Politica e Società-7

(ateismo e agnosticismo inclusi...)

2010 dc

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Ho unificato le due precedenti pagine di Politica e Sociale perché, in fondo, si occupavano degli stessi temi. Per non appesantirne il peso nel sito, le ho numerate progressivamente a partire da quella con notizie e fatti più vecchi.

In questa pagina ci sono testi con data 2010 dc, il più recente all'inizio. Ho inserito il 22 Giugno 2010 dc anche gran parte della pagina "Argomenti", ora tolta dal sito.


In e-mail il 25 Novembre 2010 dc:

Montesi: chiedo asilo politico alla Svezia

poiché l'Italia impone il crocifisso

 

Lo scrittore Ennio Montesi si rivolge al primo ministro svedese

poiché discriminato dal Governo italiano

 

Roma - «Chiedo asilo politico al Governo della Svezia per gravi discriminazioni e persecuzioni religiose-politiche di presunta matrice razzista cattolica-fascista contro la mia persona, da parte del Governo Italiano». È quanto si legge nella richiesta di asilo politico che lo scrittore Ennio Montesi, ha inoltrato il 23.11.2010 a Fredrik Reinfeldt, primo ministro del Governo svedese a Stoccolma, a Ruth Jacoby, ambasciatore di Svezia a Roma e per conoscenza a José Manuel Durão Barroso, presidente della Commissione Europea di Bruxelles, a Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio d'Europa dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, a Jean-Claude Trichet, presidente della BCE, Banca Centrale Europea di Francoforte e a Ban Ki-moon. segretario generale della Nazioni Unite di New York. Ennio Montesi, autore dell'ultimo libro "Racconti per non impazzire" Mursia Editore, incalza nel dettagliato documento: «Il simbolo religioso-politico e di morte del "crocifisso" della religione o setta Cristiano-cattolica è affisso sulle pareti interne di molti edifici preposti a strutture pubbliche appartenenti o in uso allo Stato Italiano. Di conseguenza il Governo Italiano mi impone di fatto, poiché non viene rimosso, tale simbolo religioso-politico e di morte del crocifisso dello Stato straniero teocratico dittatoriale del Vaticano, simbolo con il quale non mi identifico e tanto meno mi identifico in tali organizzazioni religiose o congreghe non essendo io suddito della setta fondamentalista denominata "Chiesa cattolica" e non essendo io cittadino dello straniero Stato dittatoriale del Vaticano, ed essendo io sbattezzato.».

Il caso ebbe inizio a seguito dell'imposizione del crocifisso che fu imposto a Montesi il 16/09/2010 data in cui venne ricoverato per alcuni giorni presso il reparto di chirurgia generale dell'Ospedale di Jesi, in viale della Vittoria, facente parte della Azienda Sanitaria Unica Regionale n. 5. In quella circostanza Montesi chiese la rimozione del crocifisso dalla propria stanza ma il simbolo non venne rimosso. In seguito Montesi presentò un esposto alla Procura della Repubblica di Ancona, al Tribunale per i Diritti del Malato e al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Nella richiesta di asilo politico Montesi segnala l'incostituzionalità dell'articolo 7 della Costituzione Italiana, segnala che lo Stato Italiano regala ogni anno 9.000 (novemila) milioni di euro al Vaticano, segnala l'operato della banca offshore vaticana IOR, Istituto Opere Religiose, invitando la BCE, Banca Centrale Europea, ad aprire inchieste informative. Segnala che tutti i Governi italiani sono di matrice filo-cattolica, affiliati e asserviti alla congrega della Chiesa cattolica e che sono politicamente concussi con lo Stato straniero del Vaticano. Segnala che quasi tutti i ministri italiani piuttosto che fare gli interessi dei propri cittadini italiani preferiscono spesso esaudire, probabilmente, i voleri e le richieste delle gerarchie sacerdotali del Vaticano e che di conseguenza quasi tutti i ministri italiani dovrebbero essere probabilmente accusati e incriminati per alto tradimento alla Costituzione della Repubblica Italiana sulla quale hanno giurato fedeltà, mentre al contrario probabilmente prendono ordini e obbediscono ai voleri e alle richieste delle gerarchie vaticane.

 «Il simbolo criminale del crocifisso non lo accetto e mai lo accetterò» conclude Montesi. «Come nessuno può imporre il simbolo criminale della svastica nazista, ancora di più e a maggior ragione nessuno può imporre il simbolo criminale del crocifisso». Secondo Montesi lo Stato Italiano e i Governi italiani violerebbero uno tra i principali e fondamentali diritti inviolabili dei cittadini e non rispetterebbero uno dei parametri di democrazia e di libertà essenziali ed indispensabili affinché l'Italia appartenga, e possa continuare ad appartenere, agli Stati membri dell'Unione Europea.

 

Richiesta di Asilo politico al Governo della Svezia poiché

il Governo Italiano mi impone il simbolo religioso-politico del "crocifisso"

 

Fredrik Reinfeldt

Prime Minister

Government of Sweden

Rosenbad 4

SE-103 33 Stockholm - Svezia

 

Ruth Jacoby

Ambasciatore

Ambasciata di Svezia

Piazza Rio de Janeiro 3

00161 Roma - Italia

 

José Manuel Durão Barroso

President

European Commission

Commissione Europea

Rue de la Loi 175

B-1048 Bruxelles - Belgio

 

Thorbjørn Jagland

Secretary General

Concil of Europe Human Rights

Consiglio d'Europa dei Diritti dell'Uomo

Avenue de l'Europe

67075  Strasbourg Cedex - Francia

 

Jean-Claude Trichet

President

ECB - The European Central Bank

BCE - Banca Centrale Europea

Eurotower

Kaiserstrasse 29

60311 Frankfurt am Main - Germania

 

Ban Ki-moon

UN Secretary-General

United Nations - Headquarters

Nazioni Unite

760 United Nations Plaza

New York, NY 10017 - USA

 

Io sottoscritto Ennio Montesi, cittadino italiano, chiedo asilo politico al Governo della Svezia per gravi discriminazioni e persecuzioni religiose-politiche di presunta matrice razzista cattolica-fascista contro la mia persona, da parte del Governo Italiano.

Espongo quanto segue. Il simbolo religioso-politico e di morte del "crocifisso" della religione o setta Cristiano-cattolica è affisso sulle pareti interne di molti edifici preposti a strutture pubbliche appartenenti o in uso allo Stato Italiano. Di conseguenza il Governo Italiano mi impone di fatto, poiché non viene rimosso, tale simbolo religioso-politico e di morte del crocifisso, nella fattispecie simbolo religioso e politico dello Stato straniero teocratico dittatoriale del Vaticano, simbolo con il quale non mi identifico e tanto meno mi identifico in tali organizzazioni religiose o congreghe non essendo io suddito della setta fondamentalista denominata "Chiesa cattolica" e non essendo io cittadino dello straniero Stato dittatoriale del Vaticano, ed essendo io sbattezzato. Lo sbattezzo ai sensi dell'art.7 del D.L. n. 196/2003 conferisce la cancellazione dalla Chiesa cattolica.

Lo Stato Italiano, benché nella propria Carta Costituzionale si dichiari "Laico" non lo è. Purtroppo, lo Stato Italiano risulta essere di fatto uno Stato Teocratico di inaudito fondamentalismo religioso cattolico, poiché mi impone con arroganza e violenza alla mia visuale il simbolo religioso-politico e di morte del crocifisso esposto sulle pareti interne delle strutture pubbliche presenti sul territorio dello Stato Italiano come: Scuole elementari, Scuole medie inferiori, Scuole medie superiori, Università statali, Asili nido statali, Scuole materne statali, Ospedali pubblici, Aziende sanitarie, Distretti sanitari, Consultori, Amministrazioni Comunali, Amministrazioni Provinciali, Amministrazioni Regionali, Associazioni di Comuni, Tribunali, Camere di Commercio, Agenzie delle Entrate, Prefetture, Preture, Caserme, Comunità montane e altre strutture pubbliche appartenenti o riconducibili allo Stato Italiano.

L'ultima imposizione forzata e arrogante del simbolo religioso-politico e di morte del crocifisso che mi è stata imposta dallo Stato Italiano e dal Governo Italiano verso la mia persona risale al 16/09/2010 data in cui sono stato ricoverato per alcuni giorni presso il reparto di chirurgia generale dell'Ospedale pubblico italiano di Jesi (Ancona), in viale della Vittoria, facente parte della Azienda Sanitaria Unica Regionale n. 5. In quella circostanza nella mia camera di ospedale era affisso il crocifisso e nonostante le mie varie richieste verbali e scritte inoltrate alla direzione di presidio ospedaliero, il crocifisso non è stato rimosso. Di conseguenza ho inoltrato un dettagliato esposto, illustrando i gravi fatti discriminatori e di razzismo perpetrati a mio danno, alle seguenti autorità italiane: Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona, Tribunale per i Diritti del Malato di Ancona e al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (vedere documento allegato).

Qualsiasi decisione prenderanno tali autorità italiane, sottolineo che esse non hanno alcun potere, e probabilmente non hanno la volontà di fare rimuovere il crocifisso né dall'ospedale pubblico in oggetto, né tanto meno da tutte le altre strutture pubbliche italiane. Di conseguenza, tutti i giorni dell'anno, ininterrottamente, mi è imposto il crocifisso in tutte le strutture pubbliche dello Stato Italiano, là dove il simbolo è affisso, e mi risulta impossibile evitarlo. Infatti, per evitare il crocifisso dovrei non frequentare più, e nemmeno avvalermi più per nessun motivo e per sempre, di tutte le strutture pubbliche esistenti nello Stato Italiano e ciò sarebbe oltre che impossibile ed utopistico anche discriminante e ghettizzante poiché tutti gli elementi a corredo della mia vita sociale, pubblica, politica, culturale, diritti, doveri, lavorativa, salute, intellettuale, democratica, liberale e di altra natura sarebbero totalmente distrutti e annientati.

L'imposizione forzata del simbolo religioso-politico del crocifisso, che non mi rappresenta, offende e limita la mia libertà di pensiero e di cittadino italiano ed europeo, e in ogni istante mi ricorda che la sovranità nazionale italiana è limitata per essere stata parzialmente o, completamente ceduta, alla setta religiosa fondamentalista denominata "Chiesa cattolica" e allo Stato straniero teocratico dittatoriale del Vaticano.

L'imposizione forzata del simbolo religioso-politico del crocifisso lede i miei diritti principali e inviolabili di cittadino, limitando la mia libertà, e di fatto mi discrimina sia per la libertà di religione, sia per la libertà politica, sia per la libertà di pensiero, sia per la libertà di razza in quanto non appartengo e non voglio appartenere alla "superiore razza cristiana-cattolica" la quale razza impone con arroganza - grazie al tacito consenso e all'indifferenza dei Governi italiani - il proprio simbolo religioso-politico del crocifisso ledendo i miei principali e inviolabili diritti di libero cittadino e di libero pensatore e quindi perseguitando la mia persona anche e soprattutto politicamente e socialmente.

Poiché è mio diritto avere ed esigere pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, sostengo di aver subito, e di continuare a subire ogni giorno, una ingiustificata discriminazione e persecuzione religiosa-politica e razzista probabilmente di stampo cattolico-fascista in violazione della legge italiana 654 del 1975, la legge "Reale" che recepì la Convenzione Internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e religiosa, poi aggiornata dalla legge Mancino.

Chiedo pertanto asilo politico al Governo della Svezia a tutela e a salvaguardia della mia persona e della mia famiglia. Chiedo ufficialmente ai gentili Fredrik Reinfeldt, primo ministro del Governo svedese e a Ruth Jacoby, ambasciatore presso l'Ambasciata di Svezia a Roma che vengano attivate le procedure per rendere operativa la richiesta.

Invio questa istanza, per conoscenza, anche alla Commissione Europea, al Consiglio d'Europa dei Diritti dell'Uomo, alla BCE, Banca Centrale Europea e alle Nazioni Unite affinché sappiano e apprendano con chiarezza - sperando che aprano inchieste informative - che in Italia il Principio Supremo di Laicità dello Stato è gravemente violato e che i cittadini come me vengono discriminati ogni giorno in maniera razzista e di fatto la mia persona, come tutti i cittadini italiani, è spesso considerata non come libero cittadino e libero pensatore, ma bensì come suddito sottomesso al quale si impone la genuflessione e la sottomissione arrogante, terroristica e fondamentalista verso il simbolo religioso-politico del crocifisso della "superiore razza religiosa e politica cattolica-fascista" anche se con tale simbolo, con tale religione-politica e con tale "superiore razza" io non voglio nulla avere a che fare.

Lo Stato Italiano e i Governi italiani stanno violando uno tra i principali e fondamentali diritti inviolabili dei cittadini e quindi di fatto non stanno rispettando uno dei parametri di democrazia e di libertà fondamentali ed indispensabili affinché l'Italia appartenga, e possa continuare ad appartenere, agli Stati membri dell'Unione Europea.

È mio intento inoltre che attraverso questa richiesta di asilo politico, tutti i rappresentanti degli Stati membri dell'Unione Europea ed i vari organi della Commissione Europea, del Consiglio d'Europa dei Diritti dell'Uomo, della BCE, Banca Centrale Europea e delle Nazioni Unite, sappiano e apprendano con chiarezza che i vari Parlamenti italiani e Governi italiani - di qualsiasi schieramento politico essi siano - non sono mai stati in grado nel passato, come non sono in grado nel presente di difendere il Diritto Supremo di Laicità e non sono quindi neanche in grado di tutelare e di difendere i propri cittadini italiani essendo tutti i Parlamenti italiani e tutti i Governi italiani, da sempre, succubi, genuflessi, sottomessi e alla mercé della politica dittatoriale terroristica delle gerarchie clericali e sottomessi ai voleri delle totalitarie politiche dello Stato straniero fondamentalista teocratico dittatoriale del Vaticano, la cui CEI, Conferenza Episcopale Italiana, cioè il Consiglio dei Ministri dello Stato del Vaticano, influenza in maniera profonda da sempre le elezioni politiche italiane, influenza i referendum popolari italiani, influenza i decreti legge italiani ed influenza spesso anche l'agenda politica e legislativa del povero sottomesso Consiglio dei Ministri italiano, dei poveri sottomessi Ministri italiani e dello stesso povero sottomesso Parlamento italiano. Di conseguenza il Vaticano influenza e domina a proprio piacimento le scelte e la vita di tutti i cittadini italiani. Tale gravissima e inaccettabile anomalia dello Stato Italiano - unico caso al mondo - è causata dallo scellerato Articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana che riporto:

Art. 7

"Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale."

Ora, basta leggere l'Articolo 7 con due piccole modifiche di esempio sostituendo a "Chiesa cattolica" la dicitura "Corea del Nord" per rimarcare e fare comprendere immediatamente a chiunque di quale gravissima incongruenza costituzionale nasconda e imponga con arroganza dittatoriale e violento fondamentalismo ai cittadini italiani:

"Lo Stato e la Corea del Nord sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Coreani. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale."

Che senso avrebbe? L'Articolo 7 è assolutamente incostituzionale, di matrice dittatoriale e al di fuori della democrazia e della libertà di quello che dovrebbe essere lo Stato democratico italiano. L'Articolo 7 dovrebbe essere cancellato dalla Costituzione Italiana se vogliamo lo Stato Italiano davvero libero e indipendente. Il prof. Piero Calamandrei, il principale padre costituente italiano, fu notevolmente contrario all'Articolo 7 della Costituzione e affermò con forza che accettandolo si sarebbe creato un "vulnus", una lesione di un diritto e che l'Italia non sarebbe mai stata libera, ma sarebbe stata sempre alle dipendenze appunto dei dittatori gerarchi dello Stato straniero teocratico dittatoriale fondamentalista del Vaticano. E così è di fatto: il prof. Calamandrei aveva ragione.

Ecco perché il sottomesso Parlamento italiano e il sottomesso Governo italiano sono impotenti e indifesi dinanzi alla rimozione del simbolo religioso-politico e di morte del crocifisso, come pure sono impotenti e indifesi su moltissimi altri gravissimi aspetti che tutelano e proteggono la dittatoriale casta sacerdotale cattolica-fascista della Chiesa cattolica, come ad esempio i faraonici finanziamenti regalati dall'Italia ai dittatori gerarchi dello Stato dittatoriale del Vaticano. A conferma di quanto sto asserendo basti sapere che lo Stato Italiano regala ogni anno l'esorbitante cifra di 9.000 (novemila) milioni di Euro allo Stato straniero teocratico dittatoriale del Vaticano. La cifra di 9.000 (novemila) milioni di Euro regalati annualmente dall'Italia al Vaticano è stata calcolata in difetto.

Sarà certo facile alla Commissione Europea, al Consiglio d'Europa dei Diritti dell'Uomo e soprattutto alla BCE, Banca Centrale Europea, aprire inchieste informative per sapere a quanto esattamente ammonti la cifra aggiornata e di quanti miliardi di Euro esattamente l'Italia regala al Vaticano ogni anno, del denaro pubblico di tutti i cittadini italiani. Si presume che l'Unione Europea e la BCE, Banca Centrale Europea abbiano molto da dire e da rimarcare sul comportamento anomalo e bizzarro dell'Italia e sul fatto che vengano regalati 9.000 (novemila) milioni di Euro ogni anno, somma che potrebbe essere utilizzata dai Governi italiani per molte altre necessità impellenti, facendo invece, purtroppo, vergognosamente arricchire la dittatoriale casta sacerdotale cattolica-fascista e le gerarchie del già ricchissimo e faraonico Stato straniero teocratico dittatoriale del Vaticano e Chiesa cattolica.

È deprecabile infatti che da un lato l'Unione Europea e la BCE, Banca Centrale Europea, concedano con grande sforzo milioni di Euro all'Italia per aiutarla, mentre dall'altro lato l'Italia regali spudoratamente in maniera sconsiderata ed irresponsabile miliardi di Euro ai gerarchi cattolici-fascisti della setta religiosa Chiesa cattolica e Stato del Vaticano.

Segnalo inoltre e sottolineo in particolare modo alla BCE, Banca Centrale Europea che, all'interno dello Stato Italiano nel cuore della città di Roma, esattamente dentro le mura dello Stato del Vaticano ha sede la più grande banca offshore del mondo. Tale banca si chiama IOR, Istituto Opere Religiose, cioè la banca offshore che appartiene alle gerarchie del Vaticano, sulla quale banca offshore invito caldamente ad aprire approfondite e articolate inchieste finanziarie informative così che la Commissione Europea, il Consiglio d'Europa dei Diritti dell'Uomo e soprattutto la BCE, Banca Centrale Europea, focalizzino e capiscano bene della tipologia e della qualità delle transazioni bancarie internazionali messe in atto dallo IOR e dal Vaticano, transazioni torbide spesso coperte da mistero.

Sottolineo questo poiché i vari sottomessi e miserevoli Governi italiani, essendo impotenti, fingono probabilmente di non sapere e di non vedere l'operato dello IOR e del Vaticano. Dinanzi alla banca offshore del Vaticano IOR anche la povera e sottomessa Magistratura italiana probabilmente è impotente nell'agire. Affermo questo poiché quando l'Unione Europea e la BCE, Banca Centrale Europea, decideranno di continuare a staccare assegni di milioni di Euro a favore e in aiuto all'Italia, lo facciano certamente, ma avendo la chiara consapevolezza di come agirà poi l'Italia sul fatto economico di regalare miliardi di Euro alle gerarchie del Vaticano.

Sottolineo che tutti i Governi italiani, qualsiasi sia il loro colore politico, sono di matrice cattolica o filo-cattolici, cioè affiliati, adepti e asserviti alla setta o congrega della Chiesa cattolica. Lo Stato Italiano ed i Governi italiani sono politicamente concussi con lo Stato straniero dittatoriale del Vaticano in maniera molta profonda e radicata. Quasi tutti i ministri italiani piuttosto che fare gli interessi dei propri cittadini italiani preferiscono spesso esaudire, probabilmente, i voleri e le richieste delle gerarchie sacerdotali del Vaticano. Di conseguenza, quasi tutti i ministri italiani dovrebbero essere probabilmente accusati e incriminati di alto tradimento alla Costituzione della Repubblica Italiana sulla quale hanno giurato fedeltà, mentre al contrario probabilmente prendono ordini e obbediscono ai voleri e alle richieste delle gerarchie cattoliche-fasciste dello straniero Stato dittatoriale del Vaticano. Per altre nazioni europee e non solo europee questa gravissima situazione politica italiana sarebbe inconcepibile, aberrante e inaccettabile e diverrebbe un problema da risolvere con priorità assoluta su tutti gli altri problemi. Per i Governi italiani è cosa del tutto normale.

Tornando al simbolo religioso-politico del crocifisso, sottolineo che non esiste alcuna legge dello Stato Italiano che induca la direzione di un ospedale pubblico italiano ad obbligare l'imposizione del crocifisso ad un paziente-cittadino ricoverato in ospedale durante la propria degenza e nemmeno esiste alcuna legge dello Stato Italiano che imponga il crocifisso ai propri cittadini all'interno delle altre strutture pubbliche italiane.

Il diritto di asilo che chiedo al Governo della Svezia è un diritto umano fondamentale definito all'Art. 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, diritto di asilo invocabile in rispetto ai principi delle Nazioni Unite.

Piuttosto che accettare l'imposizione forzata, arrogante, discriminatoria, persecutoria e violenta alla mia visuale e alla mia persona del simbolo religioso-politico e di morte del crocifisso, preferisco andare via dalla mia nazione e dalla mia patria poiché non accetto di essere perseguitato e discriminato. Ritengo di essere obbligato ad andarmene dalla mia Italia essendo purtroppo l'Italia di fatto una nazione colonizzata politicamente e sotto il fortissimo dominio della spietata terrorizzante dittatura e della politica fondamentalista delle gerarchie cattoliche-fasciste dello Stato straniero teocratico dittatoriale del Vaticano che, grazie alla loro colonizzazione politica dell'Italia, possono continuare ad esigere ed ottenere immensi introiti finanziari e smisurato potere a discapito dei cittadini italiani.

Nessuno può imporre il "crocifisso" della Chiesa cattolica cioè di quella setta "malefica e perniciosa", per usare le stesse parole di Svetonio, Tacito e Plinio il Giovane, eterna corruttrice e associazione oscurantista e sanguinaria portatrice di orrori e di morte. Chiesa che, nell'arco dei secoli, ha compiuto crociate, sterminando popoli, mettendo in atto genocidi efferati e crimini atroci contro l'Umanità in nome dei suoi Dei, del feticcio chiodato e di assurde superstizioni medievali. Milioni di uomini, donne e bambini sbudellati, sgozzati, bruciati, torturati, annegati, strangolati, impalati, squartati, spellati vivi, fatti a pezzi, facendo carne di porco di intere popolazioni.

Il simbolo criminale del crocifisso non lo accetto, e mai lo accetterò. Come nessuno può imporre il simbolo criminale della svastica nazista, ancora di più e a maggior ragione, nessuno può imporre il simbolo criminale del crocifisso.

Con alta considerazione.

23 Novembre 2010

 

Ennio Montesi

 

 

Si invita alla massima pubblicazione e diffusione


In e-mail il 22 Novembre 2010 dc:

A 30 anni dal sisma del 1980: analisi e provocazioni corsare

In questi giorni non mancano le manifestazioni ufficiali per celebrare solennemente, alla presenza delle autorità istituzionali, il trentennale del terremoto che il 23 novembre 1980 sconquassò il Sud Italia con un'intensità superiore al 10° grado della scala Mercalli e una magnitudo pari a 6,9 della scala Richter. Una scossa interminabile, durata 100 secondi, fece tremare l'arco montuoso dell'Appennino meridionale, radendo al suolo decine di paesi dell'Irpinia e della Lucania e decimando le popolazioni locali. A 30 anni di distanza, il ricordo funesto di quella tragedia storica suscita negli abitanti che l'hanno vissuta sulla propria pelle, emozioni assai forti e contrastanti, di sgomento e cordoglio corale, un profondo senso di angoscia e turbamento, di inquietudine, dolore e rabbia.

Fu in effetti il più catastrofico cataclisma che ha investito il Sud nel secondo dopoguerra, un immane disastro provocato non solo dalla furia degli elementi naturali, bensì pure da fattori di ordine storico, economico ed antropico culturale. Nei giorni immediatamente successivi al sisma, molti si spinsero ad ipotizzare agghiaccianti responsabilità politiche, polemizzando sui gravi ritardi, sulle lentezze e carenze registrate nell'opera dei soccorsi, lanciando una serie di accuse ispirate ad una teoria che chiamava in causa una vera e propria "strage di Stato". La furia tellurica si abbatté in modo implacabile sulle nostre comunità, ma in seguito la voracità degli avvoltoi e degli sciacalli, collocati al vertice delle istituzioni, completò l'opera di devastazione.

Per gli abitanti dell'Irpinia il 23 novembre rievoca un'esperienza traumatica e luttuosa, indica una data-spartiacque evidenziata sul calendario. La nozione "data-spartiacque" serve a spiegare in modo efficace che da quel giorno la nostra realtà esistenziale è stata sconvolta duramente non solo sotto il profilo psicologico, ma anche sul piano economico, sociale e culturale, facendo regredire il livello di civiltà dei rapporti interpersonali. Il terremoto ha stroncato migliaia di vite umane, ha stravolto intere comunità, segnando per sempre le coscienze interiori e la sfera degli affetti più intimi. I rapidi e caotici mutamenti degli anni successivi, hanno prodotto un imbarbarimento antropologico che si è insinuato nei gesti e nelle percezioni più elementari, deformando gli atteggiamenti e le relazioni sociali, soffocando ogni desiderio di verità, di giustizia e rinascita collettiva.

Il ritorno ad una condizione di "normalità" ha rappresentato un processo molto lento che ha imposto anni nei quali le famiglie hanno cresciuto i figli in gelidi container con le pareti rivestite d'amianto. La fine dell'emergenza, il completamento della ricostruzione, lo smantellamento delle aree prefabbricate, costituiscono opere relativamente recenti. Inoltre, la ricostruzione urbanistica, oltre che stentata e carente, convulsa ed irrazionale, non è stata indirizzata da una intelligente pianificazione politica volta a recuperare e consolidare il tessuto della convivenza e della partecipazione democratica, creando quegli spazi di aggregazione sociale che rendono vivibili le relazioni interpersonali e gli agglomerati abitativi, che altrimenti restano solo dormitori.

Nella fase dell'emergenza post-sismica le autorità locali attinsero ampiamente agli ingenti fondi assegnati dal governo per la ricostruzione delle zone terremotate. La Legge 219 del 14 maggio 1981 prevedeva un massiccio stanziamento di sessantamila miliardi delle vecchie lire per finanziare anche un piano di industrializzazione moderna. Si progettò così la dislocazione di macchinari industriali (obsoleti) provenienti dal Nord Italia all'interno di territori impervi e tortuosi, in cui non esisteva ancora una rete di trasporti e comunicazioni. Fu varato un processo di (sotto)sviluppo che ha svelato nel tempo la sua natura rovinosa ed alienante, i cui effetti sinistri hanno arrecato guasti all'ambiente e all'economia locale. Per inciso, occorre ricordare che il contesto territoriale è quello delle aree interne di montagna, all'epoca difficilmente accessibili e praticabili. Bisogna altresì ricordare l'edificazione di vere e proprie "cattedrali nel deserto" come, ad esempio, l'ESI SUD, la IATO ed altri insediamenti (im)produttivi, in gran parte chiusi e falliti, i cui dirigenti, quasi sempre del Nord, hanno installato i loro impianti nelle nostre zone per sfruttare i finanziamenti statali previsti dalla Legge 219.

Il progetto di sviluppo del dopo-terremoto era destinato a fallire fin dall'inizio, essendo stato concepito e gestito con una logica affaristica e clientelare tesa a favorire l'insediamento di imprese estranee alla nostra realtà, che non avevano il minimo interesse a valorizzare le risorse e le caratteristiche del territorio, a considerare i bisogni effettivi del mercato locale, a tutelare e promuovere le produzioni autoctone, sfruttando la manodopera a basso costo e innescando così un circolo vizioso e perverso.

Vale la pena ricordare che le principali ricchezze del nostro territorio sono da sempre l'agricoltura e l'artigianato. Si pensi all'altopiano del Formicoso, considerato il granaio dell'Irpinia, dove qualcuno, all'apice delle istituzioni, ha deciso di allestirvi una megadiscarica. Si pensi ai rinomati prodotti agroalimentari come il vino Aglianico di Taurasi o la castagna di Montella, solo per citare quelli a denominazione d'origine controllata. Un'enorme potenzialità, assai redditizia in termini occupazionali, è insita nell'ambiente storico e naturale, nella promozione del turismo ecologico, archeologico e culturale, che non è mai stato adeguatamente valorizzato dalle autorità politiche locali.

Negli anni '80 l'Irpinia era la provincia che vantava il primato nazionale degli invalidi civili e dei pensionati, un triste e vergognoso primato se si considera che in larga parte si trattava di falsi invalidi, soprattutto giovani con meno di 30 anni, in grado di guidare automobili, di correre e praticare sport, di scavalcare i sani nelle graduatorie delle assunzioni, di assicurarsi addirittura i migliori posti di lavoro, di fare rapidamente carriera grazie alle raccomandazioni e ai favori elargiti dai ras politici locali, intermediari e referenti del cosiddetto "uomo del monte", il feudatario di Nusco. Nelle nostre zone l'Inps era diventato il principale erogatore di reddito per migliaia di famiglie. Ciò era possibile grazie a manovre clientelari e all'appoggio decisivo di figure importanti della società, a cominciare dai medici e dai servizi sanitari compiacenti, se non complici. Gli enormi sprechi compiuti dal sistema assistenzialistico e clientelare sono anche all'origine dell'attuale crisi della sanità irpina e di altre emergenze locali.

La rete clientelistica e assistenzialistica era un apparato scientificamente organizzato, volto ad assicurare il mantenimento di un sistema affaristico simile ad una piovra, che con i suoi lunghi tentacoli si era impadronita della cosa pubblica, occupando la macchina statale e scongiurando ogni rischio di instabilità e di cambiamento effettivo della società irpina. Il sistema protezionistico era onnipresente, seguiva e condizionava la vita delle persone dalla culla al loculo, a patto di cedere in cambio il proprio voto in ogni circostanza in cui era richiesto. Ancora oggi sindaci e amministratori irpini sono designati con la benedizione dell'uomo del monte, che fa e disfa le cose a proprio piacimento, costruendo o affossando maggioranze amministrative, indicando persino i nomi dei candidati all'opposizione. All'interno di questo apparato si risolvono e dissolvono i contrasti tra governo e opposizione, sistema e antisistema, precludendo ogni possibilità di ricambio e mutamento reale della politica irpina, che non a caso è ancora sottoposta ai capricci e ai ricatti esercitati da San Ciriaco, la testa pensante e pelata della piovra. 

La piovra del potere politico ha sempre gestito e distribuito posti di lavoro, appalti, subappalti, rendite, prebende, forniture sanitarie, in tutta la provincia, creando e favorendo un vasto sistema parassitario composto da decine di migliaia di addetti del pubblico impiego, del ceto medio, di liberi professionisti, che prima sostenevano la Democrazia cristiana ed oggi appoggiano i suoi eredi, collocati a destra e a manca. Si spiega in tal modo perché la struttura  di potere si è conservata fino ad oggi, resistendo ad ogni scossone politico e giudiziario, sopravvivendo agli scandali dell'Irpiniagate, scampando alla bufera scatenata dalle inchieste di Mani Pulite all'inizio degli anni '90.

Tuttavia, in quegli anni abbiamo assistito ad un processo di rapida mutazione antropologica dell'Irpinia. Con l'avvento della globalizzazione neoliberista, la società irpina ha subito un'improvvisa e convulsa accelerazione storica. Da noi convivono ormai piaghe antiche e nuove contraddizioni sociali quali la disoccupazione, le devianze giovanili, l'emarginazione, che sono effetti causati da una modernizzazione prettamente consumistica. Anche in Irpinia l'effetto più drammatico della crisi scaturita dal fallimento di un modello di sviluppo diretto dall'alto negli anni della ricostruzione, è stato un processo di imbarbarimento che ha alterato profondamente i rapporti umani. I quali sono sempre più improntati all'insegna di un feticismo assoluto, quello del profitto e della merce, trasmesso alle nuove generazioni come l'unico senso e scopo della vita.

Il cosiddetto "sviluppo" ha generato mostruose sperequazioni che hanno avvelenato e corrotto gli animi e i rapporti umani, approfondendo le disuguaglianze già esistenti e creando nuove ingiustizie e contraddizioni, creando sacche di emarginazione e miseria, precarietà e sfruttamento in contesti sempre più omologati culturalmente. Rispetto a tali processi sociali e materiali, le "devianze giovanili", i suicidi e le nuove forme di dipendenza sono i sintomi più inquietanti di un diffuso malessere morale ed esistenziale. Per quanto concerne i suicidi l'Irpinia e la Lucania si contendono un ben triste primato.

Insomma, si può affermare che a 30 anni di distanza si perpetua l'arroganza di un potere affaristico, paternalistico e clientelistico che continua a ricattare i soggetti più deboli, riducendo la libertà personale degli individui, influenzando gli orientamenti politici dei singoli per creare e conservare ingenti serbatoi di voti. Tali rapporti di forza sono mantenuti in modo cinico e spregiudicato. Pertanto, è necessaria un'azione  politica che propugni una trasformazione radicale e totale dell'esistente insieme con gli altri soggetti effettivamente antagonisti e progressisti presenti nella società irpina. Le nostre popolazioni sono tuttora soggiogate da una casta politica vetusta ed incancrenita che comanda con metodi ormai anacronistici, alla maniera del celebre "Gattopardo", convinto che tutto debba cambiare affinché nulla cambi e tutto resti come prima.

Il mio modesto contributo è semplicemente un tentativo di analisi e comprensione della realtà per provare a modificarla. La speranza di giustizia e riscatto delle popolazioni irpine reclama a gran voce un progetto di trasformazione concreta, ben sapendo che non conviene mai semplificare problemi tanto vasti e complessi perché rischia di essere controproducente. La realtà non è mai semplice come appare, è sempre contraddittoria e mutevole, per cui esige un approccio critico e un metodo investigativo capace di avvalersi di molteplici strumenti di indagine e di interpretazione dell'esistente, compresa la riflessione filosofica, che da sola non è affatto esaustiva o autosufficiente.

Lucio Garofalo


In e-mail l'11 Novembre 2010 dc:

La "mala television"...

da Cogne ad Avetrana: "sciacallaggio mediatico" o diritto di cronaca?

di Gaspare Serra

IL "SENSO DEL LIMITE" E LA "SPETTACOLARIZZAZIONE" DEL DRAMMA...

Eravamo convinti che il "limite della decenza" fosse stato già abbondantemente raggiunto col "trattamento mediatico" riservato all'infanticidio di Cogne e superato in occasione dei delitti di Garlasco e Perugia.

Stando alle cronache che giungono da Avetrana, invece, occorre ammettere di essersi clamorosamente sbagliati...

Di fronte l'altare del "voyeurismo" pubblico (e la cassa privata dello "share"!) stiamo assistendo all'ennesima "messa in scena" di un orrore senza fine, ad un'informazione "urlata" che nega ogni forma di "rispetto" nei confronti del dramma di una quindicenne ammazzatta!

Quando, quel caldo pomeriggio del 26 agosto, Sarah Scazzi è scomparsa nel nulla, nessuno si sarebbe immaginato che il suo caso avrebbe suscitato tanto "clamore".

Tutto, però, è improvvisamente cambiato (in un certo senso, "degenerato"!) quel 6 ottobre scorso, quando il corpo dell'adolescente pugliese è stato rinvenuto nelle campagne di Avetrana, immerso in un pozzo, dopo la "confessione shock" dello zio, Michele Misseri!

Negli stessi momenti del ritrovamento, in diretta tv, a "Chi l'ha visto" c'era Concetta Serrano, madre di Sara Scazzi, in collegamento proprio da casa Misseri!

E' durante la trasmissione che arriva la notizia che nessuno mai si sarebbe aspettato!

Ed è a questo punto, però, che è accaduto "l'inqualificabile": gli autori del programma, piuttosto che spegnere le telecamere e avvisare la madre col massimo riserbo delle notizie d'agenzia che pervenivano, hanno deciso di proseguire la diretta!

Federica Sciarelli, allora, dinanzi lo sguardo pallido, scioccato, pietrificato della madre di Sarah, le comunica in diretta di ritrovarsi nella casa del presunto omicida della figlia! Costringere la signora Concetta a condividere (anche solo per "interminabili minuti"!) un momento di comprensibile disperazione (indipendentemente dall'assenza di lacrime, reagendo ogni persona "a modo proprio" alle emozioni...) davanti l'occhio vigile e ossessivo delle telecamere è stata un'ulteriore, crudele e gratuita "violenza" ai danni della famiglia Scazzi!

Il risultato auspicato dal programma è stato, ovviamente, raggiunto: "boom di ascolti" e grande visibilità su tutti i media!

Ma a quale prezzo???

UCCISA "UNA VOLTA", VIOLENTATA "RIPETUTAMENTE" DALLA TV!

Trasformato in vera e propria "telenovela non-stop", gettato nel "tritacarne televisivo", del caso Scazzi (la cui vita privata, oramai, in molti conoscono meglio di quella del proprio vicino) si è fatto una "polpetta informe" con cui saziare la "curiosità famelica" di milioni di annoiati telespettatori!

Uno Mattina, la Vita in Diretta, Porta a Porta, L'Arena, Mattino Cinque, Pomeriggio Cinque, Matrix, Domenica Cinque, Quarto Grado, Speciale Studio Aperto...

Non c'è stata trasmissione in Italia che non abbia interrotto la propria programmazione ordinaria per dedicarsi quasi "totalmente" al caso mediatico più "in" del momento, realizzando "ore ed ore" di diretta dall'ormai famoso cancello marrone di via Grazia Deledda!

Via Grazia Deledda, improvvisamente, è divenuta ben più nota di via Condotti a Roma o di Corso Buenos Aires a Milano: centinaia di antenne paraboliche hanno intralciato la via di casa Misseri e inviati fissi di Tg, giornali e trasmissioni tv hanno impiantato le tende dinanzi la casa degli orrori, "brandendo microfoni come armi" contro qualsiasi malcapitato (o curioso...) l'attraversasse ed esercitandosi in pedinamenti di parenti, amici, conoscenti!

Inarrivabile "gran maestro" dell'accanimento mediatico si è confermato Bruno Vespa, il quale, non ha resistito alla tentazione di far debuttare in scena un altro suo plastico: quello di casa Misseri (con tanto di palme nane e macchinine!).

Rivali agguerriti della "Vespa più rumorosa d'Italia", però, non sono affatto mancati stavolta: personaggi come Barbara D'Urso e Massimo Giletti si sono improvvisati giornalisti d'inchiesta (mestiere nobile, ma oramai privato della sua originaria "dignità"...) alla ossessiva ricerca di scoop "ridicoli" e rivelazioni "inesistenti"!

Nemmeno la domenica televisiva ha offerto alcuna "tregua" ai telespettatori: durante "L'Arena", su Rai1, si è arrivati al punto di "sceneggiare" l'interrogatorio di Michele Misseri, scritturando un attore con tanto di cappellino da pescatore!

Alla fine di tutto, come se non bastasse, abbiamo dovuto assistere anche alla collettiva "folgorazione sulla via di Damasco" di tutti quei conduttori tv che, dopo aver abbondantemente attinto al caso per riempire i propri palinsesti, d'improvviso hanno cominciato a interrogarsi sui presunti "eccessi" dei mass-media nella trattazione del caso Scazzi!

La verità è una sola: Sarah Scazzi è stata "ammazzata" una sola volta (non sappiamo ancora esattamente da chi...) ma "violentata" innumerevole volte dai media!

La sua memoria è stata "scarnificata" da una miriade di "avvoltoi" (affamati d'effimera gloria e visibilità...) e lasciata "marciare" al cospetto dell'auditel!

Il "circo mediatico" si è ormai avviato, e nessuno potrà arrestarlo (almeno finché non diminuirà l'incasso deibagarini!).

LE INDEGNE "SPECULAZIONI" SUL CASO SCAZZI...

Nella Savana, quando un animale è debole o ferito, viene subito sopraffatto da branchi di iene affamate o da avvoltoi... Questo è quanto succede anche in tv, allorquando i mass-media infieriscono "senza pietà" su corpi innocenti per il proprio tornaconto!

Lo scorso 26 ottobre il Tg2 ha mandato in onda un servizio nel quale ha denunciato un tentativo d'estorsione compiuto da un consulente legale della Procura di Taranto, dichiaratosi disponibile a vendere tre foto del garage di casa Misseri (che farebbero parte degli atti d'inchiesta) in cambio di 10 mila euro (cifra poi ridotta a soli 8 mila!).

Ma come si può arrivare a speculare in modo così "meschino" sulla morte di una innocente?

E quanti altri tentativi simili sono andati in porto?!

In un'intervista a Tele Norba, l'ex portavoce della famiglia Scazzi, Valentino Castriota, ha denunciato che Sabrina è stata ripetutamente "pagata" dai media nazionali per le sue continue comparsate televisive.

Perché queste dichiarazioni sono state praticamente "censurate" dal resto dell'informazione?

Quanto sono stati pagati i "presenzialisti" nelle tv nazionali di familiari, avvocati e consulenti delle famiglie Scazzi e Misseri?

Chi (e a quale prezzo) ha venduto l'esclusiva dei 6 diari di Sarah al giornale "Panorama"?...

Lo scorso 10 ottobre un utente di facebook (registratosi oltraggiosamente come "Sarino Scazzi") è riuscito a pubblicare in rete una presunta foto del corpo di Sarah, nudo e disteso su un lettino d'obitorio!!!

La foto è stata prontamente rimossa, ma i dubbi restano...

Si tratta di una foto vera?

E, se si, com'è possibile che foto evidentemente scattate dai medici legali possano diventare di "pubblico dominio"???

Un altro "gravissimo fatto", inoltre, è stato la divulgazione delle audio-registrazioni degli interrogatori di Michele Misseri e della figlia Sabrina. Perché ciò "dovrebbe" scandalizzare? Anzitutto perché si tratta di un "illecito" (gli atti d'indagine dovrebbero restare "segretati" almeno fino alla conclusione delle indagini preliminari); in secondo luogo, perché ogni imputato ha diritto a difendersi "nei processi" e non anche " al di fuori" di essi (ossia, dalla "gogna mediatica"!); infine, perché alla diffusione di tale materiale si è provveduto senza nemmeno l'accortezza di omettere i particolari più "scabrosi"!!!

Mario Calabresi (direttore de "La Stampa"), trovatosi anch'egli tra le mani gli audio degli interrogatori di Avetrana, ha deciso, piuttosto, di buttarli via! Il motivo?...

Semplicemente perché non aggiungevano "nulla" a quanto già abbondantemente "detto" e "letto" sulla vicenda! Pubblicarli sarebbe stato (come, difatti, è stato) solo un atto compiacente la "sadica morbosita" del pubblico, pronto a infilare la testa "più in fondo possibile" in quel pozzo dove Sarah è stata sepolta!

Pazienza per il "garantismo", che sarebbe "dovuto" nei confronti di persone ancora semplicemente indagate (principio di cui molti si sciacquano abbondantemente la bocca ogni sera prima della preghierina!)... Pazienza per la "privacy", di cui in molti "a sproposito" si elevano a paladini (scoperto che Sarah aveva non uno ma ben sei diari, il Corriere del Mezzogiorno si è divertito a girare un video sfogliandone uno per darlo "in pasto" al pubblico, mentre Panorama ne ha già acquistato i diritti in esclusiva!)...

Pazienza per la tutela dell'"immagine dei minori" (le immagini, i video, i dettagli più intimi, le insinuazioni più scabrose su Sarah -che ricordiamo essere appena 15enne- hanno fatto il "giro dell'etere" in qualsiasi fascia oraria!)...

Di tutto e di più è stato "detto" e "letto" sui protagonisti di questa vicenda, creando e disfacendo mostrri con una disinvoltura "disarmate"!

E se Sabrina fosse innocente, ad esempio? Chi la risarcirebbe del "linciaggio mediatico" subito?!

ESISTONO RAGIONEVOLI "GIUSTIFICAZIONI" PER QUESTO "ACCANIMENTO MEDIATICO"?

I- PUO' IL "DIRITTO DI CRONANA" GIUSTIFICARE UNA COSI' TOTALIZZANTE "ATTENZIONE MEDIATICA"?!

Molti hanno fatto appello al "diritto di cronaca" per giustificare (se non rivendicare!) la campagna giornalistica costruita attorno al caso di Avetrana.

Nessuno può mettere in discussione il diritto di "fare informazione", anche in presenza di tragici casi di cronaca... La vera questione, però, è un'altra: cos'è cronaca? Cos'è informazione? E' cronaca, ad esempio, anticipare "a tutti i costi" le risultanze delle indagini, avallando "tesi e contro tesi", col risultato che, nel giro di un mese, è cambiato più volte sia il nome del presunto assassino -prima Michele, poi Sabrina- sia il movente dell'omicidio -prima le molestie dello zio, poi la gelosia di Sabrina- sia il luogo del delitto -prima il famigerato

garage, poi l'interno di casa Misseri- che le modalità del delitto -prima per strangolamento, ora per soffocamento)?!

C'è "modo e modo" di fare informazione...

Dei fatti di cronaca, anzitutto, se ne dovrebbero occupare solo trasmissioni di stampo giornalistico (non anche programmi d'intrattenimento!) e se ne dovrebbe dibattere solo con esperti (non con ospiti e "tronisti" di professione!).

"Raccontare fatti", inoltre, è cosa ben diversa dal "sostenere tesi" o dal "fare il tifo" per una verità piuttosto che un'altra!

I giornalisti non sono "detective", né giudici: non spetta a loro individuare i colpevoli o valutare la sussistenza di responsabilità penali!

Compito dei cronisti è solo quello di raccontare i fatti, mettendo in rilievo i soli elementi "incontrovertibili" disponibili: in caso contrario, non si fa informazione né cronaca giudiziaria, bensì "qualcos'altro" (ad esempio, gossip o mero voyeurismo!).

II- PUO' IL "DIO AUDITEL" ASSOLVERE OGNI "ECCESSO MEDIATICO"?!

"Solo il pubblico è sovrano!".

Questo è il responso con cui, di frequente, chi fa televisione difende il proprio operato, appellandosi agli ascolti... Ma il successo (in termini d'ascolti) di una trasmissione può giustificare qualsiasi "eccesso"? Il pubblico televisivo, anzitutto, non sempre dispone di molte "alternative": se si da uno spazio "totalizzante" ad una notizia, è "fisiologico che (se non altro, per "pigrizia"...) molti si sintonizzeranno sui propri consueti canali senza la briga di cercar di meglio in qualche canale monotematico digitale!

Chi può affermare con certezza, inoltre, che "alti ascolti" siano indice dell'"elevata qualità" di un programma o dell'apprezzamento del pubblico nei suoi confronti?

Compito della tv, infine, può essere solo quello di "assecondare" in toto gusti e "perversioni" della maggioranza dei telespettatori??? Se così fosse, perché "Pomeriggio Cinque" non manda in onda la ricetta del "gatto a vapore", oppure "Porta a Porta" estratti delle avventure cinematografiche di Rocco Siffredi???

Pur se "discutibili" agli occhi di alcuni, tali scelte garantirebbero un'audience mai raggiunta prima! Se si considera che, secondo gli ultimi dati Demos sull'informazione, il "piccolo schermo" continua ad essere il principale mezzo d'informazione per oltre l'80% degli Italiani, si capisce bene come la televisione, se non educa, inevitabilmente "diseduca"!

E il risultato di questa "diseducazione" è che:

- mentre negli anni del dopoguerra la tv italiana, pur con due soli canali Rai, ha rappresentato una formidabile arma di "istruzione di massa" (di divulgazione della lingua nazionale) e di "unificazione" del Paese (di costruzione di un'identità nazional-popolare);

- in questi anni, l'Italia, pur con 7 canali nazionali (oltre che una miriade di tv locali, numerosi canali digitali e sempre nuove pay-tv), si sta "imbarbarendo" sempre più, patendo addirittura gli effetti di un crescente "analfabetismo di ritorno"!

III- PUO' LA COMUNE "COMPASSIONE" GIUSTIFICARE TUTTO QUESTO?

Molti spiegano il crescente interesse della pubblica opinione per i casi di cronaca come un segno di profonda "umanità", di "empatia" verso la vittima... Ma quanto c'è d'empatia (e quanto di mera "curiosità", un pò "voyeuristica"!) di fronte al gusto per l'"efferatezza" e per i particolari più "macabri"?

Quanti di coloro che hanno seguito il caso Scazzi in tv, ad esempio, si sono sinceramente commossi piuttosto che appassionarsi al caso cercando di indovinare l'assassino o intuire il movente?!

IV- PUO' LA "SETE DI GIUSTIZIA" GIUSTIFICARE TUTTO QUESTO?

Ci sono giornalisti che, per giustificare l'attenzione mediatica su i casi di cronaca, sentenziano in maniera spavalda (e, probabilmente, eccessiva...): “senza le nostre telecamere la verità giudiziaria non emergerebbe mai!”.

E' innegabile che molti casi di cronaca rimangono irrisolti se (o finché!) non interviene la "pressione mediatica" sulle Procure (vedi il caso Claps, risolto, dopo ben 17 anni, solo dopo una meritoria inchiesta giornalistica).

Ciò non basta, però, a giustificare tutto quello che è avvenuto ad Avetrana!

Una cosa è "tenere accesi i riflettori", pungolare forze dell'ordine e magistratura affinché si adoperino al massimo per la risoluzione di un caso controverso; tutt'altro è, invece, attuare un vero e proprio "sciacallaggio mediatico", spesso finendo con l'"ostacolare" (piuttosto che agevolare) le indagini (come avviene con la divulgazione di atti d'indagine!).

V- PUO' ESSERE LA MANCANZA DI ALTRE NOTIZIE LA RAGIONE DI TALE

"ACCANIMENTO MEDIATICO"?

Molta gente si è fatta convinta, alla fine, che l'attenzione mediatica su Avetrana sia giustificata dalla mancano di altre notizie meritevoli d'attenzione... Di problemi reali (del tutto "trascurati" dall'informazione), invece, se ne potrebbero citare "a bizzeffe"!

Quanti lavoratori precari, per fare un esempio tra i tanti possibili, sanno che, secondo gli ultimi dati dell'Inps, non matureranno "mai" il diritto alla pensione (ossia, se oggi versano dei contributi previdenziali, lo fanno solo per garantire una pensione a chi una pensione già "ce l'ha"!)?

I media hanno costruito una scala delle "priorità" a proprio "uso e consumo", del tutto "al di fuori della realtà", finendo col fare affezionare il pubblico a vicende si drammatiche ma prive di alcuna "rilevanza collettiva"!

Ad Avetrana, allora, gli stessi si sono "serviti" della cronaca per attuare la cd. “strategia della distrazione”: tenere la pubblica opinione all'oscuro dei profondi mutamenti (sociali, economici e politici) del Paese, così da impedirgli di formarsi una propria "opinione critica"!

Un esempio?

Lo scorso 7 novembre la notizia del giorno era certamente una: la rottura tra il Cavaliere e Fini, dopo l'atteso discorso di Perugia di quest'ultimo. Eppure qual'è stata la notizia più "chiacchierata" del giorno??? Ancora il "giallo di Avetrana"!!!

Un comunicato della redazione del Tg1 ha spiegato come, visti gli ultimi sviluppi clamorosi (l'ennesima versione dei fatti fornita da Michele Misseri agli inquirenti il giorno prima), lo speciale Tg1 della sera si sarebbe occupato del caso Scazzi!

L'edizione delle 13:00 del Tg2, a ruota, ha dedicato alle vicende avetranesi quasi "il doppio" del tempo riservato alla politica!

Ma qual'è il "senso giornalistico" di queste scelte editoriali???

C'E' ANCORA SPAZIO PER UN "BRICIOLO D'UMANITA'" IN QUESTA "SOCIETA' DELLO SPETTACOLO"?

In Italia è in atto un'inarrestabile tendenza alla "spettacolarizzazione" dell'informazione: il giornalismo preferisce l'"enfasi" all'approfondimento, l'indugiare in particolari "scabrosi" alla lucida analisi, finendo con l'essere complice (più o meno inconsapevolmente...) di un processo di "degenerazione morale"... La vita delle persone comuni viene, senza molti scrupoli, trasformata in "spettacolo", smarrendo il "senso del pudore" e mettendo in mostra le peggiori "miserie umane"! La tv italiana (grazie al contributo decisivo dei "reality") si va sempre più trasformando nel "buco di una serratura": una tv a misura di "guardoni", specchio di un'Italia malata, di una società che ha perduto il senso dell’umanità!

Se è giusto definire "sciacalli" certi giornalisti, poi, come definire quei milioni di telespettatori appassionatisi al caso di Avetrana come ad una qualsiasi "telenovela argentina"?

E come qualificare la sfilza di "idioti" che hanno fatto la fila (spesso con i figli sotto braccio!) non per portare un fiore sulla tomba di Sarah ma per farsi fotografare "in pellegrinaggio" dinanzi il cancello dei Misseri?! (Qualcuno potrebbe sentirsi offeso da queste parole... Mi rimetto, in tal caso, a un saggio giudizio del mai compianto abbastanza Gianfranco Funari: "se uno è stronzo, nun je poi di che è stupidino, je devi di che è stronzo!").

La "visibilità", l'immagine, l'apparire, non rappresentano necessariamente un "male"...

Come sosteneva l'intellettuale francese Guy Debord, la nostra vita è composta sia di "interiorità" (la vita spirituale) che di "esteriorità" (la vita sociale).

È compito della cultura (nelle sue più varie forme) regolare e far convivere queste due insopprimibili componenti umane... Ad Avetrana, però, quella che Debord definiva già negli anni '60 la "società dello spettacolo", sembra aver del tutto "distrutto l’interiorità" in nome dell'esteriorità!

(estratto dall'omonimo dossier pubblicato sul blog dell'Autore, "Panta Rei")


da Il Fatto Quotidiano del 10 Novembre 2010 dc:

La solidarietà secondo Telecom:

meno ai lavoratori, più agli azionisti

di Giorgio Meletti

Oggi è il terzo giorno. Da lunedì scorso, infatti, 29.204 dipendenti di Telecom Italia (su un totale di oltre 50 mila) sperimentano il più grande tentativo di contratto di solidarietà mai tentato in Italia.

IL CONTRATTO di solidarietà funziona così: quando un’azienda ha problemi e dovrebbe licenziare, si salvano i posti di lavoro spalmando l’eccedenza di personale su tutti i dipendenti, con una riduzione parallela di orario di lavoro e retribuzione. E’ la soluzione che i sindacati preferiscono: consente di superare i momenti neri e poi di ripartire a pieno organico.

Il caso di Telecom Italia però è molto particolare. “I due anni che ci aspettano saranno di contrattazione permanente”, avverte Alessandro Genovesi del sindacato di categoria Slc-Cgil. Al di là delle complicate discussioni tecniche sull’attuazione del piano, il sospetto dei sindacati è che la solidarietà, contrariamente al suo nome,   sia un ammortizzatore sociale in favore degli azionisti di Telecom Italia anziché dei suoi dipendenti. Vediamo perché. Tutto nasce dall’annuncio dato nel luglio scorso dal numero uno di Telecom, Franco Bernabé, che ha aperto la procedura di licenziamento per 3.700 persone. Era la prima tranche di complessivi 6.800 esuberi previsti per il piano 2010-2012.

Dalla vertenza sindacale che ne è nata, con robusto intervento del governo, preoccupato dalla ricaduta politico-sociale di una simile dose di licenziamenti di massa, è scaturito l’accordo sulla solidarietà. Che si articola così. I 6.800 esuberi sono diventati 5 mila, di questi 3.900 persone sono destinate all’uscita volontaria entro il 2012, altri 1.100 sono rimasti in esubero. Anziché licenziare   si è deciso di spalmare l’eccedenza su 29.204 dipendenti. I quali vedono ridotto l’orario di lavoro secondo tre categorie: alcuni lavoreranno il 15 per cento in meno, altri dell’8,08 per cento in meno, altri ancora del 3,27 per cento.

Non è chiaro, e la Telecom non   lo spiega, come mai – se dividendo 1.100 per 29.204 risulta che l’eccedenza media è del 3,7 per cento – ci siano così tante persone che subiscono una riduzione d’orario nettamente più alta. In ogni caso per i lavoratori il danno è limitato: l’80 per cento della retribuzione perduta viene reintegrato dall’Inps, cioè dallo Stato. Così i più penalizzati, quelli con taglio del 15 per cento, percepiranno almeno il 95 per cento dello stipendio.

E’ PIÙ COMPLICATO capire perché la Telecom abbia messo in piedi questo astruso meccanismo per risparmiare una cifra valutabile (in mancanza di informazioni ufficiali, perché la Telecom non ne fornisce) tra i 60 e i 90 milioni all’anno. Stiamo infatti parlando di un’azienda che ha chiuso l’ultimo bilancio con un utile netto di un miliardo e 580 milioni, distribuendo agli azionisti dividendi per oltre un miliardo e cento milioni. Una cedola pari al 4,63 per cento del valore corrente dell’azione. Si tratta di un risultato per il quale Bernabè   ha percepito un premio di un milione e 348 mila euro. Lo stesso Bernabè che ha promesso agli azionisti (quelli che contano sono Mediobanca, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo, Telefonica) un ulteriore aumento del dividendo, anche grazie al contratto di solidarietà.

TELECOM ITALIA si vanta nel suo sito ufficiale di aver distribuito negli ultimi dieci anni dividendi agli azionisti per 24 miliardi di euro. Tenendo in cassa quei soldi avrebbe oggi azzerato lo spaventoso indebitamento che ne limita le capacità operative e di investimento. In questo scenario non è facile comprendere quale strategia di sviluppo imponga il ricorso al contratto di solidarietà, che i sindacati hanno accettato e il governo finanziato, con l’esplicita alternativa di migliaia di licenziamenti. Alla firma dell’intesa Bernabè dichiarò: “L'accordo testimonia la volontà di proseguire con determinazione   nel percorso verso la piena affermazione di Telecom Italia come modello di azienda tra le più efficienti nel settore”.

Da parte sindacale, e anche da parte di numerosi dipendenti di Telecom, la parola efficienza suscita qualche perplessità. Per legge, in presenza del contratto di solidarietà nessun dipendente coinvolto può lavorare un solo minuto in più dell’orario (ridotto) fissato. Sono bloccati tutti gli straordinari (e per qualcuno si tratta di una perdita secca di retribuzione, che l’Inps non compenserà). Sono vietate le assunzioni temporanee. Sono vietati gli aggiustamenti degli orari.

Per chi gestisce il personale sarà una partita complicata: il contratto di solidarietà impone alla struttura una rigidità senza precedenti, e può contribuire non poco alla demotivazione dei singoli. Anche perché continueranno a vedere i manager prendere i loro ricchi premi di fine anno. Addirittura i dirigenti del personale saranno premiati per aver tagliato il monte salari. Per loro la solidarietà non scatta mai.


23 Settembre 2010 dc: inserisco qui il seguente comunicato ( non nella pagina "Comunicati e Notizie",perché inviatomi ad altra e-mail, come socio UAAR

20 settembre 2010 - Comunicazione a soci e socie UAAR

Nell'informare sugli avvilenti fatti accaduti stamane a Porta Pia, invitiamo tutti i soci a diffondere il seguente comunicato stampa e il relativo link.

http://www.uaar.it/news/2010/09/20/porta-pia-parla-solo-vaticano-gli-atei-vengono-bloccati-dalla-digos/

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Comunicato stampa UAAR

Porta Pia: parla solo il Vaticano

 e gli atei vengono bloccati dalla Digos

Trattenuti dalla Digos, schedati e allontanati. La delegazione Uaar che stamani si è presentata alle celebrazioni per la breccia di Porta Pia è stata bloccata dalla Digos, che ha requisito i documenti di tutti e li ha restituiti solo alla fine della manifestazione. «Avevamo solo le nostre bandiere - racconta Raffaele Càrcano, segretario nazionale della Uaar - su cui è scritto soltanto il nostro nome, non avevamo cartelloni né avevamo intenzione di gridare mezzo slogan». Intanto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si limitava alla deposizione di una corona di fiori, mentre il cardinal Tarcisio Bertone pregava per i caduti di entrambe le parti. «Credo che, di fronte all'eliminazione di ogni forma possibile di dissenso e al completo abbandono dei principi costituzionali da parte delle autorità italiane presenti, - conclude Càrcano - si possa parlare tranquillamente di negazione del pluralismo e di fuoriuscita dalla democrazia con il solenne avallo del nostro presidente della Repubblica».


In e-mail il 16 Agosto 2010 dc dall'autore questo interessante articolo (da me corretto):

Istruzioni per resistere in un Paese "sotto commissariamento vaticano"

di Gaspare Serra

Il peccato. Effetti collaterali di un Paese "laicamente ingessato"...

 

Reato” e Peccato”: quale la differenza?

Nel 1764, nell’opera “Dei delitti e delle pene”, il giurista e filosofo milanese Cesare Beccaria declarò una distinzione temeraria per l’epoca: quella tra “peccato” e “reato” (ragion per cui l’opera fu destinata ad essere iscritta nell’indice dei "libri proibiti").

Sulla scia del pensiero precursore di Thomas Hobbes (che già un secolo prima dichiarava che “se i reati son peccati…non tutti i peccati son reati”!), l'illuminista Beccaria sostené che:

- mentre il “reato” consisterebbe in un danno arrecato all'intera collettività, tale per cui il responsbaile di tale atto meriterebbe di essere giudicato dalla Società nei modi e nelle forme dalla stessa stabiliti (diremmo oggi, dalla Giustizia ordinaria);

- il “peccato”, invece, non sarebbe altro che un’offesa arrecata a Dio, ragion per cui il suo autore meriterebbe (almeno per chi è credente) di essere giudicato (punito o perdonato) solo da Dio.

Cosa comporta tale distinzione?

Inevitabile conseguenza della distinzione logica tra "reato" e "peccato" dovrebbe essere la seguente:

- mentre il Diritto (la “legge positiva” o degli uomini) dovrebbe occuparsi solo dei reati (della configurazione giuridica della fattispecie e della previsione di una apposita sanzione per gli autori di reato);

- la Religione (la “legge divina” o di Dio), invece, dovrebbe occuparsi solo dei peccati (ossia prescrivere esclusivamente alla Comunità dei propri fedeli dei canoni etico-morali di comportamento, prefigurando l'eventuale punizione divina nel caso della loro trasgressione).

Perché in tale distinzione trova fondamento la “laicità dello stato” ?

Presupposto di ogni ordinamento giuridico “laico” è proprio la capacità del legislatore di saper “tener distinti” la sfera religiosa da quella civile.

Un esempio può facilmente dimostrarlo:

- mentre i regimi teocratici islamici esprimono al meglio l'incapacità di separare il “peccato” dal “reato”, riconoscendo ancor oggi la “sharia” (ossia la legge divina islamica) come legge principale dello Stato, gli Stati moderni occidentali (sorti dalla rivoluzione francese e dall’illuminismo) si sono contraddistinti per una “laicizzazione della politica” e “secolarizzazione della società”, frutto della capacità di distinzione tra la giustizia “divina” e quella “umana” (la prima competente solo a Dio, la seconda esclusivamente allo Stato!).

Cosa intendere per “laicità”?

La laicità è uno dei principi su cui si fonda lo stato moderno (assieme a quello della “separazione dei poteri”).

Per “laicità” deve intendersi:

- la totale separazione tra lo Stato e la Chiesa (o tra il diritto e la religione);

- l'assenza d'indebite interferenze religiose nell’ambito dei poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario);

- la piena autonomia delle Istituzioni pubbliche rispetto alle autorità o confessioni religiose ("libera Chiesa in libero Stato", per usare il noto motto cavouriano).

È pienamente "laico", dunque, lo Stato capace:

I- di mantenere un atteggiamento il più possibile "imparziale" nei confronti delle scelte spirituali individuali (di credenti e non credenti) e delle posizioni assunte dalle varie confessioni religiose (maggioritarie o meno);

II- di aver ben chiara la differenza tra il “governare” e il “guidare spiritualmente” un Paese (ossia tra il perseguire l'interesse collettivo e il difendere posizioni ideologiche particolari a discapito dei diritti e delle libertà generali!).

Cosa distingue il "laicismo" dalla "laicità"?

Mentre è pacifico il significato del termine “laicità”, risulta controverso quello del termine “laicismo”.

Per far un esempio:

- mentre alcuni dizionari della lingua italiana (quale il De Mauro), in accordo con la definizione storica del termine, considerano il laicismo come un "sinonimo di laicità" altri dizionari (quale lo Zingarelli), invece, considerano tali termini come "concettualmente differenti".

In particolare: mentre il "laicismo" indicherebbe un atteggiamento più radicale (di "negazione") da parte dello Stato nei confronti delle varie confessioni religiose (e delle correlate impostazioni etiche) la "laicità", invece, non implicherebbe di per sé alcuna ostilità da parte dello Stato nei riguardi delle religioni, richiedendo da parte di questo una "perfetta equidistanza" nei confronti di ogni posizione etica o credo religioso e ammettendo anche la possibilità che ogni istituzione religiosa esprima posizioni morali, politiche o sociali (almeno sin quando questa non cerchi al contempo di imporle in forza di legge all'intera collettività, ossia anche a chi non le condivida!).

Perché la "laicità" è una garanzia per i cittadini?

La laicità rappresenta la migliore garanzia possibile del "principio di eguaglianza" e della "libertà di culto", intesa sia "in positivo", come libertà di professare qualsiasi religione, sia che "in negativo", come libertà di non professarne alcuna.

Uno Stato "pienamente laico", difatti, confida nell’individuo quale "padrone di se stesso" e "libero nelle proprie scelte" (rifiutando d'imporre valori "di parte" o verità "presunte" assolute!), condanna ogni forma di integralismo ideologico/religioso e difende l'autonomia delle proprie Istituzioni da ogni potere o autorità esterni.

L’Italia è uno "stato laico"?

In base alla Costituzione Italiana (come più volte sottolineato dalla Corte Costituzionale), la laicità è un “principio supremo” dello Stato italiano (quale emerge dagli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione) e non implica affatto indifferenza dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, bensì la salvaguardia della libertà di religione di ogni individuo nell'ambito di un regime di pluralismo confessionale e culturale.

Secondo l’art. 7 della nostra Costituzione, in particolare, “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

Nonostante tutto, l'effettiva portata del principio di laicità trova limitazioni stringenti sinanche nella nostra Carta costituzionale, la quale riserva un trattamento "riservato" e "privilegiato" alla Chiesa Cattolica.

Qualche esempio?

I-L'art. 7 è riservato ai rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica ma solo il successivo articolo 8 regola i rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose (in nessun articolo, inoltre, si fa minimamente cenno alla libertà di religione “in negativo”: atei ed agnostici, in pratica, non trovano formalmente alcuno spazio in Costituzione!);

II- mentre l'art. 7 riconosce alla Chiesa Cattolica il rango di “potere indipendente” tutelato dai Patti e dal Concordato, il successivo art. 8 regola il rapporto tra lo Stato e le altre confessioni religiose sulla base di atti arbitrari e discrezionali quali le più modeste "intese"!

In tal modo l’affermazione di una piena laicità è un traguardo ancora lontano dall’essere raggiunto, apparendo piuttosto come una meta cui faticosamente ambire.

Di ciò ne sono riprova sia l'atavica arretratezza della nostra legislazione, la più "illiberale" in Europa sul piano dei "diritti civili", sia i numerosi "privilegi economici" di cui la Chiesa beneficia a spese della fiscalità generale (ossia di tutti i contribuenti, siano essi cattolici, diversamente credenti o non credenti").

Qualche esempio?

Basta ricordare:

1- i copiosi finanziamenti pubblici alle scuole private, in gran parte cattoliche (nonostante il dettato dell'art. 33 della Costituzione, secondo cui enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione solo se "senza oneri per lo Stato"!);

2- lo "status privilegiato" degli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche (nominati dai vescovi ma i cui stipendi e pensioni sono erogati dallo Stato italiano!);

3- l’esenzione dall’Ici non solo per le chiese ma anche per gli edifici della Chiesa adibiti a mero "uso commerciale" (provvedimento che, secondo alcune stime dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), comporta minori entrate per i Comuni nell’ordine dei 700 milioni di euro!);

4- l'8X1000 dell'Irpef, diabolicamente congegnato (a metà degli anni '80, dal fiscalista Giulio Tremonti) al fine esclusivo di favorire indebitamente la Chiesa Cattolica (ripartendo il gettito non tenendo conto delle opzioni non espresse ma solo in base alle scelte espresse, infatti, secondo gli ultimi dati ufficiali del 2003 la Chiesa cattolica ha beneficiato di circa il 90% delle entrate dell'8X1000 benché solo il 35% del totale dei contribuenti abbia espresso un'opzione in suo favore!).

Quali sono le principali ragioni di "debolezza" della laicità italiana?

I motivi per cui il principio di laicità non è mai pienamente "attecchito" nel nostro Paese sono diversi, anche se tutti correlati dalla indiscutibile influenza esercitata dalla Chiesa Cattolica sulla società italiana e sulle pubbliche Istituzioni.

Tra questi, in particolare possiamo citare:

1- la posizione dominante assunta dalla Chiesa Cattolica, giudicante negativamente la "visione laica" dello Stato e positivamente una "visione supina" della politica (sempre pronta a prostrarsi con reverenza dinanzi alle Verità della Chiesa e facilmente permeata da ogni tipo di condizionamento!);

2- il predominio politico-ideologico esercitato per quasi tutta la seconda metà del XX secolo da un solo partito, la Democrazia Cristiana, esplicitamente ispirato ai principi del Cattolicesimo;

3-il ruolo prepotentemente "lobbistico" efficacemente svolto dal variegato mondo dell’associazionismo cattolico (principalmente dalle Acli, dall’Azione Cattolica e dall’Agesci).

Proprio l'esercizio da parte della Chiesa di una "funzione istituzionale" e di un "potere di veto" che la nostra Costituzione non le attribuisce affatto, dunque, rende bene l'idea del perché la nostra ancor giovane democrazia si trovi di fatto sotto commissariamento” delle gerarchie vaticane, mostrando un "assoluto immobilismo" nel rispondere alle rivendicazioni di quei "nuovi diritti" che nel frattempo si fanno sempre più strada nelle più mature democrazie occidentali!

Qualche esempio di "indebita ingerenza" vaticana nella vita politica italiana?

Essendo venuto meno il grande partito di riferimento del mondo cattolico che fu la Dc, oggi è sempre più la stessa Chiesa a "farsi partito", cercando di coprire materialmente tale vuoto di rappresentanza politica.

Prove di questa tendenza, così, possono praticamente riscontrarsi in occasione di ogni scadenza elettorale.

Qualche esempio?

Se alle elezioni politiche del 2008 numerosi vertici della Chiesa sono “scesi in campo” in appoggio alla battaglia ideologica del neonato (e precocemente abortito!) movimento politico di Giuliano Ferrara (estremo oppositore della legge 194 sull'aborto), alle elezioni regionali del 2010, invece, i ripetuti appelli politici della Chiesa affinché gli elettori moderati tenessero conto della posizione dei partiti sui principali temi etici sono apparsi a molti osservatori un chiaro attacco politico alle candidature della "pro-abortista" Bonino nel Lazio e della "pro-pillola ru486" Bresso in Piemonte (entrambe uscite sconfitte dalle urne per una manciata di voti!).

Molto criticabile, inoltre, è apparsa la dura posizione assunta dalla Chiesa riguardo al caso Eluana Englaro.

Benché sia legittimo rivolgere critiche all'azione della politica e finanche alle sentenze della magistratura, infatti, sono apparsi quantomeno "inopportuni" gli anatemi di mons. Bagnasco, presidente della Cei, spintosi al punto di delegittimare pubblicamente sia la Magistratura italiana (rea di aver assecondato le pretese del padre di Eluana) sia la Presidenza della Repubblica (responsabile, invece, di aver preannunciato il rifiuto di firmare ogni eventuale decreto legge “ad personam” -o “salva-Eluana”- paventato dal governo nel tentativo disperato di vanificare gli effetti della sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione!).

Come non ricordare, infine, il veto opposto dalla Chiesa al progetto di legge sui "Pacs" (poi divenuti "Dico") presentato dal governo Prodi? Oppure la battaglia politica "pro-astensione" condotta dall'allora presidente della Cei, il cardinale Ruini, contro il referendum del 2005 sulla procreazione medicalmente assistita? O ancora lo sproloquio sull'immigrazione pronunciato nel 1999 dall’allora arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi (in pieno spregio all'art. 3 della Costituzione, invitante lo Stato italiano a riservare ai musulmani d'Italia un trattamento pari a quello mantenuto dai loro Paesi di provenienza nei confronti dei cristiani, adottando lo strumento della "reciprocità" come arma di pressione sull'Islam)?

In conclusione...il nostro Paese ha fin oggi fallito ogni "prova di maturità", mostrandosi incapace di farsi carico dei bisogni della collettività libero da ogni condizionamento di sorta che non sia il benessere generale e l'ampliamento degli "spazi di libertà" dei cittadini.

Per questa ragione non sarà mai troppo tardi il giorno in cui la politica italiana, finalmente libera da pregiudizi, saprà mettere un punto fermo sulle conquiste di civiltà faticosamente ottenute negli anni ma ancora messe di sovente in discussione (come il diritto delle donne all’interruzione volontaria di gravidanza) e, al contempo, mettere all'ordine del giorno il riconoscimento dei nuovi diritti e libertà già ampiamente venuti a maturazione nel resto d'Europa (dalla regolamentazione della prostituzione a quella delle droghe leggere, dal pieno riconoscimento del diritto alla procreazione medicalmente assistita alla libertà individuale di scelta sul fine vita, dal riconoscimento giuridico delle coppie di fatto all'introduzione del divorzio breve, dal riconoscimento del diritto delle donne di ricorrere alla pillola del giorno dopo a un nuovo impulso nell'educazione alla sessualità dei giovani).

Tutto ciò, ovviamente, senza delegare alla Cei (oggi, di fatto, "terza Camera" del Parlamento) il compito di definire l'agenda parlamentare e, se è il caso, di porre "veti incondizionati"!

Semmai dovesse arrivare, sarà proprio questo il giorno in cui l’Italia saprà dimostrare di disporre di una classe politica all'altezza dei suoi bisogni e di non aver più paura di fare i conti col futuro...

(tratto dal blog "Panta Rei" di Gaspare Serra)


8 Agosto 2010 dc, da un telegiornale un servizio sugli incendi introno a Mosca:

La Protezione Civile in mano ad un ignorante!

La Protezione Civile ha prestato due aerei Canadair ai russi per spegnere gli incendi, il cronista intervista brevemente Guido Bertolaso, che sarebbe il capo della Protezione Civile italiana, sull'"anormalità" del grande caldo in Russia e il capo supremo dice, all'incirca, che "...eh, certo, in Russia sono abituati a temperature che arrivano a 35 gradi sotto zero, ora ne hanno più di 35 sopra e quindi...

Incredibile! Possibile che costui non sappia che è NORMALE che in Russia, in estate, ci siano queste temperature, come anche in grandi parti della stessa Siberia?

Sì, è possibile. La Protezione Civile è in mano ad un abissale ignorante, oltre che a un servo prezzolato del Grande Bastardo al governo....


In e-mail il 16 Luglio 2010 dc:

L'inganno del G20

di Lucio Garofalo


Il G20 di Toronto si è concluso con un fallimento rispetto alle attese iniziali. L’agenda del dibattito si è concentrata soprattutto sul tema della crisi economica. Ma anche su questo versante il G20, segnato dalle divergenze tra Usa ed Europa, ha deluso dopo aver annunciato decisioni esibite come promesse di rinnovamento, smentite puntualmente dai fatti. Il vertice ha respinto persino le proposte minime sulla regolamentazione dei mercati e la tassa sulle banche. Un esito che i commenti della stampa hanno definito scoraggiante: “Un summit che avremmo potuto benissimo risparmiarci”, è la sentenza senza appello di vari quotidiani europei. Dunque, il summit ha svelato l’ennesimo inganno pompato con finalità pragmatiche, almeno stando alle dichiarazioni di principio.

Al di là delle buone intenzioni (si sa che “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”) che impressionano solo gli spettatori ingenui e tendenzialmente creduloni, a chi per indole e formazione è sempre vigile, non è sfuggito il carattere capzioso dietro cui si ripara una mistificazione che inganna la buona fede della gente. Il summit doveva patrocinare un disegno volto a riabilitare un sistema economico di rapina e sfruttamento imposto a miliardi di esseri umani, piombato in una grave crisi strutturale che ha causato un crollo verticale dei consensi. E’ dunque inevitabile dubitare del valore di simili iniziative che servono al massimo a rimuovere i sensi di colpa dell’occidente e ad alimentare le illusioni della gente. Occorre rifuggire dalle facili suggestioni create dai mass-media, denunciando la natura ipocrita di operazioni spacciate come attestati di amicizia e fraternità universale, mentre in realtà approfittano delle speranze dei popoli.

Ormai anche i bambini sanno che i vertici del G20 perseguono solo gli interessi di quel 20% di parassiti che consumano oltre l’80% del reddito prodotto dall’intero genere umano. Non è un caso che l’immenso fiume di denaro devoluto negli anni scorsi ai paesi poveri sia solo servito a rimpinguare le tasche dei ceti dirigenti dei paesi poveri e delle oligarchie finanziarie dei paesi ricchi, grazie agli interessi usurai o alla vendita di armi. Se da un lato si ostenta a chiacchiere la volontà di annullare il debito che affoga i paesi africani, che non potrà mai essere estinto poiché solo gli interessi stanno letteralmente strozzando quei popoli, dall'altro lato i proclami retorici coprono nuove liberalizzazioni economiche. Ma quale strozzino ha mai estinto spontaneamente il debito contratto dalle sue vittime? Nessuno. Eppure, siamo pronti a credere che ciò possa accadere agli usurai della finanza globale, solo perché lo hanno annunciato in Tv i capi di stato del G20.

Dopo il crollo del muro di Berlino e  la dissoluzione del blocco filo-sovietico, gli USA si sono ritrovati ad essere l'unica superpotenza militare  sulla scena globale, per cui hanno assunto il ruolo di gendarmeria mondiale, esautorando l'ONU e arrogandosi l'esercizio esclusivo della forza e del diritto internazionale, mentre sul piano commerciale sono emerse nuove rivalità tra i colossi del mercato  mondiale: Usa, Europa, Giappone, Cina e India, i principali protagonisti del nuovo assetto mondiale. Negli anni ’90 i centri nevralgici del potere decisionale si sono spostati in quelle sedi di natura sovra-nazionale, cioè il WTO, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, i summit del G8, ecc.

L'avvento del nuovo millennio ha visto la nascita del cosiddetto "popolo di Seattle", un movimento eterogeneo di rivolta anticapitalista che ha avviato un ciclo di lotte di massa a livello internazionale, il cui apice è stato raggiunto in occasione del G8 di Genova nel luglio 2001. In quella circostanza la reazione del potere, messo in discussione e turbato dalle folle che si contaminavano e  contestavano il modello di società imposto dalla “globalizzazione neoliberista”, progettando “un altro mondo possibile”, propugnando esperienze di autogestione politica in alternativa al verticismo delle oligarchie finanziarie, non tardò a manifestarsi in modo irrazionale, svelando la natura criminale e antidemocratica del nuovo assetto incarnato dai capi di stato del G8.

Nella fase iniziale la reazione proruppe in atti di brutalità poliziesca, condannati dall'opinione pubblica e denunciati dal movimento tramite fotografie e filmati auto-prodotti, testimonianze e inchieste di controinformazione, per cui la fase seguente ha visto un salto di qualità dell'azione repressiva. Fu a quel punto che intervenne il disastro dell'11 settembre, fornendo un alibi usato scientificamente per evocare e legittimare uno stato di "guerra preventiva e permanente" contro il terrorismo globale.

L'apparente dicotomia “terrorismo/guerra” ha avvolto una mostruosa riedizione della "strategia della tensione" su scala planetaria: “destabilizzare per stabilizzare”, cioè preservare l'ordine mondiale con il terrore. In effetti, da quel momento la parabola ascendente del movimento no global ha subito un brusco rallentamento, fino ad arrestarsi, per riprendere vigore nel 2007, in occasione del G8 di Rostock, in Germania.

Questo  sistema di potere sovra-nazionale è ormai sprofondato in una crisi durevole, sul piano sia economico che ideologico. Il processo discendente è in atto da anni, benché non sia così evidente agli occhi delle persone più superficiali, plagiate dalle manipolazioni delle informazioni. L'opinione pubblica è in gran parte formata da una propaganda ingannevole e tendenziosa che i mezzi di comunicazione di massa operano quotidianamente, occultando la realtà delle cose. Tuttavia, le contraddizioni latenti, insite nel nuovo assetto globale, sono destinate ad acuirsi e ad esplodere, investendo anzitutto le istituzioni più tradizionali, cioè gli ordinamenti parlamentari borghesi, ma anche le strutture sovra-nazionali a partire dai vertici del G8 e del WTO, innescando un ciclo conflittuale in grado di scatenare una rottura critica del sistema su scala globale.

I segnali sono palesi ovunque, in particolare in America Latina, mentre in Europa il processo di disintegrazione si configura in forme (solo apparentemente) meno acute e virulente. Ormai anche da noi le rivolte dei migranti, dei giovani lavoratori precari, dei proletari sfruttati, sono all'ordine del giorno. Si pensi alle vertenze e alle lotte in corso nei luoghi di lavoro e di studio, nelle fabbriche, nelle scuole, nei ghetti, nelle piazze. Si pensi alle iniziative locali che intere popolazioni stanno mettendo in piedi in varie parti del mondo. Il fiume del movimento no-global si è praticamente sciolto in infiniti rivoli di protesta e rivolta, in numerose iniziative di lotta riconducibili ad un unico denominatore comune: il rifiuto della logica perversa e affaristica dell'economia di mercato. Un modo di produzione globalizzato, retto su leggi inique, dettate dalle lobbie finanziarie del neoliberismo. Un sistema economico, politico e sociale cinico e disumano, che ormai sono sempre meno le persone disposte a subire passivamente, senza reagire e ribellarsi.

Se è vero che Usa, Europa, Giappone, Cina e India sono gli attori principali del nuovo scacchiere geopolitico, se è vero che le redini del potere economico sono detenute da organismi sovra-nazionali, non bisogna dimenticare le schiere di forza-lavoro migrante, le “turbe dei pezzenti”, le moltitudini reiette e disperate in perenne movimento sulla Terra, masse sottosalariate che non sopporteranno più il peso sovrumano dell’ingiustizia e dello sfruttamento. I popoli finora tormentati dalla fame, dalle epidemie, dalla guerra, esclusi dalla storia,  dissanguati da debiti usurai, non saranno per sempre prigionieri della paura e della rassegnazione, ma prima o poi sorgeranno dallo stato di torpore e passività in cui sono immersi, per riappropriarsi finalmente dei propri diritti. 


In e-mail il 27 Giugno 2010 dc:

I veri problemi della scuola italiana

di Lucio Garofalo

Negli ultimi 16 anni i ministri che si sono avvicendati alla guida del dicastero della Pubblica Istruzione, hanno provveduto solo a varare la propria “riforma” per lasciare un segno, inevitabilmente infausto, nella storia. L’istruzione è ormai una cavia istituzionale, esposta agli azzardati e scellerati esperimenti “riformistici” che si sono rivelati semplicemente devastanti. Questi esponenti di governo hanno scambiato lo Stato per un’impresa privata e l’hanno ridotto a brandelli. Su tutti il ministro Mariastella Gelmini, un vero e proprio flagello della cultura che ha oltraggiato profondamente la scuola. Un’istituzione che era il vanto della nazione, con una scuola materna e una scuola elementare giudicate tra le migliori realtà pedagogiche del mondo. E’ evidente che gli ideologi del centro-destra sanno bene che il ruolo della scuola è di natura formativa ed “eversiva”, in quanto ha il compito di forgiare personalità libere e critiche.

I ministri maggiormente affiatati all’interno del governo sono Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Entrambi sono accomunati da due carriere politiche parallele e persino due vite parallele. Entrambi stanno portando avanti due ”controriforme” invise al mondo della cultura e a settori della società civile. Ambedue affrontano il loro incarico come una dura battaglia contro le resistenze opposte da un sistema che non accetta di essere trasformato. Inoltre, entrambi hanno vissuto esperienze personali e professionali spiacevoli e mortificanti, prima di intraprendere l’attività politica e diventare ministri.

Prendiamo in considerazione Brunetta, che si erge a paladino di una "crociata antifannulloni". Costui appartiene all’aristocrazia dei professori, all’elite dei docenti che guadagnano troppo e, almeno in molti casi, lavorano poco, se non nulla. Lo stesso Brunetta venne a suo tempo censurato per assenteismo dal Rettore dell’Università dove (non) lavorava. Inoltre, Brunetta era un primatista dell’assenteismo anche nel Parlamento Europeo. Insomma, il classico ministro che predica male e razzola peggio.

Per quanto concerne il "Decreto Gelmini", questo ha imposto una “controriforma” con decisione unilaterale, senza confronto con i sindacati e le varie componenti del mondo della scuola, senza consultare nemmeno il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, senza alcuna riflessione di natura giuridica e tantomeno pedagogica. Sul piano occupazionale le conseguenze sono state subito devastanti e si prospetta nei prossimi anni una vera macelleria sociale. Nel complesso si calcola che il taglio di insegnanti solo nella scuola elementare, per effetto della restaurazione a pieno regime del maestro unico, ammonterebbe ad oltre 80mila posti e saranno i precari ad essere massacrati.

Pertanto, il governo Berlusconi persegue un ritorno al passato che gli permetta di fare cassa, riscuotendo nuovi introiti a scapito della malconcia scuola pubblica, mentre le risorse finanziarie sono dirottate altrove. Scimmiottando con 30 anni di ritardo il modello anglo-americano, cioè la politica neoliberista che ha ispirato le amministrazioni ultraconservatrici della Thatcher in Gran Bretagna e Reagan negli USA, il piano del governo è di subordinare la scuola al servizio del capitale e del mercato del lavoro. La conseguenza finale sarà lo smantellamento della scuola pubblica, per concedere una formazione d’eccellenza ad una platea elitaria e procurare una manodopera crescente a basso costo proveniente dalle scuole pubbliche, riservate alle masse operaie e popolari.

E’ questo il modello, miserabile e classista, che ispira la politica, non solo scolastica, del governo Berlusconi, che offende l’istruzione nel nostro paese. Una scuola-parcheggio per “bulli” e piccoli “gangster”, dove i docenti sono, nella migliore delle ipotesi, addestratori degli studenti per aiutarli a superare i quiz a risposta multipla (si pensi, ad esempio, alle cosiddette “prove Invalsi”), soggetti alle valutazioni internazionali. Una scuola sempre più omologante e passivizzante, simile ad una sorta di supermercato dell’offerta educativa, sempre meno comunità educante e democratica. Una scuola che è la negazione della cultura e che, in pratica, produce solo saperi-merci “usa e getta”.

Si ciancia tanto dei problemi della scuola italiana, ma chi è deputato a risolverli non si adopera affatto in tal senso. In politica ogni soluzione non può essere efficace se non è anche giusta e tempestiva. Il decisionismo e l’efficientismo devono essere calibrati mediante criteri di equità sociale, altrimenti rischiano di essere deleteri. Dunque, vediamo quali sono alcuni dei problemi concreti, ancora irrisolti, della scuola italiana.

Il principale problema della scuola odierna è costituito dalla svalutazione della professionalità degli insegnanti, dallo stato di avvilimento e frustrazione che li attanaglia. Occorre rilanciare in modo concreto la professionalità didattica, rivalutando anzitutto la posizione economica degli insegnanti italiani, che risultano i più sottopagati d’Europa. Per innescare un meccanismo virtuoso occorre rendere appetibile la professione educativa e docente, così da creare le condizioni per indurre le persone più valide e preparate ad aspirare ad un lavoro ben remunerato e molto più apprezzato rispetto al presente. Il recupero del potere d’acquisto condurrà ad un incremento proporzionale del prestigio sociale e favorirà un crescente rendimento qualitativo dei docenti. A beneficiarne saranno anzitutto gli studenti. Questo, in sintesi, è il circolo virtuoso che occorre innescare prima di ogni altra cosa per resuscitare la scuola italiana.

Un altro problema serio è quello delle “attività aggiuntive” non obbligatorie, vale a dire i progetti extra-curricolari. Nel campo della didattica i criteri di quantità e qualità sono sovente incompatibili tra loro in quanto si escludono a vicenda. In genere la quantità "industriale" rischia di inficiare la qualità di un progetto, a maggior ragione laddove i progetti sono prodotti in serie. In tal modo le singole istituzioni scolastiche rischiano di diventare vere e proprie "fabbriche di progetti", cioè “progettifici scolastici”.

Personalmente non sono contro i "progettifici" per rivendicazioni astratte e ideologiche, ma per ragioni legate alla mia esperienza concreta. Nulla mi impedirebbe di essere a favore dei progetti di qualità, purché siano attuati seriamente, ma nel contempo sono cosciente che i casi virtuosi sono eccezioni assai rare. Di norma i "progettifici scolastici" si caratterizzano in modo gretto e negativo per una scarsa creatività e trasparenza, per l’inadeguatezza degli interventi, per una debole rispondenza ai reali bisogni formativi, culturali e sociali degli allievi, mentre obbediscono solo ad una logica affaristica e aziendalistica. Per non parlare dei continui strappi alle regole, delle reiterate violazioni di norme e diritti sanciti dalla legge, delle frequenti scorrettezze e furbizie commesse all'interno delle singole scuole, derivanti da invidie, ambizioni e rivalità individualistiche, contenute in un contesto di direzione autoritaria e verticistica o, in alcuni casi, di “leadership” pateticamente e falsamente illuminata e paternalistica.

Veniamo, inoltre, alla questione della trasparenza e al tema della democrazia collegiale che ormai versa in uno stato decadente. Dal varo dei Decreti Delegati che nel 1974 istituirono forme e strumenti di democrazia diretta nella scuola, la partecipazione agli organi collegiali si è progressivamente deteriorata. Oggi il potere all’interno degli organi collegiali esclude la massa delle famiglie, degli studenti, del personale docente e non. In pratica l’esercizio del potere decisionale nelle singole scuole è riservato ad una cerchia oligarchica formata dal Dirigente scolastico e dai suoi più stretti collaboratori.

Esaminiamo il caso emblematico di un organo come il Collegio dei docenti. Un tempo questo era la sede deputata a discutere gli argomenti più nobili ed elevati, tematiche psico-pedagogiche e culturali, per cui gli insegnanti, specie i più aperti, coscienti e motivati, avevano modo di confrontarsi e maturare sotto il profilo intellettuale e professionale. Oggi i Collegi dei docenti sono ridotti a centri di mera ratifica formale delle decisioni assunte dai dirigenti. Tale avallo avviene generalmente tramite procedure esautoranti, che umiliano la dignità e la sovranità dei Collegi stessi. Questi sono diventati il luogo più alienante e passivizzante in cui si dibatte di questioni esclusivamente finanziarie, senza la dovuta trasparenza, senza fornire le informazioni concernenti il budget effettivo di spesa. Insomma, i Collegi dei docenti approvano senza neanche conoscere fino in fondo l'oggetto reale previsto all’ordine del giorno, cioè i finanziamenti, talvolta cospicui, che vanno a beneficio di una minoranza di colleghi, coincidente con la cerchia ristretta formata dal cosiddetto "staff dirigenziale".

Questo processo di logoramento della democrazia partecipativa, della trasparenza e dell’agibilità democratica e sindacale, degli spazi di libertà e legalità nella scuola, è in atto da oltre 15 anni. Tale involuzione in senso autoritario è dovuta ai colpi letali inferti dai governi di centro-sinistra e di centro-destra. Nella fattispecie particolare, le principali responsabilità politiche di tale declino sono da rinvenire in un momento storico-legislativo assai importante: l’istituzione della legge sull’“autonomia scolastica”.

La mera formulazione giuridica dell’"autonomia" non ha stimolato le scuole ad esercitare un ruolo di traino e promozione culturale rispetto al contesto di appartenenza. In molti casi, le istituzioni scolastiche hanno assunto una posizione subalterna ai centri di potere vigenti nelle realtà locali. A ciò si aggiunga un crescente imbarbarimento dei rapporti tra i lavoratori della scuola, in quanto questa è divenuta il teatrino di laceranti conflittualità, sorte in molti casi in un clima di debole e sciocco paternalismo. Questi fenomeni alienanti e disgreganti sono un corollario dell’"autonomia", nella misura in cui tale normativa non ha favorito un assetto equo ed efficiente, generando soprattutto confusione, contrasti, assenza di certezze, violazione di regole e diritti, incentivando comportamenti furbeschi, spregiudicati ed arroganti, esasperando uno spirito di cinismo, arrivismo e un’accesa competizione per scopi prettamente venali e carrieristici.


In e-mail il 23 Giugno 2010 dc:

Pomigliano,

prove tecniche di terzomondizzazione

di Lucio Garofalo

Di fronte alla crisi internazionale la risposta della FIAT è un preciso disegno strategico che punta alla terzomondizzazione del lavoro in Italia, ossia ad una crescente intensificazione dei ritmi e dei tempi di lavoro, ad una completa precarizzazione dei diritti e delle tutele sindacali, delle retribuzioni salariali, delle condizioni di sicurezza e di vita degli operai italiani. Dopo aver dissanguato i lavoratori polacchi, la FIAT pianifica il rientro in Italia di una produzione automobilistica che era stata trasferita all’estero negli anni scorsi, malgrado le generose sovvenzioni elargite alla FIAT da parte dello Stato italiano, cioè denaro pubblico versato dai cittadini e contribuenti del nostro paese.

In una lettera inviata ai colleghi di Pomigliano da un gruppo di lavoratori della FIAT di Tychy, in Polonia, si legge testualmente: “La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli altri. E a Tychy lo abbiamo fatto. (…) Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. (…) E' chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente. (…)”

La vertenza di Pomigliano D’Arco riassume gli effetti della crisi che attraversa l’economia mondiale. L’attuale recessione non è un episodio accidentale, ma una crisi strutturale di portata planetaria, causata dall’eccessivo sviluppo delle forze produttive, è una crisi di sovrapproduzione accentuata e accelerata dalla saturazione progressiva dei mercati internazionali: finora si è prodotto in quantità eccessiva sfruttando troppo i lavoratori, che si sono impoveriti in modo crescente e sono destinati ad impoverirsi ulteriormente. E’ una crisi che si spiega in virtù del divario tra la crescente produttività del lavoro e la declinante capacità di consumo dei lavoratori. In altri termini gli operai producono troppo, al punto che non si riesce a vendere quanto essi producono. E’ la radice delle contraddizioni del capitalismo, riconducibile alla sua tendenza intrinseca alla sovrapproduzione e all'incapacità di realizzare il profitto insito nelle merci prodotte.

In questo quadro l’azione dei governi non fa che assecondare il gioco e gli interessi delle forze capitalistiche. Infatti, le politiche di liberalizzazione selvaggia attuate dai governi avvicendatisi negli ultimi anni, procedono senza sosta, malgrado aumenti la consapevolezza che esse favoriscono il predominio degli interessi dei grandi potentati economici, delle banche e delle società finanziarie, ad esclusivo discapito dei lavoratori.

Impresa, mercato, produttività, profitto, non sono mai stati termini asettici o neutrali, ma hanno sempre definito affari e poteri concreti, persone in carne ed ossa. Invece, oggi tali interessi privati vengono esibiti come il bene comune della società. La contraddizione centrale è ancora quella che contrappone l'impresa capitalistica al mondo del lavoro. I lavoratori devono prendere coscienza che il vero problema risiede nel costo del capitale, nell'inasprimento delle condizioni di sfruttamento e nell'aumento del lavoro straordinario, nella crescente precarizzazione delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, insomma nel sistema dell’alienazione capitalistica del lavoro operaio.

Negli ultimi mesi, gli effetti della recessione hanno spinto molti lavoratori, esposti alla minaccia dei licenziamenti, ad intraprendere forme di protesta. C’è l’operaio che tenta il suicidio perché non riesce ad arrivare alla metà del mese, ma ci sono anche casi di operai ribelli che scelgono di lottare strenuamente contro la crisi, che i padroni tentano di far pagare ai lavoratori. Contro i nuovi attacchi perpetrati dal sistema mafioso della FIAT, occorre far sentire tutta la solidarietà del proletariato italiano ed internazionale verso le iniziative di lotta intraprese dagli operai di Pomigliano, sottoposti all'ennesima criminalizzazione da parte della Fiat e dello Stato suo complice. E’ urgente schierarsi a fianco degli operai che lottano contro la crisi e lo sfruttamento in fabbrica, per non essere più vittime dell'ennesimo inganno perpetrato da governo, padroni e sindacati.


Dal sito www.corriere.it 20 Giugno 2010 dc:

«È una situazione ormai irreversibile e penso sia tardi per porvi rimedio»

«Esseri umani estinti entro cento anni»

La catastrofica previsione del biologo Frank Fenner.

Cause: esplosione demografica e consumi fuori controllo


Frank Fenner

MILANO - La razza umana si estinguerà nel giro dei prossimi cento anni e così pure un sacco di specie animali. A dirlo è nientemeno che Frank Fenner, 95enne professore di microbiologia dell'Australian National University, ma soprattutto lo scienziato che ha contribuito a debellare il vaiolo. Stando all’eminente cattedratico, a far precipitare gli eventi saranno l’esplosione demografica e i consumi fuori controllo, due fattori ai quali gli uomini non riusciranno a sopravvivere, mentre a dare inizio alla caduta sarebbero stati i cambiamenti climatici.

IRREVERSIBILE - «L'homo sapiens sarà estinto probabilmente nei prossimi 100 anni - ha detto Fenner al giornale The Australian - e lo stesso accadrà per molti animali. È una situazione ormai irreversibile e penso sia davvero troppo tardi per porvi rimedio. Non lo manifesto perché la gente sta comunque tentando di fare qualcosa, anche se continua a rimandare. Di certo, da quando la razza umana è entrata nell’era nota come Antropocene (termine coniato nel 2000 dallo scienziato Paul Crutzen per definire l’era geologica attuale, in cui le attività dell’uomo sono le principali fautrici delle modifiche climatiche, ndr), l’effetto sul pianeta è stato tale da poter essere paragonato a una delle epoche glaciali o all’impatto di una cometa. Ecco perché sono convinto che faremo la stessa fine degli abitanti dell’isola di Pasqua. Attualmente, i cambiamenti climatici sono ancora in una fase molto iniziale, ma già si vedono dei considerevoli mutamenti nelle condizioni atmosferiche. Gli Aborigeni hanno dimostrato che potrebbero vivere per 40 o 50mila anni senza la scienza, la produzione di diossido di carbonio e il riscaldamento globale, ma il mondo non può e così la razza umana rischia di fare la stessa fine di molte altre specie che si sono estinte nel corso degli anni». La catastrofica e pessimistica visione di Fenner non sembra, però, trovare grande rispondenza fra i suoi stessi colleghi. «Frank può anche avere ragione - ha spiegato il professor Stephen Boyden, oggi in pensione, al Daily Mail - ma alcuni di noi hanno ancora la speranza che si arrivi a prendere consapevolezza della situazione e che, di conseguenza, si mettano in atto i cambiamenti necessari a raggiungere un vero sviluppo ecosostenibile».

CRISI GLOBALE - «La razza umana - gli fa eco Simon Ross, vice presidente dell'Optimum Population Trust - si trova ad affrontare delle autentiche sfide come i cambiamenti climatici, la perdita della biodiversità (ovvero, l’estinzione di alcune specie animali, ndr) e una crescita senza precedenti della popolazione». Ma c’è chi all’agghiacciante previsione di Fenner mostra in qualche modo di crederci e se la scorsa settimana il principe Carlo aveva messo in guardia dai pericoli legati alla crescita così impetuosa della popolazione mondiale, un altro scienziato, il professor Nicholas Boyle dell’università di Cambridge, si è spinto anche oltre, ipotizzando il 2014 come la data del "giudizio universale", spiegando (nel libro "2014: Come sopravvivere alla prossima crisi globale") che il mondo si sta infilando in una crisi globale senza precedenti, che avrà influenze estremamente più vaste dell’attuale crisi economica internazionale. Nel 2006 era, invece, toccato all’esimio professor James Lovelock lanciare l’allarme circa una diminuzione della popolazione mondiale nel prossimo secolo, quantificabile in 500 milioni di unità, a causa degli effetti del riscaldamento globale, sostenendo che nessun tentativo di cambiare il clima avrebbe davvero risolto il problema, ma avrebbe semplicemente permesso di guadagnare del tempo.

Simona Marchetti


In e-mail l'11 Giugno 2010 dc:

Una religione pagana di massa

 di Lucio Garofalo

 “La religione è l’oppio dei popoli”, scriveva oltre un secolo fa Karl Marx. Ormai la religione esprime un significato blando e secondario per le masse del mondo occidentale, tranne poche minoranze integraliste (nota mia: non sono d'accordo. In maniera ipocrita e opportunista, come sempre, la religione ha però un seguito di massa notevolissimo, altro che secondario!). Malgrado il vento di restaurazione che soffia dagli Usa e che ha trovato nel papa tedesco e nel cardinale Ruini i massimi esponenti dentro le gerarchie vaticane, la Chiesa Cattolica Apostolica Romana è destinata ad essere un punto di riferimento sempre più marginale rispetto alle epoche trascorse.

Oggi la religione non occupa più il posto centrale e pervasivo che ricopriva nell’esistenza degli uomini del passato, fatta eccezione per alcune ristrette frange conservatrici e tradizionaliste dei Paesi occidentali e le masse islamiche. Il valore ossessivo, supremo e onnipresente che la religione esprimeva in passato è stato assunto dal calcio, il vero surrogato della religione. Se qualcuno nutrisse dubbi a riguardo, credo che le manifestazioni di isteria collettiva cui abbiamo assistito durante i mondiali disputati in Germania nel 2006 abbiano sgombrato il campo (non di calcio) da qualsiasi perplessità.

Allo stesso modo in cui le divinità religiose del passato simboleggiavano le priorità assolute dell’esistenza, oggi i calciatori costituiscono le divinità terrene di un culto secolarizzato, i totem sacri e inviolabili per vaste moltitudini di persone, ormai espropriate di autentici valori spirituali (nota mia: ancora questo uso di termini come "valori spirituali" e "spirito" invece di "valori culturali, intellettuali..." e "cultura", "intelletto": è ora che i laici, gli atei e gli agnostici la smettano di usare termini la cui origine è irrazionale, sovrannaturale e ultraterrena - anche se perfino Marx, Engles, Lenin e Trotzky, tra gli altri, li hanno usati nel loro tempo). Il calcio è diventato il culto pagano per antonomasia in un’epoca senza divinità, né idoli, senza riferimenti culturali e principi etici, senza passioni estetiche, artistiche o politiche in grado di impreziosire la vita degli individui, strozzati da una brutale alienazione economica. In tal senso il calcio è diventato una valvola di sfogo, una via di scampo dal soffocante grigiore del vivere quotidiano. Il calcio è una sorta di acquavite spirituale in cui le masse annegano le angosce, i dolori e le inquietudini che le affliggono, come un tempo faceva la religione.

I calciatori sono i nuovi eroi, i moderni gladiatori, i miti incarnati del nostro tempo, la metafora dei cavalieri medievali: belli, onesti e coraggiosi, temuti, ricchi e potenti, senza macchia e senza paura. Ma si tratta di una mitologia falsa ed estetizzante. Infatti, come in passato si combattevano le guerre di religione, oggi negli stadi di calcio si combattono conflitti bellici sublimati, al punto che il calcio è definito, a ragione, una “metafora della guerra”. Non a caso il gergo calcistico, abitualmente usato dagli addetti ai lavori e dai semplici tifosi di calcio, scimmiotta lo stile tipico del lessico militare.

Non è un caso che la retorica celebrativa dopo il “trionfo berlinese”, culminata nell’apoteosi del Circo Massimo, è stata una retorica sciovinista, militarista e populista. Fu impressionante l’orgia nazionalista che invase la nazione in seguito al trionfo calcistico in Germania, davvero senza precedenti. Penso al mondiale spagnolo vinto nel 1982, che vide in Pertini il protagonista istituzionale della campagna di strumentalizzazione orchestrata nell’occasione. Penso alla propaganda del regime mussoliniano dopo le vittorie della nazionale di Pozzo ai mondiali del 1934 in Italia, alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 e ai mondiali del 1938 in Francia. Si trattò di “trionfi sportivi” che furono utili alla retorica nazionalista ed imperialista impiegata dal regime fascista. Il quale, non a caso, in quegli anni era impegnato in campagne coloniali e nel 1940 si adoperò per giustificare l’intervento (rovinoso) nella seconda guerra mondiale.

Penso ad esempi storici che hanno coinvolto altre nazioni. Rammento la propaganda nazionalista in Germania dopo la vittoria ai mondiali di calcio disputati in Italia nel 1990: si trattò di celebrazioni che per dimensioni ed effetti mediatici superarono addirittura l’esaltazione della riunificazione tedesca dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. I casi citati impallidiscono di fronte all’imponente strumentalizzazione compiuta nel 2006, sfruttando in modo cinico e opportunistico l’ondata di euforia collettiva. In tale circostanza gli artefici istituzionali furono Giorgio Napolitano, Romano Prodi e il ministro dello sport Giovanna Melandri, seguiti dall’intera stampa di regime, incluso il quotidiano “Liberazione”. Sinceramente mi nauseò vedere come la sinistra al governo si sia rivelata più nazionalista dei nazionalisti, più sciovinista dei fascisti, più realista del re.

La rinnovata vocazione militarista dell’Italia non è una novità. La storia degli ultimi 30 anni lo dimostra ampiamente. Tuttavia, mentre nel 1982 il neoimperialismo italiano si presentava a livello embrionale, oggi è giunto a maturità ed è pronto a nuove imprese espansioniste e coloniali. In questa ottica si inquadra la questione del voto parlamentare per il rinnovo dei finanziamenti alla “missione di pace” in Afghanistan. Si pensi che l’Italia è il Paese con più presenze militari nel mondo dopo Usa e Gran Bretagna.

Il calcio è da tempo un fenomeno non più solo sportivo, ma rappresenta qualcosa di più complesso. Il calcio, non solo in Italia ma nel resto del mondo, è ormai diventato una ricca e imponente industria dominata da sponsor multinazionali e da potenti società per azioni quotate in borsa. Nel nostro Paese il calcio è tra le voci più rilevanti dell’economia nazionale ed è così in altre nazioni. Il potere finanziario del calcio ha assunto dimensioni colossali. In Italia è diventato un potente fenomeno di corruzione affaristica e politica, come si evince dallo scandalo di “calciopoli”, esploso nel 2006.

Si può ribadire, senza tema di smentita, che il calcio è tutto tranne uno sport, essendo capace di suscitare una sbornia popolare di proporzioni mai viste, scatenando effetti irrazionali e deliranti che oltrepassano la soglia del fanatismo e l’isteria collettiva più folle e contagiosa. Ovviamente, quando le cose vanno bene le conseguenze sono di euforia e tripudio nazionale, come abbiamo visto dopo la vittoria del 2006. Tuttavia, l’irrazionalità e il morboso feticismo del tifo calcistico trovano riscontri solo nel fanatismo religioso e nel misticismo più acceso di chi non ama che sia messa in dubbio la propria fede. Diversamente dal tifoso di altri sport (nota mia: a mio parere anche i tifosi di altri sport si stanno avvicinando al comportamento di quelli del calcio), il tifoso di calcio è in genere aggressivo, delirante, isterico e violento alla stregua di chi professa un credo religioso. Tale fenomeno non è solo italiano, ma planetario. Nel 1950 in Brasile, dopo la finale persa contro l’Uruguay, si ebbero numerosi suicidi e casi di depressione (nota mia: successe anche nel 1982 quando l'Italia sconfisse il Brasile). Cito questo dato estremo per sottolineare i comportamenti patologici di massa connessi al calcio.

È un’enorme ingenuità pensare che il calcio sia solo uno sport. Se così fosse non assisteremmo alle forme di isterismo e teppismo collettivo, alle violenze di massa cui siamo assuefatti e che nulla hanno a che spartire con lo sport, mentre appartengono ad un fenomeno alienante e ad un business mondiale. Il calcio appassiona, travolge, emoziona, trascina e mobilita vaste moltitudini come se non più delle religioni e delle guerre medesime. Si pensi che la finale dei mondiali del 2006 venne seguita in televisione anche nei territori palestinesi occupati dall’esercito israeliano e che sono teatro di un massacro ignorato dai media e dall’opinione pubblica internazionale. A tale proposito, durante lo svolgimento dei mondiali nel 2006 mi chiedevo che fine avesse fatto il movimento pacifista. Invece di scendere in piazza per denunciare i crimini israeliani, esso si mescolava ai festeggiamenti per il “trionfo azzurro”, assistendo con colpevole inerzia e senso d’impotenza a quanto accadeva in Medio Oriente.


In e-mail il 23 Maggio 2010 dc:

Il mondo di Mafiopoli

di Lucio Garofalo

Durante la colonizzazione del selvaggio West americano, il Popolo degli uomini venne massacrato dall’esercito yankee nel corso delle sanguinose “guerre indiane”. La tribù pellerossa dei Sioux Dakota Hunkpapa era guidata dal grande capo e sciamano indiano Toro Seduto. In realtà il suo nome era Bufalo Seduto, o Tatanka Yotanka nella lingua dei nativi americani. Egli divenne famoso in seguito alla storica vittoria ottenuta nella battaglia del Little Big Horn contro le truppe comandate dal tenente colonnello George Armstrong Custer, soprannominato “capelli gialli”, grande capo dei “visi pallidi”.

Molto tempo dopo, nel mondo della mafia siciliana, esattamente a Cinisi, sovrastava e tuonava don Tano Seduto, come a Corleone troneggiava don Totò Seduto, mentre altrove spadroneggia qualche altro don Seduto sul trono. Ma la mafia non è tramontata con l’arresto dei boss più spietati, cioè Riina e Provenzano, braccati e latitanti per anni, improvvisamente catturati allorché si sono rivelati inutili come arnesi ormai vecchi.

La rivoluzione antropologica della mafia

Quella che è morta e sepolta è senza dubbio la mafia più arretrata, anacronistica e tradizionale, la mafia rurale messa sotto processo dalle inchieste dei giudici Falcone e Borsellino, uccisi proprio dai sicari della cosca più feroce e sanguinaria, all’epoca vincente, quella dei Corleonesi. Al contrario, oggi la mafia è più ricca e potente che mai, non è scomparsa solo perché non ammazza più come sua abitudine, con metodi brutali e truculenti, vale a dire usando le armi, minacciando e terrorizzando la gente, compiendo stragi cruente per eliminare fisicamente i suoi nemici, siano essi tenaci e audaci sindacalisti come Placido Rizzotto, intrepidi attivisti politici come Peppino Impastato, giudici onesti e integerrimi come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Ci sono altre mafie che continuano a massacrare le persone, ricorrendo ad eccidi eclatanti e indiscriminati: la Camorra dei Casalesi, la ‘Ndrangheta calabrese o alcune mafie straniere. La mafia siciliana evita di ammazzare perché si è in qualche modo “evoluta” e “civilizzata”, per meglio dire si è “mimetizzata”, in quanto non vuole più esporsi alle eventuali ritorsioni dello Stato, non intende più essere visibile per offrire l’impressione di non esistere più. Infatti rinuncia a mostrarsi, preferisce ripararsi dietro una facciata apparentemente più civile e rispettabile. Ciò significa che Mafiopoli non esiste più? Niente affatto. La mafia ha solo imparato a dissimularsi meglio.

Essa continua ad agire indisturbata, molto meglio di prima, in una veste moderna e aggiornata. L’assetto del potere di Mafiopoli si è modificato profondamente, riciclandosi in forme nuove e più sofisticate. Anche la mafia, quella arcaica e primitiva, ha subito un processo di rivoluzione capitalistica che ha generato una mutazione antropologica e culturale, la stessa che Pasolini ha descritto a proposito dell’odierna civiltà edonistica e consumistica di massa. Dunque, la mafia si è ristrutturata e globalizzata, diventando una holding company estremamente potente, una corporation tecnologicamente avanzata, un’impresa finanziaria multinazionale. Insomma, la mafia è a capo di un vasto Impero economico mondiale ed è oggi la prima azienda del sistema capitalistico italiano, una grossa compagnia imprenditoriale che può vantare il più ricco volume di affari del Paese.

Mafia S.p.A.

La mafia è diventata una complessa e potente società finanziaria privata, che potremmo chiamare Mafia S.p.A.: una Società per Azioni. Azioni criminali! Come criminale, o quantomeno immorale, è l’intero apparato economico capitalistico, le cui ricchezze sono di origine perlomeno dubbia. “Dietro ogni grande fortuna economica si annida un crimine”, scriveva Honoré de Balzac. Questa citazione mi serve per chiarire come la natura della proprietà privata, del grande capitale, delle immense rendite economiche, sia sempre illecita e sospetta, se non di origine criminale, in quanto discende da un atto iniquo di espropriazione violenta del prodotto, ossia del valore materiale creato dal lavoro collettivo. La matrice reale del sistema capitalistico è di per sé violenta e disonesta, come tenta di dimostrare Roberto Saviano nel suo best seller, Gomorra.

Gli affari sono affari” per tutti gli uomini d’affari, siano essi personaggi incensurati, approvati moralmente e socialmente, siano essi figure losche e notoriamente riconosciute come criminali. Belve sanguinarie o meno, assassini e delinquenti o meno, pregiudicati o incensurati, gli uomini d’affari sono sempre poco onesti, in molti casi astuti e crudeli, cinici e spregiudicati per necessità, per indole o vocazione individuale.

Del resto, le mafie non sono altro che imprese economiche criminose. La mafia è fondamentalmente un’organizzazione imprenditoriale che esercita i suoi affari e le sue attività illecite con un obiettivo primario: il profitto economico. Per raggiungere il quale è disposta anche a servirsi dei mezzi più disonesti, a ricorrere al delitto più atroce. Per vincere la competizione delle società rivali è pronta a ricattare e corrompere, ad eliminare fisicamente i suoi avversari. Parimenti ad altri gruppi imprenditoriali, come le compagnie multinazionali che uccidono gli attivisti politici e sindacali che in America Latina o in Africa si oppongono all’ingerenza economica e imperialistica occidentale.

In altri termini, il delitto e la sopraffazione appartengono alla natura più intima dell’economia borghese, in quanto componenti intrinseche di un ordine retto sul “libero mercato”, sulle sperequazioni e le ingiustizie che ne derivano. La logica “mafiosa” è insita nella struttura medesima del sistema economico affaristico dominante, a tutti i livelli e in ogni angolo del pianeta, ovunque riesca ad insinuarsi l’economia di mercato e l’impresa neocapitalista. Ciò che eventualmente può variare è solo il differente grado di “mafiosità”, cioè di irrazionalità e di aggressività terroristica dell’imprenditoria capitalista. C’è chi elimina direttamente e brutalmente i propri nemici, come nel caso di tante “onorate” società riconosciute come criminali, c’è chi invece impiega sistemi meno rozzi, più eleganti e raffinati, ma altrettanto spregiudicati, cinici e pericolosi.

Non vedo, non sento, non parlo

In dirittura d’arrivo un ragionamento finale, ma non esaustivo, vorrei riservarlo al fenomeno dell’omertà sociale. Mi permetto di suggerire anzitutto una definizione sommaria assunta da un comune dizionario: “l’omertà è la solidarietà col reo, è l’atteggiamento di ostinato silenzio teso a coprire reati di cui si viene direttamente o indirettamente a conoscenza”. Il termine omertà è di origine incerta, con molta probabilità è riconducibile all’etimo latino humilitas, cioè umiltà, adottato successivamente nei dialetti dell'Italia meridionale e modificato in umirtà. Da questa fonte vernacolare potrebbe scaturire l’odierna voce italiana.

Nel gergo mafioso chiunque infranga il codice dell’omertà, o tenti di far luce su una verità, viene disprezzato come “infame” e “presuntuoso”. Il codice dell’omertà, consuetudine tipica del sistema mafioso, rappresenta da un punto di vista psicologico la salvaguardia dell’ambito familiare, la tutela dell’onore del clan di appartenenza. La famiglia mafiosa impartisce ai suoi membri il culto del silenzio, della reticenza, quale requisito essenziale della virilità. L’infausta catena omertosa si configura come una delle basi su cui si erge il lugubre potere della mafia. Per estensione, il codice omertoso si impone ovunque sia egemone una realtà di stampo mafioso, nell’accezione più ampia del termine, cioè nel senso di un potere costrittivo, violento e terroristico.

Dunque, l’uso intelligente e raffinato del linguaggio, se necessario urlato, il parlare ad alta voce, può esprimere un gesto di rottura e di rivolta contro il silenzio dell’omertà mafiosa in senso lato, può ispirare anche un modello di educazione basato su codici di comportamento meno oscurantistici, più liberi e democratici. Personalmente credo molto nel potere e nella priorità della parola, intesa ed esercitata non solo come veicolo di comunicazione, ma anche come metodo di critica e denuncia della realtà, come strumento di interpretazione e trasformazione del mondo, che non è l’unico esistente.

Il linguaggio contiene in sé la forza necessaria a mutare lo stato di cose presenti, a migliorare le nostre condizioni di vita e la realtà circostante. Potenzialmente la parola vale molto più di un pugno nello stomaco e può contribuire a spezzare le catene dell’oscurantismo e dell’indifferenza sociale derivanti dal codice omertoso. Il linguaggio della verità può giovare e concorrere alla causa della libertà e della giustizia sociale, rompendo o rettificando situazioni e comportamenti che ci opprimono e ci indignano.

La parola, come testimonianza di un altro modo di vivere, di intendere e costruire i rapporti interpersonali  improntati ai principi della solidarietà, della libertà e della convivenza democratica, è senza dubbio una modalità alternativa, “eversiva” e destabilizzante rispetto all’ordine oppressivo ed omertoso imposto dalla mafia. L’uso della parola rinviene un senso concreto ed acquista maggior vigore e consapevolezza nella misura in cui può servire a violare il potere coercitivo della malavita organizzata, provando a vincere la diffusa e coatta mentalità mafiosa.


Un interessante articolo che dal 2009 dc volevo inserire, grazie all'amico Massimo che me lo ha inviato. Inevitabili le mie correzioni di grammatica e punteggiatura....

Questo è il Potere

di Paolo Barnard - http://www.paolobarnard.info

Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici…. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, www.paolobarnard.info ), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.

Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro.

Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.

È nell’aria

Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene coli loro addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.

Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.

Primo organo: Il Club

Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce.

Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni;  ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…)  ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co., Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…), fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante,  è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.

Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum , la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine  mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.

Secondo organo: Il colosso di Ginevra

Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.

Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito:

1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).

2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni e con che criteri sono prodotte le merci che acquista, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).

3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale, e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti  - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).

4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).

5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).

E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.

Terzo organo: I suggeritori.

Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa sta loro dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere. 

In ordine di potenza di fuoco vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti , fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone).

Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio Di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure: è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire?. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil a servizio di Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari. 

Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner hanno offerto loro una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose andranno loro bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti, se invece andranno male essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). È il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro, Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.

Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”, in riferimento alle generose donazioni che quei gruppi elargiscono ai due maggiori partiti d’oltreoceano.

Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.

E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea, che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. E come sempre eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Business Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche , Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori… 

Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.

Quarto organo: Think Tanks

Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation , il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government, la The Boss, o la Philanthropy Roundtable: una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo,  “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti". Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982 l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.

Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti

Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139 . Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.

Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali

Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato. 

Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.

Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’,  e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.

Conclusione

Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel merito del perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che verrebbe loro ottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concesso loro da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, nel quale un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer )

Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma, soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:

VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA È OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI.

(http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=153 )

Altra speranza non c’è, sempre che ancora esista una speranza.


Dal 2008 dc, da quando mi è giunto in e-mail, mi ripromettevo di pubblicare questo articolo ma...me ne sono scordato. Ora rimedio:

Prostituzione

Se permetteste, avrei desiderio di dir qualcosa sulla prostituzione.

Direi che occorra innanzitutto distinguerne due tipi: - quella per mera necessità, compiuta quindi da persone che non vedono altra via d'uscita alla loro triste situazione, - quella per ragioni diverse comunque non pressanti, quindi anche finanziarie, per desiderio di potere, piacere personale, propensione, etc. Per quanto riguarda il secondo tipo di prostituzione direi che essa non debba esser considerata attività diversa da ogni altra svolta per analoghe ragioni finanziarie, di potere, piacere, attitudine, etc. E come le altre vada dunque correttamente e premurosamente gestita. Per quanto riguarda il primo tipo le cose cambiano invece radicalmente, tuttavia per essa richiedendosi interventi che esulano dalla prostituzione in sé, al contrario dovendo questi risolvere quei grandi problemi sociali dai quali essa facilmente, a volte inevitabilmente, deriva. Ecco allora che iniziative come quelle tese a fornire ad ogni individuo un lavoro minimo garantito, coi brevi periodi vuoti tra un lavoro ed un altro coperti da un reddito sociale, risultano, pur forse non apparendo direttamente pertinenti la prostituzione, assolutamente decisive. Come decisivi, a loro volta, sono quegli interventi finalizzati all'introduzione della rotazione nelle assunzioni del pubblico impiego e nel contemporaneo riassorbimento di attività economiche oggi private all'interno della sfera pubblica fino al raggiungimento di una metà dell'intero. Perché solo in tal composito modo si ottiene quel serbatoio di lavoro e reddito in grado di permettere le suddette minime garanzie alla persona, al contempo, grazie alla complessiva riorganizzazione della pubblica amministrazione, venendo garantita pure una generale ben maggiore efficienza economica e funzionalità sociale. Ma se si desidera risolvere per bene e definitivamente il problema della prostituzione compiuta per necessità, così come del resto ogni altro problema della società in quanto questo tipo di prostituzione non è affatto problema a parte bensì semplicemente uno dei tanti pesanti problemi che oggi la nostra società ancora vive causa l'arcaico approccio politico, occorre intervenire anche nell'ambito, tuttora colpito da tabù,  della riproduzione umana. Se davvero si desidera virare da una società primitiva ed irrazionale come la nostra, in cui tragedie ed accidenti sono la norma anche e forse soprattutto perché indispensabile alimento e gratificazione per tanti professionisti e cinquepermillini, occorre introdurre una cultura del dovere personale, in questo caso dell'auto-contenimento riproduttivo, solo grazie alla quale le riforme appena citate inerenti il lavoro potranno effettivamente attuarsi. E' chiaro infatti che solo assumendoci doveri e responsabilità personali potremo dissolvere quel caos alla cui generazione partecipa anche una cultura squilibralata basata esclusivamente sui diritti. Impostando in modo ragionevole le nostre espressioni, non solo stando quindi sempre lì a chiedere ma qualche volta anche ad offrire, la società potrà invece evolvere di conseguenza. Ed a questo punto ecco giungere l'ultima ma certo non meno importante riforma: quella che protegga i minori dal plagio superstizioso. Una volta subito l'imprinting superstizioso, in una età in cui si è così acriticamente esposti, speranza più non v'è che la persona usi correttamente i propri strumenti intellettuali e sia disposta ad un dialogo basato sulla ragionevolezza. Al contrario, solo una cultura che tutto chiarisca, illuminando gli ancora numerosi luoghi oscuri in cui siamo intrappolati, può permetterci di evolvere ed attuare tutto ciò. Per questo, confidando nella sensibilità e nella genuinità e veracità delle percezioni di chi legge, umilmente chiedo vi interessiate di quanto sopra, salpando dai link qui sotto riportati. Purtroppo, dato l'innovativo approccio, ad elevato livello d'onestà e di organicità, che contraddistingue questi progetti d'innovazione sociali, tutti perfettamente coerenti ed interconnessi tra loro e con la realtà delle cose, probabilmente non ne troverete ancora traccia sui media tradizionali, i quali offrendosi a lettori a loro volta tradizionali finora hanno puntato sulla estrema facilità e semplicità insita nel però inconcludente approccio superficiale alle questioni. Essendo auspicabile che media, maestri e leader evolvano presto e bene (mai dimentichiamo di che risma di gente siamo figli culturalmente parlando:  anche qui una nostra intensa e ripetuta azione, come semplici cittadini, privi sì di poteri ma non di volontà, può risultare decisiva). Facciamo dunque vedere, a questi retrogradi e corrotti, cosa possono fare persone sensibili ed animate da grande, incommensurabile desiderio! I migliori saluti,

Danilo D'Antonio
Laboratorio Eudemonia

http://equo-impiego-pubblico-a-rotazione.hyperlinker.org

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http://il-nuovo-mondo-del-lavoro.hyperlinker.org

http://il-protocollo-del-nitore.hyperlinker.org


Clonazione

Tutti scandalizzati dall'annuncio del 28 Dicembre 2002, da parte dei Raeliani, della nascita, tramite clonazione, di una bambina.

Al di là della veridicità dell'evento, ancora da dimostrare scientificamente, si è alzato il solito polverone "indignato" e "scandalizzato".

Ciò non può che farmi esprimere la mia oggettiva solidarietà col Movimento Raeliano. Solidarietà che esprimo senza approfondire COSA SIA veramente questa "setta", se sia composta da una maggioranza di benestanti se non addirittura ricchi, quali siano le sue connotazioni politiche, i suoi rapporti con lobby di potere economico, politico e industriale e, men che meno, addentrarmi nella discussione sulle premesse ufologiche di questo gruppo. E non entro nel merito del concetto di clonazione, alla quale non sono pregiudizialmente contrario.

Ricevo in e-mail dal Movimento Raeliano il 5 Giugno 2005 e volentieri pubblico

Gli uomini politici italiani, oggi contrari alla

ricerca sulle cellule staminali embrionali,

saranno in un prossimo futuro coerenti con

le loro prese di posizione?

In occasione della campagna referendaria,suonano alte le trombe di quegli uomini politici che sostenuti dalla Chiesa Cattolica, si dichiarano contrari alle ricerche sulle cellule staminali embrionali.

I dibattiti televisivi abbondano di voci che antepongono i "diritti" dell’embrione al sacrosanto diritto alla salute di cui ogni cittadino dovrebbe fruire senza limitazioni di sorta.

Ma quanti di loro, negli anni a venire, si dimostreranno coerenti con la posizione che hanno preso oggi?

Ben presto verranno brevettate e diffuse le cure per malattie oggi ritenute incurabili che deriveranno direttamente dalle ricerche che scienziati di tutto il mondo stanno svolgendo sulla "clonazione terapeutica".

Quanti di questi uomini politici nostrani, che oggi condizionano le masse affinché la "clonazione terapeutica" e le ricerche sulle cellule staminali embrionali vengano vietate in Italia, rinunceranno a fare uso di queste cure per sé e per i propri familiari in caso di necessità?

Lasciamo a voi immaginare…

Per questo il Movimento Raeliano chiede che i nostri rappresentanti politici, partigiani dell’astensione al referendum sulla legge 40 o del "no" al primo quesito referendario, abbiano il coraggio di firmare pubblicamente ed ufficialmente un documento che dichiari la loro volontà a non fare uso, in futuro, di cure mediche basate sulle ricerche nel campo della clonazione terapeutica e delle cellule staminali embrionali, per sé e per i propri figli minori. Chiede inoltre che un elenco ufficiale dei firmatari venga pubblicato sui più importanti quotidiani e che venga istituito un organismo di controllo.

Questo sarebbe il minimo degli atti di coerenza per questi uomini politici che, con le loro prese di posizione, stanno ritardando il progresso della scienza medica e la guarigione di milioni di esseri umani.

Per ulteriori informazioni contattare:

www.rael.org

www.raelianews.org


Ricevuta in e-mail il 9 Aprile 2005 dal Movimento Raeliano e volentieri pubblicata

Bioteconologie,

gli italiani sono favorevoli alla ricerca sugli embrioni:

per quanto ancora dobbiamo accettare l’ingerenza

della Chiesa cattolica nelle scelte del Governo Italiano?

Una recente indagine sul rapporto esistente tra popolazione italiana e biotecnologie, ha evidenziato che la stragrande maggioranza degli italiani approva l'utilizzo di cellule staminali embrionali per la ricerca di cure di malattie come Alzheimer e Parkinson.

L'indagine è stata condotta dalla società Observa in collaborazione con il Comitato Nazionale per le Biotecnologie presso la Presidenza del Consiglio ed è stata resa nota a Palazzo Chigi nella Rassegna di biotecnologie denominata "Bionova".

(documento sul sito http://www.observanet.it/public/docs/ObservaCNBB_reportbiotech.pdf )

Il dato che è emerso su un campione di oltre 950 persone di ogni fascia d’età è inequivocabile: la ricerca sulle cellule staminali embrionali e le biotecnologie non sono affatto un problema per gli italiani, anzi, il 68% degli intervistati crede che utilizzare cellule di embrioni umani per curare malattie come l'Alzheimer e il Parkinson sia moralmente accettabile e sale addirittura al 76% la percentuale di coloro che considerano utile che la ricerca intraprenda questa strada. Ma il dato diventa impressionante quando scopriamo che il 92,2% degli intervistati ritiene indispensabile proseguire le ricerche sulle biotecnologie in vista di possibili applicazioni in campo medico.

Se è vero che l'Italia è ancora una Repubblica democratica e che la sovranità appartiene al popolo (art.1 della Costituzione), dovremmo supporre che il Governo debba soddisfare le aspettative della popolazione con leggi ed investimenti a favore della ricerca nel campo delle cellule staminali e della clonazione terapeutica, dando così una ragionevole speranza di guarigione ad oltre 10 milioni di malati italiani.

Ma così non è, perché la legge in Italia vieta :

- la ricerca sulle cellule staminali embrionali

- qualsiasi ricerca sugli embrioni, compresi quelli soprannumerari destinati ad essere eliminati

- la clonazione terapeutica.

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una prova evidente dell’ingerenza di una morale religiosa integralista nelle scelte di un governo che sulla carta dovrebbe rappresentare tutti i cittadini italiani a prescindere dalla loro religione, dalla loro razza e dalle loro profonde convinzioni filosofiche.

All’inizio di un’era che sarà dominata dalla scienza, la nostra classe politica condanna nei fatti la ricerca scientifica e le sue applicazioni, e sostiene i deliri antiscienza della Chiesa Cattolica che da sempre si è schierata contro il progresso umano in campo scientifico. Non dobbiamo infatti dimenticare i diktat della Chiesa Romana contro la chirurgia, l’anestesia, l'autopsia, le trasfusioni, i vaccini, la fecondazione in vitro, la clonazione, per citarne solo alcuni…

Ma se la Chiesa ha tutto il diritto di fare propaganda per il proprio sistema di valori, i politici dovrebbero essere al di sopra delle morali religiose e provvedere soltanto al benessere dei cittadini. 

Se governare significa prevedere, la classe politica che finora ci ha governato non ha saputo prevedere nulla e, ancora oggi, dimostra di non saperlo fare. I fatti indicano che siamo governati da persone incapaci di governare.

La drastica limitazione dei finanziamenti e della libertà d’azione dei ricercatori nel campo della ricerca sulle cellule staminali embrionali, sulla clonazione terapeutica e sulle terapie geniche dimostra quanto poco alla nostra classe politica stia a cuore il miglioramento delle condizioni di salute di milioni di cittadini e ci conferma che la loro visione è tristemente limitata se non del tutto inesistente. 

Per questo i Raeliani (www.rael.org) si augurano che in futuro sempre più scienziati e uomini di buon senso si uniscano e si candidino per essere eletti a cariche di governo. Finalmente essi potranno così decidere delle applicazioni delle nuove tecnologie in funzione del reale miglioramento delle condizioni di vita dell’essere umano e non di interessi ideologici, finanziari o religiosi.

Cordiali Saluti 

Marco Franceschini 


Scritto proveniente dal sito di Atheia tra il 2004 e il 2007:

L'eutanasia

Siamo favorevoli all'eutanasia senza limitazioni per i malati in coma irreversibile e senza speranza, tenuti in "vita" soltanto dalle macchine. Se il paziente è cosciente decida lui, anche anticipatamente con una memoria scritta. Se non lo è decidano i parenti più stretti ma sulla base di un "testamento biologico". E che i medici, questa casta di approfittatori, si tolgano di torno (sono gli stessi che facevano gli "obiettori di coscienza" negli ospedali pubblici e poi praticavano l'aborto nelle loro cliniche private). Siamo dunque contrari anche all'accanimento terapeutico. I crociati del "diritto alla vita" (ma quale vita?) stiano zitti e si vedano lo splendido film (storia vera) "Di chi è la mia vita?" con Richard Dreyfuss: un brillante ed entusiasta artista, in seguito a un incidente automobilistico, rimane paralizzato dal collo in giù e riesce, dopo una dura battaglia legale, a farsi staccare dalle macchine che lo tengono in vita. Una vita, appunto, che lui (e solo lui aveva il diritto di decidere in merito) non riteneva degna di essere vissuta.

Noi di Atheia andiamo più in là delle ottime proposte di legge per cui l'Associazione Liberauscita continua a battagliare, e che noi appoggeremo sempre: quella sul testamento biologico e sull'eutanasia. Pensiamo che non sia affatto scandaloso ritenere che anche la procreazione responsabile sia un dovere impellente di tutti i cittadini e che debba essere lo Stato a rendere obbligatorie visite periodiche e approfondite a tutti, maschi e femmine, e che, in presenza di tare genetiche irrimediabili e trasmissibili, si debba operare la sterilizzazione obbligatoria. Lo Stato dovrebbe favorire il più possibile l'adozione che ora, grazie al monopolio che ne hanno in effetti i cattolici, è difficile, costosa e con tempi e costi inconcepibili in una società che si considera a tutti i costi "civile". Siamo favorevoli, in linea di principio, al cosiddetto utero in affitto e all'inseminazione artificiale. Con buona pace di moralisti e bigotti.

Per noi il capitolo è chiuso. Fateci sapere comunque la vostra opinione.

Un'altra cosa. La città di Sparta era guerrafondaia ed espansionista. Ma almeno la sua gente era forte e sana: in modo certamente crudele i bambini deformi e malati venivano gettati dalla rupe Tarpea. Noi non saremmo poi tanto contrari ad applicare tale operazione: non sui neonati innocenti ma sulle migliaia di bigotti e moralisti che infestano il nostro mondo. Ne trarrebbe giovamento l'umanità intera.

***

30 Maggio 2008 dc:

Primo passo verso il testamento

 biologico:

una coraggiosa donna in gravissime condizioni, pur cattolica praticante, ha ottenuto di morire dignitosamente. Ecco due articoli sulla vicenda.

da www.repubblica.it

http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/cronaca/testamente-biologico-modena/testamente-biologico-modena/testamente-biologico-modena.html (Le correzioni in rosso sono mie)

Cronaca

È la prima volta in Italia. Su richiesta di una paziente di settant'anni il magistrato applica una norma del 2004 che consente di rifiutare le cure

Testamento biologico, primo caso

donna muore "secondo volontà"

Il marito nominato "amministratore di sostegno", autorizzato a decidere per lei

MODENA - Il testamento biologico - un documento che permette di lasciare scritta la volontà di morire e rifiutare le cure - è stato applicato per la prima volta in Italia. È successo a Modena, dove Vincenza Santoro Galani, 70 anni, ha scelto di morire "secondo volontà". E ha aperto uno spiraglio per i tanti Welby in Italia, dimostrando che il testamento biologico non è solo relegato alla carta, ma è realtà.

In particolare, a consentire alla donna di rifiutare le cure è stata l'applicazione di una norma del 2004, che stabilisce la possibilità di nominare un amministratore di sostegno, cioè una figura autorizzata a decidere in caso di perdita delle facoltà intellettive.

Il 9 maggio scorso il magistrato aveva accolto la richiesta della donna, intenzionata a rifiutare ogni cura che potesse prolungare le sue sofferenze. E aveva nominato il marito amministratore di sostegno, come indicato dalla signora stessa. La donna, 70 anni, era affetta da sclerosi laterale amiotrofica, una malattia incurabile, e aveva comunicato a suo marito e ai figli di non volere interventi né accanimenti terapeutici rifiutando, quindi, anche la respirazione artificiale. E il marito ha rispettato la sua volontà.

Se i medici le avessero fatto la tracheotomia, venendo meno alle sue disposizioni, la paziente sarebbe rimasta collegata al polmone artificiale. Era una situazione senza prospettive, che non avrebbe certo portato alla guarigione. Nei giorni scorsi le condizioni della donna erano notevolmente peggiorate. Il marito ha quindi deciso di portare la richiesta della moglie al giudice tutelare del tribunale di Modena, Guido Stanzani, che l'ha accettata. I medici hanno però applicato a Vincenza Santoro Galani le cure palliative più efficaci, per alleviare le sofferenze negli ultimi momenti di vita.

(29 maggio 2008)

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da http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net

http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net/modena/2008/05/29/92785-paziente_rifiuta_cure_muore.shtml (Le correzioni in rosso sono mie)

HA DECISO IL MARITO

Paziente rifiuta le cure e muore:

primo caso di testamento biologico

La norma, vigente dal 2004, consente di morire come desidera il paziente interessato. Una donna di 70 anni, affetta da una malattia che non le dava scampo, ha deciso di rifiutare la tracheotomia. Il magistrato ha permesso alla donna di porre fine alle sue sofferenze. Ma l'Ordine dei medici ridimensiona: "Non è testamento biologico"

Modena, 29 maggio 2008 - E' quello di Vincenza Santoro Galani, 70 anni, il primo caso modenese di applicazione della norma, vigente dal 2004, sul testamento biologico, che consente di rifiutare le cure e morire come si desidera.

La donna è morta l'altro giorno nell'ospedale di Baggiovara secondo le sue volontà: il magistrato Guido Stanzani le ha infatti concesso il permesso il 9 maggio scorso, dopo aver stabilito che il rifiuto di terapie intensive, anche salvavita, può essere espresso dall'amministratore di sostegno che affianca il paziente. 

Pertanto, quindici giorni fa, il giudice ha emesso il decreto, raro, con il quale l'amministratore di sostegno della signora Vincenza, che è il marito, è stato autorizzato a negare ai sanitari il consenso necessario per praticare la ventilazione forzata ma anche a chiedere ai medici le cure palliative più efficaci per non fare soffrire la moglie.

La paziente, originaria di Foggia, ma residente a Sassuolo, da tre mesi era ricoverata all'ospedale nel reparto di neurologia, affetta da Sla (sclerosi laterale amiotrofica). Una malattia che, lo si sapeva, non le dava scampo: lei ha comunicato al marito a ai figli l'intenzione di non essere sottoposta a tracheotomia qualora il suo stato fosse peggiorato. Era una prospettiva che avrebbe consentito il collegamento al polmone artificiale, non certo la guarigione, e dunque solo un prolungamento delle sofferenze.

Il quadro clinico è rapidamente peggiorato, ma la donna ha visto rispettate le proprie volontà. Un primo caso che potrebbe suonare come una speranza per i tanti Welby che ci sono in Italia: il testamento biologico c'è già, è una realtà.

 LA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI

"La vera novità è il ruolo, la figura e quindi la decisione dell'amministratore di sostegno, per cui dovremo valutarlo attentamente". È il parere di Giuseppe Palumbo, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, sul caso della donna di Modena che ha chiesto di non effettuare la tracheotomia, attraverso il marito, con l'assenso del giudice.

"Accade già che una persona possa rifiutare le cure, la legge lo consente, in particolare per gravi forme tumorali ed anche in soggetti giovani - dice Palumbo - in questo caso la decisione è stata presa da un altro soggetto, l'amministratore di sostegno, entrando nella sfera del testamento biologico. Non sappiamo bene, ad esempio, se la signora si poteva esprimere liberamente o se poteva dare solo segni di assenso o dissenso. Bisogna quindi leggere attentamente il meccanismo della sentenza e valutare questa figura che apre una nuova via."

"È una novità che va regolamentata e che comunque è già presente in alcune proposte di legge sul testamento biologico".

***

Il testo di una lettera a Corrado Augias di un simpatizzante dell'Associazione Liberauscita, spedita il 22 Marzo 2006:

Lettera ad Augias

Caro Augias, non intendo contestare al cardinale Ruini il DIRITTO di parlare: ci mancherebbe altro, siamo in una democrazia laica. Ma il cardinale, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, è il portavoce ufficiale della Chiesa cattolica. In tale veste egli rappresenta milioni di fedeli nonchè l'intero Stato del Vaticano, e pertanto deve sapere che le sue parole hanno un peso e producono delle conseguenze.

Le sue affermazioni stanno ricreando vecchi steccati fra laici e cattolici che ritenevamo superati con l'Unità d'Italia, prima, ed i Patti Lateranensi, poi.

Alla riunione del Consiglio permanente dell'episcopato,  è tornato ad intromettersi nelle questioni politiche, invitando gli elettori cattolici a «evitare una facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa».

Da un lato ha proclamato la neutralità della Chiesa rispetto agli schieramenti, dall'altro ha dato indicazioni cogenti su aborto, eutanasia, embrione, famiglia monogamica, scuola cattolica, Pacs. L'intento è evidente: influire sull'elettorato cattolico preferendo i candidati e le formazioni più docili dell'uno e dell'altro schieramento.

Ciò in perfetta sintonia, peraltro, con il pensiero di papa Ratzinger, che nel 2003 scriveva «La coscienza cristiana ben formata NON PERMETTE A NESSUNO di favorire con il proprio voto l'attuazione di un programma politico o di una singola legge, in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti".

Dal "NON PERMETTE" alla scomunica il passo è breve, come ben  sanno i cattolici divorziati - di destra e di sinistra - i quali non possono accedere ai sacramenti.

Anche per quanto concerne l'insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche italiane, le affermazioni di Ruini non possono essere condivise. Egli ha affermato infatti  che «in via ipotetica è possibile, a patto di alcune  condizioni: nessun contrasto con i principi della Costituzione, specie in tema di diritti civili, libertà religiosa, parità fra uomo e donna, matrimonio”. Altra condizione è «assicurarsi che l'insegnamento della religione islamica non dia luogo di fatto a un indottrinamento socialmente pericoloso". Insomma Ruini apre all'insegnamento delle altre religioni (immaginiamo il casino che ne deriverebbe nelle scuole, con il conseguente obbligo per lo Stato italiano di assumere insegnati islamici, protestanti, valdesi e - perchè no? - animisti e persino atei), salvo poi sbarrare loro la porta perchè sarebbero "socialmente pericolose" e "in contrasto con la Costituzione italiana". E chi giudicherebbe sulla "pericolosità sociale" delle altre religioni? E perchè pretendere il rispetto della Costituzione Italiana se la stessa Chiesa cattolica non la rispetta (discriminazione delle donne, elezioni non democratiche degli organi a cominciare dal Papa, insegnamento di teorie scientificamente infondate, etc)?

E' evidente che il vero obiettivo è quello di salvaguardare l'ora di religione cattolica ed il posto agli insegnanti designati dal Vicariato. Non a caso, ha aggiunto che «la proposta di sostituire l'insegnamento della religione cattolica con un insegnamento di storia delle religioni non ha fondamento né giuridico né culturale».

Tutto ciò è destinato ad avere profonde conseguenze nella società: le associazioni laiche ed i singoli cittadini - sinora rassegnati all'invadenza della Chiesa cattolica - stanno organizzando forme di "resistenza", secondo il noto principio che "ad ogni azione corrisponde una reazione di segno contrario".

Se la Chiesa intende arginare la crescente disaffezione dei suoi fedeli, continuando su questa strada si ritroverà attorno soltanto una schiera di integralisti e fondamentalisti.

Da parte mia (battezzato, sposato in chiesa, con figli e nipoti naturali, non divorziato nè separato) debbo ammettere con grande rammarico che non mi riconosco più in questo modo di interpretare il messaggio cristiano, nel quale peraltro continuo a credere. Pertanto da  oggi interrompo ogni rapporto con la Chiesa cattolica: dalla frequenza della messa domenicale al versamento dell'8 per mille al sostegno delle associazioni cattoliche, e così via. E spiegherò le mie ragioni a famigliari ed amici, se vorranno condividerle. So che un gesto singolo non significa nulla, ma "nel loro piccolo, anche le formiche s'incazzano".

Cordiali saluti e grazie per la sua coerenza laica.

G. G. 


i Balordi!

Non posso chiamarli per nome esteso, purtroppo: mi denuncerebbero, pensate! Non esiste, in Italia, la vera libertà di pensiero e di parola: quella di dire quello che si pensa, anche se è offensivo. Evidentemente fanno più male le parole che le bastonate (che molti di questi figuri meriterebbero). Così camufferò un po' i nomi, lasciando a voi indovinare di chi parlo. Saranno un po' confusi: ci saranno i grandi e i piccoli, i potenti e i meno potenti, ma vedrò di farcene stare molti, anche i non viventi, guerra all'anima loro!

***

Mio intervento personale, a suo tempo, come curatore del sito di Atheia:

Contro Valentino Rossi e a difesa di Max Biaggi!

Una premessa: sono stato sempre contrario alla speculazione affaristica nello sport, alle sponsorizzazioni selvagge e all'invadenza dello "sport", nuovo oppio del popolo al pari della religione, nei media e ovunque. Trovo semplicemente assurda l'esistenza di giornali quotidiani sportivi e che sia uno di questi, la "Gazzetta dello sport", il quotidiano più letto in Italia. 

Detto questo devo anche dire che ciò che scriverò non terrà assolutamente conto del valore e della bravura dei due succitati motociclisti, ma solo del loro comportamento.

Valentino Rossi, fin da quando ha cominciato a correre nella classe 500, ha subito detto, in televisione, che non gli piaceva Biaggi per questo o quel motivo, non ricordo. Successivamente non ha mancato occasione per denigrarlo e fare lo spiritoso, con battute, apprezzamenti beffardi, parolacce e offese. 

Max Biaggi, d'altro canto, ho notato che parla spesso solo di se stesso e non si spreca in complimenti verso gli altri piloti. Un giornalista, per non ricordo quale quotidiano, gli ha chiesto come si spiegava l'accanimento di Rossi nei suoi confronti. E Biaggi ha risposto che, secondo lui, tale comportamento era espressamente richiesto dal team di Rossi per creare e accentuare una rivalità, anche con questi mezzi, per non usare parole forti, perlomeno poco ortodossi.

Quindi, tra i due, il più "signore" e il più tollerante è senz'altro Max Biaggi.

Valentino Rossi è sempre stato un buffone con i suoi atteggiamenti goliardici e le sue stranezze. Indubbiamente il congruo numero di suoi fan è attirato da simili comportamenti. Non parliamo degli orrendi taglio e colore di capelli di volta in volta esibiti (e, quel che è peggio, imitati dai soliti cretini). Ma, ancora peggio, questo signore ha vantato con orgoglio la sua incultura e ignoranza con frasi del tipo "ma che danno ho avuto dal non andare a scuola, sono diventato ricco andando in moto". La cosa deve essere stata controproducente e ha fatto poi degli spot invitando a studiare (!), obbligato in questo, senz'altro, dai suoi manager.

L'ultima "uscita" l'ha fatta qualche giorno fa (settembre 2003), in una intervista televisiva, dopo l'ultima vittoria ottenuta sorpassando all'ultimo secondo Biaggi dopo che  questi aveva condotto per gran parte della gara. Il giornalista gli ha chiesto espressamente cosa ne pensava del probabile cambio di moto di Max Biaggi e l'individuo ha più o meno risposto così: "non so quanto gli convenga farlo, finora ha detto che aveva una moto di seconda scelta ed era questo il motivo addotto perché non vinceva, se cambiasse la moto con una migliore (e continuasse a perdere, nota mia) voglio proprio vedere cos'altro si inventa (ridacchiando..)".

Lascio trarre a voi le conclusioni del perché io lo detesti così tanto, e mi limito a dire: sarà anche vero che Biaggi ha spesso dato la colpa alla moto, o ai meccanici,  se perdeva, io contesto a Rossi il tono di quanto di volta in volta ha affermato.

Jàdawin di Atheia

***

Cardinal B.

E così scende in campo questo figuro, noto come tra i più reazionari di quella banda di vipere vestite di nero, che chiede, ordina, auspica, si augura che vengano ammessi solo gli immigrati cattolici. Pensa un po', addirittura per preservare le caratteristiche peculiari e le tradizioni italiche. Che, manco a dirlo, sono identificate tout court con quelle cattoliche, é chiaro!

Che dire? Non abbiamo parole....

Zich. Novità Dicembre 1999!!! (ah, il 1999, l'ultimo anno del secolo e del millennio!!)

Il grande "scienziato", ospite fisso di un'oscena trasmissione mattutina della RAI, che di fronte a milioni di telespettatori, plaudenti ed entusiasti, ha la sfacciataggine di rivendicare il suo cattolicesimo e di credere...alla "creazione" (e già di questo dovrebbe vergognarsi, in quanto "scienziato", o almeno tacere e tenerselo per sé), non ha paura di cadere nel ridicolo e offre la spiegazione "scientifica" al fatto che praticamente TUTTI gli idioti di questo paese (e anche fuori, sicuramente) sono convinti che il 1999 sia l'ULTIMO anno del secolo e del millennio! Solo "Blob" lo ha sbugiardato ma lo ha fatto, come sempre, senza commento e affidandosi all"intelligenza" interpretativa degli italiani (o sarebbe meglio dire gli italioti). Costui ha addirittura rivestito di fondatezza "scientifica" l'erronea, stupida, idiota e deficiente teoria dell'esistenza dell'"Anno Zero": é l'unica che spiegherebbe l'imbecille credenza di cui sopra, infatti, se non fosse che dovrebbe risultare chiaro a tutti che l'Anno Zero NON ESISTE!

E' mai possibile che nessuno provi a contare sulle dita delle mani fino a 20?

A questo individuo dovrebbero impedire di nuocere, gli dovrebbero togliere la cattedra, lo dovrebbero fare tacere ma...ormai é troppo tardi e, quello che é ancora più grave, continuerà a fare danno!

Papa JP.

Vestiva di bianco, solitamente, e girava il mondo, incessantemente. Uno dei più grandi reazionari di tutti i tempi, tale da oscurare la ben triste fama di alcuni suoi predecessori. Probabilmente succeduto al suo mite ma più scomodo predecessore, probabilmente fatto fuori come altri prima di lui da chi si era accorto in ritardo dello sbaglio fatto, è arrivato al momento giusto per contribuire molto, moltissimo, allo smantellamento di quanto rimaneva dei paesi pseudo-socialisti (che, a dir la verità, non hanno fatto molto per resistergli). Nel frattempo continui attacchi alla modernità, alle sudate conquiste in tutti i campi, al divorzio, all'aborto, all'emancipazione femminile, alla libertà di autodeterminare la propria vita: cose che tutti noi sappiamo benissimo. E caterve di santi, beati, nuovi vescovi e cardinali....una vera inflazione. Alla sua morte, poi, il vergognoso spettacolo mass-mediatico, torme di gente imbesuita per le strade di Roma, pianti in diretta in moltissime trasmissioni televisive (in tale quantità da far sospettare che fossero obbligati a farlo per contratto!), e via imbecillando.....

Lorenzo J.

Non varrebbe la pena neanche di accostarlo all'altro qui sopra, non c'è confronto. Costui è visibilmente un cr...no, e anche il modo di parlare (male) e di cantare (stonando) lo da a pensare. Non parliamo della sua affastellata ideologia che spazia da guerriglieri a finte benefattrici dell'umanità...Purtroppo è seguitissimo, e non è l'unico. L'umanità, del resto, non si merita neanche i nostri sforzi e i nostri sfoghi. Saremo sempre in minoranza.

Carlo Pre.

L'esempio vivente che qualche volta le teorie di Lombroso trovano riscontro nella realtà. Guardandolo la sua faccia sembra che parli e dica "sono un bastardo, ma bastardo proprio nell'intimo...". L'espressione costante del suo viso trasuda l'oltraggiosa arroganza dello schifoso delinquente d'alto bordo. Questo losco individuo, oltre che fare l'avvocato (che non depone certo a suo favore), ha fatto di tutto per rapinare, rubare, truffare, ottenere cospicui favori personali dalla parte politica a cui di volta in volta si è legato (e guarda caso proviene anche lui dai "socialisti"), assumendo addirittura una importante carica nel governo!!!! Naturalmente non verrà mai punito per i suoi crimini e misfatti, così come è successo per pochi, finora, dopo la "rivoluzione" di "Mani Pulite"(ne tanto meno si riesce a fare in modo che succeda per il Bastardo Numero 1). E proprio in questi giorni (Luglio-Agosto 2003) si sta consumando la tragica farsa della messa sotto accusa dei suoi...accusatori da parte di un ceto politico vergognosamente bastardo...

Stora

Non si capisce come si possa affidare a questo essere immondo e fazioso, nonchè fascista, addirittura la presidenza di una istituzione dello Stato che dovrebbe garantire l'equità nell'utilizzo delle comunicazioni! Ma cos'è, una presa in giro? Sembra proprio di sì, ed è un'ulteriore dimostrazione di quanto sia scesa in basso la politica del cosiddetto governo di centro-"sinistra".

GianPiPi

Squallido giornalista e vicedirettore di un grande settimanale, anticomunista dei più accesi, ogni settimana non dimentica di blaterare le sue stronzate vigliacche e in malafede. Meriterebbe una visitina da un gruppo di determinati "punitori". Che schifo!

il Re degli Ignoranti

E se ne vanta pure! Già dall'inizio della sua carriera di cantante c'erano dei sintomi, a cominciare dalla pur bella musicalmente "Pregherò" (copiata di sana pianta da un classico di ben altro spessore) aveva cominciato a impartirci le sue lezioni morali, sempre bigotte. Addirittura da Sanremo ci aveva invitato al crumiraggio e a non scioperare, in coppia con quell'altro bel elemento della moglie. Poi si è dato ai film messianici, alcuni da lui "diretti", e si é creduto sempre più un profeta. Ora, con la sua ultima apparizione, ha superato i limiti col suo qualunquismo, cantando in coppia con l'ex-freddolosa di Sanremo una canzone anti-abortista. Roba da far venire il voltastomaco!

il Cilindro (2003)

Grande giornalista e scrittore, scomparso recentemente, fondatore de "il Giornale nuovo" negli anni '70 perché il "Corriere della sera" era troppo "a sinistra", scippato dello stesso da parte dell'impero editoriale del Silvio perché assolutamente a lui contrario, negli anni della grande DC diceva che bisognava, "turandosi il naso", votare Democrazia Cristiana. Questo losco figuro, fascista ai tempi del fascismo e democristiano, poi, di conseguenza, fu oggetto di un clamoroso errore da parte dei fanatici delle Brigate Rosse nei cosiddetti "anni di piombo": gli spararono troppo in basso. Alle gambe. Così ce lo siamo dovuti sopportare per altri decenni. In coppia col suo degno e squallido amico Cravatta a farfalla ha scritto molti libri e ha fatto da coscienza "critica" al regime per decine di anni. Si è dichiarato più volte ateo e certi nostri atei nostrani, a cui difetta il discernimento politico e il buon senso critico, lo hanno subito elevato a loro "campione". Costoro non si sono accorti, però, che questo "ateismo" di Cilindro era molto dubbioso, che diceva di non avere il "dono" della fede, che aveva come carissimo amico un frate con cui si intratteneva per ore e che, pare, fosse ambiguamente presente anche nelle ore del decesso. E' davvero lodevole avere tra gli atei codesti personaggi?

(continua)


Da www.ansa.it del 13 Giugno 2010, con le mie opportune correzioni:

Spagna, crocifisso vietato nelle scuole

In preparazione una legge che non permetterà l'esposizione del simbolo cristiano

Una legge sulla "libertà di religione" che vieterà, in nome della neutralità dello stato in materia religiosa, l'esposizione di crocifissi nelle scuole pubbliche e in altri edifici pubblici in Spagna è in preparazione da parte del governo del premier socialista, José Luis Zapatero.

Lo scrive il quotidiano El Pais. Il progetto di legge, già annunciato dal governo Zapatero nel 2008, è "in preparazione", dice il giornale, e prevede anche che i funerali di Stato, che oggi si svolgono secondo il rito cattolico, non abbiano un "cerimoniale di carattere religioso".

I pubblici poteri, secondo il Pais, dovranno rispettare un rigido principio "neutralità di fronte a religione e credenze, evitando qualsiasi confusione fra funzione pubblica e attività religiosa". Oltre che nelle scuole pubbliche i crocifissi saranno vietati anche negli ospedali e negli altri edifici pubblici e i funzionari pubblici non presteranno più giuramento davanti alla croce. Malgrado una legge del 1978 affermi il principio del carattere aconfessionale dello Stato, dopo che la dittatura di Francisco Franco aveva fatto del cattolicesimo la "religione di Stato", i simboli religiosi sono onnipresenti in Spagna.


Considerazioni inattuali n. 20

3 Maggio 2010 dc

Vigilia elettorale in Gran Bretagna

Finzioni dei tre candidati

 e degrado della politica

 Vantaggio insufficiente per governare del tory Cameron. Il lib-dem Clegg pronto a coalizioni variabili. Scontata la sconfitta laburista.

di Lucio Manisco

Londra – Non è ancora “The Waste Land”, la terra desolata di T.S. Eliot, ma poco ci manca e anche se ogni paragone con Berlusconia sarebbe assurdo se non osceno qualche analogia tra il degrado delle istituzioni della classe politica del Regno Unito e quello del Bel Paese è proponibile.

Questo degrado è stato evidenziato dalle ultime battute della campagna elettorale che con l’adozione del modello statunitense dei dibattiti televisivi hanno trasformato lo slogan sessantottino dell’immaginazione al potere in finzione nella gara per il potere, un concorso a tre di bellezza retorica, vuoto di contenuti, ricco di altisonanti, quanto irrealizzabili promesse e infarcito come in Italia di populismo e trasformismo di bassa lega. Sul terreno del populismo il primo dei tre dibattiti ha visto emergere per la prima volta in più di cento anni la terza forza del partito liberal-democratico grazie all’esibizione “cuore in mano” di Nick Glegg, un giovanotto fotogenico e di belle speranze che all’insegna dell’anti-politica ha assestato un duro colpo al sistema bipartitico britannico condizionando pesantemente la formazione del prossimo governo e facendo chiaramente capire di essere pronto a partecipare a qualsiasi coalizione sia che vincano maggioranze relative i conservatori o i laburisti, a patto che gli uni o gli altri si impegnino a sostituire con il proporzionale puro il vigente sistema dei collegi elettorali che per un secolo ha tenuto lontano il suo partito da qualsiasi poltrona.

In quanto a trasformismo il conservatore David Cameron batte di molte misure gli avversari: ha riverniciato di progressivismo e di grande sensibilità sociale il partito Tory di Margaret Tatcher, ma non disdegna, soprattutto per quanto riguarda l’Unione Europea, le posizioni del più reazionario, parafascista partito minoritario britannico. Il vignettista politico Bell lo raffigura con un palloncino sgonfio al posto della testa, ma è un “piacione” che riscuote le simpatie delle “grannies”, delle nonne e cioè dell’elettorato femminile più anziano.

E’ dato favorito dagli ultimi sondaggi con un previsto numero di parlamentari di poco inferiore alla maggioranza minima di 326 seggi necessari a formare un governo. I sondaggi su un esito da “filo di lana”, dove risulterà decisivo un centinaio di collegi “marginali”, contano poco, ma sono concordi nel dare per certa la sconfitta dei laburisti di Gordon Brown, uno dei personaggi più tristi ed anti-telegenici della scena politica del Regno Unito: vittima di un destino avverso che porta il nome da tutti esecrato di Tony Blair, vanta sugli avversari grande esperienza economica per avere occupato per un decennio il posto di cancelliere dello scacchiere, un’esperienza che gli ha permesso di salvare dalla catastrofe il sistema bancario nazionale. Privo del minimo sense of humor appare cupo e rassegnato anche quando cerca di sorridere succhiandosi il labbro inferiore. Fa capire, ma non lo dice, di non essere il “poodle”, il cagnolino, degli Stati Uniti d’America, come il suo predecessore, ma continua a sacrificare decine e decine di vite di soldati britannici (e migliaia di quelle di civili afgani) nella guerra più dissennata ed impopolare mai combattuta nel dopoguerra dal Regno Unito. Ha contro quasi tutta la stampa britannica: l’ultima defezione è stata quella del quotidiano progressista “The Guardian” che pochi giorni fa con una sorprendente capriola ha sostituito il suo appoggio critico al leader laburista con un “sostegno entusiastico” al lib-dem Clegg.

Dei tre candidati, unanimi nel presentarsi come uomini del popolo, l’unico a meritarsi in parte la qualifica è Gordon Brown, figlio di un pastore presbiteriano scozzese; Nick Cleigg è nipote di una gran duchessa russa che riuscì a mettere in salvo le sue ricchezze in Francia dopo l’avvento al potere dei bolscevichi (il leader liberal-democratico è tuttora proprietario di uno chateau con dieci camere da letto nei pressi di Parigi).

David Cameron è nato – come si dice in gergo anglosassone – “con un cucchiaio d’argento in bocca”: è di famiglia non agiata, ma ricca, molto ricca; ha studiato naturalmente ad Eaton, la scuola che ha formato da due secoli la classe dirigente più conservatrice del Regno Unito. Come se non bastasse la sua campagna elettorale è stata finanziata da un milionario che per evadere il fisco ha scelto da anni una residenza all’estero.

Come in Berlusconia anche in Gran Bretagna si è parlato in questa campagna elettorale di riforma dei pletorici istituti parlamentari: 700 “pari” non eletti nella Camera dei Lords tra i quali venti vescovi e seicentocinquanta deputati eletti ai Comuni, un numero di rappresentanti inferiore solo a quello della Repubblica Popolare Cinese. Un decennio fa il governo laburista estromise centinaia di Lords ereditari ma non riuscì a portare a termine la riforma della vetusta istituzione. Sui Comuni grava l’ignominiosa accusa di corruzione diffusa, perché i deputati che non si erano mai aumentati gli stipendi hanno fatto la cresta su indennità e conti spese. Ora hanno restituito il mal tolto ed adottato un più severo codice etico interno, ma checché ne dica Nick Clegg, non ne vogliono sapere di riduzione del loro numero o di sistema proporzionale puro.

Pressoché inesistente invece nel dibattito elettorale l’incubo che incombe sulla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, la crisi economico-finanziaria più grave del dopoguerra, un disavanzo annuale che ha superato i 163 miliardi di sterline e per chiunque vinca l’inevitabile necessità di tagliare i servizi sociali, di aumentare le tasse e di prolungare sine die la recessione. Diffuso il timore in Gran Bretagna che dopo aver rubato alla Grecia i marmi di Elgin un futuro Governo rubi anche il suo modello di affamare il popolo per sanare i bilanci.

Il Tory David Cameron si è limitato a dire che in caso di vittoria affronterà il problema dei tagli alla spesa non prima di novembre.


La verità su B. raccontata nientemeno che da Carlo Taormina

In febbraio ricevetti questa e-mail, e la pubblico solo ora perché estremamente interessante. Aprile 2010 dc:

La verità su B. raccontata nientemeno che da Carlo Taormina

Da Piovonorane domenica 31 Gennaio 2010 dc

«Conosco bene il modo con cui Berlusconi chiede ai suoi legali di fare le leggi ad personam, perché fino a pochi anni fa lo chiedeva a me. E, contrariamente a quello che sostiene in pubblico, con i suoi avvocati non ha alcun problema a dire che sono leggi per lui. Per questo oggi lo affermo con piena cognizione di causa: quelle che stanno facendo sono norme ad  personam».

Carlo Taormina, 70 anni, è stato uno dei legali di punta del  Cavaliere fino al 2008, quando ha mollato il premier e il suo giro – uscendo anche dal Parlamento – a seguito di quella che lui ora chiama «una crisi morale». Ormai libero da vincoli politici, in questa intervista a Piovonorane dice quello che pensa e che sa su Berlusconi e le sue leggi.

Avvocato, qual è il suo parere sulle due norme che il premier sta facendo passare in questi giorni, il processo breve e il legittimo impedimento?

«La correggo: le norme che gli servono per completare il suo disegno sono tre. Lei ha dimenticato il Lodo Alfano Bis, da approvare come legge costituzionale, che è fondamentale».

Mi spieghi meglio.

«Iniziamo dal processo breve: si tratta solo di un ballon d’essai, di una  minaccia che Berlusconi usa per ottenere il legittimo impedimento. Il processo breve è stato approvato al Senato ma scommetterei che alla Camera non lo calendarizzeranno neanche, insomma finirà in un cassetto».

E perché?

«Perché il processo breve gli serve solo per alzare il prezzo della trattativa. A un certo punto rinuncerà al processo breve per avere in cambio il legittimo impedimento, cioè la possibilità di non presentarsi alle udienze dei suoi processi e di ottenere continui rinvii. Guardi, la trattativa è già in corso e l’Udc, ad esempio, ha detto che se lui rinuncia al processo breve, vota a favore del legittimo impedimentoı».

E poi che succede? Che c’entra il Lodo Alfano bis?

«Vede, la legge sul legittimo impedimento è palesemente incostituzionale, e quindi la Consulta la boccerà. Però intanto resterà in vigore per almeno un anno e mezzo: appunto fino alla bocciatura della Corte  Costituzionale. E  Berlusconi nel frattempo farà passare il Lodo Alfano bis, come legge costituzionale, quindi intoccabile dalla Consulta».

Mi faccia capire: Berlusconi sta facendo una legge – il legittimo impedimento -che già sa essere incostituzionale?

«Esatto. Non può essere costituzionale una legge in cui il presupposto dell’impedimento è una carica, in questo caso quella di Presidente del Consiglio. Non esiste proprio. L’impedimento per cui si può rinviare un’udienza è un impegno di quel giorno o di quei giorni, non una carica. Ad  esempio, quando io avevo incarichi di governo molte udienze a cui dovevo  partecipare si facevano di sabato, che problema c’è? E si possono tenere udienze anche di domenica. Chiunque, quale che sia la sua carica, ha almeno  un pomeriggio libero a settimana. Invece di andare a vedere il Milan, Berlusconi potrebbe andare alle sue udienze. E poi, seguendo la  logica di  questa legge, la pratica di ottenere rinvii potrebbe estendersi quasi  all’infinito. Perché mai un sindaco, ad esempio, dovrebbe accettare di  essere processato? Forse che per la sua città i suoi impegni istituzionali  sono meno importanti? E così via. Insomma questa legge non sta  in  piedi, è destinata a una bocciatura alla Consulta. E Berlusconi lo sa, ma intanto la fa passare e la usa per un po’ di tempo, fino a che appunto non passa il Lodo Alfano bis, con cui si sistema definitivamente».

Come fa a esserne così certo?

«Ho lavorato per anni per Berlusconi, conosco le sue strategie. Quando ero  il suo consulente legale e mi chiedeva di scrivergli delle leggi che lo proteggessero dai magistrati, non faceva certo mistero del loro scopo ad personam. E io gliele scrivevo anche meglio di quanto facciano adesso Ghedini e Pecorella».

Tipo?

«Quella sulla legittima suspicione, mi pare fossimo nel 2002. Gli serviva per spostare i suoi processi da Milano a Roma. Lui ce la chiese apertamente e noi, fedeli esecutori della volontà del principe, ci siamo messi a scriverla. E abbiamo anche fatto un bel lavoretto, devo dire: sembrava tutto  a posto. Poi una sera di fine ottobre, verso le 11, arrivò una telefonata di Ciampi».

Che all’epoca era Presidente della Repubblica.

«Esatto. E Ciampi chiese una modifica».

Quindi?

«Quindi io dissi a Berlusconi che con quella modifica non sarebbe servita  più a niente. Lui ci pensò un po’ e poi rispose: “Intanto facciamola così,  poi si vede”. Avevo ragione io: infatti la legge passò con quelle modifiche  e non gli servì a niente».

Pentito?

«Guardi, la mia esperienza al Parlamento e al governo è stata interessantissima, direi quasi dal punto di vista scientifico. Ma molte cose  che ho fatto in quel periodo non le farei più. Non ho imbarazzo a dire che ho vissuto una crisi morale, culminata quando ho visto come si stava strutturando l’entourage più ristretto del Cavaliere.

A chi si riferisce?

«A Cicchitto, a Bondi, a Denis Verdini, ma anche a Ghedini e Pecorella. Personaggi che hanno preso il sopravvento e che condizionano pesantemente il premier. E l’hanno portato a marginalizzare – a far fuori politicamente – persone come Martino, Pisanu e Pera. E adesso stanno lavorando su Schifani».

Prego?

«Sì, il prossimo che faranno fuori è Schifani. Al termine della legislatura farà la fine di Pera e Pisanu».

Ma mancano ancora tre anni e mezzo alla fine della legislatura…

«Non credo proprio. Penso che appena sistemate le sue questioni personali, diciamo nel 2011, Berlusconi andrà alle elezioni anticipate».

E perché?

«Perché gli conviene farlo finché l’opposizione è così debole, se non inesistente. Così vince un’altra volta e può aspettare serenamente che scada il mandato di Napolitano, fra tre anni, e prendere il suo posto».

Aiuto: mi sta dicendo che avremo Berlusconi fino al 2020?

«E’ quello a cui punta. E in assenza di un’opposizione forte può arrivarci tranquillamente. L’unica variabile che può intralciare questo disegno, più che il Pd, mi pare che sia il centro, cioè il lavorio tra Casini e Rutelli. Ma se questo lavorio funzionerà o no, lo vedremo solo dopo le regionali».


In e-mail il 24 Aprile 2010 dc al C.C.G. Bruno di Milano, di cui sono webmaster, da parte della Federazione Anarchica Torinese-FAI

Torino. Zona libera No Ratzinger.

Cronaca e foto

Torino, martedì 13 aprile. Punto informazioni anticlericale davanti a Palazzo Nuovo, con volantini, libri e tanta voglia e dar voce alla Torino senza religione, nascosta dalla mostruosa offensiva mediatica che ha accompagnato questi primi giorni di mostra del lenzuolo savoiardo.

"Chi vuole dio se lo preghi e se lo paghi" era scritto sullo striscione appeso alla balconata. "Zona libera. No Ratzinger" campeggiava sul muro di fronte. Una boccata di libertà di fronte alla prepotenza della chiesa cattolica che, proprio in questi giorni, per far fronte al dilagare dello scandalo dei preti pedofili, non ha trovato di meglio che attaccare gli omosessuali.

A quest'indirizzo alcune foto e il volantino diffuso per l'occasione: http://piemonte.indymedia.org/article/8360

Prossimo appuntamento: Venerdì 16 aprile conferenza di Roberto Prato "L'eresia e la rivolta" alle 21 in corso Palermo 46. Un'occasione per parlare di eretici e ribelli, gente la cui memoria, dannata per i potenti, continua a vivere nel ricordo e nelle lotte degli sfruttati e degli oppressi.

Ecco il volantino diffuso in piazza:

No sindone Chi vuole dio se lo preghi e se lo paghi!

Il centro di Torino è sotto assedio. Ancora una volta. Poliziotti, carabinieri e militari ad ogni angolo, piazza Castello paralizzata, i giardini (ir)reali privatizzati da pellegrini.

È l'ennesima kermesse del circo Chiamparino, l'ultimo spettacolo totale della Torino "always on the move".

I preti mettono in mostra la Sindone, il comune offre piazze e supporto logistico, il governo presta gratuitamente le sue guardie.

Provate, per un breve momento, ad immaginare. che l'Italia sia un Paese laico. I preti avrebbero organizzato la loro mostra da soli, scucendo di tasca propria. Raccattare i soldi non dovrebbe essere un problema per chi aspetta due milioni di pellegrini. O la fede non arriva sino al portafoglio?

Provate, per un breve momento, ad immaginare. che l'Italia sia un Paese laico. I soldi risparmiati dal governo e dal comune sarebbero stati spesi per le scuole per i vostri figli, per gli ospedali, il trasporto pubblico. O magari per fare corsi sull'uso dei contraccettivi e sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse.

Provate, per un breve momento, ad immaginare. che l'Italia sia un Paese laico. Senza insegnanti di religione cattolica, pagati con i soldi di tutti, che entrano liberamente nelle scuole pubbliche ad indottrinare bambini e ragazzi. Un paese dove a scuola insegnino la libertà. Di credere o di non credere alle religioni.

Provate, per un breve momento, ad immaginare. che l'Italia sia un Paese laico. Il corteo del Primo Maggio a Torino non sarebbe deviato per lo show del boss di un'organizzazione privata, il papa che arriva in città il 2 maggio. Un uomo che non esita a fare propaganda sessista e discriminatoria, un uomo che ha detto e scritto che le persone omosessuali sono "cattive". Un uomo che nega la libertà delle donne di scegliere liberamente la maternità, che è complice attivo del genocidio per AIDS che sta falcidiando l'Africa. Un uomo che nega ai morenti la libertà di lasciare dignitosamente la vita. Un uomo che, se potesse, erigerebbe ancora i roghi per streghe, eretici e omosessuali. Un uomo che in nome della "vita" fa propaganda di morte. Ratzinger nel catechismo ha scritto che la chiesa cattolica approva la pena di morte. Benedetto XVI, come tutti i papi moderni, predica contro le guerre, tranne quelle "giuste e sante", tuona contro le dittature, tranne quelle "amiche". D'altra parte i cappellani hanno sempre seguito gli eserciti, benedetto le bandiere e i plotoni di esecuzione.

Provate, per un breve momento, ad immaginare. di vivere in un mondo laico. Una qualunque organizzazione educativa, che coprisse le violenze sistematiche verso i bambini che le sono affidati da parte di numerosissimi suoi aderenti, verrebbe messa al bando, messa in condizione di non nuocere ulteriormente. Ma il nostro è un Paese in ginocchio.

Intendiamoci. Noi rispettiamo anche se non capiamo chi si inginocchia liberamente, chi accetta una dottrina che nega la libertà degli individui, che impone una morale gerarchica ed oppressiva. Ma ai preti e a ai politici amici loro tutto questo non basta, perché la loro "verità" deve essere imposta a tutti e a tutte. Ecco quindi le leggi che regolamentano la scelta di essere o meno madri, quelle che discriminano gli omosessuali, quelle che impongono l'immagine orrenda di un uomo torturato a morte su una croce in tutte le aule dove entrano ogni giorno bambini e ragazzi. Un corpo straziato non è osceno, i corpi vivi di ognuno di noi vanno nascosti come fossero indegni e vergognosi. Indegna e vergognosa è la pretesa di imporre a tutti le scelte di qualcuno.

Per fortuna sono sempre più quelli che non ci stanno, che non chinano la testa, che lottano per la dignità di tutti. In questo mese a mezzo di kermesse clericale le voci e i corpi negati dei senza religione, dei senza dio si leveranno forti, irridenti e senza paura. Perché quella dell'autonomia degli uomini e delle donne è una storia che ha ormai solide radici.

Il 2 maggio la Rete No Sindone libererà una piazza nel centro di Torino, riempiendola di musica, teatro, interventi. Sarà l'altra Torino. Libera e anticlericale.

Federazione Anarchica - Torino Corso Palermo 46

Ogni giovedì dalle 21

338 6594361 - fai_to@inrete.it


In e-mail il 21 Aprile 2010 dc:

IL MITO DELL’ “UNIVERSALITA’”

DEI DIRITTI UMANI…

 “IMPERIALISMO” O “PLURALISMO” CULTURALE (E MORALE)?

QUAL’E’ FONDAMENTO PER I DIRITTI DELL’UOMO?

La “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948 (cd. Dudu) enuncia una lunga serie di diritti umani senza mai indicarne, però, il fondamento ultimo (o la ragion d’essere).

Perché mai, allora, riconoscere tali diritti come “universali” (spettanti all’intera Umanità)?

Dove traggono fondamento i “presunti” caratteri distintivi dei diritti umani (ossia il loro essere “fondamentali”, “universali”, “inviolabili” e “indivisibili”)?

 DIO COME FONDAMENTO DEI DIRITTI UMANI?

Alison Renteln, nell’opera “International Human Rights”, distinse tre possibili fondamenti dei diritti umani:

1-                   l’autorità divina;

2-                   la legge di natura;

3-                   e la ratifica internazionale dei trattati (ossia l’accordo o “consenso” degli Stati).

Molti autori così, tra cui Michael Perry, rintracciarono il fondamento dei diritti umani direttamente in Dio: solo pensando agli uomini come opera di Dio (e, per ciò stesso, “sacri”) vi sarebbero ragioni per credere nell’“universalità” e nell’“inderogabilità” di tali diritti, volti a proteggere proprio la dignità di tale essere sacro.

In tale ottica non stupisce più di tanto leggere nella “Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America” (del 4 luglio 1776) quanto segue: “Reputiamo di per sé evidentissime le seguenti verità:

1-                   che tutti gli uomini sono stati creati uguali;

2-                   che il Creatore li ha investiti di certi diritti inalienabili;

3-                   e che tra questi vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”.

Ancor oggi, del resto, nel Preambolo della “Carta araba dei diritti dell’uomo” (adottata dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi il 15 settembre 1994, ma non ancora in vigore) si legge: “premessa la fede della Nazione Araba nella Dignità dell’uomo, sin da quando Allah l’ha onorata...”.

Nella “Dichiarazione del Cairo” (approvata dalla XIX Conferenza islamica dei ministri degli esteri), inoltre, si afferma che:

1-                  il fondamento dei diritti umani (definiti “comandamenti divini vincolanti, ex art. 2 e 10) si trova nella religione islamica;

2-                   e i diritti umani possono essere esercitati solo in conformità alla “sharia” (ex art. 2, 7, 12, 16, 19 e 22).

Il limite principale di questa tesi, però, è quello:

1-                   da un lato, di condurre a una sorta di “idolatria dei diritti umani” (fatti coincidere, per lo più, con i principali valori condivisi dalle tre grandi religioni monoteiste e creazioniste del mondo);

2-                   dall’altro, di far perdere di validità universale gli stessi (risultando difficile che diritti strettamente legati ad una specifica e parziale visione religiosa possano rivolgersi all’intera umanità!).

Il pericolo maggiore, dunque, è quello:

1-                   di considerare i diritti umani come una sorta di “nuova religione dell’umanità”;

2-                   e di trasformare la loro difesa in una sorta di “neo-crociata”, possibile foriera di contrapposizioni ideologiche, di manifestazioni di intolleranza e di conflitti tra civiltà!

 

 

LA LEGGE DI NATURA COME FONDAMENTO DEI DIRITTI UMANI?

Le principali teorie sulla fondazione dei diritti dell’uomo si basano, allora, sull’idea dell’esistenza di una “legge naturale”, di cui i diritti umani rappresenterebbero un’espressione, un elemento “intrinseco”.

Tali teorie (di matrice “occidentale” e “giusnaturalista”) propugnano l’idea dell’esistenza di un “nucleo essenziale” di diritti e libertà che apparterrebbero all’uomo in quanto tale, prescindendo:

-                      sia dalla credenza o meno nell’esistenza di un Dio e nel creazionismo;

-                      sia dall’esistenza o meno di un dato diritto positivo (dunque, dalla volontà degli Stati).

I “diritti umani”, così, diverrebbero sinonimo di “diritti naturali”, concetto di origine ben più antica: furono i filosofi greci (Aristotele e gli stoici su tutti) ad affermare per primi l’esistenza di un “diritto naturale” come insieme di norme di comportamento la cui essenza l’uomo ricava dallo studio delle leggi naturali  (cd. “giusnaturalismo).

Immanuel Kant, nelle opere “Fondazione della metafisica dei costumi” (1785) e “Metafisica dei costumi” (1797), in un’ottica più razionalistica e moderna, individuò nella “dignità della persona” (o “dignitas”) il fondamento ultimo del riconoscimento universale dei diritti umani.

La dignità dell’uomo consisterebbe in un “valore intrinseco assoluto” che imporrebbe a tutti gli altri esseri umani il rispetto sia della propria persona che della persona altrui: “il rispetto che ho per gli altri -scrive Kant- è il riconoscimento della dignità che è negli altri”.

Il limite principale delle teorie giusnaturaliste, però, è:

1-                   in primo luogo, l’assoluta incontrovertibilità di ogni assunzione metafisica. Questa, infatti, presupporrebbero una definizione univoca almeno dei concetti di legge di natura, di natura umana e di dignità della persona, definizione ancor oggi problematica da realizzare a livello universale;

2-                   in secondo, il rischio di trasformare i diritti umani in una sorta di comandamenti di una “nuova religione laica”!

 NESSUN “FONDAMENTO ASSOLUTO” E’ POSSIBILE PER I DIRITTI DELL’UOMO!

 Date queste premesse, molti autori giungono a negare alcun fondamento “metafisico” (o “assoluto”) dei diritti dell’uomo!

Nell’opera “Una ragionevole apologia dei diritti umani” (Feltrinelli, Milano, 2003) Michael Ignatieff sostiene che i diritti umani non possono essere considerati come un’espressione normativa della natura umana: in un certo senso, anzi, sono contro natura!

La moralità umana e i diritti umani, infatti, rappresenterebbero un tentativo di correggere e contrastare le tendenze naturali che abbiamo scoperto in quanto esseri umani: “non c’è niente di sacro negli esseri umani -sostiene Ignatief-, niente a cui spetti di diritto venerazione o rispetto incondizionato”.

 

Secondo Norberto Bobbio i diritti dell’uomo nascono gradualmente in un contesto storico ben determinato, attraverso “lotte per la difesa di nuove libertà contro vecchi poteri”.

Definire certi diritti naturali, fondamentali, inalienabili o inviolabili significa, dunque, usare “formule del linguaggio persuasivo” che possono avere la funzione pratica di dare maggior forza retorica a un documento politico, ma che “non hanno nessun valore teorico”.

Ogni ricerca di fondamento assoluto, dunque, è infondata!

Come è possibile, del resto, trovare un fondamento assoluto in diritti:

Due diritti antinomici, infatti, non possano avere un fondamento assoluto: un diritto e il suo opposto non possono essere entrambi inconfutabili!

 

I diritti umani, inoltre, rappresentano una “classe variabile”, ovvero mutano nel tempo assieme alle condizioni storiche.

Diritti considerati assoluti nel passato (come la proprietà nella Dichiarazione francese del 1789) sono stati assai limitati dalle dichiarazioni contemporanee, a dimostrazione dell’inesistenza di diritti per loro natura “fondamentali”.

Allo stesso modo, nel futuro potrebbero essere ritenuti fondamentali diritti (come quello all’ambiente o alla vita animale) che tali oggi non sono!

Ciò, dunque, rende difficile rintracciare un “fondamento assoluto” in diritti storicamente “relativi”!

 IL “CONSENSO DEGLI STATI” UNICO FONDAMENTO DEI DIRITTI UMANI

Secondo autori come Bobbio o Ignitieff, in conclusione, l’unico fondamento possibile per i diritti umani è quello “storico” (e politico) del “consenso” tra i principali soggetti della Comunità internazionale, ossia gli Stati (manifestato attraverso la ratifica di trattati internazionali, nella specie sui diritti dell’uomo).

Sostiene Ignatieff: occorre “smettere di pensare che i diritti umani siano delle specie di briscole” al di sopra della politica oppure “il credo universale di una società globalizzata, o una religione secolare” e, piuttosto, bisognerebbe interrogarsi su ciò a cui servono tali diritti.

I diritti umani vanno ridotti a mere norme giuridiche: non devono essere considerati una religione bensì il tentativo di indicare i valori e i disvalori che tutti gli Stati dovrebbero assumere come criteri nella loro azione.

Riconoscere un fondamento “consensualistico” ai diritti umani, però, comporta inevitabilmente la rinuncia a ogni pretesa di “universalità” degli stessi (essendo il loro fondamento legato alle esigenze ed agli interessi degli Stati, per loro natura mutevoli).

Ed è questo l’aspetto più delicato e rivoluzionario, ma pragmatico e realistico, di questa prospettiva.

 “UNIVERSALITA’” DEI DIRITTI UMANI: COSTRUZIONE DI UN MITO…

 Il diritto internazionale, dalla Dudu in avanti, ha sempre ribadito il carattere “universale” dei diritti umani.

Questi diritti, dunque:

a-                   si rivolgerebbero all’intera Umanità (che dovrebbe beneficiare degli stessi);

b-                  e imporrebbero agli Stati precisi parametri di valutazione della legittimità internazionale della propria condotta (questi, nell’esercizio dei propri poteri sovrani, dovrebbero garantire la non ingerenza statale nell’esercizio individuale di tali diritti).

Ma ha davvero senso parlare di “universalità” dei diritti dell’uomo?

Quanto è “reale” (o, meglio, “possibile”) questa pretesa “universalità”?

Questi parametri di condotta per gli Stati, in altri termini, sono interpretati e applicati uniformemente in ogni parte del mondo?

 Profonde e radicate appaiono, piuttosto, le differenze nell’interpretazione e nell’attuazione dei diritti umani nel mondo.

 Da un punto di vista filosofico:

a-                   mentre l’Occidente è legato ad una concezione “giusnaturalistica” dei diritti umani, in base alla quale questi sono connaturati alla persona umana e prescindono dalle leggi statuali (ogni Stato è tenuto al loro rispetto e lo Stato che li viola può legittimamente essere contestato dai suoi cittadini);

b-                  i paesi di tradizione socialista (la Cina su tutti) sono legati a una concezione più “statalista” dei diritti dell’uomo, ritenuti esistenti solo nella misura in cui riconosciuti da leggi dello Stato (non preesistendo allo stesso, ogni Stato sarebbe sovrano sia nel definirli sia eventualmente nel limitarli o circoscriverli in ragione di interessi pubblici o superindividuali).

 Da un punto di vista politico:

a-                   mentre in Occidente si tende a privilegiare i diritti civili e politici, rivendicati originariamente come risposta allo strapotere dello Stato assoluto;

b-                   nei paesi in via di sviluppo si presta per evidenti ragioni maggiore attenzione ai diritti economici, sociali e culturali, ritenuti intrinsecamente primari rispetto a quelli civili e politici (il diritto a nutrirsi, al lavoro ed alla casa sono per loro natura prioritari rispetto al diritto al voto ed alle libertà personali).

 

Da un punto di vista religioso:

a-                   mentre nei paesi cristiani il rispetto della persona è un principio cardine dello Stato di diritto;

b-                  in molti paesi islamici (e tendenzialmente teocratici), invece, è il rispetto dei principi religiosi (della “sharia”) precondizione essenziale per il rispetto della persona. Solo un buon fedele musulmano, in pratica, può legittimamente vantare per sé tali diritti!

Ciò spiega perché nella “Dichiarazione del Cairo” (approvata dalla XIX Conferenza islamica dei ministri degli esteri) si afferma che il fondamento dei diritti umani va individuato nella religione islamica, alla luce della quale vanno interpretati i diritti umani.

 Tali differenti visioni dei diritti dell’uomo spingono a ritenere un “mito” parlare di “universalità” di tali diritti: l’universalità non si è affatto realizzata e, tutt’al più, può porsi come un possibile traguardo futuro!

La pretesa di “uniformare” universalmente le culture dei diritti umani, piuttosto, può nascondere in sé seri pericoli, quali il rischio di trasformare la difesa di tali diritti (ricordiamo, di matrice “occidentale” e “giusnaturalistica”):

a.                   in una forma di “imperialismo culturale” con cui ambire ad imporre nel mondo una sola cultura e morale (come in una sorta di “tirannia di una maggioranza etica”);

b.                   e in un pretesto utile finanche per giustificare il ricorso alla guerra (o, più in generale, all’uso della forza) come strumento di difesa dei diritti umani ovunque siano minacciati e di esportazione del modello di libertà e democrazia occidentale in ogni parte del mondo (sorvolando sul fatto che è la guerra in sé a rappresentare la più grande violazione della dignità umana!).

Il vizio originario della dottrina occidentale dei diritti umani, del resto, è che essa poggia le propria fondamenta ideologiche su una Carta, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, tutt’altro che espressione di valori “universali”, bensì palesemente messaggera di una visione etica e culturale prettamente occidentale.

I diritti sanciti nella Dudu, difatti, hanno un’indiscussa matrice cristiana e illuministica, trovando in S. Paolo e in alcuni filosofi europei gli immaginari precursori ideali.

La Dichiarazione del ’48 rappresenta, anzi, proprio il prodotto dell’“individualismo liberale” (solo in parte mitigato da qualche influenza sovietica), non a caso frutto del lavoro di un Comitato incaricato di redigere il testo della Carta composto prevalentemente da rappresentanti di paesi occidentali (molti stati del mondo, così, non essendo ancora nemmeno stati costituiti all’epoca, non hanno partecipato a tali lavori).

Per questo il professore Andrea Rigon arrivò a definire i diritti umani sanciti nella Dudu “un regalo della cristianità e della razionalità illuminista al mondo”!

La Dudu, in conclusione, non rappresenta valori comuni mondiali bensì costituisce “una dichiarazione monista che si auto-eleva a legge universale, sebbene sia l’espressione di una limitata parte dell’umanità”, concluse Rigon.

Come può, dunque, rappresentare un “ethos globale” una Carta, più che rispettosa della pluralità di culture e dei popoli, sorta da un compromesso raggiunto tra poche potenze mondiali (Stati Uniti, Europa e Urss)?

 L’ “UNIVERSALISMO MINIMALISTA” UNICA ALTERNATIVA ALL’UNIVERSALITA’ ASSOLUTA DEI DIRITTI UMANI

Una ragionevole alternativa sia all’universalità assoluta dei diritti umani sia al contrapposto “relativismo etico globale” appare la teoria dell’“universalismo minimalista”, prospettata da Michael Ignatieff (direttore del “Carr Center of Human Rights Policy” di Harvard).

Di fronte ad una Comunità internazionale irrimediabilmente divisa sul terreno dei diritti umani (incapace di fornire una definizione universalmente condivisa dei diritti umani), Ignatieff propone la rinuncia ad ogni pretesa universalistica in nome della ricerca comune di un “consenso politico minimo” intorno ad alcuni diritti umani essenziali più universalmente possibile condivisibili.

Lo studioso americano suggerisce di superare l’empasse attuale ricercando alcuni minimi ed essenziali punti di convergenza della Comunità internazionali nel rispetto delle specificità storico-culturali dei vari Paesi.

Ridotti “all’essenza”, infatti, i diritti dell’uomo cesserebbero di rappresentare presso le culture diverse dalla nostra un’intrusione “neoimperialista”: un’imposizione dello stile di vita, dei valori e della visione del mondo tipicamente occidentale.

I diritti umani assumerebbero un carattere meno “imperiale” se diventassero più “politici”, se fossero percepiti non come un linguaggio per proclamare “verità assolute” bensì come uno strumento per la soluzione dei conflitti e la tutela degli individui dagli abusi di potere.

Questo “nucleo ristretto” di principi e precetti minimi individuati dagli Stati, risulterebbe universalmente condiviso se al contempo:

a-         compatibile con un’ampia varietà di modi di vivere e di pensare (col “pluralismo” cui abbiamo fatto cenno);

b-         senza, al contempo, rinunciare a apprestare una tutela ai fondamenti essenziali della dignità umana ovunque nel mondo.

Più concretamente, risponderebbero a questi requisiti solo quei diritti che si limitassero a definire “libertà da” (ovvero “libertà negative”, a protezione della capacità d’azione dell’individuo) senza indicare “libertà di” (ovvero “libertà positive”).

Filtrare la “quintessenza occidentale” della teoria dei diritti dell’uomo può rappresentare l’unico compromesso possibile per superare le divisioni tra le diverse Civiltà senza per questo giungere ad alcuno “scontro di Civiltà”!

Lo sforzo apprezzabile dell’universalismo minimalista è quello di tentare di conciliare:

a.                   l’universalità dei diritti umani;

b.                   con l’ineliminabile “pluralismo culturale e morale” che contraddistingue la Comunità internazionale.

Ignatieff, infatti, non abbandona affatto la prospettiva universalistica, indicata però solo come un traguardo possibile.

Quali sarebbero questi “valori universalmente condivisi”?

Tale nucleo essenziale dei diritti umani potrebbe pacificamente farsi coincidere con le più gravi violazioni dei diritti dell’uomo, su cui ampio e unanime è la condanna internazionale, quali:

1-                   il genocidio;

2-                   la discriminazione razziale (in specie, l’apartheid);

3-                   la tortura e i trattamenti inumani o degradanti;

4-                   e il mancato riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione.

Intorno a questi valori sarebbe possibile formare un accordo tendenzialmente tra tutti gli stati del mondo.

Nulla impedirebbe, inoltre, la maturazione nel tempo (a cui possono contribuire, al contempo, processi sia di “regionalizzazione” che di “settorializzazione” dei diritti umani) di una convergenza sul riconoscimento su scala universale di un nucleo sempre più ampio di diritti, quali quello alla vita, all’alimentazione, all’accesso all’acqua, alla protezione sanitaria, alla sicurezza, alla libertà di manifestazione del pensiero o alla partecipazione dei cittadini alle scelte dei propri governi tramite libere elezioni…

Da tali premesse, il filosofo Alessandro Ferrara è arrivato a proporre una Seconda Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la quale risponda pienamente alla funzione di identificare quei pochissimi diritti “genuinamente fondamentali”, formulati in un “linguaggio neutrale” rispettoso delle diversità culturali tra i popoli.

Un traguardo forse ancora troppo prematuro e ambizioso per essere perseguito, ma verso il quale -c’è da scommettere- la Comunità internazionale prima o poi dovrà rivolgersi…

 

Gaspare Serra

(Università degli Studi di Palermo - Giurisprudenza):

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In e-mail il 21 Aprile 2010 dc:

Il 25 aprile e la Costituzione tradita

In prossimità del 25 aprile mi piacerebbe sollecitare un’ampia riflessione prendendo spunto dal tema della Costituzione, visto che il momento attuale ci consegna un quadro politico di segno neoconsociativo e un clima di feroce ostilità e di seria minaccia per la democrazia italica, da sempre fragile e mutilata, sancita solo sulla Carta Costituzionale.

Personalmente sono convinto che la Costituzione del 1948 non abbia bisogno di lifting o rifacimenti, non debba essere aggiornata o revisionata, e tantomeno abolita, come insinuano i suoi detrattori, ma deve essere semplicemente e finalmente applicata. Solo concretizzando i dettami costituzionali sarà possibile far rinascere il Paese, sarà possibile promuovere un’effettiva emancipazione in senso espansivo e progressista della società in cui viviamo, liberando le straordinarie potenzialità civili e culturali, etiche e spirituali in essa presenti, ma anche le forze produttive imprigionate ed umiliate nell’attuale fase storica di regressione e di imbarbarimento politico, morale e culturale.

Tuttavia, se devo essere sincero, sono piuttosto perplesso e pessimista. In primo luogo perché temo che la nostra bellissima Costituzione sia in qualche misura eversiva e inapplicabile nell’attuale ordinamento economico, politico e sociale, segnato da profonde e insanabili contraddizioni, che si possono eliminare solo abbattendo e superando il sistema capitalistico che le ha generate e che contribuisce a perpetuarle.

In secondo luogo, con il quadro parlamentare e governativo uscito rafforzato dalle recenti elezioni regionali, francamente non riesco a far finta di nulla e non posso non nutrire seri dubbi sulle effettive possibilità di applicare finalmente il dettato costituzionale. Invece, mi pare più facile immaginare e prevedere un’iniziativa per stravolgere il testo costituzionale mediante una sorta di “grande inciucio”, ossia un’ampia intesa parlamentare di stampo neoconsociativo sul tema delle cosiddette “riforme costituzionali” (ma sarebbe più corretto definirle “controriforme”), tanto attese e invocate non solo dalla coalizione di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi.

Occorre ricordare la matrice sovversiva e criminale della banda filo-berlusconiana giunta stabilmente al governo, che sta sfasciando le istituzioni, i diritti e le garanzie costituzionali. Il pericolo costituito dal nuovo fascismo, dalle forze che governano l'Italia, è persino più grave del passato, considerando il mix di populismo, razzismo e affarismo sfrenato che ispira il blocco politico e sociale che fa capo al bandito di Arcore.

Dunque, in Italia incombe una vera emergenza democratica. Persino in Parlamento è stata eliminata ogni forma di dissenso e libera opposizione. Tranne forse Di Pietro, resta in campo la finta ed evanescente "opposizione" di D’Alema, Bersani e soci, dietro cui si annida una pratica neoconsociativa. Suggerirei di riflettere su quanto scriveva Antonio Gramsci a proposito del “sovversivismo delle classi dirigenti”. Inoltre, 35 anni fa Pasolini aveva preconizzato l'avvento di un nuovo fascismo, a condizione che questo si auto-proclami “democratico” e si ripari sotto le mentite spoglie dell’"antifascismo". Mi pare che ciò rispecchi esattamente il quadro storico in cui si è compiuta la “metamorfosi” della destra neofascista (ex MSI) per accedere al governo del Paese, sdoganata e traghettata verso il PDL dal populismo berlusconiano. Ma la citazione di Pasolini si adatta anche per inquadrare la “metamorfosi” degli eredi del PCI, in primo luogo il PD.

Il sottoscritto si schiera tra quanti sono convinti che non esista alcuna differenza tra PD e PDL, eccetto la "L" in  più nella sigla del partito di plastica di Berlusconi. Per il resto conviene stendere un velo pietoso. Non a caso fu coniata la formula "Veltrusconismo" per designare la funzionalità di entrambi (PD e PDL) ad un progetto neogolpista attuato in forme apparentemente soffici e indolori, un disegno di stabilizzazione neocentrista e neoconservatrice che fa capo ai due soggetti "protagonisti e antagonisti" della scena politica nazionale, destinati a governare insieme la fase della “Terza Repubblica”.

Tuttavia, al di là di queste note pessimistiche, faccio prevalere ciò che Gramsci definiva “l’ottimismo della volontà”. Per cui, non solo in veste di cittadino, ma altresì di insegnante, sono interessato a trasmettere alle nuove generazioni i valori ideali insiti nella Costituzione, di cui bisogna far conoscere ed apprezzare la bellezza poetica. Non a caso, alla stesura del testo costituzionale parteciparono le migliori menti politiche e letterarie dell’epoca: su tutti cito la straordinaria figura di Piero Calamandrei.

La Costituzione è la madre della democrazia italiana, indubbiamente scalcagnata e malandata per varie ragioni storiche e politiche. La Costituzione ne incarna idealmente il ricco patrimonio valoriale, perciò leggerla è il miglior modo per festeggiarla e proporla ai giovani, ed è forse il miglior modo per educare ed ispirare le nuove generazioni.

Pertanto, approfitto per denunciare una grave mistificazione ideologica che si perpetua da anni nel nostro sciagurato Paese. Quella di occultare le origini della democrazia italiana, benché istituita solo sulla carta. E' opportuno ricordare che la Costituzione del 1948 (e, con essa, la democrazia, sebbene solo formale) affonda le sue radici storiche e ideali nella Resistenza contro l’occupazione nazi-fascista imposta durante la seconda guerra mondiale. Dalle ceneri della monarchia sabauda e della dittatura fascista di Mussolini è nata la Costituzione ed è risorta la civiltà democratica del popolo italiano.

Il 25 aprile è senza dubbio una festa partigiana, cioè di parte, e non può essere diversamente. Pretendere che il 25 aprile diventi una "festa di tutti", una sorta di ricorrenza “neutrale”, equivale a snaturare e azzerare il valore simbolico e politico di quella che è la Festa per antonomasia della Resistenza partigiana e antifascista. Infatti, il 25 aprile si festeggia, ovvero si dovrebbe rievocare e, in qualche misura, rinnovare la vittoria della Resistenza popolare partigiana contro l'invasione nazista e contro i fascisti che flagellarono l’Italia per un tragico ventennio, conducendo il Paese verso la rovina, costringendo il nostro popolo alla catastrofe della seconda guerra mondiale, in cui intere generazioni di giovani proletari furono sfruttati come carne da macello per arricchire e ingrassare una ristretta minoranza di affaristi, speculatori e guerrafondai senza scrupoli.

Da quella Liberazione nacque la Costituzione del 1948, scritta non tanto con la penna, quanto con il sangue di tante donne e uomini che sacrificarono la propria vita per la libertà delle generazioni successive: donne e uomini chiamati "partigiani" proprio perché schierati e militanti da una parte precisa, contro il fascismo, l'imperialismo e la guerra.

Il carattere apertamente antifascista e partigiano, egualitario, democratico e pluralista, pacifista e internazionalista della Costituzione, la rende un testo all’avanguardia, addirittura rivoluzionario sul piano internazionale, ma è anche il motivo principale per cui essa è invisa, temuta e osteggiata nei settori più oltranzisti e reazionari della società italiana, ed è la medesima ragione per cui essa è negata e disattesa nella realtà concreta. E’ superfluo elencare gli articoli della Costituzione reiteratamente violati e traditi, a cominciare dall’art. 11, in cui emerge lo spirito pacifista e internazionalista della Costituzione del 1948: “l’Italia ripudia la guerra (…)”, è l’incipit dell'articolo.

Questa è una preziosa lezione della storia che oggi, in tempi bui, dominati dall'indifferenza, dal fatalismo, dall'apatia e antipatia politica, si tenta di mettere in discussione e addirittura negare alle giovani generazioni. Questo "fatalismo", assai diffuso tra la gente, è il peggior nemico della gente stessa, in quanto induce a pensare che nulla possa cambiare e tutto sia già deciso da una sorta di destino superiore, una forza trascendente contro cui i miserabili sarebbero impotenti, ma così non è.

In materia di fatalismo, indifferenza e apatia politica, non si può non citare un famoso pezzo giovanile di Antonio Gramsci, "Odio gli indifferenti", in cui il grande comunista sardo scriveva che vivere vuol dire "Essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia (...) Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti". Questo è il miglior messaggio che si possa trasmettere ai giovani, una sorta di inno che esprime in forma lirica e nel contempo in modo inequivocabile, l'amore per la vita e la libertà, tradotte in termini di partecipazione attiva alle decisioni che riguardano il destino della collettività umana.

Sempre in tema di assenteismo e non partecipazione alla vita politica, rammento un celebre brano di Bertolt Brecht: "Il peggior analfabeta è l'analfabeta politico". Non c'è nulla di più vero e più saggio. Brecht sostiene che l'analfabeta politico "non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell'affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L'analfabeta politico è talmente asino che si inorgoglisce, petto in fuori, nel dire che odia la politica. Non sa, l'imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, leccapiedi delle imprese nazionali e multinazionali.". Ed io vorrei aggiungere: "delle imprese locali".

Nella circostanza odierna mi preme rilanciare l’idea della Politica in quanto espressione della volontà popolare e della libera creatività dell’animo umano, che si concretizza nel confronto interpersonale, nella pacifica convivenza e nella dialettica democratica e pluralista tra persone libere ed uguali, ovviamente diverse sul versante spirituale e culturale. Inoltre, la Politica dovrebbe essere un mezzo di aggregazione e partecipazione sociale, uno strumento diretto e corale per intervenire concretamente sui processi decisionali che investono l’intera comunità, una modalità di socializzazione tra gli individui, la più elevata e raffinata forma di socialità umana. Del resto, l’antica etimologia del termine, dal greco “Polis” (città), indica il senso della più nobile attività dell’uomo, denota la somma manifestazione delle potenzialità e delle prerogative attitudinali dell’essere umano in quanto “animale politico”. Tale capacità dell’uomo si estrinseca nella Politica come organizzazione dell'autogoverno della Città.

Il senso originario della Politica si è svuotato ed è degenerato nella più ignobile “professione”, nell’esercizio del potere fine a se stesso, riservato agli “addetti ai lavori”, ai carrieristi e affaristi della politica. Quella che un tempo era una “nobile arte”, la suprema occupazione dell’uomo, oggi è percepita e praticata come mezzo per impadronirsi della città e delle sue risorse territoriali, una squallida carriera per mettere le proprie luride mani sulle ricchezze del bilancio economico comunale. Un bene che, invece, dovrebbe appartenere a tutti ed essere gestito dalla comunità dei cittadini.

La nuova Resistenza è l'opposizione a questo stato di cose, è la rivolta contro una visione e una pratica del potere come appannaggio di un’esigua minoranza di privilegiati, ossia i padroni del Palazzo. Tale situazione va respinta e combattuta con fermezza, perché il soggetto che si organizza in comitato o partito politico, convenzionalmente definito “ceto politico dirigente”, non appena conquista il privilegio derivante dal potere esclusivo sulla Città, si disinteressa del bene comune per occuparsi dei loschi affari della casta, o dei singoli individui. Questo stato di corruzione della politica, che non coincide con un’esperienza di autogoverno dei cittadini, ma risponde agli interessi egoistici e corporativi di una cerchia elitaria e circoscritta, è la causa principale che genera un sentimento di indifferenza e disaffezione dei cittadini verso la politica, cioè il governo della Polis, in quanto rappresentativo degli interessi privati di pochi affaristi, nella misura in cui tali vicende sono recepite come estranee agli interessi della gente.

Pertanto, occorre rilanciare l’idea dell’autogestione e dell’autogoverno dei cittadini, sperimentando nelle comunità locali l’idea della politica come rifiuto radicale del potere scisso dalla collettività, come partecipazione diretta della popolazione ai processi decisionali, ai canali di controllo e gestione del bilancio economico comunale.

L’utopia della democrazia diretta non è solo possibile e praticabile localmente, ma è necessaria di fronte all’avvento di un fenomeno autoritario globale che minaccia quel poco di sovranità democratica vigente in alcuni Stati nazionali. I quali sono soppiantati da organismi economici sovranazionali che dirigono le dinamiche dell’economia e dei suoi assetti bancari e finanziari. Questo fenomeno di globo-colonizzazione ha favorito l’ascesa dei gruppi finanziari più forti e delle corporation multinazionali, con danni irreparabili per i diritti civili e sindacali, le libertà democratiche, i redditi dei lavoratori del sistema produttivo, la cui condizione si fa sempre più precaria e ricattabile.

Lucio Garofalo


Da Youtube  http://www.youtube.com/ , ed in particolare dal canale video di Democrazia Atea http://www.youtube.com/user/democraziaatea , il comunicato del segretario nazionale Chiara Corsetti sul dl salvaliste (9 Marzo 2010 dc).

 

Golpe fallito

 

 

 

Il testo del comunicato allegato al video:

TUTTI A ROMA IN PIAZZA DEL POPOLO SABATO 13 MARZO

 ORE 13

Roma - Democrazia Atea non resterà a guardare: sabato 13 marzo 2010 alle ore 13 saremo a Roma in Piazza del Popolo per protestare contro il Governo e far sentire la nostra voce contro chi ha voluto mortificare la Democrazia e la Costituzione con arroganza e prepotenza. Ci rivolgiamo agli elettori: non votate Formigoni o Polverini perché sarà come sedersi al tavolo da gioco con chi bara! Hanno calpestato le regole e calpesteranno anche tutti noi! Democrazia Atea www.democrazia-atea.it sarà in piazza per ricordare che 'art.72 della Costituzione impedisce che si possano modificare le regole elettorali con decreto del Governo e invita tutti i cittadini a partecipare. Il decreto salvaliste è incostituzionale e i giudici del TAR ci hanno restituito la dignità delle regole democratiche e la libertà. Il Parlamento italiano è in stallo, impotente. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non è stato garante della Costituzione ma ha favorito la destra. Ricordiamo che le leggi razziali non le firmò Benito Mussolini ma Vittorio Emanuele III. Democrazia Atea esprime il proprio forte dissenso e si attiverà affinché questa drammatica pagina di storia italiana non si trasformi in una dittatura senza ritorno. Considerato 'attuale gravissimo stato di censura e di manipolazione delle informazioni si invita alla pubblicazione dell'evento sul web, ma soprattutto si invita a partecipare numerosi alla manifestazione di protesta


Dal sito http://espresso.repubblica.it/dettaglio/sondaggio-autogol/2122253 4 Marzo 2010 dc:

Il sondaggio-autogol del sito berlusconiano

Non inizia benissimo la battaglia dei berlusconiani per far scendere "il popolo in piazza" contro i pasticci nelle liste delle regionali. Dopo la tragicomica "maratona" in piazza Farnese della Polverini, adesso è il momento del sito "Club della libertà" a fare una pessima figura.

Ieri infatti il sito del Pdl ha messo on line un sondaggio per mostrare come il popolo azzurro sia pronto a mobilitarsi: e già il modo in cui veniva posta la domanda era ridicolmente tendenzionsa: «Trovi giusto impedire agli elettori del centrodestra di votare i loro candidati per formalità burocratiche?».

Ciononostante, fin dalle prime ore del pomeriggio è apparso chiaro che i risultati non erano quelli sperati dai webmaster berlusconianI: i "sì" infatti si sono subito piazzati oltre il 97 per cento, mentre i "no" viaggiano attorno al due.

In Rete si è subito scatenata la caccia allo screenshot, cioé allo scatto automatico di quanto appariva sul monitor, nel timore che i risultati subissero robuste modifiche per un intervento dei webmaster. Infatti, nel primo pomeriggio del 4 marzo - dopo una brusca impennata dal 2 al 14 per cento dei "no", il sondaggio è stato improvvisamente chiuso e tutti i commenti (erano svariate centinaia) sono stati cancellati.

 

(clicca sul link in alto per l'articolo originale e per vedere l'immagina ingrandita)

 


Da Youtube  http://www.youtube.com/  uno dei video di Marco Travaglio, periodicamente ospitati anche dal sito di Beppe Grillo www.beppegrillo.it , dell'1 Marzo 2010 dc, preambolo e presentazione del nuovo libro

 Ad personam


Dal blog http://www.democrazia-atea.it/ , 16 Febbraio 2010 dc:

 

Comunicato Stampa – da pubblicare e diffondere

Carla Corsetti: Nella scuola di mio figlio non deve esserci

il crocifisso

Frosinone (Ceprano) – «La sottoscritta genitrice/difensore inoltrava al Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Ceprano l’invito alla immediata rimozione del crocifisso nell’aula frequentata dal proprio figlio, sostenendo che: la predetta affissione è in violazione dei principi di laicità sanciti dalla Costituzione ed inoltre che l’esposizione di un simbolo di morte non è compatibile con i principi di civiltà democratica cui intendo educare mio figlio».

  È quanto si legge nel ricorso che l’avvocato Carla Corsetti ha notificato a Mariastella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e al Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Statale di Ceprano. “Il TAR del Lazio, Sezione Distaccata di Latina” commenta Corsetti “dovrà decidere se l’Istituto Comprensivo di Ceprano ha posto in essere o meno un grave atto discriminatorio contro il minore in violazione dei principi costituzionali, in violazione dei principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e infine in violazione della sentenza della Corte Europea del 3.11.2009. Stiamo anche valutando la responsabilità del Dirigente e dei componenti del Consiglio di Istituto per la violazione dell’art.3 della Legge 654/1975 che punisce con la reclusione sino a tre anni chi commette atti di discriminazione per motivi religiosi. Vorrei ricordare” aggiunge l’avv. Corsetti “che la Corte di Cassazione ha assolto il giudice Luigi Tosti in relazione all’accusa di omissione di atti d’ufficio per essersi rifiutato di tenere udienza nelle aule in cui il crocifisso era esposto, e in quella sentenza la Corte ha premesso che l’udienza si era svolta in un’aula priva del simbolo confessionale”. La battaglia di laicità intrapresa dall’avv. Carla Corsetti è rilevante sotto molteplici aspetti perché Corsetti, oltre ad essere avvocato e madre del minore discriminato, è  il Segretario Nazionale del partito Democrazia Atea www.democrazia-atea.it . In attesa che la Grande Camera deliberi sul ricorso promosso dal Governo italiano contro la sentenza che dava ragione ai coniugi Albertin-Lautsi, l’avv. Corsetti aggiunge un altro tassello a questa importante battaglia di civiltà: “Se è vero che per i cattolici il crocifisso è simbolo di tolleranza, lo dimostrino e accettino di viverlo nel privato senza imporlo con prevaricazione a chi non condivide la stessa simbologia”. Il documento del ricorso di Carla Corsetti è pubblicato sul sito di Democrazia Atea ed è a disposizione di tutte quelle famiglie costrette a subire la stessa violazione.

 

Richiedi il word del Ricorso di Carla Corsetti

per la rimozione del crocifisso nella scuola.

 

Richiedi i PDF del Programma Politico e il Volantino di Democrazia Atea.

Partecipa alla campagna di tesseramento:

www.democrazia-atea.it

 

Vedi e ascolta le interviste a Carla Corsetti

Segretario Nazionale di Democrazia Atea, sul Canale video:

www.youtube.com/user/democraziaatea

 

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Per informazioni tel. 3393188116

Fonte: Democrazia Atea www.democrazia-atea.it

 

 

Si invita alla massima pubblicazione e diffusione

 


In e-mail il 14 Febbraio 2010 dc:

Lavorare meno per lavorare tutti e vivere

meglio

 

Mi capita a volte di pensare a un paradosso universale, in quanto colpisce direttamente l’intera compagine umana. Mi riferisco ad un’assurda e insanabile contraddizione tra il crescente progresso tecnologico e scientifico avvenuto soprattutto negli ultimi decenni, che permetterebbe all’intero genere umano di vivere in condizioni decisamente migliori, e la realtà concreta che denota un sensibile peggioramento dello stato in cui versa gran parte dell’umanità, in particolare i produttori, cioè le classi lavoratrici salariate. Questa assurda incongruenza opprime anche i lavoratori che vivono nel mondo occidentale.

Ebbene, grazie alle più recenti e avanzate conquiste ottenute nel campo tecnico e scientifico, la nobile ed antica “utopia” dell’emancipazione dell’umanità dal bisogno di lavorare, inteso come prestazione di tempo alienato e mercificato, cioè sottoposto a condizioni di servitù e sfruttamento economico, è virtualmente realizzabile oggi di ieri.

Ciò significa che tale ipotesi sarebbe oggettivamente possibile e necessaria, ma nel contempo è impraticabile nel quadro dei rapporti giuridici ed economici vigenti, imperniati su leggi e strutture classiste insite nel modo di produzione capitalistico, che non a caso attraversa un periodo di grave crisi ideologica e sistemica di portata globale.

Pertanto, l’idea dell’affrancamento dell’umanità dallo sfruttamento e dall’alienazione che si verificano durante il tempo di lavoro, potrebbe dirsi prossima alla sua attuazione. Tuttavia, una simile meta non si potrebbe conseguire senza una rottura rivoluzionaria compiuta a livello planetario nel quadro del dominio capitalistico tuttora vigente. Mi riferisco esplicitamente all’abolizione della proprietà privata dei grandi mezzi della produzione economica, che controlla e detiene l’alta borghesia industriale e finanziaria.

Così come gli antichi greci si occupavano liberamente e amabilmente di politica, filosofia, poesia e belle arti, godendo dei piaceri concessi dalla vita, essendo esonerati dal lavoro manuale svolto dagli schiavi, parimenti gli uomini e le donne del mondo odierno potrebbero dedicarsi alle piacevoli attività del corpo e dello spirito, affrancandosi finalmente dal tempo di lavoro assegnato alle macchine e condotto grazie ai processi di automazione ed informatizzazione della produzione dei beni di consumo.

Questo traguardo rivoluzionario è già raggiungibile, almeno in teoria, grazie alle enormi potenzialità “emancipatrici” ed “eversive” fornite dallo sviluppo della scienza e della tecnica soprattutto nel campo della robotica, della cibernetica e dell’informatica.

Lucio Garofalo


In e-mail il 12 Febbraio 2010 dc:

Gettiti e parole...

Tagliare le tasse? A chi e perché?

 Un Paese di "tartassati" ed "evasori

Non esistendo sistemi fiscali “perfetti” (un po’ come le leggi elettorali), un sistema fiscale, generalmente, può essere:

-                      più “efficace” che giusto

-                      o più “giusto” che efficace.

Il dramma del nostro sistema fiscale, invece, è che esso non è:

a-                   né efficace (stante l’enorme “buco nero” dell’evasione fiscale che ha consentito crescere negli anni)

b-                  né giusto (stante la grave discriminazione dei lavoratori dipendenti e dei pensionati rispetto ai lavoratori autonomi: i primi tartassati con pesanti prelievi alla fonte, i secondi liberi di auto-denunciare a piacimento il proprio reddito!).

 

Segno evidente del marcato “disequilibrio” del nostro sistema fiscale è che:

a-                   mentre sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati grava gran parte del “carico fiscale” pendente sugli Italiani (da soli, queste categorie garantiscono ben l’“82%” dell’intero gettito Irpef!)

b-                  i lavoratori autonomi sono in grado di difendersi dall’elevata pressione fiscale:

-                     “evadendo” le tasse (essendo il loro “reddito effettivo” difficilmente accertabile)

-                     “eludendo” le imposte (ad esempio, scaricando l’Iva anche su beni ad uso personale)

-                     e “dividendo le fonti di reddito” tra i componenti della famiglia (di modo che, pur a parità di reddito complessivo, il livello di reddito di ogni componente familiare si mantenga più basso di quello effettivo e rientri in scaglioni Irpef inferiori!).

  

IL “TAX FREEDOM DAY”

 

Del taglio delle tasse si discute oramai da anni, per lo meno dal 1994 (con lo slogan “meno tasse per tutti” è avvenuta la scesa in campo di Silvio Berlusconi).

Salve qualche intervento settoriale e sporadico (come la cancellazione dell’ICI sulla prima casa), però, di risultati concreti non se n’è visto l’ombra!

L’imposizione fiscale in Italia continua ad essere tra le più alte d’Europa (se non del mondo!).

In Italia quest’anno il “tax freedom day” (ossia il giorno dell’anno a partire dal quale i lavoratori, al netto delle tasse dovute allo Stato, iniziano a guadagnare fino alla fine dell’anno solo per se stessi) si è ulteriormente spostato in avanti: dal 22 al 23 giugno!

Ogni contribuente italiano, in pratica, nel corso del 2010 dovrà devolvere all’erario un’equivalente in media pari a tutto ciò che intascherà col suo lavoro dall’1 gennaio fino al 23 giugno!

 

Un esempio di quanto il fisco sia vorace?

Nella dichiarazione dei redditi quando si raggiunge la soglia dei 28.000 euro scatta automaticamente l’aliquota del 38%: ciò vuol dire che una famiglia media italiana (con un reddito poco superiore ai 2.000 euro mensili, oggigiorno appena sufficiente per vivere se si è in affitto, si ha un mutuo da pagare o si hanno più figli a carico) deve restituire quasi il 40% del proprio reddito allo Stato!

Per fare qualche utile comparazione:

-                      in Francia un contribuente dichiarante 55 mila euro di reddito paga solo “3 mila euro” di tasse sul reddito (mentre in Italia lo stesso sarebbe tenuto a pagare ben “16 mila euro”!)

-                      mentre in Germania i redditi fino a 52 mila euro scontano un’aliquota del solo “15%”, contro un’aliquota del 42% per i redditi superiori (in Italia, invece, entro lo stesso livello di reddito l’aliquota Irpef varia dal 23 fino al “38%”!).

 

 

BERLUSCONI (LA PROMESSA): “DUE SOLE ALIQUOTE IRPEF PER GLI ITALIANI!”

 

Riforma fiscale? Si parta dalla riduzione a due delle aliquote Irpef!”.

Questo il progetto al quale starebbe lavorando il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

La novità principale altro non è che la riedizione (per la terza volta) della proposta con cui lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si era presentato agli elettori già 15 anni fa: la riduzione delle aliquote Irpef a due sole (del 23% per i redditi inferiori a 100 mila euro e del 33% per i redditi superiori).

 

 

IL SISTEMA DELL’IRPEF VIGENTE IN ITALIA:

 

In Italia l’Irpef (l’imposta sul reddito delle persone fisiche) si articola:

-                      in “cinque scaglioni” di reddito

-                      ad ognuno dei quali corrisponde una propria “aliquota imponibile” (progressiva all’aumentare del reddito).

Più in dettaglio:

I-                    per i redditi compresi tra 0 e 15 mila euro l’aliquota Irpef è pari al 23%

II-                  per quelli tra 15 e 28 mila euro al 27%

III-                per quelli tra 28 a 55 mila euro al 38%

IV-                per quelli tra 55 a 75 mila euro al 41%

V-                  e per quelli oltre i 75 mila euro al 43%.

Sui redditi più bassi, inoltre, grazie ad un complesso sistema di “deduzioni” dal reddito e di “detrazioni” dall’imposta, l’incidenza effettiva media dell’Irpef risulta pari:

-                      per i redditi fino a 8 mila euro, all’1,6%

-                      e per quelli compresi tra 8 e 15 mila euro, al 9%.

 

Che l’Irpef rappresenti l’“imposta perno” del nostro sistema fiscale, infine, lo dimostra il suo enorme gettito, pari:

-                      a 163,4 miliardi di euro (contro i soli 43 dell’Ires e 38 dell’Irap)

-                      ad oltre i 2/3 dell’intero gettito delle imposte dirette

-                      e a ben 1/3 delle intere entrate tributarie dello Stato (pari a 471 miliardi di euro).

 

COSA CAMBIEREBBE CON LA RIFORMA DELL’IRPEF ANNUNCIATA?

Se la riforma prospettata dal Premier entrasse in vigore, il sistema dell’Irpef si articolerebbe in due soli scaglioni di reddito con aliquote fiscali notevolmente ridotte rispetto alle attuali:

I-                    per i redditi tra 0 e 100 mila euro l’aliquota risulterebbe del 23%

II-                  mentre per i redditi oltre i 100 mila euro si ridurrebbe a solo il 33%!

 

 

CHI BENEFICEREBBE DELLA RIFORMA?

 

Un simile disegno riformatore risulterebbe premiante soprattutto per i ceti sociali più alti.

Più in dettaglio:

-                      per le fasce sociali basse (dichiaranti fino a 15 mila euro) il beneficio fiscale sarebbe “nullo”: in sostanza, i soggetti più deboli (come pensionati e lavoratori percepenti meno di 1.000 euro al mese) non riceverebbero “1 solo euro” di riduzione fiscale!

-                      per le fasce sociali medio-basse (dichiaranti dai 15 ai 28 mila euro) cambierebbe ben poco, beneficiando di una minima riduzione dell’aliquota (dal 27% al 23%)

-                      per le fasce sociali medio-alte (dichiaranti dai 28 ai 75 mila euro) lo “sconto fiscale” risulterebbe già “sostanziale” (beneficiando di una riduzione dell’aliquota dal 38% al 23%)

-                      mentre le fasce sociali alte (ossia dichiaranti oltre i 75 mila euro) risulterebbero paradossalmente essere quelle in assoluto più premiate, beneficiando di una riduzione dell’aliquota dal 43% al 33% (di 10 punti percentuali netti!).

 

Secondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre (“Associazione artigiani e piccole imprese”):

-                      a fronte di una riduzione del carico fiscale di “520 euro” annui per una coppia con un figlio a carico e con un reddito di 21.500 euro       ciascuno

-                      coloro che intascano più di 40 mila euro vedrebbero ridurre il loro carico fiscale di “2.320 euro”

-                      mentre coloro dichiarati oltre 100 mila euro disporrebbero di ben “14.170 euro” di sconto fiscale!

 

ECCO PERCHE’ L’ANNUNCIATA RIFORMA DELL’IRPEF RISULTEREBBE “CLASSISTA”, “INIQUA”, “INSOSTENIBILE” E “POPULISTA”!

 

I-UNA RIFORMA “CLASSISTA”!

A seguito dell’approvazione di una riforma del genere, a regime:

-                      mentre chi dichiarerà 100 mila euro di reddito annuo beneficerà di ben “14 mila euro” di sconto fiscale

-                      la maggioranza dei pensionati e dei lavoratori (dichiaranti non più di 15 mila euro) non beneficerà di “1 solo euro” di taglio dell’Irpef!

A dimostrazione del fatto che in pochi (anzi “pochissimi”) beneficerebbero della riforma in oggetto basti considerare il fatto che:

-                      mentre il 50,9% dei contribuenti (oltre 21 milioni) dichiara meno di 28 mila euro annui

-                      e il 93,2% dei contribuenti dichiara meno di 40 mila euro

-                      solo il 6, 8% dichiarano più di 40 mila euro

-                      solo l’1% (pari a 400 mila contribuenti) dichiarano più di 100 mila euro (contribuendo solo per il 17% all’intero ammontare del gettito Irpef)

-                      e solo lo 0,5% (pari a 150 mila contribuenti) dichiarano oltre 150 mila euro!

Questi dati, da soli, evidenziano il carattere “classista” di una riforma che sarebbe soltanto un’“offesa alla dignità” di chi lavora ed un “regalo” inatteso per grossi professionisti, ricchi ereditieri e speculatori economico-finanziari!

Qual è, dunque, l’“interesse generale” che giustifica una riforma “costosissima” ed a beneficio di una minoranza “risicatissima”???

 

II- UNA RIFORMA “INIQUA”!

Secondo l’art. 53 co.2 della Costituzione “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Progressività dell’imposizione fiscale significa che:

a-                  chi guadagna di più, per un principio di “equità sociale”, deve pagare più tasse (non in proporzione ma “in progressione” al proprio reddito)

b-                  mentre chi guadagna di meno è tenuto a contribuire di meno alla finanza pubblica.

La riforma fiscale in discussione, invece, va esattamente nella direzione opposta!

Se si considera che il 99,5% dei contribuenti italiani dichiara redditi inferiori a 100 mila euro (per cui l’aliquota del 33% si applicherebbe soltanto ad una ristrettissima minoranza di contribuenti), tale riforma comporterebbe, di fatto, l’introduzione di un’“unica aliquota” del 23% su tutti i redditi: il pensionato o l’operaio pagherebbero allo Stato (in proporzione al proprio reddito) le stesse tasse dovute da un imprenditore, un medico, un commercialista, un avvocato o un libero professionista!

 

III- UNA RIFORMA “INSOSTENIBILE”!

Alle considerazioni sull’“impatto sociale” della prospettata riforma vanno aggiunte quelle sul suo “impatto economico”.

Come coniugare, infatti:

-                      la notevole diminuzione del gettito provocata dalla riduzione degli scaglioni e delle aliquote Irpef (intorno ai 20 miliardi di euro)

-                      con la tenuta dei conti pubblici dell’Italia (il terzo paese più indebitato al mondo, pur non essendo la terza economia al mondo)?

Quale sarebbe il vero prezzo (in termini di tagli alla spesa sociale e/o di aumenti della fiscalità generale, ossia di “macelleria sociale”) che gli Italiani sarebbero tenuti a pagare???

 

IV- UNA RIFORMA “POPULISTA”!

Un ultimo interrogativo lo pone la tempistica degli annunci del Governo:

-                      il 9 novembre 2009 il Premier ha pubblicamente manifestato il suo proposito di riduzione delle aliquote Irpef

-                      appena quattro giorni dopo, però, ha parzialmente smentito se stesso dichiarando: “l’attuale situazione di crisi  non consente alcuna riduzione delle imposte”.

L’impressione, allora, è che si tratti dell’ennesima “boutade berlusconiana”!

Un ulteriore fatto, tra l’altro, ci impone di esser scettici:

-                      lo scorso ottobre 2009 il Cavaliere si era impegnato (davanti all’assemblea di Confcommercio) per una riduzione dell’Irap nella Finanziaria 2010

-                      poco dopo, però, il Parlamento, ha piuttosto concesso libertà alle Regioni di aumentare ulteriormente l’Irap in caso di deficit sanitario eccessivo

-                      e poche settimane dopo, infine, lo stesso Cavaliere, dimenticandosi della promessa fatta, ha trasformare la riforma dell’Irpef nella priorità dell’azione di Governo.

Quale la ratio di questa politica dei “continui proclami”?

Verrebbe voglia, al proposito, di richiamare alla mente una notoria citazione del sen. Giulio Andreotti: “A pensar male si sbaglia… ma a volte ci s’azzecca!”.

 

 

UNA PROPOSTA ALTERNATIVA DI RIFORMA DELL’IRPEF E DEL SISTEMA FISCALE:

 

Una riduzione dell’Irpef, sia pur necessaria (specie in una fase di generale impoverimento delle classi sociali medie, di perdita di potere d’acquisto delle famiglie e di crollo dei consumi), non può che avvenire:

-                      nel rispetto del principio di “progressività dell’imposta”

-                      e nel quadro di una lotta senza campo contro l’evasione fiscale.

Stante le limitate risorse finanziarie di cui dispone attualmente lo Stato:

-                      se è improponibile una “riduzione generalizzata” delle imposte per tutti

-                      è, di contro, auspicabile una rimodulazione del carico fiscale su lavoratori, pensionati e famiglie in modo da alleviare il carico fiscale specificatamente:

a-                   sui percettori di “redditi minori”

b-                  e sulle “famiglie numerose” (l’introduzione del quoziente familiare, benché richieda uno notevole sforzo riformatore, dovrebbe divenire il principale obiettivo di qualsiasi riforma fiscale).

Sarebbe allora opportuna una progressiva RIDUZIONE:

a-                   DEGLI SCAGLIONI DI REDDITO (portandoli da 5 a 4)

b-                   DELLE ALIQUOTE IRPEF.

Un nuovo possibile schema impositivo dell’Irpef, così, potrebbe essere il seguente:

I-                    fino a 20 mila euro di reddito, riduzione dell’aliquota Irpef al 15%

II-                  fino a 40 mila euro, riduzione dell’aliquota al 25%

III-                fino a 60 mila euro, riduzione del’aliquota al 35%

IV-                oltre gli 80 mila euro, riduzione dell’aliquota al 40%.

 

Una riduzione così sostanziale del gettito Irpef, ovviamente, sarebbe sostenibile solo riequilibrando il sistema fiscale nel suo complesso.

A tal fine sarebbe auspicabile:

 

a-                   l’INTRODUZIONE DI UNA “TASSA PATRIMONIALE” SUI GRANDI PATRIMONI (ossia, di valore stimato superiore a “1 milione di euro”): una sorta di “imposta di solidarietà sociale” che garantirebbe un nuovo gettito fiscale in grado di compensare, almeno in parte, la riduzione del gettito Irpef e di incentivare le fasce sociali più ricche a spendere i propri redditi piuttosto che accumularli parassitariamente.

 

I-                    l’AUMENTO DELLA TASSAZIONE SULLE “RENDITE FINANZIARIE”.

In Italia l’aliquota sulle rendite finanziarie è del 12,5%. Ciò significa che:

-                      mentre chi lavora paga l’Irpef dal 23 al 43%

-                      mentre chi fa impresa paga fino al 50% di tasse

-                      mentre chi consuma paga l’Iva dal 4 fino al 20%

-                      chi dispone semplicemente di rendite finanziarie (dunque guadagna sul capitale investito) paga solo il 12,5% di tasse!

Ragioni di “equità fiscale”, dunque, impongono di portare la tassazione delle rendite ad un livello più adeguato, comparabile con quello europeo: sarebbe auspicabile il raddoppio dell’imposta dal 12,5 al 25%.

 

II-                  l’AUMENTO DELL’IVA SUI “BENI DI LUSSO”.

E’ auspicabile spostare progressivamente l’imposizione fiscale sempre più dal reddito ai consumi, sulla base della constatazione che la capacità di consumo (salvo che per i beni primari) cresce all’aumentare del reddito: l’imposta sui consumi di beni “di lusso”, dunque, è l’imposta progressiva per eccellenza!

In Italia l’aliquota Iva varia dal 4% (per beni primari come il pane e la pasta) al 20% (per beni come i profumi): sarebbe opportuno portare al 25% l’aliquota Iva sui beni di lusso (come auto di grossa cilindrata, barche di grosse dimensioni, ville, piscine…).

 

III-                e la REINTRODUZIONE DELL’ICI SULLA PRIMA CASA PER I REDDITI PIU’ ALTI, ossia:

a-       per i proprietari di case con redditi personali superiori ai 60 mila euro annui

b-      e per i proprietari di abitazioni con un valore stimato superiore ai 500 mila euro.

 

 

Gaspare Serra

 

Blog “SPAZIO LIBERO!”:

http://spaziolibero.blogattivo.com

 

Gruppo “PER UN FISCO PIU’ EQUO E SOLIDALE… (Tolleranza zero contro l’evasione!)”:

http://www.facebook.com/group.php?gid=304648003215&ref=mf

 

 


29/Gennaio 2010 dc: ho rotto ogni indugio e mi sono iscritto al partito Democrazia Atea (anche se l'apertura d'iscrizione ai credenti anticlericali non mi vedrà mai d'accordo).

 

Per ora tramite Facebook sto cercando di raccogliere almeno 50-60 partecipanti ad una possibile presentazione pubblica a Milano da parte dei dirigenti del partito: se siete interessati scrivetemi per GARANTIRMI la vostra presenza e dei vostri amici.

 

Ed ora il Programma Politico di Democrazia Atea

 

Programma Politico
Blog di Democrazia Atea

 

OBIETTIVI FONDAMENTALI

1.    Abrogazione dei Patti Lateranensi e di tutte le leggi ad essi collegate, che procurano allo Stato del Vaticano un profitto sotto forma di contributi, finanziamenti, erogazioni di qualunque tipo, comunque denominati, concessi o erogati da parte dello Stato o di altri Enti Pubblici, previa modifica dell’art.7 della Costituzione.

2.    Adozione di leggi sul Testamento Biologico, sull’Eutanasia e sulle Cellule Staminali, scevre da limitazioni etico-religiose.

3.    Adozione della legge sul conflitto d’interesse per coloro che devono ricoprire cariche pubbliche.

4.    Abrogazione delle parole “fondata sul matrimonio” dall’art. 29 della Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale”.

OBIETTIVI ETICO-SOCIALI

5.    Difesa e piena attuazione della Legge sull’interruzione di gravidanza (194), con iniziative a tute-la della maternità e all’inserimento di programmi educativi nelle scuole, che consentano una sessualità consapevole.

6.    Diffusione di asili nido pubblici con oneri a carico dello Stato, ovvero degli Enti Locali.

7.    Erogazione di un assegno mensile in favore del genitore affidatario dei figli minori in caso di separazione, se non economicamente autosufficiente, delegandone la valutazione al Giudice che pronuncia la separazione.

8.    Pronuncia del divorzio dopo sei mesi dalla pronuncia della separazione e unificazione dei relativi procedimenti.

9.    Potenziamento dell’edilizia economica popolare.

10.    Riqualificazione sociale della figura degli anziani e dei disabili, e loro inserimento in progetti di pubblica utilità. Creazione di strutture d’ospitalità per anziani e disabili ad alta qualità assisten-ziale, con integrazione dei costi a carico dello Stato. Creazione di una rete assistenziale domiciliare per disabili e anziani, ovvero per persone temporaneamente in difficoltà.

11.    Sostituzione dell’ora di “religione” con l’ora di “storia delle religioni”, i cui insegnanti dovranno essere inseriti nelle pubbliche graduatorie, e dovranno aver sostenuto esami universitari in antropologia.

12.    Abrogazione delle riforme scolastiche e universitarie del Ministro Mariastella Gelmini. Riaf-fermazione del principio dell’autonomia universitaria. Indizione di concorsi per ricercatori che prevedano l’assunzione, per i vincitori, con contratti a tempo indeterminato, riconoscendone lo status di docenti e favorendone il passaggio al ruolo di professori associati. Piena attuazione del diritto allo studio con ampliamento delle erogazioni in favore degli studenti meritevoli, con il potenziamento dei servizi universitari: mensa, alloggio, sala studio, tariffe di trasporto gratuite tra la residenza e la sede universitaria prescelta, internet, WiFi, borse di studio finalizzate all’acquisto di pc.

13.    Incentivazione al ritorno in Italia di ricercatori scientifici, docenti universitari, medici e altre personalità, concordandone la continuità professionale.

14.    Introduzione del divieto della obiezione di coscienza per medici e farmacisti nel rispetto della libertà di coscienza.

15.    Abrogazione di ogni forma di finanziamento alle scuole private.

16.    Politica della tolleranza nei confronti dell’uso e della diffusione delle droghe leggere. Utilizzo esteso degli oppiacei nei protocolli sanitari. Riforma complessiva della legislazione in tema di sostanze stupefacenti sul modello olandese.

17.    Sensibilizzazione pubblica sui vantaggi della procedura di cremazione. Creazione di inceneritori per ogni cimitero provinciale. Regolamentazione nazionale delle tariffe per la cremazione. Istituzione di sale di commemorazione per i non credenti, in ogni area cimiteriale.

18.    Revisione dei criteri di concessione mineraria; abrogazione della legge sulla privatizzazione delle acque.

19.    Abrogazione del reato di “Offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone” (art. 403 del codice penale).

OBIETTIVI ECONOMICI

20.    Revisione del codice di procedura civile.

21.    Azzeramento della partecipazione delle banche private alla redistribuzione degli utili e del pa-trimonio della Banca d’Italia. Richiesta alla Banca Europea della redistribuzione degli utili con-seguenti alla cessione del diritto di signoraggio.

22.    Introduzione di una tassa sul patrimonio immobiliare di proprietà di cittadini o Stati stranieri, escluse le Sedi Diplomatiche e le Ambasciate.

23.    Abrogazione della norma che ha modificato le conseguenze del falso in bilancio.

24.    Innovazione del tessuto industriale con detassazione degli investimenti in tecnologia e forma-zione.

25.    Revisione dei criteri di inserimento dei farmaci nei prontuari farmaceutici. Esclusione dai pron-tuari del Ritalin Metilfenidato. Razionalizzazione della spesa farmaceutica.

26.    Incentivazione dell’agricoltura con la riduzione se non eliminazione delle filiere.

27.    Abrogazione della Legge 30 (Biagi) per porre fine al precariato che mortifica la formazione e frena qualunque ipotesi di sviluppo.

28.    Potenziamento degli ispettori del lavoro.

29.    Incentivazione della mobilità interna nella P.A.

30.    Potenziamento degli ammortizzatori sociali ed estensione dell’assegno di disoccupazione a tutte le categorie di lavoratori con erogazione entro 30 giorni dalla richiesta e con obbligatorietà per il beneficiario di accettare qualsiasi nuovo impiego proposto dallo Stato.

31.    Obbligatorietà della concertazione con tutte le organizzazioni sindacali per la definizione di tutti i contratti di lavoro, fino a quando non sarà applicato un Contratto di lavoro europeo.

32.    Controllo sulla destinazione effettiva dei fondi erogati dallo Stato in favore delle imprese, al fine di verificare se il loro utilizzo abbia o meno salvaguardato i posti di lavoro.

33.    Equiparazione alla media europea degli stipendi dei dipendenti pubblici, compresi gli insegnanti, le forze dell’ordine e i vigili del fuoco.

34.    Inserimento di un tetto allo stipendio dei manager pubblici.

35.    Nomina dei Direttori generali delle ASL e della RAI con pubblici concorsi per titoli ed esami.

36.    Adozione per le forze di polizia di un codice deontologico unitario con la creazione di una Commissione Disciplinare interforze che ne verifichi e sanzioni la eventuale disapplicazione.

37.    Progressiva sostituzione delle fonti energetiche non rinnovabili con quelle alternative, escluso il nucleare. Dismissione delle centrali nucleari in disuso.

38.    Equiparazione della legislazione italiana a quella tedesca per la gestione della energia fotovol-taica.

39.    Implementazione del modello adottato dal Comune di Peccioli (Pisa) per lo smaltimento dei ri-fiuti.

40.    Attuazione di un programma di lavori pubblici che renda prioritario il rifacimento della rete fer-roviaria nazionale, sia delle tratte principali che delle tratte secondarie. Adeguamento della rete ferroviaria alle necessità dei collegamenti transnazionali. Potenziamento del trasporto merci su rotaia e depotenziamento del trasporto su gomma.

41.    Eliminazione della tassa sulla proprietà degli autoveicoli e abrogazione dei pedaggi autostradali.

42.    Riorganizzazione e potenziamento della rete internet (banda larga e WiFi gratuito). Obbligato-rietà di una tariffa telefonica unica, non superiore a € 30,00, che includa traffico illimitato per telefonia fissa, mobile e adsl.

43.    Cancellazione del canone telefonico.

44.    Riforma della Rai sul modello anglosassone (BBC Network).

45.    Cancellazione del canone Rai e liberalizzazione delle concessioni di pubblicità.

46.    Cancellazione dell’Ordine dei giornalisti.

OBIETTIVI POLITICI

47.    Acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni confiscati alla mafia e alle altre organizzazioni criminali.

48.    Abrogazione della destinazione dell’8 per mille in favore delle organizzazioni religiose. Destinazione dell’8 per mille alla ricerca scientifica. Destinazione del 5 per mille ad associazioni, ri-conosciute o non riconosciute, fondazioni o altro purché abbiano sede legale nello Stato Italiano.

 

49.    Revisione dei criteri di incompatibilità e di ineleggibilità alle cariche elettive. Divieto di eletto-rato passivo per coloro che hanno riportato condanne penali di particolare gravità. Introduzione del limite a due soli mandati per i parlamentari.

 

50.    Modifica della legge elettorale al fine di eliminare lo sbarramento al 4% e al fine di reintrodurre il sistema delle preferenze nominali.

 

51.    Abrogazione degli automatismi nella determinazione degli avanzamenti di stipendio dei parla-mentari. Trasparenza e pubblicità delle spese sostenute dai parlamentari e dai rappresentanti del Governo. Introduzione di un tetto di spesa.

 

52.    Esame prioritario, nei lavori parlamentari, delle leggi di iniziativa popolare.

 

53.    Revisione degli artt.114, 118, 119, 132, 133 della Costituzione finalizzata alla soppressione delle Province.

 

54.    Riaffermazione da parte della Magistratura dell’utilizzo dello strumento della intercettazione ambientale, telefonica e telematica, senza limitazione alcuna.

 

55.    Riaffermazione del principio di unità della Magistratura con il mantenimento della separazione delle funzioni in via permanente.

 

56.    Potenziamento delle Procure a rischio e indizione di concorsi.

 

57.    Adozione dei criteri di accoglienza e di integrazione suggeriti alla Comunità Europea con le Di-rettive del 2003. Revisione degli accordi con i paesi di provenienza per un miglior controllo dei flussi migratori. Abrogazione degli accordi stipulati con la Libia nel 2009.

 

58.    Erogazione di finanziamenti finalizzati allo sviluppo dei paesi di provenienza degli immigrati.

 

59.    Superamento del concetto di multiculturalismo e di multiconfessionalismo, e affermazione di un processo di evoluzione interculturale.

 

60.    Abrogazione della legge cosiddetta Bossi-Fini e attuazione integrale della legge Napolitano-Turco.
61.    Abrogazione della norma che istituisce le cosiddette “ronde”.

 

62.    Elaborazione di una norma penale che impedisca l’applicazione di attenuanti per motivi culturali, etnici e religiosi.

 

63.    Imposizione proporzionale della tassazione fiscale.

 

64.    Apertura delle strutture carcerarie già edificate e mai ultimate. Riorganizzazione delle strutture carcerarie esistenti, adozione di iniziative di riabilitazione attraverso il lavoro e lo studio, in vista di un reinserimento nella società. Indagine conoscitiva sullo stato di violazione dei diritti umani all’interno delle strutture carcerarie italiane.

 

65.    Abrogazione del segreto militare sul censimento e sulla mappatura delle basi militari straniere sul territorio italiano, rendendo disponibili i dati sul sito del Governo, previa revisione dei trattati internazionali già sottoscritti.

 

66.    Ritiro immediato dei militari italiani dall’Iraq e dall’Afghanistan. Possibilità per lo Stato Italiano di utilizzare le forze militari solamente in caso di disastri e calamità naturali


In e-mail il 19 Gennaio 2010 dc:

Guerre e crisi economiche

Nel famoso libro "Della guerra", pubblicato postumo nel 1832, il generale prussiano Karl von Clausewitz, che aveva maturato una lunga esperienza nel corso delle guerre napoleoniche (le prime dell'era capitalistica contemporanea), elaborò un'analisi seria del problema, di cui seppe cogliere l'essenza più recondita, applicando una logica hegeliana.

Tra le altre cose, Karl von Clausewitz scrisse la celeberrima frase: "La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi"; ed ancora: "La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà".

Hegel, dal canto suo, affermò che "La storia, senza guerre, registra solo pagine bianche", nel senso che le guerre determinano i principali cambiamenti della storia.

Sviluppando e capovolgendo la dialettica hegeliana su basi storico-materialistiche, il pensiero marxista introdusse ulteriori elementi critici ed innovativi nella valutazione e nella comprensione del fenomeno, riconducendo l'essenza profonda dei conflitti bellici e sociali all'economia in quanto motore della storia, che è "storia di lotta di classe".

Ebbene, nel corso della storia millenaria dell'umanità, ma soprattutto nell'epoca contemporanea, segnata e dominata dalle forze soverchianti del capitalismo e dell'imperialismo economico, le riflessioni elaborate da von Clausewitz e da Hegel, ma soprattutto l'analisi critica suggerita dal marxismo, hanno avuto un riscontro effettivo.

Nelle sue fasi cicliche di espansione, ma soprattutto nei suoi momenti di crisi, il capitalismo ha generato miseria e sfruttamento, morti, catastrofi e distruzioni, barbarie e guerra. Da almeno 100 anni il capitalismo è in fase di decadenza e le crisi esplodono periodicamente. L’attuale catastrofe economica è il frutto di cento anni di decadenza del capitalismo, che ormai è in una fase di putrefazione avanzata e irreversibile.

In passato, per scongiurare altre depressioni economiche come, ad esempio, quella del 1929, il sistema capitalistico ha escogitato diverse soluzioni praticabili all’interno del sistema stesso, ossia all’interno dell’orizzonte capitalistico, mediante il ricorso all’interventismo statale e all’ampliamento della spesa pubblica. Si pensi, ad esempio, a soluzioni di ispirazione keynesiana quali il New Deal. Oppure ha intrapreso risposte neoimperialiste per conservare e consolidare lo statu quo, l’ordine padronale esistente.

Le politiche neocoloniali e neoimperialistiche non sono servite solo per la ricerca di nuove aree di sbocco per le merci provenienti dai paesi capitalistici più sviluppati o di un luogo ove reperire materie prime e risorse energetiche a buon mercato, e manodopera a basso costo, ma sono state anche un modo efficace per conquistare zone del mondo in cui accrescere il capitale senza dover affrontare la concorrenza di settore.

Parimenti, l’intensificazione della corsa agli armamenti, la conversione bellica dell’industria, imposta dalle multinazionali dell’industria pesante, metal-meccanica, siderurgica e petrolifera, fu la via scelta dalle classi dominanti per uscire dalla pesante depressione del 1929, che ha inevitabilmente condotto ad una nuova, sanguinosa guerra mondiale (a nulla servì la tragica lezione impartita dalla prima guerra mondiale).

Il nazifascismo fu un altro tipo di risposta, di segno apertamente reazionario, delle classi dirigenti dell’epoca alla crisi sociale ed economica esplosa nel primo dopoguerra, e contribuì ad acuire le tensioni e i conflitti interni alle potenze imperialistiche europee e occidentali, accelerando il cammino che trascinò i popoli al tragico conflitto mondiale.

Durante i 25 anni successivi alla seconda guerra mondiale, in tutti i paesi maggiormente industrializzati, inclusa l’Italia, si verificò un ciclo di espansione economica diffusa, un periodo storico indicato con l’espressione "boom economico". Nel corso degli anni '70 questa fase di crescita venne frenata dalla crisi del dollaro e del sistema monetario internazionale, che portò nel 1971 alla fine degli accordi di Bretton Woods, con la dichiarazione unilaterale statunitense di inconvertibilità del dollaro in oro, ma soprattutto dalla crisi petrolifera del ‘73 determinata dalla guerra del Kippur, combattuta in Medio Oriente, che causò un pauroso innalzamento del prezzo del barile.

E veniamo all'odierna catastrofe economica e sociale.

L’attuale crisi investe l’apparato economico complessivo, mettendo in discussione l’intero modo di produzione capitalistico su scala mondiale. Infatti, quella in corso  è una crisi di sovrapproduzione, nel senso che negli anni si è determinato un ciclo di sviluppo e di accumulazione smisurata dei profitti, derivanti da un eccessivo sfruttamento dei produttori, cioè gli operai. I quali, a dispetto dei ritmi, degli orari e degli standard di rendimento produttivo senza dubbio elevati, si sono progressivamente impoveriti. E ciò è avvenuto in tutto il mondo, per effetto di un processo di globalizzazione economica imperialista che ha generato condizioni crescenti di miseria, precarietà e sfruttamento, imponendo livelli sempre più bassi del costo del lavoro su scala internazionale, malgrado gli operai delle fabbriche facciano più del loro dovere.

Le conseguenze immediate sono evidenti a tutti: un drastico calo dei consumi, destinati a ridursi ulteriormente, alimentando in tal modo la tendenza recessiva in atto; un incremento esponenziale della disoccupazione e della precarizzazione, con inevitabili conseguenze in termini di drammatici costi umani e sociali, di ulteriore indebolimento e degrado dei lavoratori del sistema produttivo e, quindi, un progressivo abbassamento degli acquisti di beni di consumo. Ciò innescherà un meccanismo vizioso che autoalimenterà la crisi recessiva, sino al tracollo definitivo e globale del capitalismo, che cadrà irrimediabilmente in rovina, almeno nelle forme e nei modi finora conosciuti.

A nulla potrà servire l’assunzione di rimedi inutili e tardivi, di provvedimenti illusori di pura facciata quali la riduzione dei megacompensi dei supermanager e dei dirigenti di banca, o di misure tese alla “moralizzazione” (si fa per dire) e alla regolamentazione dei mercati finanziari e all’abolizione dei paradisi fiscali. Tutte misure annunciate enfaticamente, ma che non sono state ancora applicate, essendo di fatto inapplicabili.

Nel caso odierno, la fuoriuscita dalla crisi è possibile solo attraverso la fuoriuscita definitiva e totale dal sistema capitalistico. Ovviamente tale prospettiva, sempre meno teorica e sempre più realistica, turba non poco i capitalisti e i loro servi. Per arginare l’esplosione di rivolte, sommosse e conflitti sociali come quelli a cui stiamo assistendo ovunque nel mondo, i capitalisti invocheranno l’adozione di soluzioni politiche, magari estreme, di segno apertamente autoritario e reazionario (stile nazifascismo in versione aggiornata, per intenderci), e che sul versante propriamente economico potranno condurre ad una nuova, pericolosa corsa al riarmo e, di conseguenza, ad uno sbocco bellico imperialistico, ad un lungo periodo di guerre sanguinose su scala internazionale.

E’ evidente che non basta appropriarsi dei mezzi produttivi, né rovesciare il quadro dei rapporti di forza esistenti, ma occorre trasformare in  modo rivoluzionario il sistema di organizzazione e gestione della produzione stessa. Infatti, le imprese capitalistiche sono state create per ottenere ingenti profitti privati sui mercati e non per soddisfare le esigenze primarie delle persone. E' la loro struttura e natura intrinseca ad essere viziata.

Occorre riconvertire le aziende verso la produzione di beni di prima necessità, in modo che il valore d'uso riacquisti il suo antico primato sul valore di scambio, e che l'autoconsumo delle unità produttive create su territori geograficamente limitati e politicamente autogestiti in termini di democrazia diretta, prevalga sulle false esigenze consumistiche, cioè sui bisogni indotti dal mercato capitalistico, eliminando la subordinazione delle istanze sociali rispetto alle leggi del profitto economico privato.

Bisogna prendere atto che qualsiasi istanza di sinistra che proponga finanziamenti alla ricerca, all'innovazione e allo sviluppo, chiedendo di rafforzare la crescita del PIL nazionale, senza propugnare o rivendicare la socializzazione della proprietà, alla lunga si rivelerà una iattura per gli interessi delle classi operaie. I sindacati e i partiti di sinistra non devono battersi per rilanciare la competitività economica delle imprese private, ma devono dimostrare che nonostante la competitività e la produttività il sistema non funziona e risulta invivibile ed inaccettabile per tutti i lavoratori del mondo.

In altri termini, bisogna rimettere in seria discussione il paradigma stesso dello sviluppo economico. Di per sé il concetto di "sviluppo" non presuppone un miglioramento delle condizioni di vita della gente. Non possiamo più adottare criteri "quantitativi" quali, ad esempio, il PIL di una nazione, o quello pro-capite, per misurare il tasso di eguaglianza e giustizia sociale, di progresso e democraticità di un paese. Sono necessari altri parametri e altri indicatori di ordine sociale, etico e culturale, che esprimono valori umani in termini di qualità della vita, e non più solo di quantità e di sviluppo economico.

Lucio Garofalo


In e-mail nel Gennaio 2010 dc:

Quando gli schiavi si ribellano

e la loro rabbia spaventa la borghesia

 La rivolta rabbiosa ed improvvisa (ma prevedibile) dei braccianti africani della piana di Gioia Tauro, che hanno messo in atto una furiosa guerriglia urbana che rievoca le scene incendiarie della banlieue parigina o dei ghetti di Los Angeles di alcuni anni fa, ha turbato i sonni tranquilli di una società piccolo-borghese che si è ridestata attonita e sgomenta dal torpore in cui sono sprofondate pure le masse proletarie italiane, vittime di un razzismo strisciante alimentato quotidianamente dai media e dal governo in carica.

Gli ipocriti e i benpensanti si scandalizzano facilmente di fronte alla rivolta degli immigrati, deprecando l’aggressività e la rabbia con cui si è manifestata, celebrando l’intervento armato delle forze dell’ordine, come se la violenza di chi reagisce all’oppressione non abbia una ragione morale superiore alla violenza perpetrata dall’oppressore. Gli schiavi non possono e non devono ribellarsi al loro padrone.

La violenza fa parte di una società che la condanna come un delitto quando ad esercitarla sono gli ultimi e i più deboli, i negri, i proletari e gli oppressi in genere, ma viene legittimata come un diritto quando è una violenza sistemica esercitata dal potere, per cui viene autorizzata in termini di repressione armata finalizzata alla salvaguardia dell'ordine costituito, un ordine retto (appunto) sulla violenza di classe. 

Non a caso la violenza viene esecrata solo quando è opera degli oppressi e degli sfruttati. Si pensi alla rivolta di massa che alcuni anni fa esplose con furore nella banlieue parigina, espandendosi con la rapidità di un incendio alle altre periferie suburbane della Francia. Si pensi all’esplosione di rabbia e violenza dei lavoratori immigrati di Rosarno, in maggioranza di origine africana, oppressi e sfruttati a nero, maltrattati e vessati dai caporali e dalla criminalità al limite della sopportazione umana.

Per comprendere tali  fenomeni sociali occorre rendersi conto di ciò che sono diventate le aree periferiche e suburbane in Francia, ossia luoghi di ghettizzazione, degrado ed emarginazione, occorre verificare le condizioni brutali e disumane in cui sono costretti a vivere i lavoratori agricoli immigrati in Italia, sfruttati al massimo dagli sciacalli della malavita organizzata locale e dal padronato capitalistico di stampo mafioso e legale.

In Italia meridionale si è formato un vero e proprio esercito di forza-lavoro migrante, in gran parte di origine africana, che si muove periodicamente dalla Campania alla Puglia, dalla Calabria alla Sicilia, seguendo il ciclo dei raccolti agricoli, che lavora nei campi in condizioni al limite della schiavitù e vive in ghetti subumani costituiti da baracche di cartone e nylon sostenute da fasce di plastica nera, in aree misere e degradate.

Questi braccianti irregolari, in quanto clandestini, sono costretti a lavorare a nero e sotto al sole per 14 ore al giorno, retribuiti con meno di 20 euro giornalieri, sfruttati in condizione di estrema ricattabilità, sottoposti all’arroganza dei caporali e alle vessazioni della criminalità mafiosa che controlla sia i flussi migratori che il lavoro nero. Questa manodopera agricola offerta a bassissimo costo è estremamente conveniente, in quanto viene prestata senza rispettare alcun contratto sindacale e quindi senza osservare alcuna norma di sicurezza e di retribuzione, consentendo notevoli profitti economici.

Dunque, per capire l’emblematica rivolta dei “nuovi schiavi” bisognerebbe calarsi nella loro realtà quotidiana dove il disagio sociale e materiale, il degrado urbano, la violenza e lo sfruttamento di classe, la precarietà economica, il dolore, la disperazione e l’emarginazione degli extracomunitari, costituiscono il retroterra materiale, sociale ed ambientale che produce inevitabilmente drammatiche esplosioni di rabbia, violenza e guerriglia urbana come quelle a cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni in Calabria.

Invece, tali vicende sono etichettate e liquidate (ingiustamente e banalmente) come atti di teppismo” e delinquenza”, secondo parametri razzisti e classisti che sono tipici di una mentalità ipocrita e benpensante che da sempre appartiene alla piccola borghesia.

Lucio Garofalo


In e-mail il 13 Gennaio 2010 dc:

Uno spettro migrante s'aggira per l’Europa

Non c’è dubbio che la paura sia un istinto naturale, insito nella natura animale degli uomini. La paura è un impulso congenito e primordiale, indispensabile alla sopravvivenza e all’autoconservazione delle specie viventi. Senza questo istinto gli esseri viventi non avrebbero alcuna possibilità di scampo di fronte alle insidie presenti nell’ambiente circostante. Ma proprio in quanto comportamento istintivo, la paura è un elemento irrazionale e primitivo che ha bisogno di essere regolato dall’intelligenza per evitare che prevalga, divenendo l’elemento dominante e determinante delle azioni umane.

La paura può essere una forza devastante quando si fa strumento di lotta politica ed è usata per influenzare gli orientamenti delle masse che, prese dal panico, impazziscono, tramutandosi in furia cieca e incontenibile. Infatti, nulla è più impetuoso di una folla inferocita o terrorizzata, al pari di una mandria di bufali in fuga, assaliti dai predatori.

Il panico causa disastri come un cataclisma naturale, è catastrofico come un terremoto o un’eruzione vulcanica. Il “Terrore” per antonomasia è costituito dalla violenza della rivoluzione, quindi è la madre delle paure collettive che affliggono le classi dominanti.

La paura suscitata dalla minaccia di una “catastrofe sociale” che rischia di sovvertire l’ordine costituito e mette a repentaglio la sicurezza del proprio status di classi possidenti, è all’origine delle angosce che tormentano la società contemporanea. Ecco che risorge lo spettro della rivoluzione sociale, lo spauracchio della rivolta di massa.

Da quando l’umanità ha creato le prime forme di proprietà privata, accumulando il surplus economico originario, derivante dall’espropriazione del prodotto del lavoro collettivo, la paura più forte e ricorrente nella storia della lotta di classe nelle diverse società (dallo schiavismo antico al feudalesimo medievale, al capitalismo moderno) è la paura di perdere ciò che si possiede, il terrore di vedersi espropriare le ricchezze estorte ai produttori, siano essi schiavi, servi della gleba o salariati. Non è un caso che più si è ricchi più si ha paura e, probabilmente, si è più infelici in quanto tormentati dall’inquietudine. Da qui è sorta l’esigenza di istituire un potere forte e superiore, detentore del monopolio della violenza, ossia lo Stato, atto a garantire la sicurezza e l’ordine in una società retta sull’ingiustizia, sullo sfruttamento e sulla divisione in classi.

La rivoluzione sociale è il più grande spauracchio dei governi e delle classi egemoni, in particolare dei governi e delle classi possidenti e dominanti nelle società capitaliste decadenti e putrescenti, sempre più angosciate dall’assalto inevitabile delle masse dei proletari migranti, impaurito dalla rabbia e dall’ansia di riscatto dei popoli e delle classi socialmente più povere, oppresse ed emarginate provenienti dal Sud del mondo.

Una paura molto attuale e diffusa negli stati sembra essere la paura verso una società realmente democratica, che si estrinseca nella partecipazione concreta delle persone, per cui può divenire fonte di conflittualità e di antagonismi sociali. La democrazia, non quella subìta passivamente, bensì vissuta attivamente, da protagonisti e non da sudditi o spettatori, il dissenso e il libero pensiero, la libertà intesa e praticata come critica e partecipazione diretta ai processi politici decisionali, tutto ciò incute un’angoscia profonda nell’animo di chi controlla e detiene il potere e la ricchezza sociale.

Da tali paure scaturisce un’idiosincrasia anticomunista e antidemocratica che tende a demonizzare le idee di libertà e i loro portatori, fino alla criminalizzazione e alla repressione di ogni dissenso ed ogni vertenza, recepiti come un’insidia che mina l’ordine costituito, che a sua volta si è determinato in seguito a precedenti rivolgimenti sociali.

Si rammenti che gli stati moderni e le società borghesi capitaliste hanno avuto origine da violente rivoluzioni sociali eseguite in gran parte dalle masse contadine e proletarie guidate dalle avanguardie illuminate e liberali della borghesia, che oggi teme di perdere il proprio potere e i propri privilegi di classe egemone e possidente. Il ruolo storico della borghesia, che un tempo era stato politicamente eversivo e rivoluzionario, determinando il rovesciamento violento dei regimi dispotici e assolutistici e delle aristocrazie feudali, con le loro sovrastrutture ideologiche oscurantiste di origine medievale, si è rapidamente trasformato in senso conservatore e misoneistico, rappresentando un ostacolo concreto alla realizzazione del progresso scientifico, culturale e sociale, all’esercizio pratico della democrazia diretta e partecipativa, al compimento di un effettivo processo di liberazione e di affrancamento del genere umano da ogni forma di barbarie e di violenza, di oppressione e di sfruttamento, di schiavitù e di paura.

Lucio Garofalo


In e-mail nel Gennaio 2010 dc:

Riflessioni sulla politica

Riconosco di essere una persona caratterialmente scettica e diffidente, persino malpensante. Ideologicamente sono un ateo marxista. Sono stato ripetutamente  disilluso dalla vita, amareggiato da esperienze negative, tradito dal comportamento spregiudicato di numerosi pseudo compagni e dai falsi partiti politici di “sinistra”.

Francamente sono molto arrabbiato contro i falsi moralisti e i falsi compagni, i parolai e i “pifferai magici” della sinistra borghese, affetta dal morbo del “cretinismo parlamentare”. L’esperienza storica ha dimostrato che costoro aspirano solo ad adagiare il proprio deretano sopra un comodo ed ambito scranno all’interno delle istituzioni borghesi per ricavarne potere, gloria, ricchezza, privilegi e immunità personali, fregandosene delle sofferenze e dei bisogni della gente, delle istanze dei loro elettori.

La mia posizione di critica netta e intransigente mi ha procurato problemi di solitudine politica, condannandomi ad una sorta di ostracismo e di esilio morale, di isolamento nel territorio dove abito. Ma tant’è. Credo di essere sufficientemente forte e vaccinato verso tale situazione, abbastanza immune rispetto alla violenza morale ed esistenziale esercitata dai conformismi di massa, compresi quelli imposti dalla “sinistra”, essendo abituato al ruolo, senza dubbio scomodo, di bastian contrario, di ribelle anticonformista e di “cane sciolto”, per cui la condizione di marginalità non mi turba affatto.

Ultimamente ho cercato di uscire dall’isolamento politico provando ad infrangere il clima di chiusura ed ostilità creato nei miei confronti dai vari “forchettoni”, “rossi”, “bianchi” o “neri” che siano. I quali dettano legge soprattutto in alcune realtà di provincia come l’Irpinia. Una terra costretta ad un livello di sudditanza semifeudale, le cui popolazioni sono soggette a ricatti e condizionamenti perpetui e ad un mostruoso giogo clientelare. Non dobbiamo dimenticare che il territorio dove abito rappresenta da lustri un feudo incontrastato di Ciriaco De Mita e dei suoi galoppini. L’Irpinia è da sempre una roccaforte elettorale e clientelare della peggiore Democrazia cristiana.

Tuttavia, non mi lascio mai sopraffare dallo sconforto o, peggio, dalla depressione, né da rancori e risentimenti, ma reagisco sempre con rabbia e indignazione, riscoprendo “prodigiosamente” una spinta motivazionale che mi restituisce un fervido entusiasmo e una volontà combattiva, un desiderio tenace ed impetuoso di lotta e di riscatto. Forse perché sono uno spirito libero e ribelle, consapevole della lezione della storia. La quale insegna che è addirittura possibile, quindi concepibile, la realizzazione dell’utopia.

Si pensi che fino al XVIII secolo, ovvero il “secolo dei lumi”, la schiavitù del lavoro, la servitù della gleba e la tirannia aristocratico-feudale erano viste quali elementi ineluttabili e immodificabili, al limite come fenomeni conseguenti a leggi naturali, come una realtà che era sempre esistita e sarebbe durata in eterno, e non come dati storici transeunti, soggetti a trasformazioni rivoluzionarie determinate dalle forze produttive e sociali in movimento e in lotta sia per necessità oggettive che per volontà soggettive.

Eppure, alla fine del 1700 la rivoluzione francese e il radicalismo giacobino, mobilitando le masse popolari e contadine, spazzarono via il feudalesimo e l’assolutismo monarchico con tutti i suoi assurdi privilegi aristocratici, il servaggio, l’oscurantismo religioso e tutte le anticaglie medioevali. Parimenti, fino ad Abramo Lincoln nessuno avrebbe mai immaginato che la schiavitù, ritenuta per secoli come una situazione naturale e ineluttabile, una condizione ineliminabile e permanente dell’umanità, potesse un giorno essere abolita, almeno giuridicamente, sebbene non ancora soppressa sul piano materiale. E lo stesso si potrebbe dire per un fenomeno quale il cannibalismo, un’abitudine alimentare millenaria dei popoli primitivi, che oggi farebbe inorridire chiunque. E così per altre pratiche consuetudinarie, usanze e costumi del genere umano.

Pertanto, perché ritenere già persa in partenza la lotta politica a tutela dei lavoratori, in difesa dei salari più bassi e più deboli, una battaglia che si attesta oltretutto su posizioni difensiviste di salvaguardia e di retroguardia? Nel senso che non si aspira a fare la rivoluzione, a prendere il potere conquistando il “Palazzo d’Inverno”, ma si tratta di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica promuovendo una presa di coscienza sulle tematiche che investono direttamente la vita quotidiana e la condizione dei lavoratori.

Non vorrei allontanarmi dal tema in questione. Ricordo che una delle radici ideologiche dell’opportunismo risiede precisamente nell’elettoralismo borghese. Personalmente sostengo con estrema durezza la critica contro l’opportunismo in quanto costituisce il male storico del movimento comunista internazionale. Non c’è bisogno di scomodare Lenin o Rosa Luxemburg per dimostrare la validità di tale tesi, basta guardarsi attorno.

L’interesse e il calcolo opportunistico, l’autoritarismo e il verticismo burocratico, l’arrivismo, l’ambizione e il carrierismo individuale, le invidie e i personalismi eccessivi, questi ed altri atteggiamenti piccolo-borghesi, purtroppo assai diffusi in determinati settori della cosiddetta “sinistra radicale” (e non solo negli ambienti della sinistra borghese e riformista), costituiscono un male ben peggiore dell’isolamento personale.

La principale preoccupazione per un’autentica forza antagonista e di classe, di ispirazione comunista e anticapitalista, non può essere la “questione elettorale”. Non credo che la priorità politica di una soggettività comunista, specie in un momento di crisi epocale del sistema sociale vigente, una crisi segnata da crescenti disordini e conflitti (si pensi al caso emblematico della Grecia) che minano le basi stesse dell’assetto capitalistico globale, possa essere il tema della rappresentanza elettorale.

L’esperienza storica dovrebbe insegnarci che il pericolo per un’autentica sinistra comunista e di classe è costituito da ciò che si chiamava polemicamente la “febbre elettoralistica”, cioè la frenetica ricerca del successo elettorale, la conquista a tutti i costi del potere o di una quota di rappresentanza nell’attuale ordinamento statale borghese. E’ esattamente questa impostazione burocratica ed elettoralistica che rischia di aprire la strada all’affermazione di tendenze opportunistiche e individualistiche piccolo-borghesi, all’emergere di atteggiamenti di corruzione e di sfrenate ambizioni di carriera. Come, d’altronde, dovrebbe insegnarci l’esperienza storica del PRC.

In passato la base elettorale del PRC e delle altre formazioni della “sinistra radicale” era costituita da un mini-blocco sociale composto in gran parte da operai e giovani lavoratori precari, eco-pacifisti, attivisti no-global, ecc. I quali hanno giustamente reso pan per focaccia, sfruttando l’unica arma a propria disposizione, vale a dire l’arma del voto, per espellerli dalle istituzioni parlamentari a cui si erano tanto affezionati, infliggendo loro la punizione che meritavano e che ha arrecato loro dolore e frustrazione, procurando una logorante astinenza dall’esercizio del potere: “il potere logora chi non ce l’ha”, come afferma un vecchio ed astuto volpone democristiano che ha maturato una lunga esperienza ai massimi vertici del potere politico in Italia. Fare clic per cancellare la replica.

Pertanto, bisogna prendere atto della verità storica a 360 gradi. Negli ultimi anni il PRC era diventato un vero e proprio “covo” di opportunisti e forchettoni, burocrati e funzionari di partito ambiziosi ed arrivisti. Dunque, solo dopo aver fatto chiarezza fino in fondo e dopo aver svolto un’igienica e necessaria opera di autocritica, solo a quel punto ritengo che si possa avviare in maniera legittima e credibile un processo di ricomposizione di un’autentica e moderna sinistra anticapitalista e di classe in Italia.

Per quanto concerne la questione dell’isolamento, a me pare che questo costituisca un problema della politica in generale. Tutti i partiti politici soffrono il distacco e la disaffezione della gente, ma in fondo è sempre stato così, almeno in Italia. Il popolo italiano è storicamente un popolo ignorante e qualunquista, privo di senso civico e di moralità pubblica. Lo stesso Pier Paolo Pasolini scriveva nel lontano 1973: “La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline”. Più chiaro di così.

In fondo, anche Guicciardini lo aveva compreso diversi secoli fa: il popolo italiano bada solo al proprio “particulare”, persegue solo i propri affari personali senza capire che i propri interessi possono coincidere e identificarsi con quelli altrui. Ma anche ai più grandi marxisti rivoluzionari è capitato talvolta di essere isolati. Rosa Luxemburg, ad esempio, è sempre stata un’esponente isolata e minoritaria all’interno del movimento operaio e socialdemocratico internazionale, e lo stesso Lenin, prima di prendere il potere in Russia, ha sofferto una condizione di marginalità e di solitudine politica.

Lucio Garofalo


In e-mail a gennaio 2010 dc:

Le Br, i servi(zi) segreti e

  la strategia della tensione

Solo pochi anni fa si venne a conoscenza di una verità già ipotizzata nel lontano 1978: le Brigate rosse furono infiltrate da agenti della CIA e dei temibili servizi del Mossad. Mentre nel 1978 ad avanzare l’ipotesi erano alcune voci della sinistra extraparlamentare come Avanguardia operaia e Lotta continua tacciate di "antiamericanismo ideologico", invece la “nuova” autorevole e insospettabile fonte era niente di meno che Giovanni Galloni, l’ex vice-segretario nazionale della Democrazia cristiana all’epoca di Aldo Moro.

Ebbene, non è casuale che le preoccupazioni esternate da Moro al suo vice Galloni, e da questo rivelate pochi anni fa ad una trasmissione giornalistica televisiva, risalgano al periodo successivo al 1974, quando avvenne l’arresto di Curcio, Franceschini e gli altri membri che componevano il nucleo storico che fondò le Br. Dopo quegli arresti l’organizzazione brigatista si trovò decapitata, per cui fu facile infiltrarla da parte dei servizi segreti statunitensi e israeliani. I quali si adoperarono per insinuare tra i brigatisti gli agenti più abili e capaci di diventare rapidamente dirigenti e prenderne in mano le redini per compiere i passaggi e le azioni che hanno fatto la storia del nostro Paese.

Mi riferisco soprattutto al sequestro e all’omicidio di Moro. Il quale, vale la pena ricordarlo, era un’eminente personalità politica italiana, segretario nazionale del partito di maggioranza relativa, ma soprattutto una figura scomoda e ingombrante, sia all’interno della stessa Dc, dove era osteggiato da varie correnti (dorotei e andreottiani in testa), sia all’estero, era inviso soprattutto agli Stati Uniti a causa della sua propensione al "compromesso storico" con il Partito Comunista, e allo Stato d’Israele, in virtù del suo aperto orientamento filo-arabo.

Probabilmente non sarebbe male se si facessero vivi, sia pure con notevole ritardo, altri personaggi per far luce sulle passate vicende politiche ancora nell’ombra o precipitate nell’oblio, in particolare sui tragici avvenimenti degli "anni di piombo". Anni infuocati, segnati da stragi di Stato e da un’incredibile sequenza di crimini e delitti di matrice politica soprattutto neofascista, che hanno insanguinato la vita del Paese, creando un clima di terrore e repressione contro i movimenti popolari di lotta sorti nelle università, nelle fabbriche, nelle piazze, in seguito alle esaltanti esperienze del biennio 1968/69.

Ebbene, quando comparirà qualche altro Galloni a rivelare che gran parte di quei tragici "episodi" sono riconducibili ad un’unica regia, a quella che fu denominata "strategia della tensione", non sarà mai troppo tardi. Ammesso pure che Galloni non sia credibile come fonte d’informazione rispetto alle vicende brigatiste, è inevitabile chiedersi ugualmente se le ipotesi di infiltrazione delle Br da parte dei servi(zi) segreti (il Mossad, la CIA o altre strutture d’intelligence) abbiano un loro fondamento di veridicità storica oppure si tratta di "balle" fantapolitiche e dietrologiche. Ricordo che lo stesso Franceschini, nel suo libro "Mara, Renato ed io" (forse il titolo non è esatto, ma il dato è irrilevante) riferisce di infiltrazioni delle Brigate rosse da parte del Mossad.

Ebbene, quando comparirà qualche altro Galloni a rivelare che gran parte di quei tragici "episodi" sono riconducibili ad un’unica regia, a quella che fu denominata "strategia della tensione", non sarà mai troppo tardi. Ammesso pure che Galloni non sia credibile come fonte d’informazione rispetto alle vicende brigatiste, è inevitabile chiedersi ugualmente se le ipotesi di infiltrazione delle Br da parte dei servi(zi) segreti (il Mossad, la CIA o altre strutture d’intelligence) abbiano un loro fondamento di veridicità storica oppure si tratta di "balle" fantapolitiche e dietrologiche. Ricordo che lo stesso Franceschini, nel suo libro "Mara, Renato ed io" (forse il titolo non è esatto, ma il dato è irrilevante) riferisce di infiltrazioni delle Brigate rosse da parte del Mossad.

Non è mia intenzione negare che le Br siano state partorite dalla sinistra italiana, in particolare da settori del vecchio PCI (Franceschini, figlio di partigiano, era iscritto alla FGCI di Reggio Emilia). Tuttavia, insisto su un punto: le Br, pur essendo un prodotto filiale della sinistra italiana, sono state o no soggette ad infiltrazioni da parte di servi(zi) segreti occidentali? Perché l’operazione Moro avvenne 4 anni dopo che l’intero nucleo storico brigatista era stato imprigionato, dato che nel 1974 Curcio, Franceschini, Mara Cagol (moglie di Curcio, uccisa in uno scontro a fuoco con la polizia) e altri dirigenti brigatisti, stavano preparando il sequestro di Andreotti, e non a caso furono arrestati?

Inoltre, va svolto anche questo semplice ragionamento politico. E’ chiaro che tanto più un’organizzazione è chiusa, rigida, strutturata verticisticamente al suo interno, e addirittura costretta alla clandestinità, come nel caso specifico delle Brigate rosse, oltretutto prive delle loro menti pensanti dopo l’arresto dei capi storici (Curcio e Franceschini) avvenuto nel 1974, tanto più è facile infiltrarla, controllarla, influenzarla, isolarla dal movimento e dal corpo reale delle masse popolari e della società. Al contrario, quanto più un’organizzazione è aperta, spontanea, mobile, strutturata in senso democratico orizzontale, e soprattutto agisce alla luce del sole, in stretto e costante contatto con gli umori, le istanze e le rivendicazioni popolari, tanto più risulta difficile infiltrarla o condizionarne le scelte e gli orientamenti politici e strategici.

Detto questo, è chiaro che non mi sogno lontanamente di negare la paternità tutta "sinistroide" delle Brigate rosse o di altre organizzazioni della lotta armata italiana, da Prima Linea ai Nuclei Armati Proletari, ai Nuclei Comunisti Combattenti e altre sigle minori e meno note del panorama della lotta armata made in Italy.

Nondimeno, sono piuttosto incline a pensare che tali fenomeni pseudo rivoluzionari e brigatisti in senso lato (con riferimento non solo alle Br) fossero palesemente funzionali ed utili alla cosiddetta "strategia della tensione" che mirava, negli anni ’70, a creare un clima di terrore, di scontro e violenza tale da legittimare il ricorso a leggi d’emergenza, come d’altronde è accaduto, ma soprattutto tale da permettere operazioni e processi politici di stabilizzazione conservatrice. Non a caso la Democrazia cristiana ha continuato a mantenere e perpetuare il proprio potere politico elettorale, nonostante la prepotente ascesa del Partito Comunista Italiano guidato da Enrico Berlinguer, che in quegli anni stava sul punto di effettuare il fatidico "sorpasso". Non mi soffermo sul naufragio del tentativo berlingueriano del "compromesso storico" e sul ruolo svolto dalle Br e dall’operazione Moro proprio in direzione di questo fallimento. Il resto possono essere solo ipotesi dietrologiche prive di fondamento.

Personalmente non ho mai nutrito simpatie verso la lotta armata, una strategia destinata sin dall’inizio al fallimento, in quanto la scelta della clandestinità comporta inevitabilmente un auto-isolamento dalle vicende concrete della società e dalle lotte reali delle masse popolari. Su questo punto non mi pare necessario soffermarmi.

Argomentando sulla funzionalità della strategia brigatista e della lotta armata, mi riferivo non alle intenzioni o al livello di consapevolezza degli stessi brigatisti, che davvero credevano di reagire alle stragi di Stato e ai tentativi golpisti, illudendosi di "preparare" il terreno alla rivoluzione sociale del proletariato italiano. Al contrario, senza avvedersene, completamente inconsapevoli, i brigatisti (senza alcuna distinzione manichea tra Curcio e Franceschini, ritenuti "buoni" da un lato, e Moretti "il cattivo" dall’altro) hanno favorito con le loro azioni (ripeto: pseudo rivoluzionarie) quella che era la finalità principale della "strategia della tensione", ossia incentivare e acuire uno scontro tra opposti estremismi e opposti terrorismi, per puntare a rafforzare e perpetuare l’ordine esistente imperniato sulla Democrazia cristiana. In altre parole, non sono io a dirlo, lo scopo strategico era quello di "destabilizzare per stabilizzare".

Infine, anche la separazione, altrettanto manichea, tra un Moro "buono" e "di sinistra", da un lato, e un Andreotti "cattivo" e "diabolico", dall’altro, è una visione che non mi appartiene. Infatti, penso che se anche le Br avessero sequestrato Andreotti, il risultato sarebbe stato lo stesso: naufragio definitivo del "compromesso storico", rilegittimazione e rafforzamento elettorale della Dc, declino della sinistra, sia ortodossa e parlamentare borghese, sia extraparlamentare, post sessantottina e movimentista.

Sicuramente c’è un enorme lavoro da compiere ancora all’interno della sinistra italiana, sia quella tradizionale, sia quella "alternativa", "antagonista" o rivoluzionaria (che mi interessa maggiormente), per tentare di sradicare i facili luoghi comuni e gli stereotipi che sono ancora molto diffusi in vasti settori della sinistra, non solo italiana.

Lucio Garofalo


In e-mail alla fine del dicembre 2009 dc, e inserito con colpevole ritardo:

A proposito di violenza

Ultimamente si è cianciato molto a sproposito di violenza, per cui ho elaborato una riflessione personale su un tema su cui vale sempre la pena di spendere qualche parola.

La violenza, intesa come comportamento individuale, ha senza dubbio un'origine più profonda e complessa, insita nella struttura sociale. Nelle realtà capitaliste, la violenza del singolo, la ribellione apparentemente senza causa, la follia, il vandalismo e il teppismo, la criminalità comune, la perversione di quei soggetti qualificati come “mostri”, sono sempre il frutto (marcio) di un’organizzazione sociale che ha bisogno di creare e alimentare odio e violenza, sono la manifestazione di un sistema che, per sua natura, genera divisioni e conflittualità, costringendo alla depravazione dell’animo umano che in tal modo viene intimamente condizionato dall’ambiente esterno.

Dunque, la violenza non è una questione di malvagità individuale, ma un problema di ordine sociale, è la facciata esteriore dietro cui si ripara la violenza organizzata delle istituzioni, è lo strato superficiale e fenomenico sotto cui giace e s’incancrenisce la corruzione dell’ordine costituito. La visione che assegna alla “perfidia umana” la causa dei mali del mondo, è solo un’ingenua e volgare mistificazione. Il tema della violenza è talmente vasto e complesso da rivestire un ruolo centrale nella storia del genere umano.

La crisi e la decadenza del sistema capitalistico guerrafondaio, ormai in fase di decomposizione avanzata, hanno creato un meccanismo perverso da cui discende la necessità di una produzione su scala industriale della violenza, del delitto, del "mostro", che serve come facile e comodo capro espiatorio per giustificare la richiesta, da parte dell'opinione pubblica, di nuovi interventi armati, repressivi e coercitivi.

In tal modo trovano una precisa ragion d'essere i vari Saddam Hussein, Bin Laden ecc., i cosiddetti "criminali" che diventano uno spauracchio funzionale a una logica di riproduzione della violenza legalizzata, volta a perpetuare i rapporti di comando e subordinazione esistenti all'interno e all'esterno della società capitalistica.

Una violenza che scaturisce e si alimenta soprattutto attraverso l'opera di disinformazione e terrorismo psicologico esercitata dai mezzi di comunicazione di massa per mantenere l'opinione pubblica in uno stato di permanente tensione e pressione.

La violenza fa parte di una società che la disprezza e la demonizza quando a praticarla sono gli altri (in passato i Cinesi, i Vietnamiti, i Cubani, oggi gli arabi, gli islamici, i negri, i proletari, gli oppressi in genere), ma viene autorizzata in termini di diritto e potere istituzionale quando essa è opera del sistema stesso, in quanto intervento armato volto a mantenere l'ordine all'interno (in termini di repressione poliziesca) e all'esterno (in termini di guerre, come gendarmeria internazionale). 

In tal senso la violenza viene disapprovata quando è opera d'altri. Si pensi alla rivolta di massa che alcuni anni fa esplose con furore nella banlieue parigina, espandendosi rapidamente ad altre periferie urbane della Francia. Sempre in Francia, tempo addietro abbiamo assistito alla nascita di un movimento di protesta giovanile che ha assunto proporzioni di massa, simili, benché non paragonabili all'esperienza storica del maggio 1968, nella misura in cui le cause e il contesto erano  senza dubbio differenti.

Per comprendere tali  fenomeni sociali così complessi e difficili, occorre rendersi conto di ciò che sono effettivamente diventate le aree metropolitane suburbane in Francia (ma il discorso vale anche altrove), cioè luoghi di ghettizzazione e alienazione di massa.

Per capire bisognerebbe calarsi nella realtà quotidiana dove il disagio sociale, il degrado urbano, la violenza di classe, la precarietà economica, la disperazione e l’emarginazione dei giovani (soprattutto extracomunitari) costituiscono il background materiale e ambientale che genera inevitabilmente esplosioni di rabbia e guerriglia urbana.

Invece, tali vicende sono bollate come atti di teppismo”, delinquenza” o addirittura terrorismo”, secondo parametri razzisti e classisti tipici di una mentalità ipocrita e benpensante che da sempre appartiene alla borghesia. Tali vicende sono strettamente associate da un denominatore comune: la violenza, nella fattispecie la violenza istituzionalizzata e il monopolio di legalità imposto nella società.

Su tale argomento varrebbe la pena di spendere qualche parola per avviare un ragionamento storico, critico e politico il più possibile serio e rigoroso.

In effetti, è alquanto difficile determinare e concepire la violenza come un comportamento etologico ed istintivo, naturale ed immutabile, dell’essere umano, poiché è la natura stessa della società il vero principio che genera i criminali, i violenti in quanto singoli individui, che sono spesso i soggetti più vulnerabili sul piano emotivo, che finiscono per essere il "capro espiatorio" su cui si scaricano tutte le tensioni, le frustrazioni e le conflittualità latenti, insite nell'ordinamento sociale vigente.

Sin dalle origini l’uomo ha dovuto attrezzarsi per fronteggiare la violenza esercitata dall’ambiente esterno: il pericolo di aggressione da parte degli animali, le avversità atmosferiche, i disastri naturali, i bisogni fisiologici, la necessità di procreare, ecc. In seguito l’uomo è riuscito a compiere notevoli progressi tecnologici e materiali che lo hanno affrancato dal suo primitivo asservimento alla natura, rovesciando il rapporto originario tra l’uomo e l’ambiente. Oggi è soprattutto l’uomo che arreca violenza alla natura, ma la relazione rischia di invertirsi nuovamente, a scapito dell’uomo.

Durante la sua evoluzione culturale e materiale l’umanità ha creato e conosciuto varie esperienze di violenza: la guerra, la tirannia, l’ingiustizia, lo sfruttamento, la fatica per la sopravvivenza, il carcere, la repressione, la rivoluzione, fino alle forme più rozze quali il teppismo, la prepotenza, la sopraffazione del singolo su un altro singolo.

Tuttavia, tali fenomeni così disparati si possono ricondurre a un’unica matrice causale, ossia la natura intrinsecamente violenta e disumana della struttura materiale su cui si erge l’organizzazione sociale dei rapporti umani nel loro divenire storico. La cui principale forza motrice risiede nella violenza della lotta di classe, nello scontro tra diverse forze economiche e sociali per il controllo e il dominio sulla società. Tale lotta di classe si estrinseca sia sul terreno materiale, sia sul versante teorico e culturale, è una lotta per la conquista del potere politico ed economico, ma anche per l'affermazione di un'egemonia ideologica e intellettuale all'interno della società.

Il problema fondamentale della violenza nella storia (che è scisso dal tema della violenza nel mondo pre-istorico) è costituito dall’ingiustizia e dalla violenza insite nel cuore delle società classiste. Le quali si fondano sulla divisione dei ruoli sociali e sullo sfruttamento materiale esercitato da una classe dominante sul resto della società.

Solo quando lo sviluppo delle capacità produttive e tecnologiche della società avrà raggiunto un livello tale da permettere il superamento delle ragioni che finora hanno giustificato e determinato lo sfruttamento del lavoro, l’umanità potrà compiere il grande balzo rivoluzionario che consisterà in un processo di liberazione dalla violenza dell’ingiustizia e dello sfruttamento di classe. E’ un dato di fatto che tali condizioni, connesse al progresso tecnico scientifico e alla produzione delle ricchezze sociali, siano già presenti nella realtà oggettiva, ma sono mistificate e negate dal persistere di un quadro obsoleto di rapporti di supremazia e sottomissione tra le classi sociali.

In tal senso, il potere borghese non è mutato, i suoi rapporti all’interno e all’esterno sono sempre improntati e riconducibili alla violenza. Esso continua a reggersi sulla violenza, in particolare sulla forza legalizzata di istituzioni repressive quali il carcere, la polizia, l’esercito. Nel contempo il potere borghese ha imparato ad usare altre forme di controllo sociale, più morbide e addirittura più efficaci, come la televisione. Oggi, infatti, molti stati capitalistici, avanzati sul versante tecnologico, sono gestiti e controllati non solo attraverso i sistemi tradizionali della violenza legalizzata, cioè esercito e polizia, ma soprattutto ricorrendo agli effetti di omologazione e alla forza alienante e persuasiva della televisione e dei mezzi di comunicazione di massa. 

Naturalmente il discorso sulla violenza non può esaurirsi in un breve esame come questo, giacché si tratta di un tema talmente ampio, difficile e controverso, da meritare molto più spazio, più tempo, più studio e più ingegno di quanto possa fare il sottoscritto. Per quanto mi riguarda, ho cercato semplicemente di sollecitare una riflessione iniziale.

Lucio Garofalo


In e-mail alla fine del dicembre 2009 dc, e inserito con colpevole ritardo:

Berlusconi, la mafia, la libertà di stampa

 e la violenza politica

Negli ultimi tempi la temperatura politica in Italia si è alzata notevolmente sia perché si è ripreso a parlare dei rapporti tra mafia e potere politico, nella fattispecie tra un pezzo della mafia e il capo del governo, ma soprattutto a causa dell’aggressione perpetrata contro Berlusconi. Ricordo una frase che suscitò scalpore, pronunciata dal premier nel corso di una visita privata in Tunisia, in cui annunciava in modo eclatante l’intenzione di “passare alla storia come il presidente del Consiglio  che ha sconfitto la mafia”.

Ma la notizia che destò maggior stupore fu questa. Marcello Dell’Utri, tra i fondatori di Forza Italia, braccio destro di Berlusconi, già condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, il 19 agosto scorso annunciò di voler proporre una commissione d’inchiesta sulle stragi del ‘92. Un’intenzione disattesa nei fatti, ma annunciata e pompata sui media in modo enfatico. A quanto pare si trattava della consueta politica demagogica e sensazionalista, fatta di facili annunci e promesse sbandierate sui media e puntualmente tradite, a cui siamo abituati da tempo.

Le vicissitudini politico-mediatiche degli ultimi tempi, a partire dalle querele che Berlusconi decise di sporgere contro La Repubblica e L’Unità, quindi le dimissioni di Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, organo ufficiale della CEI, fino al grave episodio di Milano e al varo di un provvedimento di legge volto a ridurre la libertà sul Web, hanno fatto riemergere il tema, già scottante e controverso, della libertà di informazione, insieme ad altri aspetti riconducibili ad un conflitto latente e permanente tra i poteri forti che da diversi anni condizionano pesantemente il destino del nostro Paese.

Ma procediamo con ordine per cercare di comprendere la logica di tali vicende.

 

Il 26 agosto scorso, il Capo del governo decise di adire le vie legali depositando una citazione per danni contro il gruppo editoriale L’Espresso-Repubblica per contestare le dieci domande (evidentemente scomode) che per oltre due mesi il giornalista Giuseppe D’Avanzo gli ha posto sulle sue frequentazioni sessuali, senza ricevere alcuna risposta.

 

Probabilmente ciò che avrebbe indotto Berlusconi ad agire legalmente contro La Repubblica furono le insinuazioni su una sua presunta “ricattabilità” e su presunte infiltrazioni al vertice dello Stato italiano da parte di centri mafiosi, in particolare della mafia russa, e l’ampia eco che tali notizie hanno avuto sulla stampa internazionale.

 

Qualche tempo fa il direttore di Avvenire, Dino Boffo, rassegnò le dimissioni con una lettera inviata al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Boffo era stato vittima di pesanti accuse sulla sua vita privata, in modo particolare sulle sue abitudini sessuali, messe al centro di una feroce e smisurata campagna diffamatoria condotta in modo cinico e spregiudicato da Vittorio Feltri, direttore del Giornale, il quotidiano edito dal fratello del premier Paolo Berlusconi.

Nello stesso giorno delle dimissioni di Boffo, il presidente del Consiglio decise di trascinare in tribunale il direttore de L’Unità, Concita De Gregorio, insieme ad  altre quattro colleghe del noto quotidiano. La denuncia per diffamazione faceva formalmente riferimento ad una serie di articoli sugli scandali sessuali venuti fuori nell’estate scorsa.

E’ evidente che i violenti attacchi sferrati contro alcuni tra i maggiori organi di stampa nazionali non potevano essere ricondotti semplicemente ad alcuni fatti episodici, né ai motivi ufficialmente addotti nelle querele inoltrate dai legali del premier, ma sono inquadrabili e spiegabili all’interno di una cornice più vasta e complessa che pone al centro non solo la libertà di informazione, sempre più minacciata da fenomeni di squadrismo, killeraggio ed imbarbarimento politico, ma pure una serie di affari ed interessi legati ad importanti centri di potere, tra cui non sarebbero da escludere gli scontri interni al Vaticano tra la Segreteria di Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.

Nei mesi immediatamente precedenti all’aggressione contro Berlusconi, il panorama politico italiano aveva assistito ad un frenetico susseguirsi di avvenimenti, esternazioni e iniziative, a cominciare dalle provocazioni estive avanzate dalla Lega Nord fino alla minaccia di elezioni anticipate, quindi lo squadrismo giornalistico di Vittorio Feltri che aveva indotto alle dimissioni il direttore di “Avvenire”, gli ignobili attacchi sferrati dal premier contro la libertà di stampa, che avevano suscitato reazioni diffuse di sdegno, il botta e risposta tra Gianfranco Fini e il foglio di Feltri, che ha lanciato un ricatto fin troppo palese contro il presidente della Camera, divenuto un bersaglio per le sue esplicite divergenze con le posizioni del presidente del Consiglio, la manifestazione nazionale del 3 ottobre per la difesa della libertà di stampa ed infine il recente NoBday.

Questo solo per elencare gli avvenimenti più importanti e significativi degli ultimi mesi.

Dal punto di vista strettamente storico la minaccia lanciata da Vittorio Feltri all’indirizzo di Gianfranco Fini ha costituito il primo ricatto politico condotto a mezzo stampa, facendo oltretutto ricorso ad un codice tutt’altro che cifrato. Negli anni ’50 e ‘60 erano frequenti i dissidi verbali tra gli avversari storici della Democrazia Cristiana, Giulio Andreotti e Amintore Fanfani. I quali si contendevano la leadership all’interno del partito e del governo, azzuffandosi anche a colpi di ricatti e dossier legati alle attività investigative di giornalisti prezzolati o dei servizi segreti deviati, ma lo scontro intestino, per quanto aspro, cinico e spregiudicato, si svolgeva in modo dialetticamente raffinato ed elegante, adoperando un linguaggio velato ed allusivo, mai troppo esplicito.

Quanto sta accadendo negli ultimi tempi rischia di accelerare un processo involutivo e degenerativo della vita politica italiana a scapito soprattutto del livello già basso della libertà di informazione e di quel poco di democrazia formale ancora vigente nel Paese.

Dopo il ricovero di Berlusconi all’ospedale San Raffaele di Milano in seguito all’aggressione di domenica scorsa, in Italia si è scatenata la rabbiosa canea dei quotidiani più rognosi e reazionari e dei mass-media filogovernativi, che hanno denunciato con furiosa idiosincrasia il “clima di odio” esistente contro il capo del governo, accusando in modo indiscriminato tanto i riformisti e i socialdemocratici, quanto gli anarchici e i comunisti, riuniti nel medesimo calderone politico.

A parte il fatto che nell’aggressione a Berlusconi si notano molteplici anomalie e incongruenze. Già un solo elemento irregolare avrebbe dovuto suscitare un sospetto, due indizi anomali costituiscono una mezza prova, ma in questo caso si rilevano troppe circostanze irregolari. Ma lasciamo perdere le analisi dietrologiche e complottistiche per limitarci ad un’interpretazione immediata dei fatti e, soprattutto, delle conseguenze.

Al di là di tutto, conviene ragionare criticamente sulle cause e sugli effetti degli avvenimenti. Per comprendere l’accaduto non servono tanto indagini di ordine dietrologico, ma occorre una valutazione lucida ed obiettiva dei fatti e delle conseguenze, senza farsi influenzare dall’emotività. Non ci è dato sapere se l'aggressione a Berlusconi sia stata l’azione isolata di uno psicolabile o se dietro vi siano oscure manovre. Ciò che possiamo verificare e valutare sono le sue conseguenze politiche, in quanto non è la prima volta che viene sfruttato il gesto di uno squilibrato per godere dei benefici politici e pubblicitari derivanti da simili atti. Dunque, è lecito chiedersi: cui prodest? A chi giova ciò, quali sono i suoi effetti politici e ideologici?

Il primo elemento da ravvisare è che l’aggressione si è verificata in un momento di grave crisi politica del governo, in cui i consensi di Berlusconi erano in netto calo. Il giorno precedente all’attentato le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia che il premier era precipitato sotto il 50% dei consensi. Sfruttando l’eccezionale onda emotiva suscitata dall’aggressione contro Berlusconi, il consenso è immediatamente risalito. Questo è uno degli effetti senza dubbio più evidenti ed immediati prodotti dall’attentato.

Gli altri effetti politicamente rilevanti sono riconoscibili nel ricompattamento di una maggioranza parlamentare che si stava sgretolando, nel disorientamento di una già inerte ed esausta opposizione parlamentare (con particolare riferimento al PD), ma soprattutto nell’isolamento e nella marginalizzazione di un’opposizione sociale che provava a riprendere vigore. Infatti, negli ultimi mesi, al di là dell’evanescente opposizione parlamentare, grazie ai nuovi strumenti di comunicazione si è sviluppato un vasto movimento di contestazione del premier che, malgrado i suoi limiti e la sua fragilità politica, ha sollevato con decisione la questione della cacciata di Berlusconi.

Dopo l’attentato e la comparsa di gruppi su Facebook inneggianti all’attentatore, il governo ha risposto con una furibonda crociata contro Internet, il cui paladino è il ministro dell’Interno. L’unica risposta è stata la volontà dichiarata di oscurare i siti web che criticano il capo del governo. Questa è stata la reazione del governo e dell'intera classe dominante, la quale, non potendo più contare sul ruolo rassicurante dei partiti socialdemocratici, ora riscopre il vecchio, ma sempre efficace, arsenale repressivo.

A proposito di censura e mettendo al bando ogni ipocrisia, non ci si può stupire se su Facebook attecchisca un malcostume verbale quando un ministro in carica ha urlato “questa sinistra di merda vada a morire ammazzata”. Se un ministro della Repubblica si esprime in una maniera così aggressiva, violenta e volgare, perché ci si meraviglia se un linguaggio altrettanto infelice viene adottato da coloro che frequentano Internet?

E’ evidente che la comparsa eccessiva dei gruppi su Facebook inneggianti a Tartaglia costituisce solo un pretesto per mettere il bavaglio ad un mezzo di comunicazione e di mobilitazione di massa che ha rivelato tutta la sua forza in occasione dell’organizzazione di un evento mediatico e politico come la manifestazione nazionale del 5 dicembre scorso, a cui hanno partecipato moltissime persone convocate tramite la Rete Web.

Infine, bisogna segnalare il vile e pavido comportamento dei sedicenti ed evanescenti "democratici" del nostro Paese, chiusi in un eloquente ed imbarazzato silenzio rispetto ad un’improvvisa svolta in senso bonapartista della politica e della società, preoccupati solo di associarsi al coro di solidarietà nei confronti di Silvio Berlusconi.

Lucio Garofalo


da Metro www.metronews.it del 26 Gennaio 2010 dc:

Acqua "sacra":

104 intossicati

 Tutti all'ospedale intossicati dall'acqua di una sorgente ritenuta sacra, i 104 fedeli ortodossi della città siberiana di Irkutsk. L'intossicazione (che ha coinvolto anche 47 bimbi) è avvenuta mentre i fedeli festeggiavano l'Epifania ortodossa, che ricorda anche il battesimo di Gesù (per questo hanno bevuto l'acqua dalla presunta sorgente sacra).


In e-mail il 24 Gennaio 2010:

Priorità USA ad Haiti: blocco aeronavale

  e occupazione militare per impedire l'esodo

  verso la Florida

di Lucio Manisco www.luciomanisco.com

Incapacità degli Stati Uniti d’America di gestire l’assistenza umanitaria ad Haiti? A questo interrogativo si rifanno le critiche mosse dai mass media al governo di Washington per il caos del dopo terremoto che in due settimane ha aggiunto qualche decina di migliaia di morti ai 200.000 del sisma.

I fatti, non le opinioni, dimostrano che le priorità degli Stati Uniti sono ben diverse, sacrificano anche se non azzerano gli intenti umanitari e si articolano su una mobilitazione di mezzi bellici senza precedenti in tempi di pace.

Al 24 gennaio erano 12.000 i militari statunitensi sbarcati nella seconda più antica repubblica indipendente del continente americano: a fine mese saranno 15.000 e entro la prima metà di febbraio si arriverà a 20.000.

Non si tratta di riservisti della Guardia nazionale, agenti di polizia o altri corpi della difesa civile, bensì di truppe da combattimento e di pronto impiego: “marines”, 82ma aero trasportata, paracadutisti, corpi speciali come i “sea bees”, marinai e corpi da sbarco.

Tutti militari addestrati ad uccidere e non a distribuire medicinali, viveri ed acqua potabile.

Basta guardare all’imponente armada navale e aeronavale che entro il 21 gennaio aveva raggiunto le acque di Haiti: portaerei Carl Wilson, due porta-elicotteri – la Bataan e la Nassau -, due incrociatori lanciamissili – la Normandy e la Bunker Hill -, il cacciatorpediniere lanciamissili Higgins, cinque unità per il trasporto di mezzi da sbarco – la Mesa Verde, la Ashland, la Gunston Hall, la Fort McHenry, la Carter Hall -, la fregata Underwood, tre navi porta contenitori di materiali militari che non richiedono moli di attracco, unità appoggio sommergibili e recuperi sottomarini, navi cisterna e da rifornimento, altre undici unità minori. Ed infine una nave ospedale da 1.000 letti.

Tutto quanto serve, secondo i materiali del Pentagono, per mantenere sul piede di guerra e in combattimento per 90 giorni un corpo di spedizione di 20.000 uomini.

Sotto questo aspetto non ci sono state disorganizzazioni, situazioni caotiche, interruzioni della catena di comando, carenze di altro tipo: tutto ha funzionato a meraviglia anche se ha richiesto di bloccare o dirottare 1.340 voli umanitari dall’Europa, ritardare l’arrivo di 5.800 uomini delle ONG dall’America Latina, la distribuzione di generi di prima necessità, l’allestimento della sua struttura logistica su un suo territorio di 27.000 chilometri quadrati (2.000 in più del Piemonte) con 9 milioni di abitanti (600.000 meno della Lombardia).

Le priorità sottaciute di una sì vasta operazione militare sono altre. Prima tra tutte rendere impenetrabile un blocco aero-navale che impedisca l’esodo in massa dei sopravvissuti al terremoto dell’11 gennaio ed alla fame ed allo spietato sfruttamento economico di due secoli. E’ un fenomeno ricorrente degli ultimi settanta anni: l’ultima volta alla fine del secolo scorso questa politica dei respingimenti, applicata con un certo ritardo, portò alla deportazione temporanea a Guantanamo ed al rimpatrio coercitivo ad Haiti di 21.000 profughi, approdati con mezzi di fortuna e con centinaia di vittime in mare sulle spiagge della Florida. Sotto traccia i pregiudizi razziali, sociali e storici: gli haitiani hanno la pelle più scura degli afro-americani, un livello intellettivo uguale se non più alto (sono altamente competitivi come ogni altra minoranza etnica). E poi ci sono le realtà e i miti storici dei cosiddetti “giacobini neri”, guidati nel 1791 da Toussaint Louverture e da Jean-Jacques Dessalines, che portarono al successo una rivolta di schiavi, la difesero dalla guerra scatenata da Napoleone con 30.000 soldati francesi guidati dal famoso generale Leclerc e proclamarono nel 1804 l’indipendenza della prima repubblica nera  del continente americano e forse del mondo intero.

Non c’è dubbio che delle atrocità contro i bianchi vennero perpetrate in  quei tredici anni e subito dopo, ma quelle atrocità vennero elevate all’ennesima potenza da una propaganda accanita di chi vedeva nell’abolizione della schiavitù un colpo mortale all’economia americana ed europea. Selvagge e senza fine le rappresaglie degli Stati Uniti, della Francia, della Gran Bretagna e degli altri Paesi Europei: sanzioni economiche ammontanti a risarcimenti per 98 milioni di dollari di quei tempi, pari all’incirca al debito pubblico dell’Italia di oggi (l’ultima quota è stata pagata dalla Repubblica di Haiti nel 1947), blocco delle esportazioni agricole e quattro protratte invasioni militari.

E poi altre priorità: il controllo di un Paese troppo vicino alla Cuba di Fidel Castro (1.200 i medici cubani che operano da anni ad Haiti i cui abitanti non sono certo insensibili ai fermenti progressisti dell’America Latina – come dimostrato dal duplice avvento al potere del teologo della liberazione Aristide,, due volte vittima dei colpi di Stato allestiti dai servizi segreti USA). Ed infine il pericolo di una rivolta popolare contro condizioni di vita inaccettabili in qualsiasi altro Paese del mondo, una rivolta che nelle fantasie dei dottor Stranamore di Washington potrebbe seguire la falsariga di quella guidata dai leggendari Toussaint Louverture e Jean-Jaques Dessalines.


In e-mail il 24 Gennaio 2010:

Lisbona e Haiti, Voltaire e Ratzinger

di Lucio Manisco www.luciomanisco.com

Il terremoto che rase al suolo Lisbona nel 1775 ispirò la satira di Francois Marie Arouet Voltaire sulla divina provvidenza nel “Poema sul terremoto” e in “Candide”: Pangloss non dice a Candide, come asserisce John Leibnitz, che il nostro è il migliore dei mondi possibili (un inferno secondo lo stesso Voltaire in altri suoi scritti) ma che tutto va per il meglio secondo la divina provvidenza, che in un’altra vita ci regalerà misericordiosamente il bene di cui ci ha privato su questa Terra in base a una imperscrutabile giustizia. La Chiesa di Roma, teocrazia delle più assolute nel regno di Dio, ogni tanto qualche correttivo all’imperscrutabile giustizia della provvidenza divina lo ha applicato, in seguito ai disastri naturali e non sempre per aiutare le loro vittime. Molto prima della catastrofe di Lisbona un papa, divenuto famoso come ispiratore del neo-barocco architettonico, reagì ad un altro sisma  che aveva devastato l’intera Italia meridionale raccogliendo tra i fedeli contributi astronomici per ricostruire le chiese distrutte ed assicurare così l’assistenza ai fedeli stessi non su questa terra ma nell’aldilà.

Joseph Ratzinger sul terremoto di Haiti è stato più cauto: domenica 17 gennaio ha invitato i fedeli a devolvere la questua durante la messa alle vittime del sisma nella repubblica dei Carabi, forse a beneficio del clero o dei luoghi di culto ridotti in macerie.

E pensare che con un piccolo sforzo in più avrebbe potuto superare gli stanziamenti-prestiti del Fondo Monetario Internazionale devolvendo l’uno dell’otto per mille, qualcosa come 125 milioni di euro, ai superstiti del terremoto magari attingendo qualche altro spicciolo dal suo fondo personale segreto che dovrebbe aggirarsi sui settanta milioni.


17 Gennaio 2010 dc:

Brunetta e i "bamboccioni":

 ma questo è deficiente!

  

Sunto da www.corriere.it del 17/1/10 dc:

«Bamboccioni? Ci vuole una legge che obblighi i figli ad uscire di casa a 18 anni»

«Anch'io lo sono stato. Sono arrivato a 30 anni che non ero capace di rifarmi il letto»

MILANO - Anche il ministro dell'efficienza nella pubblica amministrazione, Renato Brunetta è stato un «bamboccione»: lo rivela lui stesso nella consueta intervista a Rtl ricordando di essere «arrivato a 30 anni che non ero capace di rifarmi il letto». E, ora, arriva a proporre la sua idea di una legge che «obblighi i figli ad uscire di casa a 18 anni». «Fino a quando non sono andato a vivere da solo era mia madre che la mattina mi rifaceva il letto. Di questo mi sono vergognato», ha detto, commentando la condanna di un padre costretto da un giudice a pagare gli alimenti ad una figlia trentaduenne ancora fuori corso all'università. Più in generale, i bamboccioni «sono le vittime di un sistema e organizzazione sociale di cui devono fare il «mea culpa» i genitori. Ho condiviso Padoa-Schioppa quando ha stigmatizzato questa figura che mancava però di analisi: i bamboccioni ci sono perché si danno garanzie solo ai padri, perché le università funzionano in un certo modo, perché i genitori si tengono i privilegi e scaricano i rischi sui figli. La colpa insomma è dei padri che - ha continuato il ministro - hanno costruito questa società». Ma Brunetta lancia la sua proposta: «Obbligherei per legge i figli ad uscire di casa a 18 anni».

CALDEROLI - Il ministro per la Semplificazione Normativa, Roberto Calderoli, commenta la proposta di Brunetta.«Sono stato il primo, sabato, a schierarmi contro i cosiddetti "bamboccioni" ma l'amico Brunetta, con la proposta di una legge per far uscire i giovani dalla famiglia al raggiungimento dei 18 anni, mi sembra l'abbia fatta fuori dal vaso». «Questa proposta rappresenterebbe, infatti, un ingerenza inaccettabile nella vita delle famiglie, dei singoli e delle loro decisioni - aggiunge -. La regola, che deve valere per tutti, è quella dei principi dettati dal buon senso: occorre che si tenga conto delle esigenze e condizioni di ogni singolo caso, cosa che non si è fatta, evidentemente, nella sentenza del tribunale di Bergamo relativa al mantenimento della studentessa 32enne fuori corso». Secondo Calderoli «quello che conta per i nostri giovani, è favorirne la crescita, la maturazione, la formazione e l'ingresso nel mondo del lavoro: in questo senso lo Stato può essere determinante, ma deve impedire che del farsi mantenere se faccia una professione , ma tutto questo non deve necessariamente coincidere con il raggiungimento della maggiore età».

DONADI - Questa volta Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, sembra essere d'accordo con Calderoli: «Fuori casa a 18 anni per legge? L'ennesima proposta senza senso di Brunetta. Ai ragazzi italiani servono lavoro e formazione, di norme inutili non sanno che farsene». «Non è con le parole di Brunetta che decidono di andare a vivere da soli. Il problema non è la pigrizia dei giovani, ma la grave carenza di lavoro - aggiunge -. Comprendiamo il gusto della provocazione di Brunetta, la sua ricerca di visibilità, ma la sua proposta conferma solo che vende fumo e non fatti concreti».

Alcuni commenti dei lettori:

Che ipocrisia!!!

17.01|19:56

cantachetip

Cos'hanno fatto in 15 anni i nostri politici (Brunetta ed attuale governo in primis) per favorire l'uscita da casa ai cosiddetti "bambocci"? Dove sono i posti o le opportunità di lavoro che dovrebbero favorire lo "sganciamento" dei giovani dalle loro famiglie di origine? Per favore non ci facessero ridere, con le loro esternazioni da esibizione circense, questi pseudo politici. Comunque, è vero, il pesce puzza sempre dalla testa.

Proposta di legge!

17.01|19:42

mary88

Propongo il Test alcolico obbligatorio prima di ogni esternazione di rappresentanti del governo.

Figli Bamboccioni e POLITICI PARASSITI

17.01|19:28

Karleto

Quando riusciremo a cacciare via questa banda di megalomani parassiti di politici, che pretendono di guidare il paese, sarà sempre troppo tardi. Non è possibile sapere quanto tempo e lavoro servirà per risollevare l'Italia dal baratro nel quale l'hanno fatta sprofondare e continuano a farlo. Intanto che ci ipnotizzano con notizie taroccate e manipolate, si sentono liberi di fare tutto quello che vogliono, per mantenere i loro assurdi e vergognosi privilegi! Oltre che scrivere opinioni sui giornali, cosa possiamo fare in concreto per ripudiare questi delinquenti vestiti dalle feste? A volte si spera nell'opposizione, ma sembra una speranza vana, tanto sono fiacchi. Peccato...

Buon senso?

17.01|19:13

guarracino65

Come si può invocare il buon senso, quando un giudice e un ministro (Brunetta) giocano a chi la spara più grossa? E cosa ne pensa quell'altro bravo ex-ministro di Padoa-Schioppa? Si rende conto, adesso, di aver perso una buona occasione per star zitto!

Brunetta ancora una volta

17.01|19:06

jellyro

ci dimostra palesemente che i signori che siedono in Parlamento non hanno la benchè minima percezione di come viva il Paese reale, non quello che loro si illudono di conoscere. Oggi, se non ci fossero le famiglie (l' Ammortizzatore sociale di ultima istanza), i giovani farebbero letteralmente la fame grazie alla Precarietà (pardon, la Flessibilità "buona", ovviamente altrui) di cui Brunetta ed i suoi colleghi di poltrona sono da anni i fervidi sostenitori. Ed i risultati si vedono !!! Altro che fuori di casa, ve li mandiamo a casa vostra i nostri figli, a pranzo, cena e per la notte.

Il solito

17.01|18:38

Lettore_729715

A Brunetta mancano quelle qualità che rendono gli uomini politici degni di considerazione:la modestia, la riflessione, il rispetto per l'avversario, la capacità di rapportarsi con le persone. Il ministro, al contrario, crede di essere la persona più intelligente, più capace, più bella, più amata di tutto il Paese e, abbastanza spesso, questa convinta consapevolezza lo porta a dire delle sciocchezze. Brunetta confessa di essere stato un bamboccione e non facciamo alcuna fatica a crederlo, ma partire da questa affermazione per proporre una legge che prevede l'allontanamento coatto dei diciottenni dalla famiglia non vuol dire, come affettuosamente dice il suo collega Calderoli, farla fuori dal vaso, vuol dire che il Brunetta non ha ancora risolto i problemi con il suo passato. Non si spiegherebbe altrimenti questo accanimento nei confronti dei bamboccioni che, per la verità, penso che aumenteranno di numero visto la difficoltà, con i tempi che corrono, di trovare occupazione. Brunetta farebbe bene ad occuparsi di questo grande problema che affligge moltissimi giovani e si ripercuote sulle famiglie,ma affrontare i problemi seri non appartiene al suo stile.

ma

17.01|18:14

marcogiu

aveva collegato il cervello,prima di parlare?

un' altra cosa

17.01|18:05

gattori1

mi piacerebbe che tutti non dico gli over 18 ma diciamo gli over 28 non avessero la famiglia dietro a sostenerli, e che andassero tutti a casa del pseudoeconomista ad abitare, sai che megalopoli ne verrebbe fuori

Sono arrivato a 30 anni che non ero capace di rifarmi il letto...

17.01|16:17

Eric

e i risultati si vedono....

Ma Brunetta.....

17.01|16:08

calimeros

Ma è mai possibile che dobbiamo leggere queste proposte di Brunetta in prima pagina? Ha tenuto conto di quelli che vanno all'università? A 18 anni, se tutto va bene, si è diplomati, ma il lavoro è ancora di là da venire. Nel frattempo che fa il ragazzo per mantenersi? Spaccia? Va a rubare? Per sua stessa ammissione, lui a 30 anni non sapeva farsi il letto; crede che i giovani d'oggi siano più svegli? Caro ministro, meglio parlare quando si ha qualcosa da dire e non per andare sulle prime pagine dei giornali.

Poveri noi

17.01|15:59

Lettore_712777

Brunetta, lei a 30 anni non si sapeva rifare il letto e lo va anche a raccontare in giro? Complimenti! Comunque la racconti giusta...lei non sa nemmeno adesso, figuriamoci fare il ministro. Visti i risultati di questo governo, secondo me molti, molti altri suoi colleghi erano nelle sue stesse condizioni... Ma la smetta di insultare l'intelligenza degli italiani, come pensa che possano campare i 18enni fuori di casa in un Paese dove fate di tutto per non farli entrare nel mondo del lavoro?

insopportabile

17.01|15:02

andalù

E' sempre più insopportabile questo ministro, oltretutto in passato mi pare si sia autoproclamato come pretendente al Nobel per l'economia. Ha il complesso di superiorità come molti del governo attuale, se poi è vero che propone una legge per obbligare i figli ad uscire di casa allora è da camicia di forza. Lo sappiamo e solo una battuta, la verità è che ci sono nel governo attuale a cominciare da Berlusconi una serie di ministri incompetenti, presuntuosi che per sopperire alla loro inutilità ed inefficienza si permettono delle dichiarazioni demenziali. Hanno imparato bene a rimanere sulla cresta dell'onda dal loro capo, sparare cazzate ma essere sempre presenti alla attenzione del pubblico idiota che li vota. Mandiamoli a casa questi personaggi presuntuosi. E' andato ad Hammamet per partecipare alla commemorazione dei dieci anni dalla morte di Bettino Craxi, uno che aveva fatto una fortuna con le tangenti, si vede che è un modo di far politica che Brunetta condivide. Poi viene a fare il moralista. Gianni

sempre colpa dei giovani, Ministro

17.01|15:02

HenryFly

beh ragazzi, credo che con questa affermazione il nostro ministro abbia davvero toccato il fondo. Ma ci rendiamo conto? una LEGGE CHE OBBLIGHI I FIGLI A USCIRE FUORI DI CASA AL COMPIMENTO DEI 18!! Guardi, signor ministro, che se i giovani a 30 anni sono ancora mantenuti, è colpa del lavoro che non c'è, degli affitti troppo alti e degli stipendi troppo bassi. Da che pulpito parla lei? Uno stato che non investe sui giovani non ha futuro! E lei li vuole sbattere fuori di casa? Ma si vergogni..

Un pollaio senza galli: tutte galline starnazzanti

17.01|15:02

gigica

Ma è mai possibile, mi chiedo, che ogni tanto salta fuori una gallina he annuncia di aver fatto un uovo più grande e migliore della sua collega? Riduzione Irpef: alleluja! Tutti convinti e contenti! 80 miliardi di gettito fiscale! Nessuno lo sa! Ma soprattutto nessuno sa o indica dove trovare la copertura! Il giorno dopo smentita: non si può fare! Altro annuncio (sempre dopo l'ora dell'aperitivo: riduzione Irpef a due aliquote: 23% e 33%. Ripeto: e la copertura? Nessuno lo sa! Il giorno dopo solita smentita! Ora tocca alla gallinella Brunetta: bamboccioni fuori casa a 18 anni! Per andare dove? In un'altra casa? E i mobili, l'affitto di casa o il costo della casa chi li paga? Calderoli già dice che Brunetta ha fatto la cachetta fuori dal vaso! Ha ragione! Domani aspetto la solita smentita. Ma dove siamo, in quale repubblica? Quella delle banane?

rimango allibito

17.01|14:36

maupisese

Di fronte a simili affermazioni, c'è da rimanere di sasso. non è che questa frase è stata detta al bar dello sport, dal signor pincopallo, ma da un ministro della repubblica italiana. Se questo agisce come ragiona, io mi domando, ma in quali mani siamo finiti? A parte il fatto che questa esternazione non è la prima che fa, altre volte ci ha deliziato delle sue mirabolanti performances, il guaio è che è in buona compagnia, di un migliaio di ministri se ne può salvare solo pochissimi, gli altri ogni giorno ci sfornano dei teatrini mediatici nei quali mostrano la loro sottocultura, a questo punto potrebbe fare il parlamentare pure il trippaio sotto casa. il colmo è che non se ne rendono neppure conto,visto l'abbondanza di presenze sui media nazionali e non. Ma siamo sicuri di meritarci simile persone? Non mi pronuncio con aggettivi più appropriati, per non essere bannato. ma giuro la rabbia è tanta che meriterebbero epiteti più appropriati, come quelli che a volte proprio loro ci propinano in tv.

 


In e-mail il 7 Gennaio 2009 dc:

Axteismo Press http://nochiesa.blogspot.com

Comunicato Stampa

Il giudice “anticrocifisso” Luigi Tosti

sarà processato il 22 gennaio dal CSM

 Giornalisti e pubblico sono invitati

ROMA – “Avviso tutti gli amici che mi hanno sostenuto nella battaglia per la rimozione dei crocifissi dalle aule dei tribunali italiani” commenta il magistrato Luigi Tosti “che il prossimo 22 gennaio 2010 alle ore 9:30 sarà celebrato, dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura, Piazza Indipendenza n. 4, Roma, il procedimento disciplinare che è stato aperto, circa 5 anni fa, a mio carico per essermi io rifiutato di tenere le udienze sotto l’incombenza dei crocifissi.

Un procedimento, questo, per il quale ho subito due condanne penali ad un anno di reclusione (poi annullate dalla Corte di Cassazione) e sto subendo, da 4 anni, la sospensione dallo stipendio e dalle funzioni. Mi difenderò da solo e l’udienza sarà pubblica (anche se l’aula non è particolarmente capiente).

La presenza di televisioni sarebbe oltremodo gradita, non avendo io alcunché da nascondere o di cui vergognarmi: credo, però, che l’Avv. Nicola Mancino negherà le autorizzazioni per impedire che venga ripreso questo processo, degno della migliore Santa Inquisizione della Chiesa cattolica.

In ogni caso, rappresento che presterò il consenso preventivo a quanti vogliano chiedere di riprendere il processo e divulgarlo. In caso di condanna e di conseguente rimozione dalla magistratura, adirò la Corte Europea dei diritti dell’Uomo: in caso di assoluzione e di reintegrazione in servizio, seguiterò a rifiutarmi di tenere le udienze sino a che il Ministro di Giustizia (oggi Angelino Alfano) non avrà rimosso l’ultimo crocifisso dall’ultima aula di giustizia della Colonia Pontifica, cioè dell’Italia.

Presagisco (ed anzi spero) che i membri del CSM, per non offendere i desideri di Joseph Ratzinger conosciuto come Papa Benedetto XVI ed anche per non correre il rischio di essere linciati e di essere bollati come “ubriaconi” (com’è avvenuto per i giudici della CEDU Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), opteranno per la prima soluzione. E’ gradita la massima diffusione di questa notizia”.

Luigi Tosti

 

Nella foto, il giudice Luigi Tosti

Per interviste, informazioni e altro tel. 3393188116

 

«Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.»

George Orwell

 Fonte: http://tostiluigi.blogspot.com

Diffusione: Axteismo Press l’Agenzia degli Axtei, Atei e Laici

 

Richiedi gratis TUTTI i documenti in formato digitale,

circa 80 mail, scrivendo a:

axteismo@yahoo.it


Il Circolo Culturale Giordano Bruno di Milano ci ha inoltrato il 4 Gennaio 2010 dc questa e-mail a loro pervenuta:

In allegato Manifesto per il comunismo anarchico dell'UCAd'I

Manifesto per il Comunismo Anarchico

Noi militanti della lotta di classe sentiamo il bisogno di svolgere insieme un’azione comune finalizzata allo sviluppo del comunismo anarchico in Italia.

Perciò ci rivolgiamo a tutti coloro che, animati dal nostro stesso fine, desiderano lottare e sviluppare esperienze e confronti finalizzati a diffondere la pratica del comunismo anarchico nelle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori, forti di una memoria storica di esperienze e di lotte delle quali ci consideriamo portatori.

Il nostro appello è diretto sia a chi ha sviluppato negli anni di militanza politica un vissuto di lotte e di ricerca di strategie politiche di azione anticapitalistica, sia a chi oggi vuole impegnarsi nella lotta per una società di liberi ed uguali e contro lo sfruttamento di un essere umano su altri.

 OBIETTIVI DEL NOSTRO AGIRE POLITICO

Il nostro agire politico privilegia la piena partecipazione di tutti alle azioni di lotta, stimola la partecipazione alle lotte di emancipazione e di affrancamento dallo sfruttamento per il superamento del rapporto salariato, nella prospettiva di una società solidale. L’obiettivo è quello di consentire l’accesso di tutti alle risorse, lottando contro l'egemonia dei Paesi più sviluppati sui poveri del mondo, nella consapevolezza che il comunismo anarchico è l’unica strada verso l’uguaglianza e la libertà sia dal bisogno che di garanzia dei diritti civili, di genere, di status.

Problemi quali la qualità e durata della vita, il peso dell’inquinamento e del deterioramento del clima pongono oggi in modo drammatico la ricerca di un’etica compatibile con questi valori che si leghi indissolubilmente alla lotta di classe in quanto la ricerca dell’eguaglianza economica non può prescindere dal diritto a una vita e a una morte consapevole, da relazioni sociali e affettive che superino le differenze di genere, da un rapporto con la natura che recuperi una relazione sana con l’ambiente, da una matura riflessione sulle metodiche di accesso all’energia, da un approccio alle tecniche produttive che liberi sempre di più energie da dedicare alla vita e all’arricchimento di se stessi.

L’eliminazione degli squilibri nella distribuzione delle ricchezze tra le classi e tra le diverse aree del mondo non può che accompagnarsi alla lotta per la liberazione dall’oppressione religiosa in quanto non vi è libertà dal bisogno se essa non riguarda insieme la dimensione economica e quella valoriale. Su quest’ultimo campo la battaglia va combattuta contro ogni forma di schiavitù religiosa affermando il valore supremo della libertà di coscienza il che comporta la garanzia del diritto di ognuno di credere e di appartenere ad una confessione religiosa, nella consapevolezza che la strada verso la liberazione dal bisogno religioso richiede un percorso graduale e libero, progressivo, che passa all’interno delle coscienze e deve essere supportato dal mutamento dei rapporti produttivi e dal superamento della divisione della società in classi. La libertà di coscienza tuttavia esplica i suoi benefici effetti sul piano valoriale la dove l’appartenenza religiosa e il culto pubblico di essa non si traduce nel perseguimento di obiettivi politici quali la costruzione di società teocratiche o condizionate da strutture confessionali, che pretendono di farsi interpreti di valori totalizzanti e vogliono costruire su questi obiettivi un’alleanza interclassista di segno religioso e fideistico.

La società che va prendendo forma dai valori e dalle considerazioni fin qui enunciate è frutto in parte di un processo dialettico di confronto tra le forze in campo, costituisce un progetto in progresso che si va delineando nel tempo e col tempo si arricchisce di articolazioni e di contenuti, misurandosi con l’evoluzione della società e della specie, nella convinzione che gli esseri umani sono frutto dell'evoluzione biologica, nascono e crescono sulle esperienze, fanno tesoro della loro storia e dei loro errori come delle positive esperienze, della poesia, della bellezza, dell’amore e del piacere, delle tradizioni e dei ricordi, della socialità e delle feste, della musica e dell’arte.

     Lo sviluppo graduale dei rapporti sociali e produttivi verso una gestione di essi che permetterà l’uguaglianza e la liberazione dal bisogno, se pure ha bisogno di rotture rivoluzionarie è tuttavia un processo graduale che richiede una fase di transizione, non sappiamo quanto lunga anche perché non ne conosciamo esattamente l’approdo, anche se ne individuiamo i contorni. Perciò essa avrà bisogno del diritto per gestire oggi e nella fase di transizione i rapporti interpersonali nella consapevolezza che non esiste una legge giusta ma che essa è il risultato di una relazione contrattuale che registra innanzi tutto i rapporti di forza tra le classi in un dato momento storico.

 IL COMUNISMO ANARCHICO NELLA REALTA' ODIERNA

Oggi, all’inizio di un nuovo secolo, usare ancora la parola “comunista” suona terribilmente datato, eppure noi la rivendichiamo con orgoglio, come rivendichiamo con orgoglio di essere tra i pochi che ritengono la “lotta di classe” il naturale dispiegarsi delle relazioni sociali in una società capitalistica. Nel nostro Paese e nel mondo, auspice l’implosione dei paesi a “socialismo reale”, l’offensiva ideologica volta alla cancellazione della coscienza dei rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori non ha subito soste. Non sta certo a noi rivendicare alcuna nostalgia dell’ex Unione Sovietica, dei suoi satelliti, dei partiti che nei Paesi capitalistici ne hanno sostenuto il ruolo di modello cui attenersi, perché mai le nostre critiche a quella concezione sociale sono venute meno.

Il fatto è che un’attenta campagna culturale ha declassato la parola “ideologia” a sinonimo di falsa credenza, la parola “utopia” a sinonimo di violenza sulla realtà oggettiva e la parola “comunismo” a sinonimo di criminalità politica. C’è un sostrato strutturale in questo passaggio: la finanziarizzazione dell’economia, la diaspora produttiva, la polverizzazione del lavoro e della sua rappresentanza; la crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro, cui i sindacati non hanno saputo opporre alcuna resistenza ed a cui anzi spesso hanno contribuito. Un ciclo produttivo disseminato reso possibile e controllabile dalla tecnologia informatica, ha disarticolato i rapporti sociali, rompendo i legami solidali che avevano fatto forte le classi sfruttate nell’arco di un secolo e mezzo.

Ma, come noi crediamo, ogni mutamento sovrastrutturale ha le sue retroazioni nella sfera produttiva e rende possibile altri e più profondi cambiamenti. Senza prendere in esame l’allargarsi del lavoro a domicilio (telelavoro), l’isolamento del singolo prestatore d’opera di fronte al proprio videoterminale crea l’illusione di essere il controllore del proprio produrre e così l’individualismo, tipico un tempo solo dei lavori diffusi in appalto sui territori, si allarga a tutti i lavoratori, rendendo possibile un ulteriore affondo dell’offensiva padronale.

Inoltre, l’abitudine ad interagire con una realtà virtuale, l’assuefazione alla facilità di manipolare senza sforzo i testi, l’accavallarsi di informazioni plurime, incontrollate, effimere, rendono naturali fenomeni quali la finanza volatile e i capitali senza origine né destino, sfumando i contorni proprietari delle ricchezze prodotte. Anche la storia, patrimonio prezioso che nasce dalla memoria, perde significato nel movimento convulso della cronaca, in modo che tutto diventa credibile, anche il contrario di quanto era assolutamente “vero” il giorno prima.

Tutto ciò crea una forte instabilità nei legami sociali ed individuali, comportamenti che sempre più si discostano dalla solidarietà individuale e di gruppo, e tanto meno di classe; si generano relazioni instabili; il futuro decade da opportunità a minaccia. La nostra azione sarà, quindi, controcorrente, ma non rivolta al passato, anche perché un modello costruito sui presupposti sopra descritti non ha futuro.

Partendo da questa riflessione noi, in parte già militanti dell'FDCA e forti del sostegno di nuove compagne e compagni, intendono impegnarsi nella lotta per il comunismo anarchico nulla rinnegando delle tesi politiche passate e della storia del comunismo anarchico internazionali, ma consapevoli della necessità di sperimentare una formula organizzativa che consenta la partecipazione uguale di tutte e tutti alle scelte politiche e strategiche.

Siamo impegnati in una discussione approfondita sulle metodiche di intervento, sulle strutture che dovremo darci consapevoli che la costruzione compiuta di un'organizzazione politica richiede tempi, riflessione e sperimentazione.

 Questo è il primo passo nella direzione indicata, senza rimpianto o rivendicazioni per lasciti ed esperienze passate, ma nella prospettiva di un sempre maggiore sviluppo della lotta di classe per il Comunismo Anarchico.

Dicembre 2009 

 

UNIONE DEI COMUNISTI ANARCHICI D'ITALIA 

Per contatti: crescitapolitica@ucadi.org


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