Max Stirner
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Scrivo qualcosa su questo grande personaggio, e lo faccio in una pagina creata apposta. Contemporaneo di Marx, tedesco, non ha scritto molto, ma quello che ha scritto ha lasciato un'impronta indelebile nel pensiero occidentale. La sua opera fondamentale, "L'Unico e la sua proprietà", aveva colpito profondamente Friedrich Engels, che ne aveva scritto a Marx. Questi lo lesse attentamente e lo ritenne un pericolo per lo sviluppo della causa del comunismo rivoluzionario. Marx ed Engels, poi, ne fecero una critica aspra e sarcastica, che io non approvo, ne "L'ideologia tedesca", impiegando altrettante pagine di quante ne contava lo stesso libro di Stirner. Più tardi Friedrich Nietsche temette di essere accusato di plagio una volta letta l'opera del nostro, come sembra che avesse detto a un suo conoscente, e non lo citò mai. Ma le differenze tra Stirner e Nietsche sono profonde. Io sono solito fare un esempio, in proposito: Nietsche si trovò davanti una tavola, su cui erano posati diversi oggetti, rappresentanti i miti e i luoghi comuni della morale, della politica, della religione del tempo. Lui ne tolse molti dalla tavola, ma ne mise degli altri: la nazione tedesca, la tragedia, la musica "alta" eccetera. Stirner invece aveva preso la tovaglia da un angolo, l'aveva tirata violentemente e aveva lasciato la tavola sgombra di tutto il ciarpame prima esistente, ed era rimasto solo l'IO, l'individuo, unico ed indistinguibile arbitro ed artefice, concettualmente, del proprio destino.
Certo, non bisogna leggere
"L'Unico" e prendere tutto alla lettera: Stirner stesso probabilmente si è
lasciato andare a una provocazione su tutta la linea. E la lettura de L'Unico
non è affatto facile, Stirner gioca abilmente con le parole tedesche e
non sempre si riesce a comprenderne bene il significato (ed infatti
molti equivocarono, ed altri ancora, fidandosi di questi, contribuirono
ad ulteriori equivoci ed errate interpretazioni.
Alcuni dei suoi detrattori (da destra?) gli rimproverano che la sua stessa vita non fu "eccezionale" come dalla sua opera sembrava trasparire la sua personalità: insegnante in un istituto per signorine della buona borghesia lo lasciò per dedicarsi completamente ai suoi scritti, la moglie divorziò e finì i suoi anni poco più che cinquantenne malato e con debiti, che cercò di coprire negli ultimi tempi con appelli pubblici sui giornali. Ma questo cosa significa? Marx stesso, se non ci fosse stato l'amico Engels, straricco, avrebbe fatto una ben tragica fine, ma non per questo la grandezza complessiva del suo pensiero ne viene minimamente offuscata.
Non paliamo dei suoi
detrattori (da sinistra?): soprattutto i comunisti ortodossi, spesso
non avendo argomenti, scelsero il sarcasmo sprezzante, il dileggio,
l'ostentata indifferenza.
Per quanto mi riguarda
Stirner rappresenta il campione assoluto dell'Individualismo (senza le
infinite accezioni negative di questo termine) e dell'Ateismo, i
cardini stessi del mio modesto pensiero.
Che poi di questo
grande si siano appropriati, di volta in volta, anarchici, fascisti e
nazisti non è importante. È questione di interpretazioni e, spesso, di
manipolazioni. Mi ha colpito che Stirner accusasse i "comunisti" di
volere, in fin dei conti, una società di straccioni: in effetti è ciò
che è (quasi) avvenuto nei Paesi del presunto "socialismo reale",
ovvero il livellamento verso la mediocrità economica, verso il basso,
la mitizzazione del "lavoro" invece che la liberazione dallo stesso,
l'agiografia dell'operaio in quanto tale, e via di questo passo.
Profeta? Non saprei, forse è stato puro intuito o acutezza
nell'analisi...
Oltre che gli articoli riprodotti in questa pagina consultate anche la pagina dei link, nell'elenco proposto ci troverete anche dei siti, in inglese, su Stirner e sull'Egoismo stirneriano. Buona lettura.
Introduzione
Inserisco uno scritto su Stirner che ho basato su "Accompagnamento alla lettura de l'Unico" di Roberto Galasso, presente sull'edizione dell'Adelphi.
"L'Unico e la sua proprietà" di Max Stirner. L'epoca e la vicenda culturale.
La tomba di Stirner (foto da
https://berlino101.wordpress.com/2012/11/23/la-tomba-di-max-stirner-e-qualche-spunto-di-riflessione/)
Max Stirner è lo pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, che nasce a Bayeruth nel 1806 e muore a Berlino nel 1856.
Figlio di un intagliatore di flauti, sulla sua vita si sa ben poco. Finite le scuole trova impiego, dal 1839, come insegnante in una scuola privata per fanciulle di famiglie agiate, il Lehr und Erzihungs Anstalt fur hohere Totcher di Madame Gropius, situata a Berlino al numero 4 del Kollnishcer Fischmarkt.
Il 1° Ottobre del 1844, a 38 anni, abbandona l'impiego. Nello stesso mese l'editore Wigand di Lipsia, a cui faceva capo il radicalismo politico e filosofico del momento (aveva stampato opere di Ruge e Feurerbach, ma anche quel "Socialismus un Communismus der heuitigen Frankreichs" (socialismo e comunismo degli odierni francesi) di Lorenz von Stein che già parlava di "lotta di classe" e faceva sognare Bakunin di sette e sommosse), pubblicava in una tiratura di mille copie "L'Unico e la sua proprietà", primo libro di Schmidt, che si firmava Stirner come già in vari articoli comparsi su giornali e riviste nei tre anni precedenti. Sul frontespizio del libro si leggeva però la data 1845.
L'opera è dedicata alla seconda moglie dell'autore, Marie Dahnhardt, che presto si dividerà dal marito, lasciandolo nella più completa solitudine. Stirner muore nel Giugno del 1856, a pochi mesi dai 50 anni, oppresso dai debiti e dopo due appelli pubblici sui giornali. Aveva passato anche due brevi periodi in prigione, proprio per i debiti. Si dice che la causa della morte fosse un'infezione provocata da una mosca che aveva infettato un carbonchio che gli era apparso sul collo, uno di quei dolorosi "favi" che torturarono Marx per anni, sull'ano, mentre scriveva "Il Capitale". Alla sua morte, che venne annunciata da pochi giornali, la salma di Stirner fu accompagnata da Bruno Bauer e da pochi amici.
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Il primo accenno all'Unico apparso sulla stampa si trova in una rapida corrispondenza da Berlino della "Mannheimer Abendzeitung" del 12 Novembre 1844. Dopo aver presentato Stirner come "amico intimo" di Bruno Bauer l'anonimo giornalista spiega che però l'Unico è un attacco a fondo contro il "punto di vista del 'liberalismo umanitario'" (che era quello di Bauer). Ma ciò che lo impressiona innanzitutto è l'eccessività di Stirner: "con questo libro la tendenza neo-hegeliana si è spinta sino al suo estremo: la libertà dello spirito soggettivo viene qui cercata nella totale sfrenatezza del singolo, nell'individualità propria di ogni uomo, nell'egoismo". Anche se impaurito lo scrivente è però attratto da Stirner: "seppure questo principio, quale è qui presentato, sia ancora troppo unilaterale e insostenibile, esso si fonda però su intuizioni giuste e vere e, se opportunamente filtrato, si potrà rivelare fecondo". Dall'Unico questo primo recensore si aspettava un brivido, e l'aveva avuto. Erano gli anni culminanti della "critica critica", della critica che "avanza senza tregua": appariva naturale l'attesa di un qualcosa che obbligasse a dire un 'qui si va troppo in là', che sbaragliasse tutti i precedenti sbaragliamenti come troppo timidi e cauti. E quell'opera finalmente c'era. L'ultima fase del "processo di decomposizione dello spirito assoluto" (Marx-Engels, L'ideologia tedesca) si stava compiendo.
Dopo essersi già fatto notare con alcuni brevi saggi, tra cui il più importante, "Il falso principio della nostra educazione", era apparso sulla "Rheinische Zeitung", la rivista a cui collaborava anche Marx che ne divenne caporedatore due giorni dopo che Stirner aveva pubblicato il suo ultimo articolo, il silenzioso, appartato Stirner si presentava ora con un'opera massiccia che aveva una sola pretesa: quella di seppellire la filosofia in generale.
Le prime recensioni lunghe e articolate all'Unico sarebbero venute da Feuerbach, da Hess (in forma di phamphlet: "Die letzten Philosophern" (Gli ultimi filosofi), Darmstadt, 1845, poi in "Sozialistische Aufsatze (Bozze socialiste)-Componimenti socialisti) 1841-1847", Berlino, 1921, e dall'ufficiale prussiano, futuro generale, Szeliga, sui "Norddeutsche Blatter" (Foglio della Germania del Nord) del Marzo 1845. Ma il volenteroso Szeliga, piuttosto bistrattato da Marx ed Engels, oltre che dallo stesso Stirner, avrebbe tentato di incorporare qualcosa di Stirner in un pamphlet dell'anno successivo, in cui nella conclusione afferma che "testimonia di una grande mancanza di chiarezza designare l'egoismo come il nemico della riforma universale; esso anzi è il suo precorritore, la sua dura scuola" ("Die Universalreform und der Egoismus"-La riforma universale e l'egoismo, Charlottenburg 1846). A esse Stirner rispose con un saggio che ribadisce le tesi dell'Unico, rendendole se possibile ancora più intollerabili ("Recensenten Stirners", poi ristampato da MacKay in "Scritti minori", "Kleinere Schriften", Berlino, 1912). Lo stesso avvenne due anni dopo, quando l'illustre storico della filosofia Kuno Fischer attaccò con violenza il libro di Stirner. La risposta dell'autore, che l'avrebbe firmata G. Edward, anche questa volta sarebbe stata dura e sarcastica ("I filosofi reazionari", "Die philosophischen Reaktionare", poi in "Kleinere Schriften").
Dopo l'Unico l'attività pubblica di Stirner sembra sfilacciarsi, sino a scomparire. Pubblica traduzioni da J.B. Say e da Adam Smith, che dovrebbero essere accompagnate da un suo commento, ma nella prima si annuncia il commento per la seconda, ma in questa il commento annunciato manca senza alcuna giustificazione. Nel 1848 scrive per il "Journal des osterreichischen Lloyds"-Giornale dei Lloyd austriaci- una serie di asciutte cronache politiche, qua e là punteggiate di annotazioni esoteriche, ma non firma questi articoli. Poi pubblica a Berlino nel 1852 i due volumi di "Storia della Reazione", "Geschichte der Reaktion", un saggio sulla reazione controrivoluzionaria ai moti tedeschi ed europei del 1848, dietro un titolo così interessante essi celano un lavoro di compilazione, una antologia dal profilo sfuggente, dove lo Stirner de L'Unico compare beffardamente in poche occasioni. Con la sua opera principale e le due repliche ai suoi primi recensori si può affermare che Stirner abbia dichiarato il silenzio e lo abbia poi mantenuto.
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Stirner non ha trovato particolare favore presso la critica filosofica. Se ha incontrato una certa notorietà ciò è avvenuto nell'ambito ideologico. Il suo nome fa parte ormai della cerchia dei classici teorici dell'anarchismo, i cui esponenti principali agiscono più o meno nel decennio 1840-1850. Negli Stati Uniti J. Warren, in Francia P.J. Preoudhon, in Germania lo stesso Stirner, in Russia il romantico M. Bakunin e, più tardi, l'altro grande, P. Kropotkin. Ma bisogna anche dire che questo appropriarsi di Stirner da parte degli anarchici è andato ben al di là delle intenzioni stesse di Max Stirner, che non ha mai avuto alcuna intenzione di fondare una scuola di pensiero ne tantomeno di tracciare guide ed indicazioni a chicchessia: la sua dimensione dell'individualismo, dell'egoismo, termine questo da lui ampliato ed ingigantito fino a diventare un "valore" e una vera categoria di pensiero nonché un atteggiamento complessivo verso tutte le manifestazioni della vita e della realtà, ha trovato una connotazione "sociale" soltanto nella concezione da lui teorizzata, e neanche tanto insistentemente proposta, della "Unione dei Liberi", che deriva dalla frequentazione a Berlino del circolo intellettuale dei "Freien", "Liberi", appunto, alle cui riunioni e discussioni movimentate partecipò lo stesso Engels (e fu lì che Engels fece degli schizzi a matita dei partecipanti, e a lui si deve l'unica immagine conosciuta dello stesso Stirner, l'essenziale profilo a matita conosciuto da tutti i lettori del nostro autore). Tale concezione prevedeva una unione di individualità che, salvaguardando strenuamente la propria peculiarità, avrebbero potuto comunque fondare un progetto politico e organizzativo capace di guidare la vita dell'intera società. Ma su questo concetto Stirner non insistette mai più che tanto.
E' evidente che alla formazione della notorietà di Stirner anarchico è stato determinante il pesante giudizio di Engels, espresso in particolare nel suo breve scritto del 1886 "Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie"-L.F. e la fine della filosofia classica tedesca-, in cui Engels prende in considerazione alcuni rappresentanti della "Hegelei" che dominava allora in Germania. Dopo aver accennato alla formazione dell'ala sinistra verso la fine del 1830 Engels passa a parlare piuttosto sinteticamente dell'opera "Das Leben Jesu"-La vita di Gesù- di F. Strauss, nonché della successiva polemica con Bruno Bauer, ed infine fa il nome di Stirner, dicendo che egli è "il profeta dell'odierno anarchismo" e ispiratore dell'opera di Bakunin. Più precisamente Bakunin avrebbe "amalgamato" Stirner con Proudhon, e proprio a tale amalgama si sarebbe dato il nome di anarchismo. E ancora, per Engels, tra gli ultimi esponenti della filosofia hegeliana Strauss, Bauer, Stirner e Feuerbach soltanto quest'ultimo sarebbbe significativo nel campo filosofico, e Stirner sarebbe rimasto soltanto un "Kuriosum", un personaggio "curioso".
Appena il libro è stampato e la prima recensione pubblicata tre lettere ne commentano l'apparizione incrociandosi per l'Europa. Engels scrive a Marx, Feuerbach a suo fratello, Ruge all'editore Frobel. Reazioni febbrili alla travolgente lettura dell'opera e per ragioni diverse ognuno ammette, pur timorosamente, un certo entusiasmo per il libro. Poi passeranno glia anni, i destini degli scriventi divergeranno sempre di più ma in una cosa saranno, senza saperlo, d'accordo: nel condannare Stirner, e soprattutto nel tacere su di lui.
Feuerbach scrive una lettera al fratello, alla fine del 1844: la prima impressione è che l'Unico sia un'opera "di estrema intelligenza e genialità", che ha "la verità dell'egoismo - anche se eccentrica, unilaterale, non vera - dalla parte sua" (citato dal libro di W. Bolin "Ludwig Feuerbach", Stoccarda 1891). Feuerbach prosegue dicendo che la polemica di Stirner contro l'antropologia (cioè contro lui stesso) è fondata su un malinteso. Per il resto lo considera "lo scrittore più geniale e libero che mai abbia conosciuto". Così all'inizio Feuerbach pensò di dare a Stirner una risposta leggera e amichevole, nella forma di una lettera aperta che avrebbe dovuto iniziare con le seguenti parole: "'indicibile' e 'incomparabile', amabile egoista: come il Suo scritto stesso, il Suo giudizio su di me è davvero 'incomparabile' e 'unico'". Ma presto la prudenza e il sospetto ebbero il sopravvento: in un'altra lettera al fratello, del 13 Dicembre 1844, Feuerbach insinua che "gli attacchi di Stirner tradiscono una certa vanità, come se volesse farsi un nome a spese del mio". Infine, nella recensione che poi decise di dedicare all'Unico, Feuerbach appare intimorito e preoccupato soprattutto di difendersi. Non vuole fare concessioni a Stirner e tutela l'onorabilità della propria dottrina. Poi è il silenzio. Nel 1861, in una lettera a Julius Duboc, ricorderà quella vecchia polemica come una causa liquidata per sempre.
Ruge, in un biglietto del Novembre-1844 all'editore Frobel, spedito da Parigi, dice che le poesie di Heine e l'Unico di Stirner sono "le due apparizioni più importanti degli ultimi tempi".Le audacie dei "Deutsch-franzosichen Jahrbucher" (ovvero di Marx) appaiono ormai "di gran lunga sorpassate". Ruge era stato prima protettore e amico e poi aspro nemico di Marx. Nella lettera a Frobel del 6 Dicembre 1844 mescola le lodi a Stirner con le stoccate a Marx e, anzi, per la prima volta usa Stirner contro Marx: "Marx professa il comunismo, ma è il fanatico dell'egoismo, e con una coscienza ancora più occultata in rapporto a Bauer. L'egoismo ipocrita e la smania di fare il genio, il suo atteggiarsi a Cristo, il suo rabbinismo, il prete e le vittime umane (ghigliottina) riappaiono perciò in primo piano. Il fanatismo ateo e comunista è in realtà ancora quello cristiano….L'egoismo di una persona meschina è meschino, quello di un fanatico è ipocrita, falso e avido di sangue, quello di un uomo onesto è onesto. Perché ognuno vuole e deve volere se stesso, e nella misura in cui ciascuno lo vuole veramente le sopraffazioni si equilibrano. Le ho fatto le lodi del libro di Stirner (Schmidt)". Poi, in una lettera del 17 Dicembre alla madre, Ruge riprende il discorso su Stirner: "il libro di Max Stirner (Schmidt), che forse anche Ludwig conosce (veniva la sera alla bettola di Walburg e stava seduto davanti a noi), è una strana apparizione. Molte parti sono assolutamente magistrali, e l'effetto del tutto non può che essere liberatorio. E' il primo libro leggibile di filosofia che appaia in Germania; e si potrebbe dire che è apparso il primo uomo del tutto privo di pedanteria e antiquatezza, anzi del tutto disinvolto, se non fosse che lo rende assai meno disinvolto la sua propria fissazione, che è quella dell'unicità. Comunque mi ha dato una grande gioia vedere che la dissoluzione ha raggiunto ormai questa forma totale, per cui nessuno può giurare impunemente su niente". Ma anche in questo caso l'entusiasmo per Stirner avrebbe retto per poco. Già nel 1847 Ruge approva con zelo il violento attacco di Kuno Fischer contro Stirner e i "sofisti moderni", che segna l'inizio della pratica per bollare l'Unico come libro famigerato. E, quando Stirner pubblica la sua replica, Ruge suggerisce subito a Fischer "è senz'altro una buona cosa se risponde a Stirner con una lettera e lo fa inciampare un'altra volta pesantemente sulla sua fondamentale stupidità. Questa gente si infuria se uno prova loro la loro mancanza di genialità e arguzia, perché alla fine tutto sfocia nel fatto che loro sono geni e gli altri sono asini…Confondono il movimento teologico col movimento filosofico o, in altri termini, la praxis dell'arbitrio con la praxis della libertà".
Engels scrive una lettera a Marx il 19 Novembre 1844 da Barmen a Parigi e dice: "Avrai sentito parlare del libro di Stirner, L'Unico e la sua proprietà, se non ti è già arrivato. Wigand mi aveva spedito le bozze impaginate, che mi ero portato dietro a Colonia e poi avevo lasciate a Hess. Il principio del nobile Stirner - sai quello Schmidt di Berlino che ha scritto sui Mysteres de Paris nella rivista di Buhl - è l'egoismo di Bentham, solo che nel suo caso viene sviluppato per un verso più consequenzialmente, per un altro meno consequenzialmente. Più consequenzialmente perché Stirner pone il singolo in quanto ateo al di sopra di Dio o addirittura come entità ultima, mentre Bentham lascia ancora stare Dio al di sopra di tutto in una qualche nebbiosa lontananza….Meno consequenziale Stirner lo è in quanto vorrebbe evitare la ricostruzione della società dissolta in atomi, quale viene messa in opera da B (entham), ma non ci riesce. Questo egoismo non è che l'essenza portata a coscienza della società di oggi, la cosa ultima che la società di oggi può dire contro di noi, la punta acuminata di ogni teoria che si muova all'interno della stupidità corrente. Ma appunto per questo la cosa è importante…non dobbiamo accantonarla, bensì sfruttarla proprio in quanto perfetta espressione della pazzia corrente e, operando in essa un ribaltamento, continuare a costruirci sopra. Questo egoismo è così spinto all'estremo, così pazzo e al tempo stesso così cosciente di sé che nella sua unilateralità non può mantenersi un solo momento, ma deve subito rovesciarsi in comunismo". Più avanti dice che "Stirner ha ragione, quando rifiuta "l'uomo" di Feuerbach, per lo meno quello dell'Essenza del cristianesimo, l'"uomo" di F(euerbach) è derivato da Dio, F(euerbach) è arrivato da Dio all'"uomo", e così l'"uomo" è incoronato da un'aureola teologica di astrazione. La vera via per giungere all'"uomo" è la via inversa. Noi dobbiamo partire dall'io, dall'individuo empirico, corporeo, non per restarci attaccati, come succede a S(tirner), ma per innalzarci da lì "all'uomo"". Poco più avanti Engels arriverà al punto di esigere un'ulteriore acutizzazione dell'egoismo stirneriano: "ma se l'individuo in carne e ossa è la vera base, il vero punto di partenza per il nostro "uomo", così anche ovviamente l'egoismo - naturalmente non solo l'egoismo stirneriano dell'intelletto, ma anche l'egoismo del cuore - è il punto di partenza per il nostro amore per gli uomini, altrimenti esso resta sospeso per aria….Il libro di Stirner mostra ancora una volta quanto profondamente radicata sia l'astrazione nell'essenza berlinese. Fra i "Liberi", S(tirner) è evidentemente quello che ha più talento, indipendenza e precisione, ma con tutto ciò fa anche lui le sue capriole dall'astrazione idealistica a quella materialistica senza arrivare a nulla".
Ciascuno di questi apprezzamenti dovrebbe essere ricordato leggendo, ne "L'ideologia tedesca", le pagine rabbiose dedicate a Stirner (numerose quanto quelle del libro di Stirner stesso), che ormai viene presentato come "il più fiacco e ignorante di quella confraternita filosofica [il gruppo dei "Liberi", Ndr].
Marx, che fin dall'inizio, con la sua consueta chiaroveggenza politica, aveva visto in Stirner il Nemico per eccellenza, (a torto o a ragione, dubiteremmo noi), dovette rispondere a Engels con asprezza. Ma purtroppo quella lettera è andata perduta. In risposta, nel Gennaio 1845, Engels fa ammenda piuttosto senza ritegno. Passano diversi mesi e, al ritorno da un viaggio nell'Estate del 1845 in Inghilterra, Marx ed Engels decidono di procedere a una definitiva liquidazione dei giovani-hegeliani fra i quali erano cresciuti. Una prima liquidazione, "La Sacra Famiglia", era già apparsa pochi mesi prima: ma questa volta il libro è centrato chiaramente su un avversario: Max Stirner. Ne viene fuori una critica all'Unico che occupa 320 delle fitte pagine delle Opere complete di Marx ed Engels. Riga per riga le affermazioni di Stirner vengono isolate, aggredite, malmenate. E le astuzie del procedimento riveleranno non tanto i segreti di Stirner quanto quelli di Marx ed Engels in una loro fase di irreversibile trasformazione, quella in cui Marx inventa il marxismo come lingua franca.
Ancora a molti, oggi, il nome di Stirner dice qualcosa solo perché Marx ed Engels parlano di lui ne "L'ideologia tedesca" e, di fatto, leggere l'Unico tenendo accanto il commento di Marx ed Engels rimane un esercizio ascetico inevitabile per ogni buon lettore di Stirner (e di Marx).
Portata a termine l'opera distruttiva, che criticava aspramente anche altri pensatori, come si è detto, come lo stesso Bruno Bauer, Marx ed Engels tentarono per vari mesi di pubblicare il loro testo. Ma, dopo laboriose trattative, a un certo punto i fondi vennero a mancare. Ad altri "nemici" dovevano rivolgersi ancora, soprattutto Proudhon, e a tal proposito Marx avrebbe chiesto a Engels il permesso di travasare vari temi de "L'ideologia tedesca" ne "La miseria della filosofia". Così quel grosso libro rimase fra gli inediti . Marx non ne fu molto dispiaciuto: come avrebbe accennato nella introduzione a "Per la critica dell'economia politica", del 1859, quello scritto aveva già assolto alla sua funzione occulta, quella di un "chiarimento di se stessi" da parte dei suoi due autori. E quel chiarimento era stato al tempo stesso troppo intimo e troppo drastico perché lo si potesse rendere pubblico.
Qualcosa di simile doveva pensare anche Engels: nel 1883 propose a Berstein di pubblicare il manoscritto de "L'ideologia tedesca" a puntate sul feuilleton del "Sozialdemokrat" e definì il testo "la cosa più insolente che sia mai stata scritta in lingua tedesca". Ma si pentì subito della sua idea perché, secondo Berstein, temeva che il testo avrebbe offeso una certa destra socialdemocratica. Quanto a Stirner Engels si sarebbe lasciato sfuggire su di lui un ultimo giudizio illuminante, che spiega retrospettivamente in termini ben diversi le ragioni politiche de "L'ideologia tedesca", e ben più convincenti, rispetto a quelli che Marx ed Engels avevano proposto nel loro testo: "Stirner ha vissuto una sua rinascita attraverso Bakunin, in quale fra l'altro era anche lui a Berlino a quel tempo e stava seduto davanti a me, con altri quattro o cinque russi, al corso di logica di Werder (era il 1841-1842). L'innocua, e soltanto etimologica, anarchia (cioè assenza di un'autorità statale) di Proudhon non avrebbe mai portato alle dottrine anarchiche di oggi se Bakunin non vi avesse versato una buona parte della 'ribellione' stirneriana. In conseguenza gli anarchici sono diventati altrettanti "unici", così unici che non se ne trovano due che riescano ad andar d'accordo" (lettera a Max Hildebrand del 22 Ottobre 1889). E' questo il controcanto privato al breve, allusivo riconoscimento pubblico che Engels aveva appena dedicato a Stirner: "E alla fine venne Stirner, il profeta dell'anarchismo attuale - Bakunin ha preso moltissimo da lui - e al di sopra della sovrana "autocoscienza" fece svettare il suo "unico" sovrano" (Ludwig Feuerbach und der Anfang der Deutschen Philosophie, 1888, Opere complete M & E). L'"Antistirner", come sarebbe giusto chiamare il libro contro Stirner che erompe dalla cornice de "L'ideologia tedesca", finì per essere pubblicato postumo sia a Marx che a Engels. Nel 1903-1904 Bernstein ne offriva un'edizione parziale sotto il titolo "Der 'Heilige Max'"-Il santo Max. Fino ad allora non si sapeva dunque che Stirner era un avversario a cui Marx ed Engels avevano dedicato qualche centinaio di pagine per infamarlo. E questo aiuta a capire come mai, ancora negli anni novanta del XIX secolo, vari teorici e studiosi socialisti mostrassero ancora una evidente simpatia per Stirner.
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Le edizioni del libro
Dopo la prima edizione, del 1844, appare nel 1882, sempre edita da Wigand, una ristampa dell'Unico che non sembra essere stata notata. Il libro irrompe invece tra le letture d'obbligo con l'edizione del 1893 a 80 Pfennig nella Universal-Bibliotek della Reclam, preceduta da un'introduzione di Paul Lasuterbach. Da allora l'Unico viene continuamente ristampato. L'edizione oggi corrente in Germania (al 1979) è sempre nella stessa collana della Reclam. Dal 1972 appare con l'annotazione e un saggio di Alrich Mayer.
Le traduzioni.
Il primo paese dove l'Unico viene tradotto è la Francia. E il testo fa breccia nella zona culturale e politica più vivace di quegli anni, fra il simbolismo e l'anarchia. I primi estratti appaiono sul "Mercure de France"-Mercurio di Francia-, tradotti da Henri Albert, che era anche traduttore di Nietsche. Poi, nel 1900, vengono pubblicate due traduzioni: una, di Reclaire, edita da Stock; l'altra, di Lasvignes, presso "Edition de la Revue Blanche"-Edizioni della Rivista Bianca-, altro centro presso cui si raccoglieva il meglio della letteratura di quegli anni. Uno dei primi a scrivere in Francia su Stirner sarebbe stato Gustave Kahn. E Gide avrebbe sospirato sulle differenze tra Stirner e Nietsche, inclinando per quest'ultimo.
Ben diverso il clima italiano, dove anche si avranno due traduzioni: una del 1902, edita da Bocca, ampiamente tagliata e preceduta da un'introduzione di Ettore Zoccoli, che è anche il traduttore. Preoccupato dalla dilagante fortuna che "l'individualismo criminale" di Stirner stava incontrando Zoccoli traccia un profilo piuttosto dettagliato delle vicende dell'Unico e soprattutto, come voleva la tendenza di allora, mette a confronto le idee di Stirner con quelle di altri maestri dell'anarchismo. L'altra traduzione italiana, senza menzione del traduttore, sarebbe apparsa nel 1911, presso la Libreria Editrice Sociale. La seconda edizione del 1920 e la terza, del 1922, avrebbero avuto anche uno studio introduttivo sulla vita e l'opera di Stirner a firma di V. Roudine. Nel frattempo Zoccoli, che aveva già pubblicato un breve libro su Stirner e l'anarchismo americano , "I gruppi anarchici degli Stati Uniti e l'opera di Max Stirner", gli dedicava il primo capitolo della sua opera più ambiziosa, "L'anarchia", Torino, 1907. Questo libro, subito tradotto in russo e tedesco, fu uno dei canali principali attraverso cui il nome di Stirner si diffuse in Italia.
La "Casa Editrice Vulcano", della provincia di Bergamo, stampò un'edizione del libro nel 1977, dalla cui traduzione la "Demetra" di Verona ne fece una ulteriore per la Collana Anarchici nel 1996.
L'"Adelphi Edizioni", nella sua "Biblioteca Adelphi", ha pubblicato un'altra stampa del libro di Stirner, nel 1979, con al fondo del libro un "Accompagnamento alla lettura di Stirner" a firma di Roberto Calasso. Questa edizione ebbe una grossa fortuna editoriale e una costante ristampa, e si può dire che fu la consacrazione in una collana prestigiosa dell'opera di Stirner.
La "Casa Editrice Patròn" di Bologna pose mano a un'ulteriore pubblicazione del libro di Stirner nel 1981, con un'introduzione di Giorgio Penzo, ordinario di storia della filosofia all'Università di Padova, che nello stesso anno pubblicò, presso la medesima casa editrice, il fondamentale "Max Stirner - la rivolta esistenziale", uno studio molto approfondito dal punto di vista filosofico.
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Stirner e Nietzsche
Se non si sapesse che Stirner scrisse le sue opere ben prima che Nietzsche cominciasse a scrivere le sue verrebbe di fare il seguente paragone: mentre Nietzsche aveva trovato una tavola apparecchiata, su cui erano posati diverse oggetti, cioè tutte le "idee fisse", i "fantasmi" e le astrazioni della Morale, dell'Etica, della Religione, dell'Amore, dell'Amicizia, del Dovere, insomma tutte le categorie "alte" sedimentatesi nel corso di secoli di storia del pensiero e del costume occidentali e, davanti a questa tavola, l'aveva poi sgomberata di molti di quegli oggetti per mettervene sopra altri, per esempio la Nazione Germanica, la Tragedia, la Musica e altri concetti, Stirner invece, disgustato da tutto ciò che aveva trovato su una tavola simile, in un'altra stanza, avrebbe semplicemente tirato la tovaglia da una parte gettando tutto sul pavimento, ponendo sulla tavola un'unica cosa, l'Io individuale, ovvero, appunto, l'Unico.
In realtà le cose andarono diversamente.
Stirner viene riscoperto negli anni novanta del XIX secolo sulla scia della improvvisa fortuna di Nietzsche. E presto si articola una disputa che proseguirà poi per anni. C'è chi afferma che Nietzsche ha derivato molte, troppe idee da Stirner, senza mai citarlo. C'è chi nega che Nietzsche abbia mai letto Stirner (è la posizione della famigerata sorella Elisabeth, quindi dell'Archivio). C'è chi è pieno di dubbi e incertezze, come Franz Overbeck, che però finisce poi per raccogliere le prove decisive: consulta l'elenco dei libri presi in prestito alla biblioteca dell'Università di Basilea e vi scopre che nel 1874 l'Unico era stato letto dal discepolo prediletto da Nietzsche in quel momento: Adolf Baumgartner. Chiede allora conferma a Baumgartner, il quale ricorda benissimo di aver letto il libro su insistente suggerimento di Nietzsche. E ricorda anche alcune sue parole sull'Unico: "è quanto di più audace e consequenziale sia stato pensato dopo Hobbes". A quella di Baumgartner si aggiungeva poi la testimonianza di Ida Overbeck: il ricordo di due conversazioni in cui Nietzsche le aveva accennato a Stirner, con una sorta di fosca esaltazione, dicendole anche che non avrebbe dovuto parlargliene, perché un giorno lo avrebbero accusato di plagio. Dopo aver raggiunto anche sgradevoli asprezze (sarà un argomento nelle varie vendette che Elizabeth scatenerà contro gli Overbeck), questa polemica viene inghiottita dal tempo. Negli anni successivi, e fino ad oggi, la questione dei rapporti Nietzsche-Stirner non è stata mai più sollevata in tutte le sue implicazioni, che sono enormi. Per lo più ci si contenta di rimandare alla polemica di fine secolo, in brevi accenni. Per introdursi a questa intricata vicenda si possono leggere: Robert Schellwien, "Stirner und Nietzsche", Leipzig, 1892 (libro insulso ma il primo che ponga sullo stesso piano i due scrittori, in quanto "poeti consequenziali dell'individualismo"); Ola Hansson, "Seher und Deuter", Berlino, 1894; C.A. Bernoulli, "Overbeck und Nietzsche", Jena, 1908 (è la fonte di gran lunga più importante, riporta le testimonianze di Franz e Ida Overbeck oltre che offrire una cronaca della polemica); R.F. Krummel, "Nietzsche und der deutsche Geist"-N. e lo spirito tedesco-, Berlino, 1974 (da questa preziosa bibliografia commentata degli scritti su Nietzsche sino all'anno 1900 si può ricostruire l'intrecciarsi della fortuna di Stirner a quella di Nietzsche negli anni novanta del secolo scorso, sino al formarsi di due fazioni in una certa cultura tedesca del tempo, bramosa di eccessi e rigenerazioni: una che vede Stirner come l'ombra di Nietzsche, l'altra che vede Nietzsche come l'ombra di Stirner); Ernest Seilliére, "Apolon oder Dionysos?", Berlino, 1906 (uno fra i più singolari libri su Nietzsche di quegli anni, tratta in dettaglio il rapporto Nietzsche-Stirner ed è il primo a elencare una serie di corrispondenze testuali senz'altro convincenti); Albert Lévy, "Stirner et Nietzche", Parigi, 1904 (interessa soprattutto per la ricostruzione delle letture di Nietzsche nel periodo di Basilea, sulla base dei libri presi in prestito alla biblioteca dell'università); C.P. Janz, "Friedrich Nietzsche", vol.III, Monaco, 1979 (è la più ricca biografia su Nietzsche, ma sul rapporto Nietzsche-Stirner porta una documentazione insufficiente e non priva di errori).
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La biografia ufficiale
Negli anni '90 del secolo scorso un giovane scozzese, John Henry MacKay, si troverà al British Museum con il libro di F.A. Lange "Geschichte der Materialismus", del 1866, che parla dell'Unico come dell'"opera più estrema che conosciamo in genere". Da lì nasce una curiosità che si trasformerà presto in devozione. Assistiamo così al formarsi di uno dei molti paradossi che circondano Stirner: intorno all'essere da molti considerato il più empio comparso sulla faccia della Terra si crea un clima di venerazione santimoniosa, acritica, melensa. Per anni MacKay si sarebbe gettato sulle tracce della vita di Stirner cercando le testimonianze di una grandezza esteriore e pubblica che non ci fù veramente, per la stessa natura schiva di Stirner. Il libro di MacKay è comunque la prima e sola biografia di Stirner fino ad oggi, uscì col titolo "Max Stirner. Sein Leben un sein Werk", Berlino, 1898, e fu poi arricchita nelle successive edizioni: Treptov, 1910, e Charlottenburg, 1914. Riferimento perciò inevitabile, non solo per i dati che offre (sono pochi, però non ne abbiamo quasi altri), ma come monumento di quel culto per Stirner che si sarebbe sviluppato negli anni. L'elemento più singolare che risalta nelle ricerche biografiche di MacKay è la scarsezza dei dati: perduti tutti i manoscritti, morte, scomparse o inavvicinabili quasi tutte le persone che avevano conosciuto Stirner, non rimangono sue lettere, ne ritratti (il solo che abbiamo fu tracciato a memoria da Engels quarant'anni dopo, come si è già detto). Con fatica è stata ritrovata la sua firma su un documento.
Tutta la documentazione raccolta da MacKay in molti anni, invano offerta alle autorità di Berlino, fu acquistata nel 1925 per una cifra assai modesta dall'Istituto Marx-Engels di Mosca, poi diventato Istituto per il marxismo-leninismo, nei cui archivi, forse, giace tuttora, se dopo il crollo dell'Unione Sovietica non è andata completamente distrutta.
Di questo scritto di MacKay esiste una edizione in Internet, in tedesco e in inglese, su un sito dedicato a Stirner, molto interessante e approfondito.
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A mo' di conclusione e di epitaffio a questa breve panoramica sulla storia del libro di Stirner e sulla sua persona, per quel poco che se ne sa, possiamo citare questo brano, tratto dal libro di F. Mauthner "Der Atheismus un seine Geschichte im Abendlande", Stoccarda-Berlino, 1923: "ancora oggi ci sono certi uomini devoti che per via del suo libro prendono l'anarchico Stirner per un matto e per Satana in persona; e ancora oggi ci sono certi uomini diversamente devoti che fanno partire da lui una nuova epoca dell'umanità, appunto perché era un anarchico. Ma non era un diavolo e non era un pazzo, anzi era un uomo silenzioso, nobile, che nessun potere e nessuna parola sarebbero riusciti a corrompere, un uomo così unico che non trovava un posto nel mondo, e di conseguenza più o meno fece la fame; era soltanto un ribelle interiore, non era un capo politico, perché agli uomini non lo legava neppure una lingua comune".
Un articolo dal sito stirneriano http://www.lsr-projekt.de/ , sembrerebbe del 2015 dc:
Il germanista e storico delle idee francese Henri Arvon fu nella seconda metà del XX secolo l'esperto più attivo nello spazio francofono in termini di pubblicazioni concernenti Max Stirner. Dal 1954 al 1966, la sua monografia su Stirner era l'unica esistente al mondo. Benché fosse abbastanza noto in Francia in quanto autore, grazie a una serie di libri, in parte editi nella collezione ampiamente diffusa Que sais-je? (Bibliografia), rimase, in quanto persona, talmente nascosta che si può appena sapere su di lui, soltanto ciò che si trova nei dizionari specializzati o su internet. Wikipedia francese offre lo stesso stato di cose da tre anni, un mini articolo su Arvon, che non comprende nemmeno le sue date di nascita e morte.
I
Henri Arvon è nato Heinz Aptekmann il 9 marzo 1914 a Bayreuth, da una famiglia ebraica (1). Ottiene la sua laurea nel 1933 -- nello stesso liceo in cui Stirner aveva ottenuto il suo "Absolutorium" nel 1826 -- e andò a studiare in Francia, dapprima a Strasburgo, più tardi a Clermont-Ferrand. Heinz Aptekmann fece modificare il suo nome in Henri Arvon, acquisì la nazionalità francese e sopravvisse alla guerra nella zona libera.
Dopo la guerra, Arvon insegnò in diverse istituzioni: dal 1946 al 1965, al Pritaneo Nazionale Militare a La Flèche, un liceo che preparava a degli studi in un'accademia militare; dal 1966 al 1970, all'Università di Clermont-Ferrand; e dal 1971 al suo pensionamento nel 1982, all'Università Paris X - Nanterre.
Nel 1939, Arvon sposò Marta Weinberg, un'ebrea tedesca che viveva anche lei in esilio in Francia, ed ebbe con lei una figlia, Cécile, nata nel 1945. Dopo essere diventato vedovo nel 1978, sposò nel 1987 una Spagnola e visse da allora nelle vicinanze di Barcellona.
Henri Arvon morì il 2 dicembre 1992. (2)
Nel corso dei primi anni della sua attività di professore alla scuola militare, Arvon scrisse due monografie compatte che uscirono nel 1951 nella collana "Que sais-je?" e conobbero" un durevole successo: una sul buddismo (21a edizione nel 2005), l'altra sull'anarchismo (12a edizione nel 1998). L'opera sul buddismo, come dice Arvon nella prefazione "non si ispira ad alcun proselitismo e [É] nasce unicamente dall'interesse appassionato che l'autore ha provato allo strano spettacolo di una religione atea e di un ateismo che vuole afferrare l'Assoluto, [per dare, qui sulla Terra, delle direttive per un modo di vita ragionevole]." (passo tra le virgolette presente unicamente nella versione tedesca).
Quest'interesse condusse ben presto Arvon agli scritti dei giovani hegeliani che per primi in Germania avevano difeso delle posizioni atee: Bruno Bauer e Ludwig Feuerbach. Egli conosceva già Max Stirner dagli anni del liceo di Bayreuth. (3) Gli ha, come disse più tardi, "dedicato degli studi durante tutta la sua vita". (4) Scrisse per la prima volta su questo argomento per la sua tesi di dottorato, che egli ottenne nel 1951. Essa non fu pubblicata. Tuttavia, ne furono tratte due pubblicazioni: lo stesso anno, nel 1951, un lungo articolo, Une polémique inconnue - Marx et Stirner[Una polemica sconosciuta - Marx e Stirner], sulla rivista pubblicata da Jean-Paul Sartre "Les Temps Modernes", e nel 1954, il libro Aux sources de l'existentialisme - Max Stirner [Alle fonti dell'esistenzialismo -- Max Stirner]. Questo libro comprende un capitolo, Saint Max [San Max], che ricapitola l'articolo del 1951.
Arvon sostiene nell'articolo, così come nel capitolo, l'idea secondo la quale Stirner avrebbe svolto un ruolo importante nella concezione del materialismo storico di Marx, delle basi teoriche del futuro marxismo, insomma. Questa sarebbe stata la critica di Stirner su Feuerbach, che avrebbe obbligato Marx, adepto di Feuerbach, a distaccarsene nel 1845 e a sviluppare il suo proprio punto di vista, dovendo immunizzarlo contro la critica di Stirner. Arvon giustificò questa visione con una ricostruzione esatta dello sviluppo teorico di Marx sino al suo manoscritto Sankt Max (San Max), elemento principale del volume intitolato più tardi Die deutsche Ideologie (L'ideologia tedesca), rimasta in gran parte inedita all'epoca. Arvon parlò di una "svolta essenziale" nello sviluppo teorico di Marx.
Se, dopo più di mezzo secolo di ricerche su un pensatore così famoso come Marx, una tale scoperta biografica fu ancora possibile, si può fortemente supporre che esistevano in precedenza degli ostacoli ideologici che avevano turbato lo sguardo dei ricercatori, dei marxisti così come altri. Una situazione tesa. Arvon sembra aver preso questo fatto in debito conto, perché presentò il suo lavoro pionieristico con una grande umiltà, prudenza e conciliazione. Già nel titolo dell'articolo, parlò di una polemica "sconosciuta" - benché abbia evidentemente saputo che il San Max di Marx era conosciuto dal 1903, ma del tutto ignorato da allora. (5) Continuò ad essere empatico di fronte ai suoi destinatari anticipando due fattori scusanti le loro mancanze: innanzitutto, San Max non sarebbe stato reso pubblico che nel 1932, (nel quadro dell'edizione completa di Marx-Engels MEGA -- ignora i testi del 1903); e in secondo luogo, l'oblio del ruolo di Stirner sarebbe dovuto alla concezione di Engels nel suo libro Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie (Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca) del 1886/88. Questo libro avrebbe ottenuto, per la sua visione della filosofia di "Vormärz" (l'"avanti-marzo"; epoca storica tedesca dal 1830 al 1848), uno statuto del tutto paradigmatico, a causa della sua purezza. Tuttavia, la rappresentazione di Engels del ruolo di Stirner -- come figura di "anarchico" secondaria, che sarebbe stato superato da Feuerbach -- non resisterebbe già ad un esame cronologico. Non che Engels abbia volontariamente scritto delle cose false, assicura rapidamente Arvon, no, ma le necessità politiche dell'epoca non gli avrebbero permesso una rappresentazione fedele della nascita del materialismo storico. (6)
Questa posizione difensiva da parte di Arvon, che possiamo giustificare con altri esempi nella scelta del vocabolario e dello stile, è anche, probabilmente inconscio, all'origine della scelta del titolo del suo libro, che reca confusione. Mentre Arvon vi mostra dettagliatamente che Stirner è stato una "fonte" importante del materialismo storico e anche del marxismo, lo annuncia nel titolo come "fonte" dell'esistenzialismo. Stirner in quanto padre dell'esistenzialismo non è trattato che nelle due ultime pagine del libro di Arvon, certo sotto il titolo di Conclusione, ma in alcun caso senza che ciò sia comprensibile in rapporto a quanto precede. Nessun esistenzialista di fama fa riferimento inoltre in modo positivo a Stirner. (7)
III
La monografia di Arvon su Stirner fu nel 1954 la prima in lingua francese e rimase sino alla fine degli anni 60 la sola al mondo. Fu molto spesso citata quando si trattava di integrare Stirner a una scuola di pensiero, l'esistenzialismo, giustamente. Ci si atteneva all'evidenza allora al titolo del libro e si notava appena che quest'ultimo, conformemente al contenuto, avrebbe dovuto intitolarsi Alle fonti del marxismo.
I lavori di Arvon sul rapporto di Stirner con il marxismo non furono all'epoca conosciuti che in modo isolato, per esempio, in un breve resoconto sull'articolo di Arvon Una polemica sconosciuta, (8) del giovane Iring Fetscher, che aveva inoltre studiato a Parigi, Arvon avrebbe scoperto una lacuna nella ricerca su Marx, che sarebbe semplicemente del tutto "inspiegabile".
Lo studio di Fetscher non aveva dato all'epoca ad alcuna conseguenza percettibile in Germania. In Francia, si ignorò allo stesso modo la tesi di Arvon; ma vi era lì uno dei suoi colleghi, quasi della stessa età, su cui la scoperta di Arvon aveva dovuto fare una impressione molto forte, benché, per tutta la sua vita, non fece che tacerla. Questo collega lavorava, negli anni 50, nello stesso campo specialistico di Arvon. Mentre Arvon pubblicò una monografia su Feuerbach nel 1957, l'altro tradusse in francese i testi di quest'ultimo e li commentò. In compenso, Arvon utilizzò le traduzioni di quest'ultimo per un volume intitolato Feuerbach - sa vie, son Ïuvre; avec Extraits de Feuerbach, Stirner, Marx [Feuerbach -- la sua vita, la sua opera; con estratti di Feuerbach, Stirner , Marx] del 1964. Louis Althusser era questo collega.
È praticamente escluso che Arvon e Althusser non si siano conosciuti. Si può inoltre supporre che i due abbiano avuto una conoscenza molto precisa dei lavori l'uno dell'altro. Ciò è importante per comprendere l'opera di Althusser Pour Marx [Per Marx] del 1965 e la discussione che essa provocò a livello internazionale.
Un buon decennio dopo che Arvon ha parlato della "svolta essenziale" nello sviluppo teorico di Marx, Althusser sostiene la stessa tesi come elemento centrale di quest'opera con il nome di "rottura epistemologica" (coupure épistémologique). Althusser si concentra, così come Arvon, su L'ideologia tedesca di Marx, ma ignora così circa 350 pagine su 500, precisamente la parte dell'opera nella quale Marx critica Max Stirner in quanto San Max. Il nome di Stirner non è menzionato da Althusser, così come lo stesso nome di Arvon.
Non varrebbe nemmeno la pena di parlarne oggi, se non si trattasse di un plagio. Più importante è il fatto che questo silenzio ostinato su Stirner, in un contesto in cui svolse il ruolo principale, fu anche ignorato nelle discussioni internazionali. Ciò dà l'impressione irrefutabile che la tesi formulata da Arvon di una cesura decisiva nello sviluppo della teoria di Marx non può essere comunicata che in questa maniera al mondo degli specialisti e ben oltre, che il nome di Stirner fu bandito a causa di quest'ultimo, invece, come ciò è ordinario nel caso di un discorso scientifico, di pesare gli argomenti pro e contro dell'influenza di Stirner su Marx. Nella misura in cui questo silenzio su un fatto che salta da sé agli occhi fu tenuto in modo collettivo, ho parlato in un precedente contributo di un ostracismo che, ben inteso, senza essere stato pronunciato, fu efficace in questo caso e lo è ancora. (9)
IV
La questione più evidente che si pone in seguito, è quella della reazione di Arvon sulla pubblicazione di Althusser e sul comportamento conforme dei numerosi ricercatori su Marx, qualunque sia la loro provenienza, nella discussione sulla tesi di Althusser. Stranamente, Arvon non reagisce dapprima -- sino al 1977 -- non del tutto pubblicamente. Nella misura in cui la sua successione non è attualmente localizzata, e in cui l'inventario della successione di Althusser (all'Institut mémoires de l'édition contemporaine, IMEC, Parigi) non dà informazioni sui documenti inediti concernenti Stirner o sugli scambi epistolari tra Arvon e Althusser, non rimane che la possibilità di indovinare un movente plausibile sulla base dei testi editi.
Dobbiamo qui citare un libro che apparve nel 1966, e cioè quasi nello stesso periodo di quello di Althusser, ed ebbe un'influenza così notevole sul giudizio di Arvon a proposito di Stirner, che possiamo parlare, impiegando la sua propria espressione di una "svolta essenziale" nello sviluppo di Arvon: Die Ideologie der anonymen Gesellschaft (L'Ideologia della società anonima), un libro di 600 pagine di Hans G. Helms. (10) Lo stirnerismo riprendendo la critica di Stirner da parte di Marx, vi è rappresentato come ideologia del piccolo borghese , attualizzata come nucleo delle ideologie, sia dello Stato nazionalsocialista sia -- perché Helms vede una continuità -- della Repubblica federale tedesca di Adenauer.
Arvon racconta, in una digressione autobiografica nel quadro di un discorso che egli diede nel 1969 a un congresso dell'anarchismo, (11) l'esperienza di risveglio che Helms fece nascere in lui segnalando l'importanza, durante la valutazione di oggetti storici, di riflettere costantemente "in modo dialettico" la sua propria situazione societaria. Egli, Arvon, avrebbe così riconosciuto che la sua principale ragione di interessarsi a Stirner si trovava nella sua personale esperienza del totalitarismo inumano e della sua svalorizzazione della persona. Questo tratto del carattere determinante, la sua esistenza in quanto germanista e la sua origine in un ambiente piccolo borghese l'avrebbero predestinato alla semplice rivoluzione di coscienza di Stirner come opposizione la più coerente al totalitarismo. Soltanto Helms gli avrebbe aperto gli occhi sul fatto che questa visione sia unilaterale. I punti di vista politici e sociali di Stirner sarebbero, come egli al presente -- in ragione della "critica aspra di Marx e Engels e a quella non meno mortale del loro discepolo Helms" - come avrebbe imparato a capirlo, "conservatori, addirittura reazionari". Egli ammetterà questo francamente e senza il minimo rimorso.
Arvon si dichiarò quindi in questo discorso "stirneriano convinto", e visse il fatto di aver evidenziato l'attualità di Stirner come forse il più grande merito di Helms. Entrambi, Arvon e Helms, avevano tuttavia delle concezioni molto differenti di questa attualità. Helms presentava Stirner come "proto-fascista" e le sue idee come "focolaio purulento" ideologico, di cui dei marxisti come lui avrebbero infine scoperto la "pericolosità" (p. 495). Non vedeva Stirner che negativamente. Al contrario, Arvon vede positivamente "la vera attualità" del pensiero di Stirner: essa deve tuttavia essere allontanata dal campo politico ed essere ridotta al campo puramente morale". Così, si potrebbe integrare l'"unicità" di Stirner in correnti filosofiche più recenti. Arvon nominò in particolare "la dialettica negativa della Scuola di Francoforte praticata da Theodor W. Adorno e Herbert Marcuse", un pensiero così audace che si negherebbe da sé e di rinnoverebbe in permanenza.
L'attaccamento di Arvon a Stirner malgrado la sua "conversione" attraverso Helms generò una posizione appena comprensibile. Alla fine, egli celebrò Stirner come "un meraviglioso antidoto" contro i recuperi dell'individuo da parte della società, ecc. Ma, come nel 1954, quando egli aveva proposto agli esistenzialisti, allora attuali, Stirner come precursore, e la cosa non aveva provocato alcuna reazione, nessun rappresentante della Scuola di Francoforte -- i cui padri fondatori avevano già ignorato Stirner -- non si occupò nemmeno questa volta della sua proposta.
V
Alcuni anni dopo, Arvon participò a un congresso, nel corso del quale, in occasione del 100° anniversario della morte di Ludwig Feuerbach, si erano riuniti 35 specialisti - marxisti, teologi, filosofi e sociologi -- da Stati situati dai due lati della "cortina di ferro". Arvon fece un discorso, Engels' Feuerbach kritisch betrachtet (Il Feuerbach di Engels illuminato in modo critico), nel quale aprì di nuovo una discussione sulle sue scoperte. Iring Fetscher, diventato nel frattempo un ricercatore su Marx di fama internazionale, era anch'egli presente. Trovò allora che "la lacuna inspiegabile nella ricerca su Marx", così come la scoperta di Arvon gli era apparsa nel 1952, non aveva più bisogno di essere spiegata. Si doveva, egli pensava ora, tener conto della "importanza politica e tattica per il partito", che il libro di Engels aveva all'epoca. Il "più grande merito" di Engels sarebbe stato di aver "rappresentato degli sviluppi filosofici concreti e di averli giustificati come necessari. Non rimaneva all'epoca ad Engels che fissare retrospettivamente e a rendere cosciente in modo generale la tappa filosofica che aveva condotto dall'hegelismo di sinistra, passando per Feuerbach, a Marx". (12)
Un altro collega, Hans-Martin Sass, lo dice in modo ancora più chiaro: "Engels ha introdotto dei principi, dei metodi di argomentazione e delle valutazioni, che, attraverso la ricerca filosofica e storica, per quanto essa possa essere sottile, allo stesso modo, signor Arvon, in cui voi la conducete, non hanno sfortunatamente potuto essere che sviluppate lentamente nel corso di decenni , e anche più. Non esistono che pochi scritti nella storia delle idee e della filosofia occidentale, che abbiano avuto un impatto così importante di quelli di Engels". (13)
La "lacuna" scoperta da Arvon, che non fu ad ogni modo notata che da una minoranza, era in questo modo colmata da molto tempo, le questioni sollevate con essa cancellate, eliminate. Arvon si ritrovò isolato durante questo congresso. Nessuno degli esperti voleva accettare correzioni alla visione canonizzata da Engels sul passo di Marx dal feuerbachismo al materialismo storico.
Eppure Arvon, come venti anni prima, aveva introdotto il tema con un'estrema prudenza. In nessun caso accusò Engels di aver alterato intenzionalmente gli avvenimenti storici, ecc. Ma non si poteva ignorare più a lungo i fatti irrefutabili, la cronologia degli avvenimenti, ed essi lo dissero questa volta molto chiaramente: "Stirner lo ha [Marx] per così dire obbligato a questa transizione verso il materialismo storico". Arvon si affrettò di smentire energicamente ciò che egli non aveva certo mai affermato, ma ciò che gli si attribuiva senza dirlo, poiché Stirner, da sempre tra gli esperti -- in particolare in rapporto a Marx -- era un argomento chiuso e indiscutibile: "Non voglio mettere Stirner al posto di Marx". E: il nucleo del "materialismo storico [è] sicuramente già presente in lui [Marx]". E: "Evidentemente, Marx va in seguito molto più lontano di Stirner". (14)
Tuttavia, queste proteste e altre dello stesso ordine servirono poco ad Arvon: il rifiuto della sua tematica, a causa della sua insistenza di lunga data, per quanto un po' fastidiosa e provocante degli scuotimenti di testa, da parte di ricercatori rappresentanti degli orientamenti cristiani, marxisti e altri, era irreversibile. Arvon si era evidentemente imbattuto in un tabù che, per decenni, era stato rispettato da tutti i ricercatori di Marx -- con poche notevoli eccezioni quasi; (15) aveva cercato di infrangere un ostracismo contro Stirner, (16) che ben inteso -- in modo analogo a ciò che oggi è considerato come politicamente corretto -- non fu mai pronunciato, ma fu di un'efficacia tanto più rigorosa.
VI
Sin dall'inizio, Arvon si trovava anch'egli, come dimostrano i suoi altri lavori su Stirner, sotto l'effetto paralizzante di questo ostracismo. È per questo che egli vide nel 1954 Stirner "alle fonti dell'esistenzialismo" e lo classificò più tardi ("secondo Helms") come "predecessore di Heidegger". È per questo che anche la resistenza dilatoria e le reazioni puntuali e un po' nervose degli esperti sul suo tentativo di valorizzare alcuni dettagli storici, non lo hanno spinto a vedere l'ostracismo in quanto tale o anche a spezzarlo intellettualmente. Se Stirner, così concepito da lui, non era un pensatore del rigore di un Marx o di un Heidegger -- e non lo era certamente -- allora non poteva ai suoi occhi che esserne più o meno l'ispiratore o più precisamente il predecessore. Se egli lo riteneva "attuale", non era che per esprimere il suo il suo desiderio che gli scritti di Stirner e di Arvon su di lui dovessero essere letti. Non poteva citare in ragione per l'attualità delle idee di Stirner -- soprattutto dopo Marx che sarebbe andato molto più lontano di Stirner, ma anche dopo Heidegger che avrebbe posto fine al trionfo dell'idealismo tedesco.
L'ostracismo sembra anche, sin dall'inizio,essere stata la ragione dell'atteggiamento ambivalente di Arvon nei confronti di Stirner. Da una parte, lo affascinava tanto che divenne il tema della sua vita, dall'altra parte, non poteva capire la posizione marginale di Stirner nella storia delle idee -- e il disinteresse dei colleghi specialisti sulla sua scoperta storiografica, quella di Arvon.
Il rispetto di Arvon per la storia delle idee esistente e i suoi cari pensatori egemonici gli fece trovare rifugio -- anche se si ribellò prudentemente e puntualmente contro Marx e Engels con le sue tesi -- già in maniera introduttiva nel suo libro su Stirner, in ampie speculazioni psicologiche sullo stato mentale di Stirner. Era chiaro, egli spiegò preventivamente ai suoi lettori, che si aveva a che fare con Stirner con un caso patologico. La fonte principale della sua opera sarebbe stata la sua totale mancanza di volontà, da cui proverrebbe l'accentuazione disperata della sua volontà. Il suo libro sarebbe stata una proiezione inversa della sua penosa vita, dei suoi insuccessi in tutti i campi: familiare, accademico, sociale, letterario. (17) Se Arvon avesse cercato anche un approccio psicologico verso il grande Marx, almeno verso le sue reazioni facilmente riconoscibili come "patologiche" nei confronti di Stirner, sarebbe allora stato confrontato alla domanda che il suo collega anarchico Daniel Guérin pose: "Allora perché dunque aver rinunciato a pubblicare il libro?". (L'ideologia tedesca). (18) Arvon, che indovinò la minimizzazione di Stirner da parte di Engels, si fece avere, attraverso quella di Marx, la prova che quest'opera -- dopo tutto, San Max è di lungi il più grande alterco che Marx abbia mai avuto con un pensatore -- non aveva importanza.
La forza paralizzante di questo ostracismo si mostrò anche nel comportamento di Arvon di fronte all'intervento di Althusser. In una delle discussioni consegnate per scritto della conferenza Feuerbach del 1973, si trova un passaggio nel quale Arvon notò che "rottura epistemologica di cui parla Althusser... è, di fatto, stata per prima constatata da me", (19) ma una presa di posizione pubblica di fronte a Althusser non ebbe luogo che dodici anni più tardi, (20) e, curiosamente, egli tacque rispetto a quest'ultima che era colui che un decennio e mezzo prima di Althusser aveva difeso la sua tesi di una frattura nello sviluppo di Marx. Evitò così di tematizzare il fatto che il suo lavoro fu ignorato, che quello di Althusser al contrario fece sensazione a livello internazionale; e che ciò abbia eventualmente potuto essere dovuto al fatto che Arvon abbia accordato a Stirner un ruolo importante nel processo, Althusser al contrario non cita nemmeno Stirner e l'opera centrale di Marx, San Max.
Arvon cominciò invece con un grande elogio di Althusser. Quest'ultimo avrebbe "posto un termine a un'enorme confusione, di cui il marxismo del dopoguerra ha sofferto". Dopo alcune considerazioni preliminari, Arvon vi allegò la critica: "Si potrebbe salutare in modo illimitato l'impresa senz'alcun dubbio chiarificatrice di Louis Althusser se non vi si opponesse il fatto che essa sia incompleta e preconcetta". Althusser sarebbe un analista perspicace, ma anche uno stretto dottrinario. È per questo che aveva posto il suo lavoro al servizio del partico comunista francese, e, come anche Engles, rappresentato Marx come un genio, che creò da sé e con la forza della sua perseveranza il materialismo storico. Arvon fece in seguito una sintesi della sua visione, benché ponesse in evidenza, in comparazione con i suoi lavori del periodo "ante-Helms", il ruolo di Bruno Bauer per relativizzare quello di Stirner.
VII
Dopo che Arvon si era lasciato convincere da Helms che le idee di Stirner rappresentavano un'ideologia piccolo borghese ed erano, da un punto di vista politico sociale reazionarie, non portò più in alto le insegne di Stirner, al quale tuttavia aveva "dedicato degli studi durante tutta la sua vita", se non per il campo "personale", in una versione tuttavia triviale e diminuita che non lasciò nulla di originale a Stirner: "L'unico è esclusivamente e soltanto quello che è completamente differente dall'altro. Soltanto questa circostanza -- ed esclusivamente questa circostanza -- lo autorizza ad essere tollerante. La tolleranza non consiste nel fatto di dire che siamo tutti degli uomini, ma nel fatto di dire che gli uni sono tedeschi, gli altri francesi -- e ciò in Francia va così distante che non vi sono soltanto dei Francesi, ma dei Bretoni, dei Baschi, degli Alsaziani; e e anche questo è stirneriano. Riconoscere la differenza, il diverso, la differenza tra noi, fondare la tolleranza su questa differenza: è questo che importava a Stirner!" (21)
Esistono alcuni elementi per ammettere che Arvon, già sin dall'inizio delle sue ricerche su Stirner, aveva questa posizione puramente antitotalitaria, liberale e che la sua ambivalenza di fronte a Stirner così come la sua interpretazione dell'individuo ne risultarono. Ad un'età matura, Arvon si richiamò infatti anche, come scrive Michel Onfray, all'"libertarismo -- un ultraliberalismo che, ai suoi tempi piaceva a Ronald Reagan". (22) Il suo ultimo libro lo testimonia: I libertariani americani. Dall'anarchismo individualista all'anarco-capitalismo, dove egli afferma ancora una volta la "filiazione ideologica tra l'anarchismo individualista [Stirner] e il fascismo", e loda il concetto "anglo-sassone" dell'individuo e più particolarmente dell'individualismo. (23)
*
Malgrado tutte le critiche contro Arvon, non di deve tuttavia mai dimenticare e sempre riconoscere e valorizzare che egli fu colui che aprì una porta sulla tematizzazione di questa "lacuna inspiegabile nella ricerca su Marx" (Fetscher). Soltanto alcuni autori hanno affrontato la via così aperta. Essi non sono andati molto più lontani di lui.
Wolfgang Essbach si spinse più in là nel 1978 con la sua tesi intitolata Die Bedeutung Max Stirners für die Genese des Historischen Materialismus. Zur Rekonstruktion der Kontroverse zwischen Karl Marx, Friedrich Engels und Max Stirner (L'importanza di Max Stirner nella genesi del materialismo storico. Dalla ricostruzione della controversia tra Karl Marx, Friedrich Engels e Max Stirner. (24)Egli concepì, sulla base di Arvon e ispirato da Max Adler, la grande fusione di Marx e Stirner, del "materialismo delle condizioni sociali" di Marx e del "materialismo del sé" di Max Stirner, fusione non è il termine impiegato da Essbach; egli ricorse alla seguente conclusione: "Le due concezioni sono in una relazione erterologica; le loro specificità non possono essere conservate che nella loro coesistenza". Fu la cosa più estrema possibile. Essbach non sviluppò ulteriormente questo concettoe orientò il tema centrale delle sue ricerche verso un altro campo. Trenta anni dopo, si espresse di nuovo, senza citare i suoi precedenti lavori, ma ponendo in epigrafe come titolo un'immagine strana già impiegata in quest'ultimi: Stirner sarebbe statoGeburtshelfer und böse Fee an der Wiege des Marxismus (la levatrice e la fata cattiva sulla culla del marxismo). Essbach riassume: "[Si deve] ritenere che Marx e Engels, dopo la lettura di L'Unico e la sua proprietà di Stirner si videro obbligati di rovesciare le loro concezioni di allora. Il pensiero di Marx e Engels non poté che con la ripresa e il rifiuto delle idee di Stirner raggiungere la forma diventata nel bene come nel male un elemento di orientamento per innumerevoli marxisti e antimarxisti nel corso degli ultimi 150 anni. Possiamo così qualificare Stirner come levatrice del marxismo. Ma, mentre Marx e Engels hanno respinto l'idea centrale di Stirner, la 'auto-appartenenza dell'io', Stirner divenne la fata cattiva sulla culla del marxismo". (25) "Nel bene come nel male?" "Fata cattiva?". "Auto-appartenenza dell'io?". L'elemento centrale rimane sottinteso e suona, allo stesso tempo bisbiglio e ironia, come una leggera reminiscenza del progetto molto ambizioso abbandonato da molto tempo, che aveva un tempo delineato come "ricerca controcorrente" [perché non aveva fiducia nelle] "concezioni scientifiche e politiche esistenti". (26)Essbach sembra essere rimasti intrappolati in un dilemma: da una parte di avere notato che, in modo chiaro, Stirner = David perde la sua forza vittoriosa contro Golia, se è travestito in Golia; d'altra parte di non far tuttavia affidamento su David per vincere da solo.
Una risposta reale alla domanda -- posta da Arvon -- su Stirner e Marx non sarà possibile se non togliendo l'ostracismo che pesa sempre su di essa, e cioè se non si considera Stirner come una parte della ricerca su Marx, ma invece Marx come parte della ricerca su Stirner. Marx appare allora, insieme a Nietzsche e alcune dozzine di altri pensatori (27) come "efficace compressore" (28) di Stirner, più precisamente: come "compressore primario", perché esistono innumerevoli "compressori secondari", che non vogliono soprattutto tener conto della "evizione primaria e sono i responsabili di questo ostracismo -- Marx e Nietzsche, le due grandi luci che hanno segnato il XX secolo, degli oscurantisti? Stupidaggine! È il principio dell'ostracismo.
(1) Rainer Trübsbach: Geschichte der Stadt Bayreuth (Storia della città di Bayreuth 1194-1994), Bayreuth: Druckhaus Bayreuth, 1993, p. 309; ho ricevuto l'informazione dal signor Professore Armin Geus, che ha fatto pubblicare il 1° febbraio 2012 la traduzione tedesca dell'opera di Arvon Aux sources de l'existentialisme [Alle fonti dell'esistenzialismo] dalle sue edizioni marburghesi Basilisken-Presse. Per maggiori informazioni sulla famiglia d'origine di Arvon e il suo destino:
(2) Lettera della figlia di Arvon, Dottor Cécile Meslé, a Bernd A. Laska del 5 maggio 1993.
(3) Da un'informazione di Günther Aptekmann alias Pinhas Yoeli a Armin Geus.
(4) Atheismus in der Diskussion. Kontroversen um Ludwig Feuerbach (L'ateismo mella discussione. Controversie su Ludwig Feuerbach), a cura di Hermann Lübbe e Hans-Martin Sass, Monaco, Chr. Kaiser / Mayence, Matthias Grünewald 1975. p. 144.
(5) La polemica di Marx fu pubblicata nel 1903/04 sotto forma di lunghi estratti della successione con il titolo: Der "heilige Max". Aus einem Werk von Marx-Engels über Stirner (Il "Santo Max". Estratti da un'opera di Marx-Engels su Stirner). In: Dokumente des Sozialismus, Stoccarda 1903, pp. 19-32, 65-78, 115-130, 169-177, 306-316, 355-364 e 1904, pp. 210-217, 259-270, 312-321, 363-373 e 416-419 (in tutto circa 120 pagine).
(6) Henri Arvon: Aux sources de l'existentialisme - Max Stirner. [Alle fonti dell'esistenzialismo, Max Stirner], Parigi, Presses Universitaires de France, 1954, pp. 167-173.
(7) Cfr. Bernd A. Laska: Ein dauerhafter Dissident (Un durevole dissidente), Norimberga, LSR-Verlag, 1996 (cap. Der Existentialist).
(8) Iring Fetscher: Die Bedeutung Max Stirners für die Entwicklung des Historischen Materialismus(L'importanza di Max Stirner per lo sviluppo del materialismo storico). In: Zeitschrift für philosophische Forschung, 6,3 (1952), pp. 425-426.
(9) Bernd A. Laska: Den Bann brechen! Wider Marx, Nietzsche et al.; Teil 1: Über Marx und die Marxforschung. (Spezzate il bando! Contre Marx, Nietzsche et al.; parte 1: Su Marx e la ricerca su Marx). In: Der Einzige. Vierteljahresschrift des Max-Stirner-Archivs Leipzig, n° 3 (11), agosto 2000, pp. 17-24.
(10) Hans G. Helms: Die Ideologie der anonymen Gesellschaft (L'ideologia della società anonima). DuMont Schauberg, Colonia, 1966.
(11) Henri Arvon: L'actualité de la pensée de Max Stirner [L'attualità del pensiero di Max Stirner] In: Studi, n° 11 (Fondazione Luigi Einaudi), Anarchici e Anarchia nel mondo contemporaneo, Torino, 1971, pp. 285-292; riedito in: Diederik Dettmeijer (a cura di): Max Stirner - ou la première confrontation entre Karl Marx et la pensée antiautoritaire [Max Stirner o il primo confronto tra Karl Marx e il pensiero antiautoritario], Losanna, L'Âge d'Homme, 1979, pp. 87-91.
(12) Discussione sul capitolo IV. Feuerbachianismus und Marxismus I. In : cf. (4), pp. 142-164 (148-149).
(13) cfr. (4), pp. 145-146.
(14) cfr. (4), pp. 109-110, 144.
(15) Questa eccezione era Max Adler, il principale teorico di ciò che si chiama austro-marxismo, ma che, tuttavia, come Arvon, non osò scoprirsi se non parzialmente. Vedere anche il capitolo Der (klandestin) Adorierte (L'adorato (clandestino)) [Stirner] in: Bernd A. Laska: Ein dauerhafter Dissident (Un durevole dissidente), LSR-Verlag, Norimberga, 1996.
(16) Vedere a questo proposito i miei due capitoli Den Bann brechen! (Spezzate il bando!), parte 1: Marx und die Marxforschung; (Marx e la ricerca su Marx); parte 2: Nietzsche und die Nietzscheforschung(Nietzsche e la ricerca su Nietzsche). In: Der Einzige. Vierteljahresschrift des Max-Stirner-Archivs Leipzig, n° 3 (11), agosto 2000, pp. 17-24; n° 4 (12), novembre 2000, pp. 17-23.
(17) Henri Arvon: Aux sources de l'existentialisme - Max Stirner. Presses Universitaires de France, Parigi, 1954, p. 7.
(18) Daniel Guérin: Stirner - "Père de l'anarchisme"? Son apport et ses lacunes. [Stirner -- "Padre dell'anarchismo"? Il suo apporto e le sue lacune], in: Diederik Dettmeijer (a cura di), cfr. (11), pp. 93-104 (101).
(19) cfr. (4), p. 20.
(20) Henri Arvon: Concerning Marx' "epistemological break" (Considerazione sulla "rottura epistemologica" di Marx), in: The Philosophical Forum, vol. 8, n° 2-4, pp. 173-185.
(21) cfr. (4), pp. 144, 148.
(22) Michel Onfray: Traité d'athéologie. Physique de la métaphysique. [Trattato di ateologia. Fisica della metafisica, Fazi Editori, Roma, 2006], Grasset & Fasquelle, Parigi, 2005, p. 265.
Una recensione della finalmente pubblicata biografia di Max Stirner, nel sito http://costruttiva-mente.blogspot.it/ l'1 Luglio 2014 dc:
Nuovo!
Dal sito Individualismo Anarchico http://individualismoanarchico.blogspot.it 24 Luglio 2013 dc, un lungo e complesso articolo (con mie correzioni marginali e di impaginazione, peccato per i testi originali tedeschi inseriti senza traduzione):
Esistenza ed indicibilità in Max Stirner
di Renato D'Ambrosio
Il pensiero filosofico sfocia nel secolo scorso nella costituzione di una corrente di pensiero che prese il nome di esistenzialismo. Indubbio fu per i maggiori esponenti di questo filone, Heidegger, Sartre e Jaspers, l’influsso che nella metà del diciannovesimo secolo diede S. Kierkegaard, e successivamente E. Husserl.
Dal sito http://www.oocities.org/ viene recuperato una pagina presente in Geocities nel 2009 dc:
Renzo Novatore "Il soldato del sogno"
Dal sito http://individualismoanarchico.blogspot.it/ , un articolo pubblicato il 15 Agosto 2012 dc:
Individualismo anarchico
di Victor Basch
Un po' di tempo fa il settimanale "L'Espresso" pubblicava un servizio su Max Stirner firmato da Domenico Settembrini: pubblico il suo articolo centrale.
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Grandi ritorni Max Stirner
"L'Unico e la sua proprietà"
Io, Io, Io, Io, Io e Io
Secondo le tesi di questo singolare pensatore anarchico l'individuo non deve avere altro Dio all'infuori di sé e deve agire soltanto per il proprio interesse. La sua opera, presa in considerazione a destra e a sinistra, esaltata o rifiutata, ancora una volta è presente. Perché?
Tre sono gli atteggiamenti che può assumere il pensiero umano di fronte alle difficoltà insuperabili con cui si presenta il problema dell'individuo nella società e nella storia. Il primo atteggiamento consiste nel prendere atto di quelle difficoltà e tentare di attenuarle e conviverci, come si fa con le malattie. E' l'indirizzo antimetafisico, pragmatico, e tuttavia pervaso di pessimismo, di Hume, che prelude al liberalismo moderno di Popper.
Secondo atteggiamento: esorcizzare quelle difficoltà degradandole a realtà inferiore o apparente, che prevarrà infallibilmente in un al di là sovrannaturale o storico, dove il destino di ogni singolo si identificherà e si appagherà perfettamente nel destino del tutto. E' l'impostazione metafisica, totalizzante, che nello sforzo di eternare l'individuo finisce invece con l'annullarlo in Dio. E' l'impostazione propria del cristianesimo, ma che rivive sostanzialmente immutata in Hegel e Marx (**nostra nota: questa é pura follia!). Per Hegel infatti gli individui si riscattano dalla propria finitezza, dal dolore, dall'ingiustizia e dalla morte e si parificano in quanto strumenti inconsapevoli dell'epifania storica dello Spirito, guidata dall'astuzia della Ragione, versione laica della Provvidenza divina. Per Marx invece gli individui acquistano un valore immortale mettendosi al servizio del comunismo, il cui avvento é guidato da leggi economiche altrettanto inesorabili e provvidenziali dell'astuzia della Ragione (**nostra nota: chissà cosa aveva mangiato di pesante l'autore per arrivare a simili conclusioni). Cambia il simbolo, la realtà é la stessa: al posto di Do, realtà metastorica, Hegel e Marx pongono sull'altare la Specie, realtà che si vorrebbe storica, ma che sovrasta e schiaccia dall'esterno l'individuo non meno del Dio trascendente.
In polemica con lo storicismo hegeliano e con il collettivismo - ecco il terzo atteggiamento - Max Stirner imbocca una strada ardua: per sfuggire alle difficoltà implicite nella realtà individuale le esaspera fino alle conseguenze più assurde. Feuerbach, maestro di Marx, svelando come l'intima essenza del Dio cristiano e dello Spirito hegeliano fosse la proiezione fantastica di attributi umani, credeva di avere restituito all'individuo "la sua proprietà". E non si era accorto, secondo Stirner, di avere invece solo cambiato nome al Trascendente. "Chi é il suo Dio? L''uomo'. Che cos'é il divino? L''umano'. Si tratta solo di una nuova religione". Perché "se Dio ci ha tormentati, l'uomo é in grado di opprimerci con torture ancora maggiori". Durante il Terrore infatti é "per servire l'uomo" che "i preti della Rivoluzione tagliavano le teste 'agli uomini'".
Per Stirner l'individuo insomma, poiché é Unico, non deve avere altro Dio all'infuori di se stesso, nella propria "corporeità particolare", e deve "agire secondo il proprio interesse, non già secondo ideali". Dietro ogni ideale c'é infatti sempre qualcuno che se ne serve per farci agire secondo i suoi interessi invece che secondo i nostri, e non si vede perché tra interessi particolari uno non debba sempre dare la preferenza ai propri. Così Stirner condanna sì la proprietà privata, ma solo quella degli altri (**nostra nota: siamo convinti che l'autore Stirner non l'abbia proprio letto!), che giudica comunque più tollerabile di quella collettiva, perché "il comunismo investe la comunità di un potere ancor più terribile su di me". Stirner intuisce infatti acutamente che la collettivizzazione ha una sua logica che non le consente di arrestarsi ai beni materiali, ma la sospinge verso l'espropriazione dell'individualità stessa del singolo. "Sono forse i soldi e le ricchezze l'unica proprietà, oppure ogni pensiero é cosa mia, mia proprietà?" Perché il comunismo raggiunga il suo scopo "la persona non deve perciò avere alcuna opinione", ma solo la "fede" adottata dalla società.
Oltre queste vi sono in Stirner altre geniali premonizioni di sviluppi a venire. Non gli sfugge per esempio la tendenza irresistibile del partito moderno, specie poi fanaticamente antistatalista e antireligioso, a diventare attraverso la rivoluzione uno Stato ideocratico più oppressivo di ogni altro. E tuttavia ciò non basta a controbilanciare il fatto che la critica di Stirner, nascendo dalla stessa ansia di assoluto delle filosofie che aggredisce, si risolve in un messaggio anarcoide ancor più illiberale (**nostra nota: costui era proprio ubriaco...).
L'unica filosofia in grado di non annullare l'individualità in assoluti di pura fantasia - Dio, l'Umanità, la Classe - é quella che accetta consapevolmente il carattere transitorio, imperfetto, contraddittorio delle realtà individuali. L'unico ordinamento politico che consente all'individualità una realizzazione seppur limitata e disuguale è lo Stato di diritto di tradizione liberale. Per sottrarre l'individualità alla sublimazione nell'assoluto e alla "libertà limitata" Stirner finisce per distruggerla a favore dell'Unico. Con quali criteri infatti distinguere il mio dal tuo quando "nessun altro all'infuori di me può giudicare se ho ragione o no"? Ebbene: "stendi la mano e prendi quanto ti è necessario", togliendolo agli altri. E' il ritorno all'anarchia di natura hobbesiana: "con ciò è dichiarata la guerra di tutti contro tutti". Fino a che, come in Hobbes, Uno non emerga imponendo a tutti la sua volontà: "se l'impresa gli riesce, gli sta bene ed è nel suo diritto".
Benito Mussolini, che negli anni della giovanile milizia rivoluzionaria aveva scelto Stirner a maestro, pensava certamente a questa sua esperienza quando, ormai duce del fascismo, dichiarava a Ludwig: "in ogni anarchico sta dentro un dittatore incallito".
Il 31 Gennaio 1980 il "Corriere della Sera" pubblicò un articolo su Stirner a firma di Claudio Magris. Lo propongo quasi integralmente.
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Torna Stirner, con il suo fascino e il suo limite.
Ma dell'"Unico" non si può parlare.
L'individuo, dicevano i filosofi scolastici, è ineffabile, nessun parola rende giustizia all'irripetibile singolarità, a ciò che è unico e che consiste proprio nella diversità da ogni altra realtà del mondo, perché la parola si richiama all'universalità del concetto ed inserisce ogni fenomeno nella categoria che lo comprende e lo trascende, nella classe che lo abbraccia insieme agli altri fenomeni affini e che dunque non dice la sua unicità, bensì astrae da quest'ultima per dire ciò che esso ha in comune con molti altri. Il linguaggio, osservava Hegel, distrugge il "questo", non sa esprimere la cosa o l'esperienza immediata che cade sotto gli occhi ("questa" foglia, e nessun'altra), ma la generalizza nella categoria del "questo", nel pronome valido per tutti gli oggetti collocati vicino a chi sta parlando e non soltanto per un oggetto, insostituibile e inconfondibile.
Il linguaggio, come il pensiero, dice la generalità delle proprie regole, alle quali subordina la selvaggia e inafferrabile molteplicità della vita.
Il pensiero che si sofferma radicalmente sulla peculiarità di ciò che è unico, su ciò che costituisce l'unicità dell'individuo, approda al silenzio: la più coerente critica rivolta contro la generalizzazione del pensiero in nome dell'irriducbile diversità dell'"unico", ossia la critica di Max Stirner, "socia nell'afasia", come scrive Roberto Calasso nel suo bel saggio - un saggio chiaro e tagliente - che accompagna la nuova edizione del famoso - o "famigerato" - libro di Stirner, L'Unico e la sua proprietà, assai efficacemente tradotto da Leonardo Amoroso. I pensieri possono venire detti, afferma infatti Stirner, ma noi siamo indicibili, io sono indicibile.
Il libro di Stirner è un effettivo scandalo della filosofia in quanto conduce la consequenziarietà del pensiero sino a quel limite estremo presso il quale la coerenza filosofica si capovolge nella propria parodia. Stirner vuole pensare sino in fondo la filosofia moderna, avviandosi sulla strada ch'essa ha aperto ma percorrendola sino alla fine, sino a quella meta ch'essa, a suo avviso, non osa raggiungere perché sarebbe costretta a negare ogni pensiero ed a distruggersi. La filosofia moderna appare a Stirner una progressiva emancipazione dell'uomo da ogni religione ossia da ogni vincolo che lo lega (religio) e lo incatena in nome di pretesi valori superiori, vale a dire estranei alla realtà della sua persona: Dio, la trascendenza, i decaloghi di norme morali presentate come assolute sarebbero dei tipici fantasmi dei quali l'uomo si sarebbe ormai liberato.
Ma il pensiero moderno, secondo Stirner, si è limitato a sostituire i vecchi dèi con degli altri, ancor più tirannici perché interiorizzati, insediati nell'interiorità umana, dalla quale controllano e asservono l'individuo. Stirner nega ogni essenza che venga scissa dall'esistenza e collocata al di sopra di essa, ogni senso della vita che pretenda di imporle un valore e dettarle delle leggi: l'imperativo kantiano è prevaricatore quanto i dieci comandamenti, la ragione intesa quale modello universale è più autoritaria della fede, la Libertà o la Giustizia sono dèe che esigono dispoticamente il sacrificio del singolo. Stirner aggredisce soprattutto la religione moderna, quella dfell'Umanità, che ha edificato un nuovo aldilà all'interno dell'individuo: egli proclama la necessità di abbattere l'intero Uomo-Dio. Non solo il Dio, ma anche l'Uomo, che si erge a imperioso modello universale cui ognuno deve adeguarsi, sacrificando - come un penitente medievale - le proprie passioni, i desideri, i capricci momentanei, le inclinazioni anomale, l'egoismo, il godimento.
L'Umano appare a Stirner una tirannia, che non tollera deviazioni dal modello universale e reprime l'inumano, il mostruoso, l'irriducibile diversità del particolare. Ogni valore posto a base della vita è un fantasma; perciò Stirner afferma di "fondare la sua causa su nulla" e considera questa assenza di fondamento la vera libertà. Il fondamento su cui poggia l'unico, il singolo effimero ed immediato, è la sua stessa esistenza fisica e concreta, la sua vita che si dissolve e si consuma: la verità della vita è solo il vivere del singolo, l'esistenza che viene goduta e consumata come il cibo e il vino.
Il singolo deve solo appropriarsi delle cose, servirsene senza permettere che nulla lo assoggetti: il suo pensiero è valido non in quanto pensiero, ossia conformazione a un modello di ragione universale, bensì in quanto suo in quanto è qualcosa di cui egli si appropria e che egli, senza alcun dovere di fedeltà nemmeno alle sue stesse idee, può mutare o gettare via come gli pare. Ogni meta ideale, ogni fine, ogni causa superiore, ogni facoltà generale (lo spirito, la coscienza), ogni dover essere è un fantasma menzognero, perché ogni vita è perfetta così com'è e non può esser sottomessa ad alcun "Tu devi". La verità è semplicemente ciò che è, è l'esistenza unica ed immediata - essa è indicibile, perché la parola è giudizio, riflessione, generalità e oltrepassa sempre il puro accadere istantaneo.
La provocazione di Stirner costringe il pensiero a ricordarsi dell'anarchica immediatezza che esso sacrifica quando instaura dei valori. La provocazione diviene tuttavia patetica e totalitaria quando pretende di sostituire ogni affermazione di valori, disconoscendo la sua necessità e la reale libertà che viene conquistata a prezzo di quel sacrificio (**mia nota: è ovvio che su questo non sono d'accordo). L'io indicibile ed immediato, che si pretende concreto quando si affranca da ogni valore, svanisce nell'astrazione e nell'inconsistenza, si riduce a un indicibile nulla (**mia nota: per me è esattamente il contrario!).
Stirner stesso si sottrae a una precisa definizione ideologica: invita a riappropriarsi della propria persona e del proprio corpo, come molti anarchici libertari, ma identifica il diritto di fare qualcosa col potere rale di farla e proclama il suo assenso a tutto ciò che è, anche ad ogni prevaricazione ed ogni arbitrio, perchè non ci sono valori in nome dei quali si possa contestarli (**mia nota: la teoria è giusta e coerente col suo pensiero e poi, altrimenti, che "provocazione" sarebbe?). Talora Stirner sembra proporre un assennato rispetto degli uomini concreti, spesso perseguitati e tormentati in nome dell'Umanità ossia di un modello di Umanità loro imposta con violenza: la sua libera "Unione degli Egoisti"(**mia nota: errore, lui proponeva una "Unione dei Liberi"!) che egli propone sembra una patetica e nobile lega umanitaria (**mia nota: qui di patetico c'è ben altro!).Altre volte, e più spesso, la sua rivendicazione dell'unicità di ogni atto e desiderio, e quindi pure dell'inumano e del mostruoso, implica la proclamazione dostoievskijana che "tutto è permesso", anche ogni violenza, perchè non c'è un'istanza superiore che possa proibirla (**mia nota: è evidente qui la superficiale lettura di Stirner, in quanto è palese che il fatto che non ci sia una istanza superiore non proibisce ad ogni individuo di farsi da sé le leggi, a suo unico ed insindacabile giudizio, leggi che possono ammettere o proibire alcuni atti, tra cui quelli, ma definiti tali solo dall'individuo, "criminali").
Stirner denunciò la prudenza timorata della filosofia laica moderna e, soprattutto, le insanabili contraddizioni del pensiero moderno, condannato a smascherare i valori ma incapace di farlo se non in nome di altri valori, destinati a subire la stessa sorte. La filosofia gli rispose, come documenta Calasso, con lo scherno e col disprezzo, cercando spesso - come accadde forse a Marx e a Engels - di esorcizzare con l'ingiuria, ossia con l'eliminazione dal "serio" dibattito ideologico, l'imbarazzo di fronte a quella provocazione. E' vero, come scive Calasso, che l'eredità di Stirner l'hanno raccolta non i filosofi ma i poeti randagi e ribelli, i solitari nevrastenici, rissosi e autodistruttivi di Hamsun o di Jack London. Ma ciò dimostra che l'insopportabile verità intravista da Stirner può venire rappresentata in un gesto o mostrata in un destino, ma non può venire teorizzata ed esposta secondo le regole della filosofia (**mia nota: e questo è un esempio perché giustamente Stirner venga considerato un "antifilosofo"!). L'esistenza è impredicabile, diceva Kierkegaard, ma non si può predicare la sua indicibilità nè tenere una conferenza sulla sua ineffabile singolarità. Stirner ha la pretesa di essere contempraneamente il silenzioso vagabondo di Hamsun, che fissa il fuoco abbagliato dall'insensatezza della vita, e il professore di filosofia o di letteratura, che illustra l'unicità di quello sguardo e di quel fuoco (**mia nota: i grandi eroi dell'individualità e della vita vera, solitari e sapienti e dotti, stanno lì a dimostrare che ciò è possibile!).
Il suo libro è infatti incisivo ma anche verboso, e si ripete in troppe variazioni. E' il tono soddisfatto che tradisce Stirner e spiega forse le ingiurie di Marx nei suoi confronti. Stirner incarna una figura che è divenuto uno stereotipo nella cultura moderna e che trova un grande capostipite nell'atteggiamento di Descartes che è stato descritto da Calasso su queste colonne: Descartes che passeggia per Amsterdam avvolto nella sua cappa e osserva il brulicare caotico della società mettendo a nudo il suo meccanismo contraddittorio con l'occhio disincantato di chi non vi prende parte.
L'Unico di Stirner, come quasi tutta la cultura che si inebria del nichilismo, è un sale del pensiero, necessario ad ogni filosofia non scipita ma, da solo, di monotono sapore (**mia nota: di monotono sapore ci risultano, ancora una volta, le vuote argomentazioni dei soloni delle "regole").
Nel numero del Febbraio 1981 di "Critica Sociale" apparve questo articolo di Roberto Escobar. Lo ripropongo quasi integralmente.
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Laica è l'utopia: il resto è fantasma.
Lo Stato, la società, la morale, sono fantasmi, diceva Max Stirner, che una feroce polemica oppose a Marx. E il fantasma di Stirner è ancora fra noi.
Ich gab' Mein Sach' auf Nichts gestellt: ho posto la mia causa su nulla: con queste parole - divenute poi tanto famose quanto incomprese - Johann Caspar Schmidt apre e chiude "Der Enizige und sein Eigentum (L'Unico e la sua proprietà)", da lui pubblicato alla fine del 1844 con lo pseudonimo di Max Stirner.
In Italia Stirner conosce una certa fortuna all'inizio del secolo tra gli anarchici. A lui, però, si riferisce - con superficialità - anche Benito Mussolini, negli anni tra il '10 e il '20. Il regime fascista non esiterà, tuttavia, a condannare l'autore dell'Unico. Il filosofo "ufficiale" Paolo Orano scriverà di Marx e di Stirner come di "apostoli della sinistra filosofica". Lulius Evola, poi, risolverà definitivamente la questione, rilevando che Stirner sarebbe ebreo e, in quanto tale, parteciperebbe all'opera distruttrice e sobillatrice di uomini quali Freud, Einstein, Lombroso, Debussy, Schömberg, Lévy-Bruhl, Wassermann ecc.
Solo recentemete, con la ripubblicazione in italiano dell'Unico a cura di Roberto Calasso, Stirner sembra poter diventare oggetto di una "riscoperta", sul modello di quanto è avenuto in questi anni per Nietzsche. Se Nietzsche è stato bandito dalla cultura italiana di sinistra lo si deve, come si sa, soprattutto all'influsso determinante di György Lukàcs ("La distribuzione della ragione"). Per Stirner, invece, si deve risalire addirittura sino agli stessi Marx ed Engels, e in particolare alle centinaia di pagine dedicate all'Unico ne "L'ideologia tedesca", scritta a ridosso dell'Unico, ma poi non pubblicata. A partire dal 1903 - anno in cui Eduard Bernstein pubblica in "Documenti del socialismo" alcuni brani de "L'ideologia tedesca" dedicati all'Unico - e poi dal 1932 - anno della prima pubblicazione integrale in lingua tedesca dell'opera giovanile di Marx ed Engels - le fortune di Stirner nell'ambito della cultura socialista sono compromesse. Johann Caspar Schmidt è ormai bollato: piccolo borghese individualista e velleitario oltre che pericoloso sostenitore dell"egoismo". Al di fuori del movimento socialista Stirner non gode di miglior stampa: il suo sistema filosofico viene addirittura equiparato alla sintomatologia paranoica e - come è accaduto anche per Nietzsche - le sue idee vengono respinte come espressione di "follia".
Marx contro Stirner
Nella prima metà del secolo XIX°, dal '35 fino almeno alla fine degli anni Quaranta, la cultura filosofica (e politica) tedesca vive la crisi della "filosofia assoluta", cioè dell'hegelismo. Con "La vita di Gesù" di David Strauss tra i seguaci di Hegel - la cui filosofia era diventata la filosofia, in piena sintonia anche con le scelte politiche dello stato prussiano - comincia a operarsi una profonda frattura, che porta velocemente alla costituzione di una sinistra e di una destra hegeliane (vi è anche qualche esponente di un "centro"). Ciò che divide è l'interpretazione, meglio la prosecuzione della filosofia della religione di Hegel. Mentre la destra resta ferma all'ortodossia ufficialmente professata dal maestro la sinistra - sia pure in misura diversa, secondo i diversi esponenti, da Strauss a Bauer, da Feuerbach a Stirner - tende a sviluppare gli impliciti elementi eterodossi, giungendo in tal modo a posizioni sempre più radicalmente laiche e immanentistiche. Culmine di questo processo è il sistema di Feuerbach, che riconduce la teologia all'antropologia, cioè interpreta la religione cristiana e i suoi dogmi come funzioni e creazioni dell'uomo e dei suoi bisogni. Morto il dio trascendente l'uomo diventa, in qualche misura, il dio di se stesso.
La sinistra hegeliana è condotta, proprio dalla critica religiosa, su posizione sempre più decisamente liberali. La sinistra hegeliana, soprattutto per quanto riguarda il gruppo dei cosiddetti "Liberi" di Berlino, concorre anzi alla formazione di un'ala radicale, che combatte il "riformismo" liberale.
Stirner, sia pure con un certo distacco, partecipa alle riunioni che i "Liberi" tengono a Berlino da Hippel, una birreria che è per qualche tempo il centro di una intensa attività intellettuale e, in qualche modo, politica. Se Stirner appartiene alla "cerchia interna" dei frequentatori di Hippel, a un "circolo più vasto" appartengono anche Engels e Marx, che peraltro se ne distaccano abbastanza velocemente, per l'insorgere di una profonda incompatibilità politica e filosofica.
A una "Nuova Atene" mirano sia Marx che Stirner, ognuno seguendo una strada che - pur partendo da presupposti parzialmente comuni - porta a risultati diversi. La polemica si sviluppa in una forma particolare. Mentre infatti Marx (e in subordine Engels) affronta direttamente lo scontro con le idee di Stirner, la controparte più significativa di Stirner è invece Feuerbach, nei confronti del quale - e sempre ne "L'ideologia tedesca" - anche Marx mette a punto la prima formulazione del materialismo storico. L'autore dell'Unico si colloca così - proprio a causa della stroncatura marxiana - al centro e all'ordine del momento filosofico o "tedesco" del marxismo. Leggere Stirner, perciò, oggi significa gettar luce su alcuni elementi del "socialismo scientifico" e, forse, anche su alcune sue conseguenze storiche.
Il problema fondamentale di Stirner è quello del rapporto tra i "valori" e l'individuo, tra la scelta o l'azione politica e i grandi sistemi filosofici, religiosi, ideologici. Questo problema Marx non lo coglie quasi per nulla, impegnato com'è nella sua confutazione storica e storico-filosofica. In altri termini Marx accusa Sirner di essere un "santo", cioè di prendere sul serio le interpretazioni del mondo, concentrando su di esse tutta la propria critica come se, dunque, fossero reali e non invece false. E però lo stesso Marx finisce, a propria volta, per prendere troppo sul serio la "santità" di Stirner, limitandosi a criticare appunto questa "santità" non vedendo ciò che, dietro di essa, Stirner tenta di esprimere.
Non si tratta, ora, di "rifiutare" Marx per "tornare" a Stirner. Si tratta invece - molto più laicamente - di "ripensare la parte di Stirner", dopo e oltre Marx. Oltre Marx, dunque, Stirner indica, oggi, un'esigenza di autonomia del singolo, che si oppone alla "sacralizzazione" e all'"ipostatizzazione" dell'autorità di una società di massa, sia essa neocapitalistica o comunista ("socialismo reale").
L'unico e i fantasmi
Uno dei motivi di fondo della filosofia - o della non-filosofia, della negazione della filosofia - di Stirner è quello del primato della dimensione etica, del comportamento, della prassi, della scelta morale e politica. Alla luce del primato della dimensione etica, appunto, va letto l'Unico, a partire dal troppo famoso "io ho posto la mia causa su nulla". Innanzitutto il "nulla" di Stirner ha un significato puramente negativo: Stirner rifiuta, infatti, di fondare - cioè di cercare una giustificazione assoluta - le proprie scelte di comportamento, morali e politiche. Fino a oggi - si legge nell'Unico - gli uomini hanno cercato di porre (fondare) la propria causa (il "principio" e il "fine" della propria vita) su entità a loro estranee e superiori: dio, l'umanità, l'altruismo ecc. Ora è tempo di rifiutare questa dipendenza e questa alienazione. "Io ho posto la mia causa su nulla" significa dunque: io non ho fondato la mia causa. Ogni tentativo di trasformare "nulla" in "il nulla", dandogli un senso positivo (nuovamente metafisico e religioso) è esplicitamente escluso dallo stesso Stirner in polemica con Feuerbach. Ciò che Stirner va sostenendo è l'autonomia, cioè l'autonormativa degli uomini, affrancati sia dal cielo della tradizione religiosa sia dalla nuova religione dell'uomo di Feuerbach.
Lo stesso programma, in un certo senso, è anche di Marx, che però privilegia nella propria analisi il sistema di dipendenza materiale degli uomini e delle classi. Se Marx individua nel proletariato il soggetto storico in grado di abbattere tale dipendenza Stirner individua un tale soggetto direttamente nel singolo, nell'io, inteso come ogni io, dunque non come categoria generale e astratta.
Il nome che Stirner dà all'Io, soggetto storico di questa "rivoluzione", è unico. Ciò significa che l'unico non è, neppure esso, una categoria generale e assoluta: è appunto solo un nome. Stirner dà all'io e all'unico, per quanto caduco, un'esistenza totalmente astratta dalle relazioni con gli "altri", fondando così il pericolo di una sfrenato individualismo.
Al di là di questo pericolo, storicamente realizzatosi nell'anarchismo individualista, il programma di Stirner resta chiaro: affrancare gli uomini dalla "gerarchia" morale e politica oltre che, in genere, culturale. In questo senso va interpretata un'altra troppo famosa frase di Stirner: "a me appartiene il mondo". Ben lontana dall'essere la farneticazione di un paranoico questa asserzione sta per: "ciò che non può diventare proprio dell'unico, non esiste". In altri termini ciò che sfugge al diretto controllo dell'individuo, ciò che pretende di essergli superiore, ciò che asserisce di abitare un "mondo dietro il mondo" o di stare nascosto in qualche vaga "essenza" o "natura", questo non esiste. In linguaggio stirneriano: è un fantasma.
Un fantasma è lo Stato, inteso come "sacralità dello Stato" (propria di Hegel e anche della "sinistra"). Un fantasma è la proprietà privata dei liberali. Fantasmi sono, ancora, la società (anch'essa intesa - al pari dello stato - come "sacralità), la famiglia, il diritto, la morale. Comune a tutte queste entità è la pretesa di stare al di sopra degli individui quando ne sono, invece, al di sotto, come loro prodotti.
Tutti questi fantasmi sono ossessioni, idee fisse. Cos'è un'idea fissa? Essa è un pensiero, una convinzione che non ammette di essere messa in discussione. L'idea fissa è, in sostanza, l'ideologia, colta nella sua pretesa di essere autoevidente e sottratta al dubbio. Stirner non indaga le condizioni materiali della nascita di un'ideologia: si accontenta di mostrarne la natura e gli effetti sul pensiero.
Ne segue forse che tutta la dimensione etico-politica deve essere "ridotta" a quella della religione e, in quanto tale, confutata?
Politica religiosa e politica laica
"Anche la politica, come la religione - scrive Stirner - ha voluto 'educare' l'uomo, portarlo a realizzare la sua 'essenza', la sua vocazione, fare qualcosa di lui, farne cioè un 'vero uomo', la religione nella forma di 'vero credente', la politica in quella di 'vero cittadino o suddito'. Di fatto non è molto diverso chiamare 'divina' o 'umana' la vocazione dell'uomo".
Marx risponde direttamente a Stirner anche a proposito della 'vocazione', ma è opportuno ricordare che, nell'atmosfera culturale luterana della Prussia il termine vocazione (Beruf) ha un significato preciso. Da Lutero in poi esso indica una "chiamata" divina rivolta al singolo che si esprime, però, non solo nella dimensione strettamente religiosa ma anche nella dimensione "terrena", sociale, politica, economica. Marx obbietta a Stirner che per gli individui - e ancora più per le classi - la vocazione è solo la rappresentazione nella coscienza, nel pensiero, dei bisogni, degli interessi: essa è dunque solo "l'espressione ideale delle loro condizioni di vita reali". In questo senso dà anche la coscienza della soggettività di classe e, dunque, fornisce un'efficace indicazione all'azione.
E' difficile, certo, contestare la legittimità di tali obiezioni: effettivamente Stirner dimentica di considerare la "vocazione" all'interno delle reali condizioni storico-sociali. Tuttavia, ancora una volta, dopo e oltre Marx Stirner indica qualche cosa di tanto sottile quanto, soprattutto oggi, importante. Questo "qualche cosa" rimane, comprensibilmente e giustamente, nascosto fino a che il movimento proletario e socialista deve dare la "scalata al cielo", cioè fino a quando il suo compito è quello di abbattere le barriere che lo separano dalla partecipazione alla distribuzione della ricchezza, al potere economico. E', questa, l'epoca mitica della cultura socialista: i miti, appunto, servono per la riconoscibilità, per la coscienza di classe. E servono, anche, per dare ai lavoratori la "sicurezza" che la loro lotta avrà il sopravvento. La prima, la seconda e la terza Internazionale hanno avuto bisogno di miti quasi religiosi. Nei paesi occidentali industrializzati, tutavia, il movimento socialista è ormai giunto dalla "pianura" priva di potere fin sull'"altipiano", dove finalmente può negoziare con efficacia (**mia nota: con quale efficacia per i bisogni reali dei lavoratori è sotto gli occhi di tutti!). La necessità del mito, dunque, viene meno con l'aumentare delle ricchezze distribuibili e, soprattutto, con l'aumentare della partecipazione al potere delle classi lavoratrici, mettendo in evidenza, invece, il significato "religioso" cui il povero Stirner - caduto nelle mani di quel grandissimo polemista che fu Marx - cerca di alludere (**mia nota: Stirner non era intellettualmente ne' 'povero' ne è mai "caduto" nella polemica irridente e faziosa di Marx, che avrebbe fatto bene invece a dirigere altrove, più proficuamente, le proprie fatiche iconoclaste).
La rivoluzione - sostiene Stirner nella sua "Storia della reazione" - è religiosamente rivolta al futuro; la reazione è altrettanto religiosamente rivolta al passato. La storia è così il palcoscenico della lotta tra profezia - la promessa di futuro della rivoluzione - e mito - il fissarsi delle verità nel passato, cui vuole tornare la reazione. La vocazione, sia essa "rivoluzionaria" o reazionaria, è dipendente da questa impostazione religiosa: per essa il valore del singolo non è mai nel presente, cioè non è mai in lui, ma fuori di lui, nel passato o nel futuro.
Proprio per questi motivi la rivoluzione sfocia sempre in una reazione, diventa essa stessa reazione. Poichè in essa protagonista è una prospettiva religiosa, assoluta, "alienante" (un'idea fissa). In essa c'é in germe la costituzione o la ri-costituzione di una ulteriore oppressione del singolo, di ulteriori "fantasmi" di un'ulteriore "gerarchia" o dipendenza morale e politica degli uomini. Alla "rivoluzione" Stirner contrappone la ribellione, che vede come protagonisti direttamente gli uomini e i loro interessi, e il cui tempo è esclusivamente il presente.
Come per la concezione religiosa che combatte anche per Stirner il tempo (nel suo caso, il presente) è solo una metafora per un'intuizione più profonda e originaria. Che l'uomo sia uomo già nel presente significa il rifiuto di qualsiasi sua "alienazione", di qualsiasi prospettiva che ne faccia l'oggetto di un programma a lui imposto, sovrapposto. La scelta del presente equivale, in Stirner, alla scelta di una politica laica (**mia nota: io la vedo come politica atea, laica non mi basta più), contrapposta alla politica religiosa. Per quest'ultima ogni scelta politica, ogni mutamento sono giustificati solo se sono inseriti all'interno di una visione del mondo, di un "sistema di verità", teista o ateo che sia. Per la politica laica - e per Stirner - la scelta politica e il mutamento non hanno neppure bisogno di essere fondati. Ciò che muove gli uomini sono piuttosto gli interessi concreti, indipendenti dalla loro trasformazione in idee fisse, in miti, in ideologie.
La ribellione dunque, ben lontana dall'essere - come invece Marx rimprovera a Stirner - il vuoto vaneggiamento velleitario di un piccolo borghese impotente, è il nome dato da Stirner all'atteggiamento politico laico, guidato solo dall'interesse, dal bisogno. Che poi questo nome sia, a sua volta, fuorviante, impreciso, persino mitico non deve impedirci di apprezzarne l'intuizione di fondo.
Ancora oggi vale la convinzione che l'agire politico volto al progresso e al socialismo non possa essere disgiunto da una prospettiva che Stirner definirebbe religiosa. Ancora oggi - nonostante la crisi delle "fedi" e delle ideologie - si cercano punti di riferimento fissi, "profeti", "vocazioni". In alternativa a questa "politica religiosa" conviene opporre una politica laica. Il suo slogan - per quanto possa avere significato uno slogan per i laici - potrebbe essere: progettare il presente. Forse è proprio la politica laica che può riscoprire il significato migliore del termine utopia, liberandolo dal suo originario significato religioso. Solo la politica laica, infatti, può progettare, scegliere, costruire: la politica religiosa è invece inchiodata dalla sua "fede" e dalle sue "verità" a modelli assoluti, fissi, dati una volta per sempre.
In definitiva: la politica religiosa attende il futuro, che la "profezia" assicura necessario; la politica laica, più pessimista, si muove, agisce per progettare il presente. Per questo può essere utopica.
L'amico Danilo Marotta, molto appassionato di Stirner, ha inviato ad Atheia (tra il 2003 e il 2007 dc) questo scritto che volentieri pubblico nuovamente in questo sito
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Azione, Io e Logos
Un problema fondamentale: coniugare egoismo stirneriano e razionalità.
Il nostro obiettivo è dimostrare che l’individualismo di Max Stirner, opportunamente modificato, può accordarsi con il pensiero razionale senza sfociare nell’irrazionalismo.
Partiamo dall’esame di una tematica apparentemente lontana dall’argomento di cui vogliamo discutere: l’incoerenza è un valore? Se la volessimo considerare un valore, in un ambito razionale, dovrebbe trattarsi di un’incoerenza determinata da un certo atteggiamento della nostra volontà. Essa dovrebbe quindi essere sensata, motivata.
Ecco dunque che l’incoerenza si coniuga perfettamente con il “giustificazionismo speculativo”, che presuppone l’uso della ragione per giustificare il cambio di idee, in merito ad una presa di posizione contraria, addirittura antitetica, ad un atteggiamento assunto in precedenza. Ma in questo modo la wheltashauung egoistica si coniuga con la razionalità solo svilendola, riducendola a mezzo per assecondare e dare un senso ai procedimenti della propria volontà. Ma in base a cosa agisce questa volontà ? Stirner non lo spiega, e questo è il suo limite. La volontà dell’unico diventa wille schopenaueriana, cieca ed indomabile. Come domarla ? Come razionalizzare la wille? Lo si potrebbe fare stabilendo, con un atto della volontà stessa,un obiettivo verso cui tendere, e poi agire razionalmente sulla base di quell’obiettivo. Ma l’atto stesso di orientare la nostra volontà verso un unico fine prestabilito implicherebbe una de-terminazione, una de-limitazione della volontà stessa, con conseguente perdita dell’ottica egocentrica. Le stesse conclusioni varrebbero nel caso in cui, invece di tendere verso un unico fine, si lasciasse perdere completamente la razionalità per abbandonare totalmente il nostro agire agli istinti. Ma è proprio vero che una de-limitazione della volontà limiterebbe catastroficamente anche il nostro egocentrismo? Forse no.
Definiamo intanto la volontà. Chiamiamo volontà la forza di comportarsi in un certo modo sulla base dell’analisi degli stimoli che ci colpiscono dal mondo esterno. Ecco quindi chiarito il rapporto che lega me stesso agli altri. Se, ad esempio, io potessi violare in un modo o nell’altro il II principio della Termodinamica, potrei tranquillamente fare a meno della realtà esterna. Ma dal momento che per vivere (N.B - vivere è si un fine,ma è il fine del nostro corpo) non posso non relazionarmi con la realtà esterna (mangiando,dormendo,bevendo,respirando,parlando,facendo l’amore etc.), ecco dunque che la realtà esterna MI SERVE. Aponìa e Atarassìa sono escluse in questo universo, sono condizioni al momento irrealizzabili. Io mi servo della realtà che mi circonda: essa non è ne sopra ne sotto di me, ma intorno a me. Una contrapposizione con la realtà è inutile, perché NON MI CONVIENE (vedi oltre) Dal momento che per vivere devo analizzare gli stimoli esterni, ecco che mi si presentano molteplici possibilità di analisi ed interpretazione degli stessi. Chiamo RAZIONALITA’ il modo migliore in cui analizzare questi stimoli. Ma cosa significa “igliore” ? In pratica abbiamo spostato il problema. Naturalmente per “migliore” intendo “migliore per me”, ma (di nuovo) questo cosa significa? Se vivere è il fine del mio corpo, il fine della mia mente sarà di vivere bene, cioè di ricevere gratificazione. [A questo proposito è importante non confondere il concetto di gratificazione con la concezione comune esistente del piacere. Anche il dolore può essere gratificante] .
Tuttavia ancora una volta il problema è spostato, poiché esistono innumerevoli forme di gratificazione: crapula, digiuno, ascesi mistica, potere politico, ricchezza materiale, ricerca della spiritualità etc. Queste forme di gratificazione variano da soggetto a soggetto, ma in base a cosa? I satanisti parlano di una natura che è propria di ognuno di noi, e che non dobbiamo far altro che assecondare. Ma tale natura non deriva per nulla dalla nostra volontà! Volendo essere stringati, la “natura” di ogni uomo gli deriva per una certa percentuale (stabiliamo empiricamente un buon 50%) dalle informazioni contenute nel suo DNA, e per la restante percentuale dall’ambiente in cui vive ed è cresciuto.
Ciò significa che un individuo A,nato e cresciuto in un ambiente X, non potrà mai (o potrà molto difficilmente) porsi nei confronti del mondo, e quindi esercitare la propria volontà, allo stesso modo di un qualsiasi altro individuo B, nato e cresciuto nell’ambiente Y. Del resto ognuno di noi occupa una precisa posizione fisica nella realtà (al di là della posizione centrale che ogni individuo occupa, metaforicamente, nell’universo!) e come potremmo non essere diversi l’uno dall’altro? L’invito alla tolleranza determinato da una tale visione della realtà mi pare quasi ovvio.
E chiaro quindi che la mia volontà è si illimitata, ma all’interno di un certo ambito, come se io potessi posizionare liberamente un punto all’interno di un segmento. Facciamo tutto ciò che vogliamo, certo, ma dal momento che la nostra volontà è condizionata (e perciò limitata contro il nostro stesso volere, è questo che non ci permette di essere onnipotenti!) da un certo ambito, facciamo tutto ciò che ci è possibile fare all’interno di quell’ambito.
Questo segmento (sia per ampiezza che per qualità) è determinato per buona parte da chi ci ha preceduto: abbiamo detto che l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo conta per il 50%, perciò anche noi possiamo cercare di modificare le caratteristiche del segmento per chi ci succederà. Ma dal momento che tutti coloro che ci hanno preceduto hanno cercato in vari modi e con diverse giustificazioni di ottenere la gratificazione, ecco che all’interno del segmento tutti i luoghi in cui il punto può posizionarsi sono potenzialmente gratificanti in base ad una certa ottica.
E’ ovvio che la nostra razionalità consiste nello scegliere quello che mi gratifica di più.
Naturalmente agirò secondo una specie di morale utilitaristica, per cui se ad esempio assumo sostanze allucinogene dovrò anche tener conto delle conseguenze, e magari tenendone conto e valutando i pro e i contro deciderò di non assumere allucinogeni, o al contrario ne assumerò ritenendo che il gioco vale la candela. In ogni caso la nostra azione dovrebbe tendere al posizionamento del punto in tutti gli (infiniti) spazi che compongono il segmento, dal momento che ogni posizionamento ha una sua logica, ogni posizionamento potrebbe garantirci un livello di gratificazione superiore al massimo livello raggiunto in precedenza. E’ l’ “ideale” della conoscenza. Metto “ideale” tra virgolette perché qualsiasi persona potrebbe contestarmi questa affermazione, dal momento che si potrebbe decidere di agire in maniera diversa, non sperimentando le molteplici posizioni ma soffermandosi su una certa posizione e basando la propria vita su di essa. Certo, io non ho prove per dimostrare la mia tesi, ma chi agisce in quest’altro modo non è semplicemente uno schiavo dell’idea che ha scelto di utilizzare come base della propria esistenza ? Dogmatismo, estremismo, rusticità (per usare un termine tecnico che riprendo dalla wheltashauung di E. Della Monica) non sono forse figli di questo atteggiamento? Al lettore il giudizio.
Ritornando all’ “ideale” della conoscenza, in quel caso non potremmo far altro che considerare tutte le cose giustificabili e tutte dello stesso livello qualitativo (le distingueremmo magari in base al livello di gratificazione offerto, ma tale distinzione sarebbe sempre puramente soggettiva). Crederemmo in tutto e non crederemmo ciecamente a nulla. Valuteremmo sempre la possibilità di reiterare un certo atteggiamento o di compiere scelte innovative.
Potremmo agire in due maniere contrapposte, antitetiche tra loro, perché alla base di ciascuna di esse vi è una certa giustificazione che garantisce la nostra gratificazione.
Resta da dimostrare che posizionando il punto nel maggior numero di spazi all’interno del segmento, aumenti non solo la possibilità di trovare elementi sempre più gratificanti per il nostro Io ma anche, proporzionalmente, la possibilità da parte del singolo di modificare positivamente le caratteristiche dei segmenti delle generazioni future. Se così fosse, come personalmente credo, esperienza e conoscenza potrebbero considerarsi valori oggettivi (e perciò senza virgolette). Essi infatti ci permetterebbero di scardinare il sistema: ritornando alla metafora, ci permetterebbero di trasformare, a lungo andare, il segmento in una retta. A quel punto la nostra volontà non avrebbe limiti, e da “dei bardotti” diventeremmo perfetti.
Il Sultano e il borgomastro
Prima abbiamo parlato della necessità di confronto con la realtà che ci circonda. L’ubermensch non guarda dall’alto della torre d’avorio la gente “inferiore” che si affanna a vivere con i suoi problemi “troppo umani”. L’oltreuomo è cosciente della propria grandezza, della propria importanza, del proprio potere di disporre a suo piacere di ciò che lo circonda, della sua possibilità di “posizionare il punto nel maggior numero possibile di spazi”. Per attualizzare queste potenzialità, CONVIENE essere in sintonia, non in contrapposizione con l’ambiente che ci circonda. Sintonia non è accondiscendenza, è empatia: è capire PERCHE’ l’altro si comporta in un certo modo piuttosto che in un altro, è una forma di conoscenza anch’essa. L’esperienza conoscitiva riesce meglio in un clima in cui la contrapposizione è esclusa. Il sultano, sovrano assoluto dei suoi sudditi, vive nell’indifferenza delle loro vite, ma non può uscire dal suo lussuosissimo palazzo, poiché troverebbe solo miseria e correrebbe il rischio di attentati. Il borgomastro comanda il villaggio, conoscendo tutti i suoi abitanti nel dettaglio. Tutti gli vogliono bene perché egli cerca di far andare avanti nel migliore dei modi la comunità. Il mio non è ovviamente un invito a darsi alla politica o a svolgere vita comunitaria, ma a non isolarsi rispetto a scelte diverse dalle proprie, ne a confondere la tolleranza con il menefreghismo.
Altra considerazione: l’individualismo inteso come contrapposizione al mondo intero è sterile, oltre ad essere non proposizione, ma semplice reazione: nel profondo del loro animo, le formiche sono le più individualiste.
Danilo Marotta
Dal sito Il Fondo magazine di Miro Renzaglia http://www.mirorenzaglia.org/ l'articolo e le immagini pubblicate il 17 Agosto 2009 dc:
Ho riposto la mia causa nel nulla
di Miro Renzaglia
Johann Kaspar Schmidt, detto Max Stirner, (dal tedesco “stirn” = “fronte alta”, ovvero: il soprannome che gli affibbiarono da bambino), nacque a Bayreuth il 25 ottobre 1806 e morì a Berlino il 26 giugno 1856. Per il suo contributo al pensiero dell’occidente non riscosse in vita né fama, né soldi: morì praticamente in miseria dopo essere finito due volte in prigione per debiti… Stirner appartiene a quella schiatta di scrittori-filosofi che sono passati alla storia del pensiero per aver scritto un solo libro (tipo: Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, per esempio…). Nel suo caso (di Stirner) il libro ha il titolo appropriato di: Der Einzige und sein Eigentum (L’Unico e la sua proprietà), pubblicato a Lipsia nel 1844. Un libro con il quale furono chiamati a fare i conti, per un verso o per l’altro, riconoscendone o meno il debito di origine, le teste più pensanti fra la seconda metà dell’800 e il ’900 tutto: da Marx-Engels a Søren Kierkegaard, da Friedrich Nietzsche a Carl Schmitt, fino ai Situazionisti. |
«Ho riposto la mia causa nel nulla.» Con questa frase, proprio in chiusura de L’Unico e la sua proprietà, Max Stirner segna l’orizzonte di un esistenzialismo che tronca, definitivamente, ogni legame fra l’uomo e il trascendente. Almeno, con il trascendente religiosamente inteso. “L’unico”, infatti, è il principio d’individualità che non chiede più ad un orizzonte metafisico di indicargli il senso della sua esistenza. Il senso è rimesso all’uomo stesso: al suo essere, appunto, per il nulla.
Nichilismo, quindi.
Ora, su questo termine, “nichilismo”, la confusione resta molto alta. Come capita spesso, un giudizio dipende dal punto di vista culturale di chi lo esprime. Per esempio, per un buddhista il “nulla” è l’estinzione di ogni brama, propedeutico, perciò, al raggiungimento del Nirvana ed ha, quindi, una connotazione “positiva”. I pessimi critici di Stirner, Nietzsche e Dostoevskji, ai quali una storia frettolosa del pensiero novecentesco fa risalire in maniera erronea il “nichilismo”, danno al “nulla” (quindi, al nichilismo…), il segno di una deriva psico-etico individuale e, in quanto tale: negativa.
A mio modesto avviso, invece, credo che la “negatività” del nichilismo sia data da chi, da Platone in poi, ha inteso deporre in un al di là, del tutto ipotetico ed indimostrabile, la ragione dell’essere, assegnando all’al di qua il carattere di una mera rappresentazione illusoria, per altro falsa, colpevole e dolorosa, di quel “mondo vero” che va dall’iperuranio delle idee platoniche, al “regno dei cieli” cristiano.
Se il vero mondo non è questo, questo diventa necessariamente un luogo virtuale di preparazione e di ascesi (se non di espiazione…) per altro e più alto ed eccelso stato dell’essere. Riporre la propria causa nel nulla, in quel nulla con cui la logica platonico-cristiana pretende di definire l’esistenza, è quindi, nell’ottica stirneriana, il suo aurorale ribaltamento : non nell’al di là ma sull’al di qua che l’io fa la sua scommessa. E se l’al di qua è il nulla – come voi pretendete che sia – è sul nulla che io ripongo la mia fede nella vita, piuttosto che nella morte o nel suo post…
Ci vuole poco a sentire nelle pagine iniziali dello Zarathustra nicciano gli echi di questo virile discorso interamente umano: «Amo colui che non si perde dietro le stelle, ma lavora la terra per prepararla all’arrivo del superuomo».
Rinunciando alle bretelle della metafisica celeste, Stirner non ebbe riserve a rinunciare anche alle stampelle degli “ismi” terreni: egualitarismo, liberalismo, statalismo, socialismo, comunismo, umanesimo, etc… Se su un “ismo” l’uomo deve proprio fondare il senso della sua esistenza è se stesso: un “io” che rinuncia a cullarsi nelle illusioni delle ideologie. Un “ego-ismo”, quindi, di sana imperturbabilità nei confronti dei mutevoli flussi delle ere psico-cosmiche.
“Anarchia Univa Via”, sembra enunciare bene l’approdo di una tale deriva (che non è un naufragio). Il che, per esempio, impegnò a fondo Marx nella confutazione di un messaggio che negava alla radice il suo (di Marx) sostenuto. Un’impresa improba e per molti versi abortita nell’impropero: «Stirner è un miserabile» che, però, non sortì l’effetto di eliminare il fascino del suo richiamo da generazioni di anarco-socialisti, anarchici-individualisti e perfino di chi anarchico non fu: come tal Mussolini Benito, per esempio (il quale – detto per inciso – forse per questo suo debito formativo, non impedì mai, da duce, la pubblicazione e la circolazione in Italia dell’opus “Unico” stirneriano, come testimonia a sufficienza la copertina dell’edizione a fianco, uscita ai tempi della Rsi…). Del resto, debiti stirneriani hanno contratto perfino autori ascrivibili totalmente e nobilmente alla cultura di destra. Come Ernst Jünger che, in Der Waldgang (Il ribelle) e Eumeswil (Heliopolis), traccia il profilo dell’anarca a cui non è assolutamente estranea la paternità dell’Unico. O come lo Evola del periodo filosofico di Teoria e Fenomenologia dell’individuo assoluto… Può sorgere il dubbio se una opzione così estrema di rimessa a se stesso non conduca ad una apolitia assoluta, ad una assoluta rinuncia ad intervenire nel mondo inteso come storia. Ma questo è solo un altro dei molti fraintendimenti per cui il nichilismo non gode di buona fama. Il nichilismo è, in concreto, un atteggiamento interno all’uomo, che non esiterei a definire finanche “spirituale” se, pure in questo caso, non temessi gli equivoci che intorno allo “spirito” sono sorti da millenni di abuso religioso. Insomma, in termini appropriati, se si vuole parlare di nichilismo a ragion veduta è del tutto inadeguato pensarlo come regressione verso il degenerato, l’in-forme o il de-forme… |
In realtà, “essere per il nulla”, anziché essere, che so? Per la carriera, per dio, per il denaro, per il potere, per il successo, per la piccola o grande fama, culle di ogni narcisismo, consente all’uomo una libertà interiore che non gli impedisce di immergersi nella storia e nelle vicende del proprio tempo.
In questo può soccorrerci il detto di un poeta che di nichilismo si intendeva: Gottfried Benn. È lui che, nella sua opera autobiografica dal significativo titolo di Doppelleben (Doppia Vita), così si pre-scriveva nelle sue medesime parole:
«Riconosci la situazione e rapportati ad essa. Ma senza farti coinvolgere. Collabora pure alle convinzioni del mondo, alle sintesi in tutte le direzioni della rosa dei venti, se istituti ed uffici lo richiedono. L’importante è che tu tenga libera la testa in cui deve sempre esserci spazio libero per l’immaginazione. Qui il reale si concentra, si modella e sorgono le forme…».
Dal sito Treccani http://www.treccani.it questo articolo, pubblicato il 15 Dicembre 2009 dc:
Max Stirner: il nichilismo come affermazione del singolo
di Ferruccio Andolfi*
“Io ho fondato la mia causa su nulla”, proclama Max Stirner (1806-1856) nel prologo di Der Einzige und sein Eigentum (1844, trad. it. L’unico e la sua proprietà, Milano, Adelphi, 1979). Sembrerebbe il manifesto del più radicale nichilismo. È in effetti una professione di sfiducia in tutti i valori tradizionalmente riconosciuti: Dio, l’umanità, la libertà, la giustizia. Tuttavia esiste un punto fermo a cui in questa critica radicale Stirner si arresta, ed è la realtà unica e incomparabile dei singoli individui, finora soggiogati da quegli ‘universali’.
Dall’uomo all’io
Se il senso complessivo della critica della religione svolta fino ad allora dagli esponenti della sinistra hegeliana mirava al riscatto dell’essenza umana dall’alienazione religiosa, L’unico mette in questione la stessa essenza umana. La critica della religione si amplia in una più ampia critica di ogni valore o istituzione che a qualsiasi titolo siano considerati ‘sacri’ e impediscano ai singoli di affermarsi. All’umanesimo si può muovere la stessa obiezione che Feuerbach aveva rivolto alla fede cristiana in Dio: di subordinare l’individuo empirico come inessenziale a una vera essenza, umana anziché divina (L’unico, p. 44 s.).
Nominalismo
Il genere, per Stirner, che in questo si professa ‘nominalista’, è solo qualcosa di pensato, e nulla per se stesso. L’‘unico’ si costituisce nell’elevarsi oltre se stesso e non nell’adempiere un qualsivoglia ideale. In questo senso differisce dall’individuo, che è un semplice esemplare del genere e aspira a realizzarlo. Di lui non si può dare una definizione, che esprimerebbe solo che cosa egli sia, e non chi sia. “Il giudizio ‘tu sei unico’ non significa altro che ‘tu sei tu’”. A rigore quindi esso è ‘impensabile e indicibile’ (I recensori di Stirner, in Scritti minori, Bologna, Pàtron, 1983, p. 107 s.). Sotto il profilo morale di conseguenza l’io, privo di ogni ‘missione’, è a se stesso il proprio genere e la propria norma (L’unico, p. 192 s.).
L’egoismo cosciente
L’egoismo cosciente che Stirner predica non è una condizione originaria, ma il risultato di un processo di formazione, che porta a superare quella cultura dell’abnegazione che ha governato le coscienze per molti secoli. Il legame originario da cui l’essere umano progressivamente si districa è la società, la quale costituisce il suo ‘stato di natura’. Lo sviluppo dell’uomo segna un graduale distacco da ogni sentimento di debito. “L’uomo adulto rinuncia con realismo a ogni idealità giovanile, a una sterile contrapposizione alla realtà esistente in nome di ideali, per riferire tutto a se stesso e al proprio interesse” (p. 23). Provocato dai suoi critici, che lamentavano il carattere ristretto e puramente utilitaristico di una simile prospettiva, Stirner chiarì che il proprio concetto di interesse includeva ‘ciò che è interessante’ per il soggetto e persino momenti di ‘dimenticanza di se stessi’ (I recensori di Stirner, p. 113). Anche nell’abnegazione disinteressata l’io cerca comunque la propria realizzazione e soddisfazione: all’opposizione tradizionale tra egoismo e altruismo va sostituita la distinzione, interna all’egoismo, tra ricchezza e povertà di temperamento (ivi, p. 130).
Libertà e individualità
L’unicismo di Stirner presenta qualche punto di contatto con l’individualismo liberale, ma sarebbe errato considerarlo, come fecero i critici socialisti recensendo l’opera, una sorta di proiezione ideologica dei comportamenti ‘egoisti’ e competitivi della società borghese. Il passaggio dal dominio personale al dominio impersonale della ragione, che si è compiuto nella stagione dell’illuminismo e nei movimenti di liberazione della prima metà dell’Ottocento, rappresenta agli occhi di Stirner un indubbio progresso, ma ripristina una nuova forma di soggezione, da parte appunto della ragione identificata con la legge. Nel dominio interiore, la stessa moralità kantiana, autonoma e autodeterminata, appartiene a questo mondo ideale, in cui i rapporti di dipendenza non sono aboliti ma solo trasformati (L’unico, p. 60). Per chiarire la differenza tra il liberalismo e il proprio unicismo Stirner ricorre alle due categorie di ‘libertà’ (Freiheit) e ‘individualità’ (Eigenheit). I movimenti di liberazione non riguardano il singolo, hanno per soggetto entità collettive, quali il popolo e la nazione. Essi mirano a sbarazzarsi progressivamente di limiti. Ma questo processo è necessariamente senza fine, sul piano della lotta per la libertà ci si deve adattare per forza a risultati parziali. Qualche limitazione della libertà è inevitabile in ogni forma associativa, anche in quelle forme di ‘unioni’ volontarie che Stirner contrappone alle comunità di tipo costrittivo. Ciò che in esse può trovare invece sempre esplicazione è la individualità propria. Questa è descritta da Stirner attraverso la metafora dell’andare per la propria strada, mantenendo sempre un atteggiamento ‘ribelle’ rispetto all’ordine esistente. La ‘ribellione’ (Empörung) è la parola d’ordine che Stirner oppone alla pretesa della ‘rivoluzione’ di trasformare le istituzioni, con risultati spesso precari. Una trasformazione effettiva della realtà esterna può essere conseguenza del mantenimento di questa tensione ribelle.
La società come strumento ovvero l’unione
La società comunista è presentata come una società del lavoro o di lavoratori che trovano nelle prestazioni utili alla collettività la base della loro dignità e uguaglianza (p. 129). L’affermazione del principio del lavoro rappresenta senza dubbio un progresso rispetto all’insicurezza del regime della concorrenza. E tuttavia l’attribuzione agli uomini della qualifica essenziale di lavoratori fa sì che essi non possano raggiungere una coscienza di sé, o della propria singolarità, e siano sottomessi a una nuova autorità che subentra allo Stato: quella appunto di una società di lavoratori. Proprio quest’immagine della società fornisce a Stirner lo spunto per formularne un diverso concetto, di tipo utilitaristico, che esclude ogni richiesta sacrificale ai suoi membri: “La società non è un io che possa dare, ma uno strumento da cui possiamo trarre vantaggio” (p. 143). Un’autentica socialità suppone una relazione tra gli unici che si rapportano l’un l’altro per quello che sono. La Verein (lega, unione) è la forma sociale contrattuale, di tipo volontario e non costrittivo, capace di salvaguardare l’indipendenza dei soggetti ‘unici’ che la costituiscono, pronti a riprendersi, quando gli obiettivi comuni siano stati raggiunti, la propria libertà d’azione.
*Insegna Filosofia della storia nell’Università di Parma, dirige il quadrimestrale La società degli individui; su Stirner ha pubblicato Il non uomo non è un mostro (Guida, 2009)
Dal sito Hæcceit@s web http://haecceitasweb.com un articolo inserito nell'Agosto 2010 dc:
di Fabio Milazzo
Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al “perché”; che cosa significa nichilismo?Che i valori supremi si svalutano.
Nietzsche, 1887
“Io ho fondato la mia causa su nulla”, afferma Goethe nella poesia “Vanitas! Vanitatum vanitas”, offrendo una plastica ricostruzione di cosa comporti la presa d’atto della in-giustificabilità del procedere logo-centrico.
L’uomo si rende conto di non essere in grado di offrire una valida giustificazione per le sue pretese “fondative”.
Bene, male, giusto, sbagliato, tutto è “vano” in quanto privo di giustificazione ultima.
I valori vanno in frantumi.
Resta un’unica consapevolezza: “tutto è vano” in quanto in-giustificato.
Ciò che Goethe ha così ben trasmesso trova “eco” nell’opera anarchica di Max Stirner, che “rabbiosamente”, come ebbe a dire Franco Volpi, grida l’arbitrarietà di ogni tentativo volto all’assegnazione di un orizzonte di “senso” trascendente alla vita dell’uomo.
Chi può “giustificare” le grandi “costruzioni di senso” attraverso le quali l’umanità cerca di perimetrare il non-senso nel quale è gettata?
Stirner, ovviamente, ha di fronte a sé la “grandiosa impalcatura hegeliana” e davanti ad essa grida il suo sdegno per l’arbitrarietà di simili teorizzazioni.
Spirito in cammino, Ragione che fa la storia? Ma chi ha mai fatto esperienza di ciò?
Riprendendo il Kant trascendentale Stirner, che espone il ”suo sdegno” in “L’Unico e la sua proprietà”, del 1844, è consapevole di quanto l’uomo possa “balbettare” soltanto di ciò di cui fa esperienza e, sottoponendo ad esame il proprio “ragionare discorsivo”, di quanto sia costretto ad ammettere di non avere valide giustificazioni per pretendere di dire qualcosa in più.
Dio, Anima e mondo, le tre “entità” della metafisica classica restano “fuori” da ogni affermazione che si pretenda razionale nell’accezione di giustificata, quindi procedente per inferenze necessarie.
Ciò di cui posso essere certo, e qui il richiamo è al Descartes che “apre la modernità”, è il mio esser-ci, afferma Stirner in quanto Unico.
L’esistenza originaria e individuale dell’Unico è la sola consapevolezza di cui possediamo certezza.
In tale ottica ogni costruzione di senso si origina su “nulla”.
Un “nulla” creatore che coincide con l’Unico che sono, questa affermazione lascia “vibrare”, per pagine e pagine Stirner.
Solo nella mia unicità, per affermare qualcosa del mondo, sono costretto a “costruire” affermazioni delle quali non posso offrire giustificazioni, in quanto è soltanto in virtù di una pretesa antropocentrica che assumo per postulato che il “mio discorrere” sul Reale equivalga a dire qualcosa di ciò che sta fuori di me.
In verità questa è proprio una pretesa che do per scontata, che non metto in discussione, quella secondo la quale esista un mondo di cui discorrere, un mondo del quale “scoprire” leggi, movimenti, essenze.
Striner in queste affermazioni non fa che riprendere motivi da sempre presenti all’interno delle riflessioni filosofiche, almeno da Gorgia in poi.
La particolarità stirneriana è legata alla consapevolezza che ogni “discorso” sull’ente non esaurisce la possibile gamma di verità sull’ente stesso.
Questa coscienza è ben esemplificata dal parallelismo che Stirner fa con l’indicibilità di Dio.
Come dell’Ente sommo nulla si può affermare che ne esaurisca la realtà, così dice Stirner, nessun concetto può esaurire la mia “unicità”, sempre al di là dal poter essere “esaurita”.
Le assonanze di queste affermazioni con quelle nietzschiane sono chiarissime, soprattutto in relazione al prospettivismo nietzschiano, che afferma, secondo la lettura deleuziana, non che non ci siano verità ma che ce ne siano troppe, una per ogni piano di immanenza dal quale produciamo i nostri concetti. Una per ogni singolarità individuale.
Ora questa affermazione, che come risulta chiaro rimanda a certe intuizioni del”costruzionismo”, lungi dal negare il concetto di “verità”, ci sembra frantumarlo nella multiforme panoramica delle “differenze”, sempre cangianti e singolari. Quelle stesse differenze dall’uomo linguisticamente ridotte al silenzio quando, “nominando” il reale, dapprima ne fa un “oggetto continuo” per poi oggettivarlo in generi, ordini e categorie sempre arbitrariamente contrassegnati, proprio come il gesto di chi osservando le foglie di un albero riduce l’insieme singolare e diverso di ogni singolo “mondo foglia”, abitato e innervato da vita singolare, ad un insieme denotato di senso in quanto parte di un tutto, per l’appunto, de-nominato “foglia”. Stirner, in questa esaltazione dell’Unico, pone le basi per una critica radicale delle istituzioni sociali che reggono il nostro stare in comunità. Afferma infatti che è una pretesa il-libertaria quella di costringere l’uomo in regole, istituti, leggi, che co-stringono la sua naturale propensione verso la libertà. Questa costrizione lo aliena “zittendo” il suo anelito verso l’auto-determinazione. Di tutto questo Stirner coglie e fa sue le istanze più esplicitamente legate al valore esistenziale di una ricerca del “paradiso perduto”, momento dopo cui l’uomo risulta infelice in quanto “dimentico” della sua originaria unità con una natura pre-sociale. |
Il “Giardino delle delizie” di Bosch ben rappresenta ciò che Stirner ha in mente per “felicità” pre-caduta, un libertario fluire di forme pre-individuali che, come il sangue nelle vene, vivono la pura identità con sé stessi.
Da "A rivista anarchica" aprile 1992 dc:
Aforismi
Io rifiuto un potere conferitomi sotto la speciosa forma di "diritti dell'uomo". Il mio potere è la mia proprietà, il mio potere mi dà la proprietà. Io stesso sono il mio potere... e per esso sono la mia proprietà.
Il rude pugno della morale non ha alcun rispetto della nobile essenza dell'egoismo.
Rivoluzione e Rivolta non devono essere presi per sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento dello stato di cose esistente, dello statuto dello Stato o della Società; essa è dunque un atto politico o sociale. La seconda, pur comportando inevitabilmente una trasformazione dell'ordine costituito, non ha in questa trasformazione il suo punto di partenza. Essa deriva dal fatto che gli uomini sono scontenti di se stessi e di ciò che li circonda. Essa non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una ribellione che non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà produrre. La rivoluzione ha come obiettivo delle nuove istituzioni. La rivolta ci porta a non lasciarci più amministrare ma ad amministrare da soli. La rivolta non attende le meraviglie delle istituzioni future. Essa è una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da solo. Essa non fa che liberare il mio Me dallo stato di cose esistente, il quale, dal momento in cui me ne congedo, viene meno e cade in putrefazione!
La rivoluzione mira ad un'organizzazione nuova; la ribellione ci porta a non lasciarci più organizzare, ma ad organizzarci da soli come vogliamo, e non ripone fulgide speranze nelle "istituzioni" ... Se il mio scopo non è rovesciare un ordine costituito ma innalzarmi al di sopra di esso, il mio proposito e le mie azioni non sono politici e sociali, ma egoistici. La rivoluzione ci comanda di creare istituzioni nuove; la ribellione ci domanda di sollevarci o innalzarci.
Chi, per rimanere padrone di ciò che possiede, deve contare sulla mancanza di volontà di altri, è una cosa fatta da questi altri, così come il padrone è una cosa fatta dal servo. Se venisse meno la sottomissione il padrone cesserebbe d'essere.
Nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell'individuo si chiama delitto.
Io dico: liberati quanto puoi e avrai fatto ciò che sta in tuo potere; infatti non è dato a tutti di superare ogni barriera ossia, per parlare più chiaramente, non per tutti è una barriera ciò che lo è per alcuni. Perciò non preoccuparti delle barriere degli altri: è sufficiente che tu abbatta le tue.
Per lo Stato è indispensabile che nessuno abbia una sua volontà; se uno l'avesse, lo Stato dovrebbe escluderlo, chiuderlo in carcere o metterlo al bando; se tutti avessero una volontà propria, farebbero piazza pulita dello Stato.
Lo Stato si fonda sulla schiavitù del lavoro. Se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto.
Io aggiro l'ostacolo di una roccia finché non ho abbastanza polvere per farla saltare in aria e aggiro l'ostacolo delle leggi di un popolo finché non ho raccolto l'energia sufficiente per rovesciarle.
Nelle ricchezze del banchiere io vedo tanto poco qualcosa d'estraneo come Napoleone nelle terre dei re: noi non abbiamo alcun TIMORE di "conquistarle" e anzi cerchiamo i mezzi per poterlo fare. Noi togliamo loro, dunque, questo SPIRITO di ESTRANEITA' di cui un tempo avevamo timore.
Il cattolico é semplicemente e solamente un profano, il protestante é lui stesso sacerdote, uomo dello spirito. Questo appunto é il progresso rispetto al Medioevo e al tempo stesso la maledizione del periodo della Riforma: l'attuazione completa del regno dello spirito.
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