riaffermando la sua fedeltà alla "rivoluzione permanente", criticò, negli anni che precedettero la conquista del potere da parte di Hitler, la linea antisocialdemocratica del partito comunista tedesco e dell'Internazionale comunista. Nel 1935 e nel 1936 fu contro i Fronti popolari e condannò il tentativo dell'URSS di fronteggiare il nazismo attraverso alleanze con i governi borghesi e attraverso la Lega delle nazioni. Scondo Trotzki L'Unione Sovietica non avrebbe potuto vincere una futura guerra senza trasformarla in rivoluzione: "Se non viene paralizzato da una rivoluzione in occidente", affermò, "l'imperialismo spazzerà via il regime nato dalla rivoluzione d'ottobre". Era un grave errore di valutazione. Come tutti i profeti Trotzki alternava momenti di grande lucidità con momenti di totale annebbiamento.
I processi che si svolsero nell'URSS dal 1936 al 1938 videro come rpicnipale imputato un assente: Lev Davidovic Trotzki. Tra le accuse rivolte ai Zinov'ev, Kamenev e Bucharin quella di "trotzkismo" fu considerata la più grave. Nel gennaio del 1937 Trotki prese dimora in Messico, a Coyoacàn, un sobborgo della capitale.
L'attacco di SDtalin a Trotki divise gli intellettuali, che però si schierarono in massima parte contro di lui. Nell'URSS si schierarono contro Trotzki, tra gli altri, Gorkj, Sholokov ed Ehrenburg; negli USA Theodor Dreiser e Paul Sweezy; in Francia Aragon, Barbusse e Romain Rolland. Trotzki rispose chiedendo la formazione di una commissione d'inchiesta che fu presieduta dal filosofo americano John Dewey. Le sue sedute furono per Trotzki, nel 1937, un'importante tribuna per difendersi dalle accuse, ma il verdetto favorevole della commissione ebbe scarsa eco in Europa. Nel 1938 Trotzki si adoperò per fondare la quarta Internazionale. I suoi seguaci ormai erano pochissimi, ma egli credeva che la guerra avrebbe fatto crollare, oltre al fascismo, anche i partiti della seconda e della terza Internazionale. Anche questa si sarebbe rivelata una previsione errata.
Nello stesso 1938 una trotzkista americana, Sylvia Agelof, conobbe un uomo che si presentò come Jacques Mornard, figlio di un diplomatico belga, ma che in realtà era un agente della polizia segreta dell'URSS. Attraverso di lei Mornard riuscì ad avere accesso alla casa di Trotzki. Il 20 agosto 1940 si recò da lui con il pretesto di fargli leggere un suo articolo. Mentre Trotzki leggeva il dattiloscritto, Mornard lo colpì alla testa con una piccozza che nascondeva sotto l'impermeabile. Il giorno dopo Trotzki morì.
Alla luce di ciò che
si è detto sopra può sembrare che il pensiero di
Trotzki sia di scarsa attualità. Un suo studioso, Baruch Knei-Paz, ha scritto
che Trotzki appare "un lupo solitario in ampo politico come in quello teorico,
praticamente per tutto il corso della sua vita". Ma
lo stesso Keni-Paz ha affermato che la teoria della "rivoluzione permanente"
costituisce una teoria della rivoluzione socialista applicabile, in
modo specifico, alle società arretrate (in fondo lo stesso Mao Dzedong,
che ha sempre proclamato la sua ortodossia marxista-leninista, nella sua
attività concreta si è rifatto più a Trotzki che a Stalin). Il fatto che la
rivoluzione oggi appaia sempre più legata all'arretratezza rende utile la
rilettura degli scritti di Trotzki. Una critica a fondo dello stalinismo,
inoltre, non può essere compiuta senza tener conto delle posizioni di Trotzki,
che fu il più duro e coerente antagonista di Stalin. Infine, ci sono molte sue
analisi che gettano luce non soltanto sulle vicende degli anni in cui visse
Trotzki, ma anche sui nostri. Egli capì che la costruzione del socialismo in un
solo Paese conteneva in germe il pericolo di un nuovo espansionismo russo e capì
anche che, senza la rivoluzione in occidente, sarebbe stato molto difficile
realizzare il sogno di Marx di una società che fosse non solo più
giusta, ma anche più libera.
***
Dal sito
http://www.trotsky.it la
biografia, anche se in parte ricalca cose che già appaiono in questa stessa
pagina:
Lev
Davidovic Bronstein
nacque il 26 ottobre 1879 nel villaggio di Yanovka (oggi Bereslawka), nella
provincia di Kherson (Ucraina meridionale).
Suo padre, David Leont'evich Bronstein (1847-1922), e sua madre, Anna
L'vovna Zhivotovskaia (1850?-1910), erano agricoltori
di origine ebraica e provenivano dalla provincia di Poltava.
I genitori possedevano una fiorente fattoria
nella quale lavoravano e dove Lev, in famiglia
soprannominato Liova, quinto di otto figli (di cui quattro deceduti in
tenera età), visse fino all'età di nove anni. Dei suoi fratelli: Aleksandr
Davidovich Bronstein (1870-1938) verrà fucilato e
riabilitato solo nel 1956; Elizaveta Davidovna Bronstein (1875-1924), sposerà
Lev Naumovich Meilman e perirà in seguito ad una malattia; Ol'ga Davidovna
Bronstein (1883-1941), prima moglie di Lev Kamenev, sarà giustiziata per ordine
di Stalin.
Dal 1888 al 1895 Lev si spostò ad Odessa, accolto in
casa di un nipote della madre, Moissei Filipovic Spentzer, per poter frequentare
il ginnasio del Collegio San Paolo, facendo ritorno a Yanovka solo per le
vacanze estive.
Nell'estate del 1896 si trasferì a Nikolajev per iscriversi all'anno di scuola
preparatoria per l'università: all'età di diciassette anni la sua massima
aspirazione era quella di essere ammesso all'ateneo
per dedicarsi allo studio della matematica. In questo periodo il giovane
si imbattè per la prima volta nelle dottrine
rivoluzionarie: i figli della sua affittacamere furono i primi a introdurlo nel
gruppo di un eccentrico giardiniere di nome Shvigovski, presso il quale si
riunivano i giovani rivoltosi della città.
Le tesi politiche dibattute erano alquanto nebulose e semplicistiche;
prevalevano i populisti mentre i pochi marxisti erano rappresentati da
Aleksandra Lvovna Sokolovskaya, futura moglie di Trotsky.
Nel 1897 il
giovane Bronstein ottenne la licenza liceale a pieni voti e poté iscriversi alla
facoltà di matematica dell'Università di Odessa, con
grande disappunto del padre che avrebbe preferito un indirizzo più
considerevole. Questo dissenso portò Lev a rifiutare gli assegni di mantenimento
del padre ed a provvedere il proprio sostentamento
dando ripetizioni private. Nel mondo universitario entrò in contatto con altri
circoli rivoluzionari ed ebbe modo di reperire testi
e giornali clandestini che migliorarono la sua preparazione politica.
Già alla fine di quel anno fondò un'organizzazione
clandestina vera e propria: L'Unione operaia della Russia meridionale. Il
gruppo contò in poco tempo circa duecento iscritti e stabilì contatti con gli
ambienti culturali di Odessa e con il mondo del lavoro di Nikolajev, arrivando
ad avere propri rappresentanti nelle fabbriche e negli scali. L'attività
dell'Unione era concentrata sulla denuncia delle iniquità, giudicate da un punto
di vista che oscillava tra marxismo e populismo. Le delazioni del movimento
venivano diffuse da volantini e da un giornale
clandestino, Il Nashe Delo (La nostra causa), scritto, ricopiato e
ciclostilato esclusivamente dal giovane Bronstein.
La polizia riuscì a risalire in poco tempo al gruppo di ragazzi a capo
dell'organizzazione che furono tutti arrestati (1898). Il diciannovenne Lev
Davidovic scontò un anno di pena in cella di
isolamento prima di essere trasferito tra i detenuti comuni del carcere di
Odessa per un ulteriore anno e mezzo. In seguito trascorse sei mesi in un
carcere di Mosca prima di essere deportato in Siberia.
Il primo periodo
della detenzione in isolamento fu particolarmente duro: rinchiuso per tutto il
tempo in una cella non riscaldata e infestata di parassiti, non poteva ne
lavarsi ne cambiarsi la biancheria, ne leggere e scrivere. Per non impazzire
tenne la mente occupata nel comporre canzonette popolari, alcune delle quali
saranno trascritte anni più tardi. Durante la
prigionia a Mosca, nella primavera del 1900 Lev sposò Aleksandra Lvovna
Sokolovskaya (1872-1938?) e ottenne di poter affrontare con lei il confino di
quattro anni a Verkholensk, sulle montagne del lago Bajkal (Siberia orientale).
Da questo matrimonio nacquero due figlie, Zanaida (1901-1933) e Nina
(1902-1928).
Il giovane
rivoluzionario entrò in contatto con i membri locali del Partito
Socialdemocratico russo del lavoro (Posdr) e cominciò a scivere per la
Rivista dell'Est con lo pseudonimo di Antid Odo (dalla parola
italiana antidoto). Nell'esilio siberiano ricevette una profonda impressione
dalla prima lettura di un opera di Lenin Che fare?.
Alcuni mesi dopo decise di fuggire. Nell'estate del 1902, con la complicità
della moglie, rimasta nel campo con le due figlie, Lev evase dirigendosi verso
occidente sotto la falsa identità di
Leon Trotsky, dal nome di un suo vecchio carceriere di Odessa (la
traslitterazione corretta del russo Троцкий è Trockij, ma il nome con cui egli
si firmò in tutti i propri scritti in alfabeto latino
è Trotsky, è perciò quest'ultimo con cui lo si designa universalmente).
La sua prima
destinazione fu Samara sul Volga, ma Lenin, a cui
erano giunte notizie delle grandi capacità del giovane, lo invitò presso di sé a
Londra dove l'evaso giunse nell'ottobre 1902. Egli entrò subito a far parte
della redazione dell'Iskra, mettendosi in mostra per il suo acume straordinario
e guadagnandosi il nomignolo di Pirò (Penna). Il suo
operato ottenne l'apprezzamento incondizionato di Lenin il quale,
ritenendolo indispensabile per il giornale, ottenne di renderlo membro
permanente portando il numero degli effettivi da sei a sette. Così facendo Lenin
sperava di contrastare la predominanza decisionale dei tre membri "anziani",
Vera Zasulich, Axelrod e Plechanov; il giudizio di quest'ultimo, avendo diritto
al doppio voto, risultava essere costantemente
vincolante. Trotsky scrisse instancabilmente su ogni numero dell'Iskra, mettendo
in mostra la sua bravura di giornalista, e tenne numerosi discorsi pubblici di
grande successo, confermandosi un oratore formidabile. Gli esponenti del Posdr
lo inviarono a far propaganda negli ambienti degli immigrati russi a Bruxelles,
a Liegi e a Parigi, dove nel 1903 conobbe colei che sarebbe diventata la sua
seconda moglie e la compagna di tutta la vita: Natalia Ivanovna Sedova
(1882-1962), una giovane rivoluzionaria che aveva studiato storia dell'arte alla
Sorbona.
Il matrimonio con Aleksandra Sokolovskaya si sciolse di comune accordo
ed i due continuarono a mantenere un ottimo rapporto
per tutta la vita. Dall'unione con Natalia Sedova, nacquero due figli maschi,
Lev (1906-1938) e Sergei (1908-1937).
In quello stesso
anno, al II° congresso del Posdr , in seguito alla
spaccatura del partito in bolscevichi e menscevichi, il giovane Lev si schierò
decisamente con questi ultimi, entrando in polemica infuocata con Lenin. Solo
molti anni dopo egli capì le ragioni del capo dei
bolscevichi, che intendeva estromettere dall'Iskra i tre anziani, a suo giudizio
incapaci di essere al servizio della rivoluzione. Tutta la faccenda della
divisione del partito era sembrata fino a quel momento di carattere del tutto
personale, più che una divergenza politica profonda. Perciò Trotsky si allineò
tranquillamente con i menscevichi, sicuro che la frattura si sarebbe ricomposta.
In seguito però l'acuirsi delle divergenze tra i due schieramenti portò gli
stessi alla rottura insanabile sulle questioni fondamentali. Man mano che i
menscevichi si spostarono su posizioni sempre più moderatamente riformiste, in
antitesi al radicalismo rivoluzionario dei bolscevichi, Trotsky aumentò il
proprio dissenso verso queste scelte e, nel settembre 1904, annunciò la sua
rottura dall'ala menscevica del partito con una lettera aperta all'Iskra.
Da Ginevra, dove
era stata trasferita la redazione dell'Iskra, Lev Bronstein si spostò a Monaco
prima di intraprendere la strada del ritorno in Russia nel febbraio 1905
insieme a Natalia Sedova, sull'onda dei moti
rivoluzionari che stavano attraversando l'impero zarista. Nel gennaio di quell'anno
infatti si verificò nel paese il primo tentativo di insurrezione contro
il potere centrale, scatenata dalla feroce repressione da parte delle autorità
di una manifestazione di lavoratori a San Pietroburgo ("la domenica di sangue").
Trotsky, sotto
il falso nome del militare a riposo Arbuzov e poi del magnate Vikentiev, lavorò
incessantemente alla stesura di opuscoli e volantini, acquistando in breve tempo
grande notorietà. Il 1° maggio la polizia arrestò durante una manifestazione sua
moglie, per sfuggire alla cattura Lev dovette rifugiarsi in Finlandia. Il 14
giugno 1905 si verificò l'ammutinamento clamoroso
della corazzata Potiomkin, seguito da quello di altre due navi della marina
russa, ma l'iniziativa rivoluzionaria arrivò rapidamente a subire una battuta
d'arresto, sotto l'azione tenace della repressione, e la situazione sembrò
evolvere per la trattazione di un certo numero di riforme. Trotsky rientrò a
Pietroburgo in ottobre proprio quando gli operai riaccesero la protesta. La
nuova offensiva portò allo sciopero generale, cominciato dai tipografi, al quale
aderirono 750.000 ferrovieri. La nazione venne
paralizzata completamente quando l'astensione dal lavoro coinvolse anche i
commercianti, gli impiegati ed i mezzi di trasporto urbani. Nella necessità di
dotarsi di un nucleo direttivo per il coordinamento delle azioni di lotta, gli
scioperanti cominciarono ad eleggere dei delegati che
avrebbero formato dei consigli direttivi. Fecero la loro comparsa così i primi
organi rappresentativi delle masse lavoratrici russe: i Soviet.
I menscevichi
appoggiarono la creazione dei soviet e in quello di Pietroburgo Trotsky occupò
da subito un posto di rilievo. Nei primi mesi presidente del soviet della
capitale fu l'avvocato Krustalev-Nossar, ma il ruolo di Lev Bronstein, si rivelò
fondamentale per dirigere l'assemblea. Grazie alle sue capacità di saper
percepire l'evolversi della situazione politica, fu il primo a profetizzare che
riforme contenute nel Manifesto del 17 ottobre, sarebbero state facilmente
disilluse. D'altro canto, giudicate inadeguate le forze sulle quali i rivoltosi
avrebbero potuto contare, suggerì ed ottenne che il
movimento adottasse una tattica di lotta moderata, basata sopra tutto su azioni
di disturbo e su ritirate strategiche.
Questo condotta era l'unica strada percorribile
nell'incerta situazione del 1905, in quanto ancora era assente sia l'elemento
che avrebbe sostenuto la rivoluzione del 1917, cioè l'appoggio dell'esercito,
sia il coinvolgimento delle masse contadine, le quali erano invece rimaste
escluse dal movimento. Il 19 ottobre Trotsky stesso suggerì l'interruzione dello
sciopero generale. Tre giorni dopo lo zar fece arrestare il presidente
Kustalev-Nossar ed altri esponenti del Consiglio. Il
Soviet, su indicazione di Trotsky, rinunciò a rappresaglie immediate e riprese i
suoi lavori, sotto la sorveglianza della polizia, dopo aver nominato un
presidium di tre persone, Trotsky, Sverchkov e Zlydniev. I rivoluzionari
attuarono la strategia del "boicottaggio finanziario" contro lo zar,
rifiutandosi di pagare le tasse, ritirando i depositi dalle banche ed esigendo
solo oro per i pagamenti. Per l'occasione venne
compilato il "Manifesto finanziario" nel quale si annunciava il proposito di
scompigliare il regime tagliando le entrate, constatata l'impossibilità di
ricorrere alle armi.
Il pomeriggio del 3 dicembre 1905 la polizia, penetrata in forze nella sala di
riunione, arrestò tutti i membri dell'esecutivo del soviet. Questa iniziativa
delle autorità scatenò una violenta reazione popolare, soprattutto a Mosca, dove
si combatté sulle barricate per dieci giorni. L'insurrezione
venne soffocata e una serie di spedizioni punitive, volute dal nuovo
primo ministro Stolypin, mirarono a scoraggiare qualsiasi ulteriore tentativo di
rivolta. Al processo dei membri del soviet assistettero soltanto un centinaio di
persone, ma lo scontro in aula fu quanto mai duro. Il 5 gennaio 1907 Trotsky,
insieme ad altri quattordici delegati, iniziò il
viaggio verso la deportazione a vita in Siberia. Il luogo prescelto per la
detenzione era particolarmente ostico: si trattava di Obdorsk, un piccolo
insediamento nella tundra gelida del circolo polare artico, raggiungibile solo
con le renne. Mentre il treno percorreva il territorio di Berezov, ultima parte
del viaggio su rotaia, Lev Davidovic si gettò dal convoglio iniziando così
una avventurosa fuga attraverso la Siberia. Il
fuggitivo raggiunse la moglie a Pietroburgo e partì con lei alla volta di
Londra.
Nell'aprile 1907 partecipò al congresso del Posdr, che si tenne nella capitale inglese, dove espose per la prima volta la sua teoria della "Rivoluzione permanente". Dopo il congresso, con la moglie ed un figlio neonato, si trasferì prima a Berlino, poi a Vienna dove visse sette anni di tranquilla vita familiare e di intensa attività culturale. Frequentando i caffè e le case dei più prestigiosi rappresentanti degli ambienti intellettuali mitteleuropei, ebbe modo di conoscere uomini come Bebell, Kautskij, Adler, Renner e Hilferding. Nell'ottobre 1908 lanciò un giornale rilevato da un gruppo menscevico ucraino, rinominato Pravda (in russo: Verità) a cui diede subito una nuova linea editoriale ed una vasta tiratura.
Il primo numero della Pravda uscì a Vienna il 3
ottobre 1908. Lo staff editoriale iniziale fu formato, oltre che da Trotsky,
dagli intellettuali Victor Kopp, Adolf Joffe e Matvey
Skobelev. Questi ultimi due, discendenti da famiglie benestanti, erano anche i
finanziatori del progetto.
Il quotidiano
provò più volte a rappresentare un punto di incontro
tra le diverse correnti del partito socialdemocratico. Per il suo linguaggio
vivace e comprensibile, la Pravda, introdotta clandestinamente in Russia per
sfuggire la censura del governo zarista, divenne
presto molto popolare.
Nel gennaio 1910 il comitato centrale del partito in riunione plenaria, votò il
finanziamento del giornale che divenne l'organo ufficiale del RSDLP. Nel
tentativo di risolvere le controversie interne tra le fazioni, Lev Kamenev,
esponente di spicco del gruppo bolscevico, fu invitato alla collaborazione
editoriale nel giornale, ma pochi mesi dopo (agosto 1910), essendo tramontata
ogni ipotesi di riconciliazione, si tirò indietro dall'incarico. Nello stesso
periodo in cui la Pravda di Trotsky cessò le sue pubblicazioni, uscì a
S.Pietroburgo il primo numero della nuova Pravda dei
bolscevichi (22 aprile 1912), che, pubblicato legalmente sotto la rigida censura
del governo, divenne l'organo di stampa del neonato partito bolscevico.
Trotsky continuò a scrivere anche per altri giornali articoli non
solo politici ma anche letterari ed artistici.
Nonostante i proventi derivati dai suoi lavori venissero
interamente utilizzati per finanziare la Pravda, quest'ultima, per mancanza di
fondi, spesso si trasformò da quindicinale a mensile o bimestrale.
Nel settembre 1912 Lev partì come corrispondente della Guerra dei Balcani
(1912-1913) per il Kievskaia Mysl' (Pensiero di Kiev) e per altri
periodici. La nuova attività di reporter lo appassionò totalmente mettendolo in
luce tra le più considerevoli firme del giornalismo europeo; ma il clima di
guerra che si apprestava a propagarsi in tutta Europa, lo costrinse a tornare a
Vienna per ricongiungersi con la sua famiglia. I suoi articoli di quel periodo
furono successivamente raccolti nel volume Le guerre
balcaniche 1912-1913 pubblicate nel 1926.
Trasferitosi in seguito a Zurigo, Trotsky
pubblicò l'opera La guerra e l'Internazionale nella quale
venivano accusati i socialisti di non essersi opposti
in modo compatto al conflitto incombente e di essersi lasciati coinvolgere in
atteggiamenti nazionalistici. Questo scritto riportò l'autore vicino alla
collocazione politica di Lenin e lo separò sempre più
dalle scelte mensceviche. Alla fine di novembre 1914 Lev Davidovic si trasferì
in Francia dove continuò a scrivere per il "Pensiero
di Kiev" per mantenersi, e per il Golos e il Nashe Slovo per
finanziare il proprio impegno rivoluzionario. Partecipò alla conferenza di
Zimmerwald (Svizzera) nel 1915.
La sua
permanenza parigina venne interrotta nel settembre
1916, quando il governo francese, per compiacere l'alleato russo, chiuse i
giornali socialisti in lingua russa e fece scortare Trotsky fino alla frontiera
spagnola. Rifiutato anche dalla Spagna, Lev venne
imbarcato su un bastimento il 13 gennaio 1917 e raggiunse il porto di New York
due mesi più tardi.
Alle prime notizie giunte negli Stati Uniti sulla rivoluzione scoppiata in
Russia, Trotsky decise di riprendere di nuovo il mare (27 marzo) per far ritorno
in patria. Ma allo scalo di Halifax (Canada) la
polizia, salita a bordo, lo prelevò a forza per internarlo in un campo di
prigionia. Soltanto l'intervento del ministro degli esteri del governo
provvisorio russo, Miljukov, presso l'ambasciata inglese consentì il rilascio
del prigioniero che poté ripartire ed arrivare a
Pietrogrado il 4 maggio 1917.
Quando Trotsky
giunse in patria si era appena formato il secondo
governo provvisorio, composto da una coalizione di cadetti menscevichi e
socialisti rivoluzionari. Questo esecutivo si trovò a dibattersi tra compromessi
e contraddizioni causate dalle opposte tendenze dei suoi
componenti. I menscevichi infatti
consideravano completata la fase rivoluzionaria con la deposizione dello zar,
mentre i socialisti rivoluzionari richiedevano l'abolizione della proprietà
terriera e la distribuzione dei latifondi ai contadini. L'ambiguità della scelta
del proseguimento del conflitto e nello stesso tempo la condanna delle "mire
imperialiste" insite nello stesso, così come il riconoscimento dell'urgenza di
riforme sociali e il continuo rimando delle stesse, rivelarono la debolezza
di fondo dei socialisti moderati.
Trotsky aderì al partito di Lenin avendo oramai realizzato una comune identità
di vedute e fece confluire nel partito bolscevico il
suo gruppo Mezrayonka (Organizzazione intercittadina) fondato nel 1913 e
composto da eminenti personalità come Lunaciarskij, Riazanov, Joffe, Uritskij
ecc. Il 10 maggio 1917 Lenin e Trotsky si
incontrarono per la prima dopo molti anni anni per discutere i dettagli della
fusione dei due gruppi che avvenne formalmente solo ai primi di agosto. Lenin
accolse Trotsky e i suoi senza porre condizioni e offrì loro cariche direttive e
collaborazione nella Pravda. I bolscevichi vennero
incolpati per le sommosse popolari delle "giornate di luglio". Ciò provocò
l'arresto della maggioranza dei capi del movimento, compresi Trotsky e
Lunaciarskij, che vennero rinchiusi nella prigione di
Kresty il 23 luglio.
Per fronteggiare il tentativo di colpo di stato (in agosto) del comandante in
capo delle forze armate, generale Kornilov, il primo ministro Kerenskij fu
costretto a chiedere aiuto anche ai suoi avversari bolscevichi, in particolare
ai marinai della fortezza di Krostadt. Trotsky convinse i marinai a combattere
per difendere quello stesso governo che lo aveva incarcerato. Il 4 settembre,
dopo che Kornilov era stato sconfitto, Trotsky venne
rilasciato mentre i bolscevichi guadagnavano vasti consensi in tutto il paese,
fino a ritrovarsi in maggioranza al soviet di Pietrogrado, del quale Trotsky
venne eletto presidente. Il nuovo soviet rappresentò tutti i partiti minoritari
e il suo presidente si affrettò a proclamare che "nessuna mano del presidium si
allungherà mai su alcuna minoranza per soffocarla".
Avendo ottenuto
una sempre maggiore influenza grazie al suo impegno organizzativo
ed alle sue indiscusse capacità persuasive, nel
luglio Trosky entrò a far parte del Comitato centrale del partito bolscevico.
Appoggiò la richiesta di Lenin, rifugiatosi in Finlandia, che si preparasse
subito l'insurrezione armata per rovesciare il governo provvisorio, mentre si
erano schierati contro questa proposta Zinov'ev e Kamenev, che giudicavano il
momento non adatto. A differenza di Lenin tuttavia, Trosky chiese che l'azione
coincidesse con il Congresso nazionale panrusso dei Soviet, in modo da
presentare la rivolta socialista come la volontà del popolo russo e non quella
di un solo partito.
Lev Davidovic cominciò a pianificare l'insurrezione, lavorando in modo da non
generare sospetti su quanto stava per accadere. Il 9
ottobre venne organizzato il Comitato militare
rivoluzionario da una sessione dell'esecutivo del Soviet, che aveva il compito
di assicurare la difesa della capitale. Il Comitato era composto
da sette sezioni, ad ognuna delle quali era affidato
un compito specifico come l' approvvigionamento, le informazioni, i collegamenti
con la flotta del Baltico e con i reparti dell'esercito impegnati sul fronte
settentrionale, la formazione delle milizie operaie ecc. Vennero quindi nominati
dei commissari in rappresentanza del Comitato in tutti i distaccamenti delle
truppe.
Il 16 ottobre i reggimenti della guarnigione di Pietrogrado si ribellarono
all'ordine di Kerenskij di trasferirsi al fronte, nello stesso tempo
venne diramato un ordine del Comitato militare
rivoluzionario affinché fossero consegnati dagli arsenali cinquemila fucili alla
Guardia rossa. Il momento che coincise con punto di maggior debolezza del
governo provvisorio, fu quello in cui Trotsky poté saggiare l'effettiva
efficienza del Comitato. Intorno al 20 ottobre, in un incontro segreto con
Lenin, Lev poté approntare un piano accurato che avrebbe garantito il successo
della rivoluzione. Picchetti armati erano pronti ad
occupare tutte le posizioni strategiche della capitale mentre Trotsky avrebbe
atteso un pretesto provocatorio da parte di Kerenskij, che arrivò il 23 ottobre,
quando venne chiusa d'autorità la redazione della Pravda.
I tipografi del giornale ottennero dal Comitato il consenso di rompere i sigilli
governativi e la pubblicazione riprese sotto la protezione armata della Guardia
rossa. Il primo ministro ordinò l'incriminazione dell'intero Comitato militare
rivoluzionario e l'arresto dei suoi dirigenti, scatenando con quel gesto
l'inizio della sollevazione. Lev Davidovic diramò ai soldati della capitale
l'ordine di mobilitazione, dichiarando il Soviet di Pietrogrado in pericolo, e
ordinò all'incrociatore Aurora di posizionarsi nella
Neva per tenere sotto tiro il Palazzo d'inverno, sede del governo provvisorio.
La notte tra il 24 e 25 ottobre i soldati e le guardie rosse
occuparono tutti i punti nevralgici della città: centrali elettriche,
centrali telefoniche, uffici postali, stazioni ferroviarie ecc. Kerenskij fuggì
da Pietrogrado su un automobile dell'ambasciata americana poco prima che Trotsky
annunciasse al Soviet la caduta del governo. Il palazzo d'inverno
venne facilmente conquistato in quello stesso giorno
ed i ministri che si erano asserragliati al suo interno, condotti alla fortezza
di Pietro e Paolo.
Il 26 ottobre si
riunì il II° Congresso panrusso dei Soviet, nel quale
i bolscevichi avevano una maggioranza di due terzi, e venne dichiarata
solennemente la destituzione di Kerenskij. Il primo governo della
R.S.F.S.R. presieduto da Lenin e con il trentottenne
Trotsky al Commissariato del popolo per gli Affari esteri, dovette fare i conti
fin da subito con le promesse di pace e di assegnazione della terra ai
contadini. Nei disegni dei bolscevichi vi era l'intenzione di proporre
una trattato ai paesi belligeranti, "senza annessioni
ne indennizzi", convincendo tutti a deporre le armi.
L'invito non fu raccolto dalle potenze dell'Intesa (Francia, Inghilterra, Italia
e Stati Uniti) ma ottenne il consenso degli imperi Austro-ungarico e germanico.
Il 14 novembre Russia e Germania iniziarono i negoziati per l'armistizio che si
materializzarono il 27 dicembre, quando la
delegazione russa guidata da Trotsky giunse a Brest-Litovsk per trattare con il
capo della delegazione tedesca Kuhlmann. Dalla pretesa della Germania di
annettere la Polonia ed i Paesi Baltici nacque una
lunga ed estenuante trattativa, che si concluse senza un accordo poiché le
condizioni imposte dalla controparte tedesca furono giudicate troppo gravose.
Trotsky dichiarò che il suo paese non avrebbe dovuto accettare quelle proposte
di pace ma nemmeno avrebbe dovuto riprendere a combattere, confidando nel fatto
che gli imperi centrali avrebbero rivolto le loro forze verso i fronti
occidentali e che non avrebbero avuto la forza di andare contro l'opinione
pubblica interna che chiedeva a gran voce la fine del conflitto. Nel partito
bolscevico invece Lenin era propenso ad accettare qualsiasi
condizioni di pace, convinto della assoluta impossibilità di difendere il
paese, mentre Bukharin prospettava la trasformazione del conflitto in "guerra
rivoluzionaria" cullando l'illusione che gli operai e i contadini russi
avrebbero trovato nuove energie per combattere a favore di una causa più
sentita.
La linea di Trotsky ottenne la maggioranza dei consensi nel partito ed egli
stesso ritornò a Best-Litovsk il 19 febbraio 1918, ma i negoziati furono
interrotti quando le truppe tedesche penetrarono in Russia senza incontrare
resistenza. Nei giorni seguenti, visto il precipitare degli eventi,
venne approvata d'urgenza la mozione di Lenin, anche
con il favore di Trotsky, ed il governo sovietico, che si era per sicurezza
spostato a Mosca, si arrese alle condizioni del Kaiser.
La Russia
cedette, oltre alla Polonia e gli Stati baltici, anche la Finlandia e
l' Ucraina, oltre a concedere ingenti risarcimenti
per i danni di guerra. La resa fu firmata il 3 marzo 1918.
Già a pochi mesi dalla rivoluzione d'ottobre si erano andati costituendo sul Don
i primi battaglioni di Guardie bianche, i cui generali miravano esplicitamente
alla dittatura personale o alla restaurazione della monarchia. Questi gruppi di
militari reazionari, inizialmente in compagini piuttosto esigue, indussero il
governo a creare un esercito in grado di farli fronte. Il compito fu assegnato a
Trotsky che fondò l'Armata rossa il 23 febbraio 1918 (in principio chiamata
Armata socialista volontaria) iniziando ad arruolare dei volontari e degli ex
ufficiali zaristi, per sfruttarne le competenze. Al fine di mantenere il
controllo su questi ultimi venne affiancato loro un
commissario politico, con il compito di rispondere della loro lealtà.
Trotsky sottolineò il fatto che non venivano tradite
le conquiste rivoluzionarie dei soldati, che avevano ottenuto il diritto di
eleggere propri comandanti e comitati, bensì si intraprendeva una nuova fase
della rivoluzione che avrebbe addestrato gli individui ad una nuova disciplina
sociale. L'arruolamento divenne poi obbligatorio (22 aprile 1918) per "difendere
la pace perpetua" e "la cooperazione tra i popoli".
Il primo attacco
rilevante alla Russia bolscevica venne dalla legione cecoslovacca, composta
da ex prigionieri di guerra. La legione occupò gran
parte della Russia asiatica, si alleò con le truppe del generale Kolciak e con
le forze alleate sbarcate ad Arcangelo e Murmansk e si impadronì prima di Samara
e poi di Kazan (6 agosto 1918). Trotsky fece allestire un treno formato da otto
vagoni armati di mitragliatrici e cannoni, che utilizzò
come quartier generale e si mosse per le regioni del Volga. Sul convoglio era
presente la segreteria particolare del comandante delle forze
armate dove prestavano servizio numerose dattilografe
ed impiegate, un ufficio propaganda con tipografia e una stazione radio che
manteneva i collegamenti con Mosca. Giunto all'
ultimo avamposto sovietico, rinvigorì il morale dei combattenti e guidò di
persona una temeraria incursione notturna nella città di Kazan. L'azione
dell'Armata rossa permise di bloccare sulla riva orientale del Volga l'avanzata
del nemico il quale, in caso contrario, avrebbe avuto la strada spianata verso
Mosca.
Kazan
venne riconquistata il 10 settembre, mentre due
giorni dopo il generale Tukacievskij entrava a Simbirsk. Sul suo treno blindato,
divenuto presto leggendario, Trotsky continuò ad agire su tutti i fronti
,apparendo quasi onnipresente. Nel novembre 1918 l'impero austro-ungarico
e germanico uscirono sconfitti dal conflitto mondiale
e si ritirarono dai territori russi occupati, annullando di fatto le conseguenze
della pace di Brest-Litovsk.
A quel punto la presenza degli interventisti st
L'offensiva portata avanti in particolare da Judenic, che aveva puntato
decisamente su Pietrogrado, fu particolarmente dura
da respingere per la repubblica dei soviet. Trotsky rimase a Pietrogado quando
sembrava irrimediabilmente perduta e convinse tutti gli abitanti della città a
combattere con "eroica follia", come affermato dallo stesso avversario bianco.
Nel giro di una settimana i rossi passarono al contrattacco e respinsero Judenic.
A due anni esatti dalla rivoluzione d'ottobre
la guerra civile poteva dirsi praticamente conclusa
con la totale disfatta dei tre più forti eserciti bianchi. Il quarantenne
Trotsky venne insignito dell'ordine della Bandiera
rossa. L'ultima impresa bellica di Trotsky fu quella di
soffocare la rivolta antibolscevica scoppiata tra i marinai della base navale di
Kronstadt (1-7 marzo 1921), che fu repressa con decisione nel timore che
l'agitazione si fosse potuta estendere.
Terminati gli
impegni di guerra, Lev Daviovic poté dedicarsi ad affrontare problemi di ordine
economico e di ricostruzione che attanagliavano la Russia. Nel 1920 fu nominato
Commissario per le ferrovie, in aggiunta al Commissariato per la guerra. Lenin
riuscì a far approvare la NEP (Nuova Politica Economica), una serie di riforme
di liberalizzazione del mercato capaci di favorire la
ripresa dell'economia, mentre Trotsky proponeva un maggiore industrializzazione.
I due tuttavia, sebbene avessero alcune divergenze di vedute, costituivano agli
occhi della Russia un binomio quasi inscindibile: in loro si
identificava il potere sovietico.
Gli altri leaders di partito erano assai distanziati in quanto a prestigio,
popolarità e potere. Quando Lenin venne bloccato
dalla malattia, aveva da poco cominciato la sua battaglia contro gli abusi della
burocrazia, dominata direttamente da Stalin, appena divenuto segretario generale
del partito (1922). Egli mise a punto una revisione
della politica del commercio estero, contando sull'appoggio di Trotsky.
I burocrati erano stati accusati di aver diminuito il controllo statale, Trotsky
riuscì a convincere la maggioranza del Politburo a ripristinare la supremazia
del governo. Nel dicembre 1922 Lenin scrisse al Politburo
sull' importanza della pianificazione proposta da Trotsky ma un secondo
attaccò di ictus lo colpì prima che potesse elaborare un piano definito. Pochi
mesi dopo il leader bolscevico dettò una lettera per il Politburo nella quale
veniva criticato duramente l'operato del Rabkrin
(Ispettorato degli operai e dei contadini) e del suo responsabile Stalin. Il 5
marzo 1923 incaricò formalmente Trotsky di difendere la questione georgiana
nella imminente seduta del Comitato centrale,
leggendo un suo scritto nel quale condannava esplicitamente la politica di
Stalin nei confronti delle nazionalità non russe.
Approfittando dell'assenza di Lenin, che non
poté più presenziare ad alcuna riunione, Stalin aveva
trasformato l'ufficio politico secondo le sue convenienze, stringendo alleanze
mirate con Zinov'ev e Kamenev. Prima ancora di cominciare ad
enunciare le indicazioni di Lenin, Trotsky si ritrovò isolato, con la sola
eccezione di Bukarin. Per settimane egli si adoperò affinché la critica di Lenin
e il suo schema di riorganizzazione del Comitato centrale
venissero resi pubblici ma il gruppo di alleati di Stalin riuscì
abilmente a trovare il modo di insabbiarli. Prendendo a pretesto alcune
differenze tra lo schema originale di Lenin e quello presentato da Trotsky, il
Politburo riuscì ad accusare quest' ultimo di voler
travisare il pensiero del leader.
Lenin esortò Trotsky a portare avanti la
battaglia sulla questione georgiana al XII congresso del partito senza lasciarsi
persuadere ad addivenire a nessun "precario
compromesso" con Stalin. Tuttavia al Congresso Trotsky si accontentò di vincere
ma, convinto dalle scuse e dai buoni propositi elargiti da Stalin, desistette
dal denunciarlo e dal chiedere la sua rimozione dalla carica di segretario
generale.
Lenin subì il terzo durissimo attacco della sua
malattia che lo privò di ogni possibilità di azione e che il 21 gennaio 1924 lo
condusse alla morte, lasciando aperta la questione della sua successione. Le sue
ultime volontà furono riportate nella celebre Lettera al congresso,
meglio conosciuta come Testamento, di cui fu data lettura pochi giorni
dopo il decesso nel comitato centrale. Il documento dava precisi giudizi su
tutti i principali esponenti del partito senza designarne nessuno alla
successione ma dichiarando espressamente Stalin non adatto a ricoprire
l'incarico di segretario generale.
Zinov'ev sostenne con convinzione che il
giudizio su Stalin doveva essere stato dettato dalla mancanza
di informazioni corrette ricevute da Lenin e rimarcò
l'operato leale del georgiano. Alla fine il comitato, con il consenso di Trotsky,
scelse di non divulgare il testamento al congresso del partito.
Stalin così poté uscire indenne dalla più grave crisi della
sua carriera.
Lev Davidovic
condusse la sua battaglia incentrandola sul problema della democrazia
all'interno del partito. Quest'ultimo avrebbe dovuto accogliere varie correnti
di pensiero, in linea però con le sue direttive, e combattere i funzionari che
avevano instaurato un centralismo eccessivo.
La troika (Stalin, Zinov'ev, Kamenev)
ribadì che un partito unitario era alla base del
leninismo ed accusò Trotsky di non aver mai accettato quel principio, essendo
stato per lungo tempo menscevico. Già il 16 gennaio 1924, nel corso di una
conferenza, era stata scagliata per la prima volta contro Trotsky l'accusa di
"deviazionismo piccolo borghese dal leninismo", questa imputazione
venne ratificata al XIII congresso del PCUS (maggio
1924).
Ancora una volta Trotsky scelse di non
controbattere direttamente alle accuse ma preferì affidare la propria difesa
alle "Lezioni di ottobre", una prefazione al terzo volume delle sue opere. Lo
scritto dissertava sul ruolo ambiguo tenuto da alcuni membri del partito
bolscevico durante la rivoluzione: in particolare Zinov'ev e Kamenev
venivano accusati di esitazioni ed ostruzionismo.
L'opera venne presto ritirata dalle librerie e si
diede l'avvio ad imponenti controaccuse e ad un graduale processo di
falsificazione della storia. Il ruolo di Trotsky nell'
Ottobre venne ridimensionato agli occhi dell'opinione pubblica e fu
propagandato invece il messaggio che a capo dell'insurrezione vi fosse stato
Stalin.
Ebbe inizio così l'emarginazione dell'ala
trotzkista, che iniziò a farsi chiamare
Opposizione di sinistra. Trotsky si schierò contro la politica stalinista
del "socialismo in un solo paese". I punti fondamentali su cui si accese la
disputa furono la critica al regime autoritario instaurato all'interno del
partito da Stalin, la condanna dello sviluppo di deformazioni burocratiche
nell'apparato statale, la denuncia della creazione di una nuova borghesia
causata dall'estensione incontrollata delle misure economiche della NEP.
L'Opposizione di sinistra rivendicò la necessità di una politica di forte
industrializzazione, di un piano di collettivizzazione volontaria nelle campagne
(da realizzarsi in tempi lunghi) e soprattutto di un impegno ad appoggiare le
iniziative rivoluzionarie negli altri paesi, l'unico mezzo per far fronte ai
pericoli di involuzione del regime sovietico.
Il 17 gennaio 1925 la troika riuscì a far destituire Trotsky dalla carica di Commissario per la guerra, escludendo così di fatto la sua candidatura alla successione a Lenin.
Negli anni
1925-1926 la lotta interna sembrò essersi arrestata finché Kamenev e Zinov'ev
non la riaccesero, passando all'opposizione con Trotsky. I tre si allearono per
contrastare il potere divenuto dispotico di Stalin e formarono l'Opposizione
unificata. Il movimento raccolse numerosi adepti e tentò di organizzare
incontri e comizi per cercare l'appoggio della popolazione operaia e contadina
nel tentativo di sovvertire l'apparato tenuto in mano da Stalin. Ma le masse
avevano perso gli antichi entusiasmi rivoluzionari e rimasero apatiche alle
iniziative dell'Opposizione anche dopo la tragica sconfitta della rivoluzione
cinese del 1927, quando Stalin aveva ordinato ai comunisti locali di appoggiare
Chang Kai-Shek e questi li aveva fatti trucidare. Fu
facile per gli agenti stalinisti scoraggiare e neutralizzare gli avversatori che
avevano colpevolizzato la politica stalinista.
Nell'ottobre 1926 Trotsky ed i suoi alleati furono
espulsi dal Politburo e, un anno dopo, dal Comitato centrale. Di lì a breve
giunse anche l'espulsione dal partito (insieme a Zinov'ev, Kamenev e altri) e
l'allontanamento dal Cremlino. Gli altri due esponenti dell'Opposizione
capitolarono definitivamente di fronte a Stalin nel dicembre 1927.
Il 12 gennaio 1928 gli agenti della GPU
(organismo politico incaricato di vigilare sulla sicurezza dell'Unione
Sovietica) notificarono a Trotsky il provvedimento di deportazione per attività
controrivoluzionaria. Il 16 gennaio Lev Davidovic fu prelevato di forza e
accompagnato ad Alma Ata, nel Turkestan, presso la frontiera orientale. Nella
piccola città Trotsky si stabilì abbastanza bene, guadagnandosi da vivere
traducendo le opere di Marx per l'amico Rjazanov, direttore dell'Istituto
Marx-Engels di Mosca, e lavorando ad alcune sue importanti opere come: La
rivoluzione permanente (1930), La mia vita (1932) e Storia della
Rivoluzione russa (1932).
Intanto Stalin varava per la Russia i piani
di industrializzazione forzata e di
collettivizzazione dell'agricoltura.
Nel febbraio 1929 Trotsky venne espulso dalla Russia
e su una nave vuota, insieme a Natalia Sedova ed al loro figlio maggiore,
raggiunse l'isola di Prinkipo in Turchia. Da quella data e fino al luglio 1933
Lev Davidovic e la sua famiglia rimasero nel villaggio di Bujuk Ada, il
principale centro dell'isola. Questo soggiorno fu caratterizzato dal seguire sia
gli avvenimenti politici che si stavano succedendo in
Europa (Trotsky evidenziò con estrema lucidità la pericolosità della ascesa del
nazismo in Germania) sia la grave forma di depressione psichica in cui si
dibatteva la sua secondogenita Zanaida (detta Zina), giunta presso di lui nel
gennaio 1931 che la condurrà di lì a breve al suicidio.
Nel luglio 1933
la Francia, dietro le insistenti pressioni di militanti trotskisti, concesse
l'asilo politico a Lev Davidovic purché si mantenesse lontano dalla capitale e
conservasse l'incognito. Egli visse per due mesi a St. Palais, sulla costa
atlantica per poi trasferirsi a Barbizon. Un banale incidente smascherò la sua
falsa identità e la sua scoperta suscitò clamore in tutta la nazione. I
conservatori e i socialisti francesi condannarono la presenza dell'esule sul
proprio territorio e ne chiesero l'espulsione. Il governo cedette alle pressioni
di costoro e emanò l'ordine di lasciare la Francia,
ma per quattordici mesi non si trovò paese disposto ad ospitarlo.
Nella primavera del 1935 la Norvegia gli concesse asilo su richiesta dei
laburisti appena saliti al potere. Trotsky si stabilì a Honefoss, un tranquillo
luogo di campagna a circa sessanta chilometri da Oslo, accolto in casa dalla
famiglia Knudsen, dove poté dedicarsi alla scrittura de La rivoluzione
tradita, una violenta denuncia dei crimini dello stalinismo. Nell'opera egli
previde che "la caduta della attuale dittatura
burocratica, se non verrà sostituita da
un nuovo potere socialista, porterà al ritorno alle
relazioni capitalistiche con un declino catastrofico dell'industria e della
cultura”.
La tranquillità
della famiglia durò pochi mesi: il 1936, "l'anno di Caino", vide l'inizio dei
grandi processi di Mosca e delle purghe staliniane. Lev Davidovic Bronstein era
l'imputato primario di tutti i processi a carico dei membri del partito:
l'accusa principale che portò alla condanna a morte di gran parte dei quadri
dirigenti fu quella di complicità con Trotsky. Quest'ultimo, secondo gli
accusatori congiurava contro l'Unione sovietica, coordinava il terrorismo e
tramava per sopprimere Stalin.
Agli imputati, tramite agghiaccianti torture,
venivano estorte confessioni di tradimento su
istigazione di Trotsky. Sebbene Lev Davidovic negò
sempre ogni addebito, le false accuse produssero imbarazzo nel governo norvegese
che, per non inimicarsi il dittatore georgiano, finì per relegare il
rivoluzionario nel fiordo di Hurum, in attesa che qualche altra nazione si
offrisse di ospitarlo.
Nessuna nazione democratica occidentale concesse asilo a Trotsky, finchè fu il
presidente socialista messicano Cardenas ad offrirsi
di accoglierlo sul suo territorio. Lev e sua moglie giunsero a Tampico il 9
gennaio 1937 a bordo della petroliera Ruth. Furono ospiti nella "Villa azzurra"
del pittore Diego Rivera a Coyoàcan, un sobborgo di Città del Messico.
Nel 1937-38 furono indetti nuovi processi
pubblici a Mosca, durante i quali molti degli esponenti del Pcus, dell'Armata
rossa e del Servizio civile, vennero giustiziati.
Nello stesso periodo una commissione costituita sotto la presidenza del filosofo
americano John Dewey, dichiarò Trotsky innocente di tutte le accuse
attribuitegli nei processi di Mosca.
Dopo aver perso ogni speranza di poter
riformare il Comintern, oramai irrimediabilmente caduto nelle mani della
burocrazia stalinista, Trotsky iniziò a lavorare alla costruzione di una nuova
Internazionale. Tre movimenti socialisti europei si unirono
alla Opposizione Internazionale di Sinistra firmando un documento scritto
da Trotsky invocante la Quarta
Internazionale, che divenne nota come "Dichiarazione dei Quattro". Di
queste organizzazioni, due se ne distanziarono presto, ma il Partito Socialista
Olandese lavorò con l'Opposizione per avviare la Lega Comunista Internazionale.
Lo scopo della Quarta Internazionale sarebbe stato quello di assistere la
costituzione di nuovi movimenti rivoluzionari di massa, capaci di guidare alla
rivoluzione i lavoratori dei vari Paesi.
Trenta delegati in rappresentanza di diversi stati europei, nordamericani e asiatici si riunirono in un congresso per la fondazione della Quarta Internazionale nel settembre 1938 vicino Parigi, nella casa del trotskista Alfred Rosmer. L'impegno del nuovo gruppo, nato come"organizzazione internazionale del movimento operaio e dei lavoratori", per riaffermare i veri principi socialisti in contrapposizione al Comintern, divenne uno dei compiti più importanti della vita di Trotsky. In Messico la lotta contro Stalin continuò attraverso la pubblicazione di un Bollettino dell'opposizione, diffuso clandestinamente in URSS.
Negli anni che precedettero la sua morte, Trotsky
vide la scomparsa dei suoi figli, lo sterminio di amici e collaboratori, e
il disfacimento delle conquiste della rivoluzione d'Ottobre. Il figlio
maggiore di Trotsky, Leon Sedov, membro dell'Opposizione di sinistra
internazionale, perì misteriosamente durante una banale operazione di
appendicite in una clinica di Parigi nel febbraio del 1938. L'altro figlio
maschio, Sergei, sicuro di non correre alcun pericolo vista la sua
estraneità ad ogni impegno politico, rimase in
Russia ma venne incarcerato e fucilato in segreto (1938), essendosi
rifiutato decisamente di incriminare suo padre. La prima moglie, Aleksandra Sokolovskaya, arrestata nel 1935, scomparve circa tre anni più tardi nel Gulag di Kolyma. Due dei suoi segretari europei, Rudolf Klement e Erwin Wolff, vennero assassinati. Ignace Reiss, un funzionario della Gpu che si schierò pubblicamente con Trotsky, fu massacrato da un agente stalinista in Svizzera. Nel 1939, mentre in Europa era scoppiata la seconda guerra mondiale, essendosi rovinati i rapporti con Rivera, Trotsky, insieme ai suoi familiari e ad alcuni collaboratori, si trasferì in una casa dell'Avenida Viena, successivamente trasformata in fortezza.
Nella
notte del 23 maggio del 1940 la nuova casa di Trotsky fu
oggetto di un raid eseguito in pieno stile militare. I membri della
famiglia scamparono miracolosamente al fuoco incrociato delle
mitragliatrici. Il partito comunista messicano dichiarò
questo attentato una messa in scena per denigrare Stalin. Trotsky
smentì energicamente.
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In questa sua
ultima dimora riuscì ad insinuarsi Ramon Mercader del
Rio (detto "Jacson"), agente segreto di Stalin, dopo un lungo e paziente lavoro
teso a procurarsi la fiducia dei risiedenti. L'uomo aveva sposato due anni prima
Sylvia Ageloff, una fervente trotskista americana che aveva partecipato alla
costruzione della IV° Internazionale.
Nel tardo pomeriggio del 20 agosto Jacson
chiese di essere ricevuto da Trotsky per sottoporgli un articolo. Nonostante la
stranezza della pretesa, Lev Davidovic si sentì in dovere di dargli
un occhiata e ricevette l'uomo nel suo studio.
All'improvviso il sicario di Stalin estrasse una piccozza, tenuta nascosta tra
le pieghe dell'impermeabile, e sferrò un violento colpo alla testa del vecchio
rivoluzionario, che gli sfondò il cranio. Lev Davidovic riuscì ancora a trovare
la forza di impegnarsi in un drammatico corpo a copro
col suo assalitore e a chiamare aiuto.
Trasportato d'urgenza all'ospedale Puesto
Central de Socorro de la Cruz Verde, Trotsky spirò alle 18,48 del giorno
successivo (21 agosto 1940).
Scomparve così uno dei maggiori protagonisti
della rivoluzione sovietica, nonché uno dei massimi
teorici del marxismo del Novecento e uno scrittore di finissimo talento. Il suo
ultimo articolo, lasciato incompiuto sulla sua scrivania, riguardava la difesa
del marxismo dai revisionisti e dagli scettici contemporanei.
La villa di Trotsky a Coyoacán è stata
conservata nelle stesse condizioni in cui si trovava il giorno del suo
assassinio ed è oggi un museo. La sua tomba si trova nel giardino accanto alla
casa.
Il 27 febbraio
1940 Trotsky scrisse quello che sarebbe divenuto il suo
testamento, qui di seguito riportato nella sua versione
integrale:
"La mia pressione alta (e in continuo
aumento) inganna chi mi sta vicino sullo stato reale della mia salute. Sono
attivo e abile al lavoro, ma la fine, evidentemente, è vicina.
Queste righe saranno rese pubbliche dopo la
mia morte. Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili
calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v' è una
macchia sul mio onore rivoluzionario.
Né direttamente né indirettamente non sono
mai sceso ad accordi, o anche solo a trattative dietro le
quinte, coi nemici della classe operaia. Migliaia d'oppositori di Stalin
sono cadute vittime d'accuse analoghe, e non meno false.
Le nuove generazioni rivoluzionarie ne
riabiliteranno l'onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si
meritano.
Ringrazio con tutto il cuore, gli amici che mi sono
stati fedeli nei momenti più difficili della mia vita. Non ne nomino nessuno in
particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto
facendo un'eccezione per la mia compagna, Natalja Ivanova Sedova. Oltre alla
felicità di essere un combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato
la felicità d'essere suo marito. Durante i circa quarant'anni di vita comune,
ella è rimasta per me una sorgente inesauribile
d'amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto
nell'ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in
parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.
Per quarantatré anni della mia vita
cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la
bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei
naturalmente di evitare questo o quell'errore, ma il corso della mia vita
resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da
rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico, e quindi da
ateo inconciliabile.
La mia fede nell'avvenire comunista del
genere umano non è meno ardente, anzi è ancora più salda, che nei giorni della
mia giovinezza.
Natascia si è appena avvicinata alla
finestra che dà sul cortile, e l'ha aperta in modo che l'aria
entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere
la lucida striscia verde dell'erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro
al disopra del muro, e sole dappertutto.
La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male,
oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore."
commenti, contributi e opinioni
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