Politica
e Società-12
(ateismo
e agnosticismo inclusi...)
2015
dc
commenti,
contributi
e opinioni
E-mail
kynoos@jadawin.info
Ho unificato le due precedenti pagine di
Politica e Sociale perché, in fondo, si occupavano degli stessi temi.
Per non appesantirne il peso nel sito le ho numerate progressivamente a
partire da quella con notizie e fatti più vecchi.
In questa pagina ci sono testi con data
2015 dc, il più recente all'inizio.
Comunicato del Partito Comunista dei Lavoratori, 3 Novembre 2015 dc:
Vaticano S.p.A.:
populismo papalino e capitalismo ecclesiastico
L’arresto
dell’”economo del Papa” Vallejo Balda da parte della Gendarmeria
vaticana con l’accusa di “divulgazione di notizie riservate” rivela la
lotta interna ai sacri palazzi di Oltretevere. L’intero commentario
della stampa borghese parla dell’eroica lotta di “Santo Padre
Francesco” per “ripulire il Vaticano” e della sorda resistenza degli
ambienti vaticani a questa operazione di pulizia. Ma i conti non
tornano, e anche la logica ha i suoi diritti.
Balda viene arrestato, su diretto mandato del Papa, per aver reso
pubbliche delle informazioni riservate sulle sterminate proprietà
vaticane, sulla continuità dei traffici IOR, sulla amministrazione
truffaldina dei fondi pubblici e degli oboli privati da parte della
macchina statale pontificia.
L’arresto è scattato solo dopo la notizia della uscita imminente di due libri dedicati alle rivelazioni.
Domanda: perché il Vaticano pretende che le informazioni sul suo stato
patrimoniale e sulla sua gestione debbano restare “riservate”? Non era
stata annunciata l’operazione trasparenza? Perché si ricorre
addirittura all’arresto (con la minaccia di 8 anni di carcere) del
responsabile, reale o presunto, delle rivelazioni? Perché si minaccia,
come già in passato, di chiedere il blocco delle pubblicazioni
editoriali annunciate?
La stampa borghese tace su questi interrogativi elementari. Ha paura
anche solo a formularli. Si diffonde in pagine e pagine di retroscena,
più o meno scandalistici, sulla figura di Balda e della sua
collaboratrice, e sulle motivazioni interessate delle rivelazioni fatte
(vendetta per una nomina mancata).
Ma sul contenuto delle rivelazioni, e soprattutto sulla ragione delle
pretese censorie del Vaticano, nessun commento. Anzi, là dove si
balbetta qualcosa, si ripete a pappagallo, per paura di sbagliare, la
velina ufficiale vaticana: «Un tentativo di infangare l’azione di
rinnovamento condotta da Papa», ecc ecc. Amen. Ma come? Un’azione di
“pulizia” e “rinnovamento morale” non dovrebbe denunciare i mercimoni
affaristici della macchina vaticana anziché arrestare chi li rivela?
UN PAPA PERONISTA A CACCIA DI CONSENSO. IL POPULISMO ECCLESIASTICO COME LEVA DI POTERE
La verità è più semplice, in una cornice più complicata e generale.
Papa Francesco, come ogni Papa, è il monarca assoluto di uno Stato
teocratico che in tutto il mondo è parte organica del capitalismo, con
possedimenti finanziari e immobiliari giganteschi. Come ogni Stato
capitalista, ma con una presenza mondiale ineguagliabile, lo Stato
Vaticano è attraversato da guerre per bande e cordate in lotta per il
potere.
La novità dell’attuale Papa Bergoglio – non a caso di estrazione
peronista – è che egli tenta di coprire la realtà dello Stato Vaticano
con la promozione di un’immagine pubblica misericordiosa, attenta alla
condizione dei poveri, meno dottrinaria, più comunicativa nei confronti
del senso comune popolare.
Siamo in presenza di un Papa “populista”, mirato alla conquista del
consenso pubblico, che fa leva sul consenso pubblico per accrescere il
proprio potere assoluto nella Chiesa: modificando a proprio vantaggio i
rapporti di forza con la Curia romana, con la Conferenza Episcopale,
con la Segreteria di Stato vaticana, e più in generale con l’insieme
delle strutture tradizionali dirette e indirette dell’istituzione
ecclesiastica. Il braccio di ferro sotterraneo nel recente Sinodo è la
cartina di tornasole della lotta in corso.
Un Papa dunque più “democratico”, più rispettoso della laicità dello
Stato? Al contrario. Il Papa populista usa la propria ritrovata
credibilità pubblica per allargare oltre misura il raggio d’intervento
della propria Chiesa.
Ricerca e ottiene pubblica udienza presso le camere congiunte del
Parlamento italiano, presso il Parlamento europeo, presso lo stesso
Congresso americano, per avere su di sé i riflettori del mondo, carpire
nuovi consensi e dunque maggiore forza politica.
Si fa diretto protagonista sulla scena internazionale intervenendo come
intermediario del negoziato tra USA e Cuba per la restaurazione del
capitalismo a Cuba; e persino del negoziato tra Stato colombiano e FARC
per la loro integrazione nel capitalismo colombiano.
Promuove una politica di “pacificazione” ecumenica con le altre Chiese
e autorità religiose (ebraiche, greche ortodosse, islamiche…) per
allargare la propria influenza presso le basi di massa delle altre
fedi, e dunque estendere il proprio peso politico internazionale.
Infine invade Roma con un Giubileo di venti milioni annunciati di
fedeli, pretendendo dallo Stato e dal Comune di Roma una rapida
funzione di servizio, pagata con risorse pubbliche: anche per questo
scarica il sindaco delle nozze gay, a favore di un commissario
prefettizio in grado di amministrare la grande torta del nuovo business
capitolino e di lustrare a dovere l’immagine pubblica del Papa
nell’anno della Misericordia.
Nel frattempo attiva tutti i canali di interlocuzione possibili col
mondo laico, dalle telefonate con Scalfari sino all’incredibile lettera
di riconoscimento… al consigliere romano Alzetta (detto Tarzan):
cercando dal primo lo sdoganamento della cultura laica, e dal secondo
forse un’attenzione di riguardo alle proprietà vaticane nella gestione
dell’occupazione delle case a Roma.
Un Papa, dunque, “totale”, pervasivo di ogni campo a 360 gradi,
proiettato quotidianamente nella sfera temporale come mai in
precedenza, determinato a risollevare la forza della Chiesa ad ogni
latitudine istituzionale, dopo anni di crisi e decadenza della sua
pubblica credibilità (corruzione, pedofilia, crimini dello IOR…).
LA REALTÀ DEL CAPITALISMO ECCLESIASTICO CHE BERGOGLIO VORREBBE COPRIRE
Ecco allora il perché della reazione poliziesca del Pontefice
“misericordioso” alle rivelazioni di un prelato infedele. Perché
proprio quelle rivelazioni mostrano lo scarto abnorme tra l’immagine
pauperistica della Chiesa che il Papa populista vuole accreditare, e la
intatta miseria morale della Chiesa reale, quale parte inseparabile del
capitalismo italiano e mondiale.
La Chiesa che detiene quasi 5 miliardi in sole proprietà immobiliari,
spesso facendosele valutare “un euro” per evadere il fisco.
Che fa 60 milioni ogni anno vendendo benzina, sigarette, vestiti
pregiati a basso costo, attraverso 41.000 tessere a raccomandati vip e
amici degli amici nella sola città di Roma.
Che imbosca i 380 milioni annui dell’Obolo di San Pietro, destinandoli a ben altri usi dalla “carità evangelica”.
Che truffa sull’8 per mille con la complicità dello Stato italiano, come confessa la stessa Corte dei Conti.
Che, contro la sbandierata moralizzazione, continua a proteggere
attraverso lo IOR i conti bancari di grandi costruttori coinvolti nella
ristrutturazione a prezzi stracciati di proprietà vaticane.
Per citare solamente alcune anticipazioni pubbliche delle rivelazioni annunciate.
Qualcuno si può stupire se il populista Papa Francesco si sente
minacciato dalla verità e preferisce arrestarla? Il solo aspetto comico
è che gli autori dei libri incriminati invece di rivendicare le proprie
rivelazioni come demistificazione del nuovo corso papalino e denunciare
le minacce ricevute, si affrettano a presentare il proprio lavoro “come
un aiuto fornito al Santo Padre” (Nuzzi). La potenza del nuovo
Pontefice strappa reverenze insospettabili.
La sinistra riformista italiana, anch’essa succube del nuovo
Pontificato (perché succube dell’ordine capitalista), si chiude non a
caso in un ermetico silenzio di fronte alle nuove rivelazioni. Vendola
e Ferrero non si sono forse sperticati per due anni nel lodare Papa
Francesco come campione della lotta al “liberismo” e nuova autorità
morale di riferimento, coprendo su tutta la linea il nuovo corso
populista del papato? La “nuova cosa rossa” in gestazione cerca la
benedizione del Papa. Avallando le sue mistificazioni tra i lavoratori.
Il PCL, in quanto partito di classe e anticapitalista, rilancerà una
forte campagna pubblica anticlericale ed antipapalina, in occasione del
Giubileo e delle elezioni comunali a Roma. E chiama tutte le
organizzazioni del movimento operaio e tutte le associazioni
coerentemente laiche ad una azione comune di controinformazione e
denuncia su questo terreno elementare.
Partito Comunista dei Lavoratori
da Tutti i Colori del Rosso, newsletter del 27 Ottobre 2015 dc di Punto Rosso www.puntorossoblog.com:
Le "rivelazioni" di Netaniahu
di Francesco Masala
Gli ispiratori di Hitler sono stati i palestinesi, scrive Bibi Netanyahu ad Angela Merkel.
E continua:
I palestinesi hanno ammazzato Gesù, scrive B. N. al papa.
Il rapimento di Moro e la strage di Portella della Ginestra furono
finanziate da una cellula palestinese, scrive B. N. al presidente
Mattarella.
James Earl Ray, che assassinò Martin Luther King nel 1968, era di origine palestinese, scrive B. N. a Obama.
Il DC9 caduto nel mare di Ustica fu colpito da un missile dell’aviazione palestinese, scrive B. N. alle autorità italiane.
Lee Harvey Oswald, l’assassino di JFK, era al soldo dei servizi segreti palestinesi, dice B. N. a Obama.
Rabin è stato assassinato da un ebreo di origine palestinese, scrive B. N. a B. N..
Shiran Shiran, che uccise Robert Kennedy, era di origine mediorientale, scrive B. N. a Obama, sai cosa significa.
Il Titanic fu affondato da un iceberg dirottato da un sommergibile
della Marina militare palestinese, scrive B.N. a Cameron e Obama
Panico presso le case editrici dei libri di storia. Obama denuncia B. N. per stalking.
Papa Francesco, Merkel, Obama, Mattarella e Cameron sono i primi
firmatari della petizione online introdotta da questo slogan: Keep calm
e mandiamo B. N. in clinica psichiatrica.
da Lucio Garofalo il 6 Ottobre 2015 dc:
Elezioni in Portogallo
Purtroppo,
in Portogallo hanno vinto le elezioni politiche i partiti
dell'austerity, un dato allarmante da non sottovalutare, ma sono
confortanti i risultati del PCP, il Partito Comunista Portoghese, e del
Bloco d'Esquerda.
Insieme hanno eletto ben 36 deputati, che faranno un'opposizione seria e dura.
L'aspetto inquietante, invece, è che i media hanno oscurato ogni notizia in merito a tali elezioni.
Forse dipenderà dal fatto che sia il Partito Comunista Portoghese che
l'Esquerda sono due partiti credibili e rispettabili di fronte al
panorama politico, fin troppo deprimente, della "sinistra europea".
Il Bloco esprime posizioni più morbide sull'Euro rispetto al PCP, ma è
una forza di ispirazione marxista cosciente, che propugna il
superamento dei partiti nazionali, in quanto anacronistici, e la
costruzione di un'alleanza internazionalista, ma più aggiornata e
adeguata alle esigenze odierne.
Come ho puntualizzato in altri post precedenti, il Bloco dell'Esquerda
sorse dalla confluenza di vari filoni politici della sinistra
portoghese, incluse pure frazioni trozkiste, ma non è paragonabile ad
esperienze politiche ormai in via di estinzione o fallimentari, quali
Rifondazione Comunista e SEL.
La differenza più sostanziale risiede prevalentemente in un passaggio
del Manifesto del Bloco d'Esquerda, in cui si paventa e si auspica il
superamento dei partiti nazionali, ritenuti obsoleti ed inadeguati al
quadro odierno della globalizzazione capitalistica, per favorire la
nascita di una nuova Internazionale, che non sia una replica
caricaturale della IV Internazionale trozkista.
Credo che sia la strada da percorrere per contrastare l'aggressività
del capitalismo a livello planetario, sempre più agguerrito e spietato.
È da rilevare l'originalità di entrambe le formazioni presenti nella
sinistra portoghese, tanto del Partito Comunista, non dogmatico, né
stalinista, quanto dell'Esquerda, dove confluirono in origine tre
grandi filoni della sinistra portoghese: i comunisti dell'Unione
Popolare Democratica, i trozkisti ed infine i socialisti di Politica
XXI.
Pertanto, il Bloco non è una forza di tendenza solo trozkista, bensì
molto eterogenea, la cui originalità di fronte ad altri partiti della
sinistra europea è fin troppo palese.
Ma l'intero quadro della sinistra portoghese è diverso, non solo per le
caratteristiche del Bloco, quanto soprattutto per il profilo
anti-dogmatico e per niente settario (come il KKE greco, ad esempio)
del Partito Comunista Portoghese.
Dunque, si configura una situazione assai propizia che incoraggia un
dialogo a sinistra con l'Esquerda per stringere un sodalizio
strategico-politico assai proficuo.
da Lucio Garofalo il 9 Settembre 2015 dc:
La Buona Scuola
Più vedo all'opera i nuovi presidi, più mi rendo conto che le persone si adattano alla perfezione al loro nuovo ruolo.
Sembra che la riforma della figura dirigenziale sia stata varata su
misura per loro. Dalle scelte dei collaboratori e dei membri degli
"staff" si desume come i nuovi DS preferiscano circondarsi di elementi
a loro congeniali, che non arrechino disturbo, degli automi zelanti ed
efficienti, meglio ancora se teste poco pensanti, meri esecutori di
direttive calate dall'alto.
Del resto, ai nuovi presidi la legge chiede di agire come dirigenti d'azienda.
Essi devono organizzare e dirigere le scuole come fossero "aziende".
Ormai la scuola è vista e descritta come una "azienduola". Altro che
"laboratori di saperi" o "fucine di cultura". In base al modo in cui i
nuovi presidi esplicano simili mansioni manageriali (anche se trovo
assurdo tutto ciò) alla fine del ciclo triennale verranno valutati.
Come, del resto, noi docenti verremo valutati in virtù delle
prestazioni di supporto e collaborazione al DS. Non a caso, i presidi
tengono a farlo presente e ribadirlo in occasione dei collegi docenti.
Dunque, mi chiedo: ma un insegnante che intende limitarsi ad espletare
il proprio dovere in classe, vale a dire interagendo in modo brillante
e proficuo con i propri allievi, facendoli diventare autonomi, menti
critiche e via discorrendo, non è da considerarsi un professionista
valido o "produttivo", per cui forse conviene che cambi mestiere?
Me lo domando ormai da tempo con una insistenza. Sgombriamo il terreno
da ogni eventuale equivoco. Lungi da me l'intenzione di giudicare le
persone, bensì valuto il ruolo. Purtroppo, la funzione sociale di un
individuo è alienante, nel senso che rischia di trasfigurarlo in
un'altra persona.
Lo si è visto con i nuovi presidi, che fino ad ieri erano insegnanti
come noi, ma si sono presto calati nel nuovo ruolo, assai remunerativo,
quanto alienante.
Ma l'aspetto che non riesco ad accettare è che si pretenda di valutare
e premiare la "produttività" di un docente in base al novero degli
incarichi aggiuntivi e delle prestazioni di supporto alla dirigenza che
egli riuscirà ad eseguire.
Non che sia contrario in termini pregiudiziali. In passato, ho svolto
pure la funzione strumentale ed ho persino ricoperto l'incarico di
collaboratore vicario, quando questa era una funzione elettiva e non
retribuita. Dunque, in tempi non sospetti. Sono favorevole ai progetti
didattici-formativi di tipo extra-curricolare, a maggior ragione se
effettivamente validi e stimolanti sul versante socioculturale.
Ma sono fermamente contrario ai "progettifici scolastici", alla
proliferazione aziendalista di tali attività aggiuntive, premiate e
privilegiate a discapito delle finalità curricolari, che dovrebbero
essere prioritarie, cioè anteposte al resto.
Poi ci si lamenta che i ragazzi arrivano alle scuole medie e non sanno
scrivere sotto dettatura, non sanno redigere un riassunto, non sanno
rielaborare un paragrafo di storia, non conoscono a memoria le
tabelline, ecc.
Alla luce della mia esperienza professionale, ho avuto modo di
riscontrare come i libri scolastici siano in genere (non sempre) di un
tedio mortale, in quanto aridi, se non addirittura vuoti, spesso
banali, convenzionali o stereotipati, per cui non agevolano affatto
l'opera dell'insegnante, ma al massimo servono quali noiosi eserciziari
e testi di verifica. Ne consegue che la passione per i libri e la
cultura non si potrà mai accendere in seguito ad uno studio acritico,
cioè meccanico e mnemonico, condotto sui testi adottati a scuola, che
rischiano di sortire l'effetto esattamente contrario, ossia il disamore
e la disaffezione verso lo studio, i libri e la scuola.
La ripetitività e la prevedibilità sono le più acerrime ed antitetiche avversarie della passione e dell'immaginazione creativa.
Le prime provocano la morte spirituale, la cessazione del "viaggio
intellettuale" che un buon libro riesce a stimolare. Viaggio inteso e
vissuto come incessante avventura dello spirito e dell'immaginazione.
Le seconde suscitano quegli input utili e necessari all'opera della
ricerca e della scoperta del sapere, da vivere come un piacere ludico,
un divertimento. Voce che, non a caso, discende dall'etimo latino
"di-vertere", che sta per variare, deviare, cambiare e diversificare.
Vale a dire l'esatto contrario della ripetitività, della prevedibilità
e della monotonia, che generano noia ed uccidono il desiderio della
conoscenza, spegnendo la fiamma che spinge ad impossessarsi del sapere
e della cultura.
È questo il fine primario della scuola: accompagnare i ragazzi nel
viaggio "avventuroso" che li conduce alla vera mèta, ossia il piacere
della scoperta e del sapere, non certo il voto scritto sulla pagella.
Gli alunni (ed i loro genitori) dovrebbero comprendere che lo studio e
l'istruzione scolastica servono alla loro maturazione culturale ed al
loro avvenire, e non a conseguire buoni voti, come invece accade nella
stragrande maggioranza dei casi e nella migliore delle ipotesi, ben
sapendo che numerosi allievi non amano affatto lo studio.
In tal senso, il compito precipuo dell'insegnante meritevole, è proprio
quello di saper motivare ed incentivare gli allievi allo studio, non
tanto fine a se stesso, bensì per imparare a godere il piacere di
apprendere, per nutrire la passione verso la cultura, intesa e vissuta
come una "avventura interminabile", una ricerca incessante ed una
scoperta interiore, non certo per ottenere dei voti positivi e la
promozione.
Il maestro meritevole, capace e brillante, dunque da premiare e
valorizzare, è colui che sa "contagiare" i propri allievi attraverso il
"virus" dell'amore per i libri, lo studio e la conoscenza, la vita ed
il mondo.
da Lucio Manisco il 7 Settembre 2015 dc:
Considerazioni Inattuali n.80
Un bambino, il risveglio delle coscienze, i migranti.
La parola d'ordine:
non menzionare le responsabilità USA
Le
cause: le guerre come catastrofi naturali, gli errori in Libia, Assad,
l’ISI. La soluzione: ribombardare la Libia, bombardare le Siria,
coinvolgere maggiormente i Paesi europei nelle guerre in corso ed in
quelle previste in Medio Oriente e in Africa per i prossimi venti anni.
Moltiplicare cioè per cento e per mille l’esodo dei profughi.
La fotografia del corpo senza vita di
un bambino di tre anni su una spiaggia turca ha risvegliato le
coscienze del mondo occidentale, ha rilanciato la leadership europea
della Germania di Angela Merkel, vacillante dopo la devastazione finale
della nazione greca – nessun processo alle intenzioni, l’apertura delle
frontiere tedesche ai migranti siriani rimane un evento positivo – ha
anche ribadito la più oscena delle parole d’ordine per i mass media e i
governi del vecchio continente: ignorare le responsabilità e le cause
dirette ed indirette del grande impero d’occidente per questo tragico
esodo di massa dal Medio Oriente e dall’Africa.
Una nuova forma di negazionismo dalle
conseguenze funeste per l’Europa dei prossimi venti anni. Lo ha
affermato, senza il minimo accenno alle responsabilità sue e del suo
Governo, il Capo di Stato Maggiore statunitense Martin Dempsey a poche
settimane dal termine del suo mandato. In un’intervista del 3 settembre
u.s. alla rete televisiva ABC (gran rilievo sui mass media europei,
poco o nulla su quelli USA) ha definito quello dei migranti un “grande
problema, una crisi reale” che si protrarrà per altri due decenni.
Ignorare le cause di questo grande problema, di questa crisi reale vuol
dire perseverare nei metodi seguiti da Washington più o meno
deliberatamente con l’unico risultato di accrescere a dismisura l’uno e
l’altra nel suo disegno di dominio globale.
L’orrore e l’emozione destati dal
corpo senza vita di quel bambino non cambieranno certo quel disegno
servilmente sostenuto dagli alleati della NATO e probabilmente non
alimenteranno a lungo i primi segni di solidarietà per i dannati della
terra che premono sulle frontiere dell’Europa. Inevitabile l’analogia
con un’altra immagine –icona di 43 anni fa, quella della bambina
vietnamita di nove anni Kim Phuc ignuda e urlante per il napalm che le
bruciava il dorso, il collo e una gamba in fuga da un villaggio
bombardato dai B-52 statunitensi. È stato detto e ripetuto che
quell’immagine mobilitò l’opinione pubblica contro la guerra e portò al
ritiro caotico degli invasori. Non è vero: quella mobilitazione si
spense quando il presidente Nixon abolì la coscrizione obbligatoria:
l’offensiva Viet Cong e Nord vietnamita del Têt quattro anni prima
aveva portato il Segretario alla Difesa MacNamara ad amari ripensamenti
sull’incerto esito della guerra senza un insostenibile aumento da
500.000 ad un milione di militari americani nel sud del Paese. Il
numero dei caduti aveva superato i 50.000 contro i due milioni di morti
in Vietnam, in Laos e in Cambogia e la foto di Kim Phuc del 1972 non
contribuì alla fine della guerra che continuò per altri tre anni fino
al 1975, il “decent interval” decretato dallo stesso Nixon.
Se l’icona della bambina ustionata dal
napalm è comunque rimasta incisa nella memoria dell’intera umanità, non
altrettanto si può dire di un’altra ondata di migranti a cui gli Stati
Uniti dovettero far fronte (in malo modo) dal 1977 al 1979, quella dei
“boat people” vietnamiti in fuga dal sud del Paese liberato o
sottoposto al duro regime comunista che dir si voglia.
Erano ottocentomila, ma decine di
migliaia erano morti nei naufragi, respinti dai Paesi vicini dell’Asia
di Sud Est e vittime dei pirati. Non erano solo soldati, collaboratori,
spie del regime di Saigon e a migliaia i figli di prostitute e di
soldati USA, ma anche civili in fuga dai “campi di rieducazione” del
Paese riunificato. Ci fu una mobilitazione internazionale per porre in
salvo i “boat people” - tre unità navali italiane ne recuperarono 830 e
li portarono nel Veneto ove vennero trattati molto meglio dei 360.000
accuratamente selezionati come valida manodopera da funzionari USA in
due campi di concentramento in Malesia e Indonesia. Ne passarono di
tutti i colori in Texas e in California quando entrarono in concorrenza
con gli impresari dell’industria ittica dei due Stati.
Acqua passata? Un’esperienza che ha
modificato i comportamenti verso i migranti delle autorità e dei
politici USA? Non si direbbe a giudicare dai programmi del favorito
nella gara repubblicana alle presidenziali, Donald Trump, un
Berlusconi-Salvini agli steroidi, che vuole deportare 11 milioni di
immigrati messicani e sudamericani dagli Stati Uniti. Non si direbbe
dalle aspre e ipocrite critiche mosse dalla stampa e dalla televisione
del Grande Impero alla mancanza di solidarietà ed ai fallimenti
dell’Unione Europea nei confronti di profughi dall’inferno siriano (gli
USA ne hanno accolti 1.495).
Parliamoci chiaro: le critiche sono
più che meritate, ma da qual pulpito viene la predica! C’è solo da
augurarsi che in occasione della visita di un papa che predica bene e
razzola meglio il Presidente Obama non inciti solo gli alleati a
bombardare di più per proteggere le comunità cristiane in Medio Oriente
e in Nigeria, ma faccia delle buone azioni come aumentare i contributi
USA al “World Food Program” costretto dalla mancanza di fondi a ridurre
a 13 dollari e 50 centesimi al mese la spesa per ogni rifugiato in
Giordania e nei Paesi vicini. E che soprattutto non si metta a
discutere con il Bergoglio della validità delle guerre scatenate dagli
Stati Uniti per riportare libertà e democrazia in Iraq, in Afghanistan,
nel nord del Pakistan e delle altre sostenute con armi, droni e
mercenari americani ed europei in Libia, in Siria e via dicendo. Perché
se gli parlerà della pax americana il papa penserà solo al proverbio –
proclama dello Strategic Air Command, “Death from above, peace on
earth”, “Morte dall’alto, pace in terra”. È dalla pace eterna che
fuggono, secondo l’ONU, 60 milioni di disperati.
L’Unione Europea fino a poche
settimane fa, si è dimostrata disunita, inospitale, contaminata da
impulsi razzisti, avara di mezzi: “Poseidon” e “Frontex” hanno
applicato, estendendolo geograficamente, il dovere di soccorso in mare,
che chi ha preso la prima patente nautica ha imparato ad osservare
anche per non incorrere in severe sanzioni. I capi di governo e i
burocrati di Bruxelles hanno ostentato indifferenza e mancanza di
umanità e solidarietà nei soccorsi e nell’accoglienza. Qualcosa ora è
cambiato in Germania, in Austria e in Francia ma non in tutto il
vecchio continente. Non vogliamo parlare della bestialità degli Orban e
degli Erdogan. Parliamo invece di un Paese come il Regno Unito ricco
nei secoli di una tradizione di ospitalità per gli esuli, le vittime di
persecuzioni, di sudditi del vecchio Impero in fuga dalla povertà e
dalla fame. Parliamo dell’indegno erede di questa tradizione, del
presente inquilino di 10 Downing Street, David Cameron, che ha definito
l’ondata dei profughi a Dover e altrove “a swarm of migrants”: “swarm”
in inglese vuol dire sciame, sciame di insetti. E per non lasciare
campo libero alla Merkel si è dichiarato disposto ad accoglierne poco
più di 200.000, da selezionare in loco alla partenza e non all’arrivo.
Perché quelli clandestini il Regno Unito li sbatte in galera al costo
di 70.000 sterline cadauno all’anno. Ed infine fedele cagnolino degli
Stati Uniti si è impegnato a bombardare la Siria di Assad, responsabile
secondo lui dello sciame che si sta abbattendo sulla civiltà
britannica. Per l’appunto, sotto una minaccia così grave, il
proverbiale “Britannia rules the waves” diventa “Britannia waves the
rules”, in un’approssimativa traduzione dal governo delle onde
Britannia passa ad ondeggiare, ad accantonare le regole.
Lucio Manisco
www.luciomanisco.eu
da Lucio Garofalo 30 Agosto 2015 dc:
Nuova emigrazione
e vecchio fatalismo
Negli
ultimi anni, in seguito alla crisi economica che ha inciso quale
fattore di accelerazione, innescando effetti depressivi, la gioventù
irpina ha ripreso ad emigrare. Dove starebbe la novità, verrebbe da
chiedersi giustamente.
In realtà, le popolazioni irpine (e meridionali in genere) emigrano da
circa un secolo e mezzo, vale a dire dall'avvento dell'unità d'Italia.
Si tratta di un tempo storico talmente lungo che ormai i flussi
migratori si configurano come un fenomeno fisiologico e normale.
L'esodo incessante e massiccio dei giovani dall'Irpinia ha determinato
un processo di graduale, inesorabile invecchiamento delle popolazioni
residenti in una terra sempre più deserta e desolata. In Irpinia si
contano decine di paesi e borghi quasi spopolati, la cui popolazione è
prevalentemente formata da anziani in pensione. Senilizzazione e
spopolamento costituiscono le due facce dello spaesamento dei paesini
irpini.
Quasi tutti i giovani sono stati costretti a fuggire e a sistemarsi
altrove, mettendo su famiglia lontano dalla propria terra di origine.
In molti casi, sono più numerosi i compaesani che vivono fuori rispetto
a quelli che sono rimasti nel proprio Paese. L'emigrazione giovanile ha
comportato, tra le varie conseguenze, la fuga dei soggetti che
potrebbero introdurre idee ed elementi di progresso civile,
contribuendo ad un'evoluzione della società.
I giovani che rimangono sono, invece, i più privilegiati, quelli che
hanno "agganci" con qualche notabile locale. Sono i "figli di papà",
che provengono da famiglie legate ai vari clan politici e, pertanto,
non hanno interesse a modificare l'esistente. Questo andazzo di cose
concorre al perpetuarsi delle contraddizioni che affliggono il nostro
Meridione dall'avvento dell'unità d'Italia. La fossilizzazione del
contesto storico e politico ha influenzato profondamente la mentalità
del popolo meridionale al limite della rassegnazione e del fatalismo.
Come ho già avuto occasione di spiegare altrove, il problema più
deleterio per le nostre comunità, il male peggiore, peggiore del dramma
della recensione, della disoccupazione, della precarietà,
dell'emigrazione giovanile e quant'altro affligge le zone interne
depresse da troppi decenni, temo sia proprio questa mentalità
rassegnata e fatalista, che induce ad auto-convincersi che nulla possa
mai cambiare. Ed è proprio per questo che nulla cambia. Sicché i clan
politici e socio-economici dominanti, i ceti più privilegiati hanno
gioco facile a mantenere l'ordine costituito.
Certo, è facile a chiacchiere, il difficile è tradurre le parole in
fatti, ma nemmeno si può agire in modo avventato ed isolato. Occorre
coordinarsi per incidere sul terreno politico, serve la formazione di
un soggetto collettivo organizzato e disciplinato (chiamatelo come
preferite: partito, circolo, coordinamento o in altro modo) capace di
mobilitare ed orientare la gente, soprattutto le giovani generazioni,
per indurle ad impegnarsi e a propugnare una giusta causa, in funzione
di un progetto condiviso di trasformazione dell'ordine vigente.
Si potrà mettere in discussione anzitutto gli equilibri ed i privilegi
sociali, modificando gli assetti e i rapporti di forza su cui si regge
il potere politico-economico a livello locale. Si potrà obiettare, a
prima vista, che si tratta solo di belle parole, difficili da attuare
nella realtà effettiva, ma le cose non possono mutare da sole, senza
uno sforzo condiviso e partecipato, come insegnano le coraggiose
iniziative e le dure vertenze condotte dal movimento operaio nel secolo
scorso.
Lo spirito di rinuncia e di rassegnazione, talvolta misto a rabbia ed
indignazione, è insito nella natura umana, si alterna ad un'ansia di
rivolta e riscatto, o cede il posto ad altri atteggiamenti e
disposizioni dell'anima, a seconda delle circostanze della vita.
Questi sono stati d'animo e sentimenti che si fondono anche nella mia
esperienza interiore, ma non devono sedimentarsi o ristagnare in una
sorta di cultura fatalista negativa, in un'ideologia dell'impotenza e
della passività che giova solo a chi ha tutto l'interesse a perpetuare
lo stato di cose presenti. Serve denunciare la natura mafiosa,
conservatrice e parassitaria di tali dinamiche e meccanismi di
controllo socio-politico che intervengono ed imperversano sul nostro
territorio. I metodi attraverso cui scardinare questo sistema di potere
sono la questione cruciale per qualunque soggetto che decida di esporsi
e spendersi nella politica attiva.
Il fatto che se ne possa discutere ancora assieme, è l'indice di una
volontà comune di impegno e di cambiamento. Una volontà condivisa dai
singoli individui che si associano in un'entità politica. Una volontà
che spero sia assai più diffusa di quanto si creda abitualmente.
da Lucio Manisco il 6 Luglio 2015 dc
Considerazioni Inattuali n.76
Il No greco: mamma, li giacobini!
Fallito il tentativo di rovesciare il governo Tsipras
Da
Gabriel a Schultz, da Dijsselbloem a Hollande: “Wer hat uns Veraten?
Sozial Demokraten!”. Tutti d’accordo: il debito ellenico non è
sostenibile. Tutti d’accordo: continuiamo a trarne profitti fino al
“Grexit”.
Il
No greco in sintesi: è fallito il tentativo di rovesciare il governo
Tsipras. Le concause: la austerity, il contagio di Syriza, Podemos,
l’anti-europeismo delle destre estreme e, prevaricante su ogni altro
sviluppo passato, presente e futuro, il ruolo di dominatrix di Frau
Merkel. Il corollario scontato: il tradimento dei socialdemocratici.
Potremmo chiudere qui le nostre
conclusioni sulla tragedia del popolo greco (posto oggi davanti a due
alternative il Grexit o un’emorragia terminale), se l’informazione USA
ed Europea non avesse ignorato e travisato i fatti.
Primo tra tutti: Syriza delenda est.
L’avvento di un governo socialista nel
cosiddetto concerto d’Europa è stato immediatamente giudicato
incompatibile con gli orientamenti e le direttive dell’Unione non solo
dai suoi governi conservatori, ma anche e soprattutto da quelli del
centro-sinistra. Il 2 febbraio, a poche settimane dall’esito elettorale
in Grecia, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble
dichiarava che le proposte di Tsipras e Varoufakis erano
“incomprensibili”, dieci giorni dopo rincarava la dose: erano
“inesistenti”. Comprensibile la presa di posizioni del ministro
laureato in legge e non in economia: non si era mai seduto ad un tavolo
con degli economisti che volevano introdurre il sociale nell’economia
capitalista, neo-liberista, del libero mercato e del sistema bancario.
Non ne comprendeva il linguaggio, la filosofia, l’etica della difesa
degli interessi primari dei popoli.
Tra aprile e giugno il bersaglio principale non solo della Germania, ma
di quasi tutti i paesi “virtuosi” o costretti a diventare tali, era uno
solo, Yanis Varoufakis, professore di economia nelle università
europee, americane ed australiane, autore, prima ancora di diventare
ministro delle finanze, della più brillante, convincente ed aggiornata
revisione della critica dell’economia di Karl Marx.
Incompetente, ignorante, velleitario, offensivo, intrattabile erano gli
epiteti a lui rivolti da questo o quell’esponente dell’Eurogruppo e
facevano loro eco i mass media americani ed europei (eccelleva tra
tutti la rete televisiva tedesca “Die Erste”: è un fanatico, porta la
camicia di fuori, ha una moglie bella e ricca, ha un appartamento
sontuoso con vista sull’Acropoli). L’odio sconfinava nell’orrore per
tutti i componenti del governo di Atene. Richiamava alla memoria la Tosca di Magni con Monica Vitti, il commento in Vaticano sulla vittoria di Marengo: “Mamma, li giacobini”.
Buon ultima, ma non meno vetriolica
Christine “le foulard” Lagarde del FMI che definiva “irricevibile” la
proposta greca di rinviare di 30 giorni il pagamento di una rata di
circa un miliardo e mezzo di dollari del debito e proclamava con un
anticipo statuario di 25 giorni il default “automatico” di Atene. E
tutti i mass media naturalmente uniti nell’ignorare il ruolo
dell’Amministrazione Obama che disponendo della più alta quota del
Fondo ne controlla ogni passo o iniziativa (il predecessore della
Lagarde, Dominique Strauss-Kahn, da buon socialista, aveva provato a
liberarsi del giogo di Washington ed era stato fatto fuori con gli
scandali bene orchestrati da Sarkozy e dallo FBI).
L’ostilità malcelata di Obama era scattata con il veto posto dal
governo Tsipras alle nuove sanzioni contro la Federazione Russa per la
crisi ucraina ed aveva fatto uso ed abuso del Fondo Monetario
Internazionale dopo i contatti di Atene con Mosca e gli accordi sul
nuovo gasdotto. Solo Walter Veltroni in un articolo sulla nuova Unità
attribuisce il compito di mediatore al Presidente e lo invita a
telefonare a tal fine al presidente della Commissione Europea
Jean-Claude Juncker, che non ha bisogno di telefonate in quanto
anticipa i diktat di Barack e di Angela, ad esempio interferendo con le
prassi democratiche e sovrane di un popolo ingiungendo ad esso di
votare per il sì.
Desolante, ma non sorprendente il
comportamento dei socialdemocratici tedeschi ed europei in genere: da
Gabriel a Schultz, da Dijasselbloem a Hollande – non parliamo di casi
pietosi come quello di Matteo Renzi – che allineati e coperti hanno
prestato man forte ad Angela Merkel. Il richiamo storico al voto
socialista tedesco favorevole al finanziamento della Prima Guerra
Mondiale del Kaiser è inevitabile. Oggi come allora riecheggia l’urlo
della protesta: “Wer hat uns veraten? Sozial-Demokraten!”. Chi ci ha
tradito? I socialdemocratici!
È fallito dunque il “golpe bianco”, il
colpo di Stato “democratico” per rovesciare il governo di Atene e, data
la mobilitazione popolare sul No, appare per il momento improbabile un
nuovo ricorso ai colonnelli. Crescono l’isterismo collettivo e il
panico pretestuoso per la minacciata fine dell’Euro e dell’Unione
Europea, presupposti di ulteriori punizioni dei reprobi greci. I
“reprobi”, purtroppo, verranno ulteriormente puniti: il “debito
insostenibile” da tutti riconosciuto diventerà più insostenibile, BCE e
FMI ,dopo qualche blanda misura di breve termine, daranno un altro giro
di vite alla garrote, svolazzano già nell’aer cupo idee come la doppia
valuta o di un Grexit pilotato o, addirittura,come quella oscena di
Schultz di aiuti umanitari dei governi dell’UE.
E naturalmente la Merkel con Hollande
“bagaglio a mano” annunzia a Parigi (dopo le dimissioni di Varoufakis)
che la porta del negoziato rimane aperta: sembra la stessa posizione
dei Governi Likud israeliani verso i palestinesi, siamo pronti a
negoziare e intanto li bombardiamo.
Non è detto che abbiano partita vinta:
sacrifici sì, ma ci sono altre carte da giocare per Atene. Dagli
anticipi russi sui proventi del nuovo gasdotto che assicurino
pro-tempore la liquidità, alla cooperazione sui traffici marittimi con
la Repubblica Popolare Cinese e poi il coraggio creativo della speranza
che potrà contagiare i popoli europei e modificare l’ottusa
intransigenza dei loro governi.
Lucio Manisco
www.luciomanisco.eu
da Democrazia Atea il 26 Giugno 2015 dc:
Discriminazione a Venezia
Egregio signor Sindaco,
prendo atto della sua impellente
necessità – prima ancora di formare la giunta – di predisporre il
ritiro dalle scuole degli opuscoli informativi impropriamente
denominati “libretti gender”.
Fingo stupore nell'apprendere che Lei si pone in continuità con la
posizione assunta da tutta la destra politica, compresa quella del PD,
che attraverso il Ministro Giannini ha assunto l'impegno di impedire
che nelle scuole italiane si svolgano corsi di educazione al rispetto
contro la violenza di genere.
Lei, come l'attuale governo di destra, si fa portavoce di una ideologia
politica che contrasta l'art. 3 della Costituzione, e la vostra
ideologia è il terreno fertile per far nascere quella becera omofobia
che dilaga e che ci allontana dal modello di società civile che
vogliamo.
La sua intolleranza nei confronti di chi vive la sessualità in maniera
diversa da come Lei la concepisce, evidenzia una pericolosa deriva resa
ancora più grave dal fatto che Lei è un rappresentante delle
istituzioni e che il suo agire non può porsi nel disprezzo della Carta
Costituzionale oltre che dei Diritti universali della persona.
Appare fin troppo evidente la Sua negazione per tutto ciò che non
appartiene al concetto di famiglia naturale come da Lei intesa,
naturalmente definita dai suoi valori cristiani.
Abusando del suo ruolo, cerca di imporre il suo personale pensiero attraverso una iniziativa istituzionale.
Con il suo comportamento ha intrapreso una azione discriminatoria nei
confronti di tutto il mondo LGBT, e in generale nei confronti di coloro
che non fondano il proprio vivere quotidiano su valori di matrice
cristiano-cattolica.
Diversamente il progetto anti-omofobia avviato nelle scuole e
denominato “Educare alla diversità”, ha come finalità, l'educare il
bimbo e l'adolescente ad una sana sessualità, e attraverso metodologie
differenti cerca di affrontare la sessualità senza pregiudizi di
matrice religiosa, mirando perciò alla prevenzione e il contrasto delle
discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di
genere.
Leggendo le sue dichiarazioni “[...] Nessun bambino sarà discriminato o
trattato diversamente, nella loro casa potranno esserci papà 1 e papà
2, mamma 1 e mamma 2 e sarà certamente incoraggiata qualsiasi
integrazione, ma va riconosciuta la maggioranza delle persone che hanno
una mamma e un papà [...]”, appare fin troppo evidente la sua posizione
discriminatoria, cavallo di battaglia inconfondibile di chi propone uno
stato etico, l'espressione più degradante del pensiero fascista.
Lo Stato etico è il crimine dei crimini, è un modello di regole morali alle quali è obbligatorio uniformarsi.
E' la matrice dittatoriale per eccellenza.
Lo Stato etico incarna il desiderio di tutti gli uomini (e di tutti i governi) di sottomettere gli altri al proprio ideale.
Purtroppo i cittadini di Venezia hanno sprecato un'occasione: la Sua
utilità politica nell'interesse di una città proiettata verso il
progresso, è pari a zero.
Democrazia Atea non starà a guardare e, come sempre, sarà in prima linea nella difesa dei diritti umani.
Ciro Verrati
Segretario Provinciale Democrazia Atea - Agorà di Venezia
www.democrazia-atea.it
da Democrazia Atea il 20 Maggio 2015 dc:
Libera scelta
Regolamentare
la prostituzione significa per noi di Democrazia Atea sottrarre esseri
umani allo sfruttamento e alla tratta schiavista.
Ha suscitato scalpore la traduzione di un articolo di Der Spiegel che affermava, con strumentale superficialità, il fallimento della legge tedesca sulla legalizzazione della prostituzione.
È bastato un titolo di sicuro impatto comunicativo per trascurare la malafede dei suoi contenuti.
Le cose non stanno come le ha riferite Der Spiegel.
La prostituta intervistata, cui è stato attribuito il nome di fantasia
Inge, in realtà si chiama Carmen, è una escort attivista per i diritti
delle prostitute, fa parte del Partito Pirata tedesco, e quando ha
letto l’articolo ha pubblicato sul suo blog lo scambio di email
intercorso con i giornalisti, sbugiardandoli perché avevano tagliato
parti importanti dell’intervista con la finalità di negare alle
prostitute i riconoscimenti che chiedono in tutti gli Stati federali.
Per fare chiarezza sarà appena il caso di accennare che la
prostituzione in Germania è legalizzata da decenni, che nel 2012 è
stata approvata una nuova legge federale che attualizzava i diritti
legati al mondo della prostituzione e che inaspriva pesantemente le
pene per il traffico a scopo di sfruttamento sessuale.
Il problema si è posto quando la legge federale non è stata
implementata nei singoli Stati federali e la mancata implementazione ha
creato sacche di vuoto legislativo nelle quali si è inserita la
criminalità organizzata che gestisce le tratte.
È aumentato il numero di schiave introdotte illegalmente in Germania,
non perché ha fallito la legge ma, al contrario, perché non è stata
implementata e alle prostitute straniere non sono stati riconosciuti
gli stessi diritti che sono riconosciuti alle prostitute di
cittadinanza tedesca.
Dal punto di vista legislativo la legalizzazione della prostituzione
non è in vigore in tutti gli Stati tedeschi ma soltanto in alcuni, e
nelle aree nelle quali la legge federale non è stata implementata si è
favorita l’illegalità e lo sfruttamento.
Tornando in Italia, nell’immaginario collettivo comune si pensa alla
prostituta come vittima e le si nega l’autodeterminazione e la scelta.
Nella negazione dell’autodeterminazione si fa strada la concezione salvifica.
Eppure associazioni come "Il Comitato per i Diritti Civili delle
Prostitute " (CDCP) da decenni cercano di far emergere una realtà
diversa da quella della percezione comune.
Prostitute come Pia Covre e Carla Corso sono forse le più
rappresentative in Italia in tema di affermazione dei diritti delle
prostitute e le loro esperienze sono significative per sostenere come
la prostituzione possa essere una scelta.
Non è difficile incontrare donne, ma anche uomini, che nel corso della
loro vita hanno scambiato prestazioni sessuali in cambio di una
promozione, di un esame universitario, di un posto di lavoro, di un
qualsivoglia vantaggio economico.
Lo scambio è sempre prostitutivo anche quando si accetta di scambiare
una prestazione sessuale con il proprio coniuge per assicurarsi
tranquillità sociale ed economica che deriva da un matrimonio senza
affettività o stima.
La prestazione sessuale in cambio di qualcosa è sempre e comunque una
forma di prostituzione solo che la tolleranza sociale è diversa se la
prostituzione è occasionale e non continuativa, e soprattutto se lo
scambio è istituzionalizzato all'interno di matrimoni di convenienza.
Lo sfruttamento delle donne in mano ai trafficanti è tutt'altra cosa,
come è altra cosa lo sfruttamento dei minori, e non c’è comparazione
possibile tra una situazione di sfruttamento e una situazione di
autodeterminazione.
Se si paragona la libera scelta allo sfruttamento o, peggio, allo
stupro si realizza una mistificazione pericolosa nella quale non si
riconosce la differenza tra il consenso e l’assenza di consenso, tra la
costrizione e la scelta, tra la violenza e l’autodeterminazione, e non
riconoscere queste differenze significa esser accecati da un moralismo
ideologico del quale si può fare volentieri a meno.
Carla Corsetti
Segretario Nazionale di Democrazia Atea
da Democrazia Atea il 3 Maggio 2015 dc:
Dedicato ai Black Bloc
Vi ringraziano
tutte le migliaia di persone che avevano pensato di manifestare contro
l’EXPO con autentica indignazione pacifica, con i loro inutili canti e
slogan contro la crisi che li colpisce, perché gli avete tolto la
voglia di protestare.
Vi ringraziano i cittadini cui avete incendiato le auto e i negozi
perché la vostra inclinazione alla devastazione non poteva trovare il
limite della loro coesistenza.
Vi ringraziano gli organizzatori e i lucranti dell’EXPO ai quali avete
offerto l’occasione di misurarsi con la distanza dalla vostra triste
esistenza, facendoli scendere dal podio della beffa per salire su
quello della inutile necessità.
Forse esagero se vi attribuisco una lettura culturale che non avete mai avuto.
Voi sapete esprimervi soltanto con la violenza, figlia prediletta della frustrazione e dell’impotenza.
Volevate prendervi una scena che invece era della indignazione pacifica
e costruttiva pensando forse di restituire alla rassegnazione chi
protestava con una progettualità politica a voi totalmente estranea.
Ma forse vi sto sopravvalutando e trascuro di cercare la responsabilità
del vostro degrado in chi non ha voluto fermarvi, in chi vi ha lasciato
fare, in chi non vi ha arrestato.
Del resto aveva ragione Italo Calvino quando scriveva:
“ In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del
terrore che … si proponevano come l’unica alternativa globale al
sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo
fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la
convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover
cambiare in nulla.”
Carla Corsetti
Segretario Nazionale di Democrazia Atea
www.democrazia-atea.it
da Lucio Manisco il 22 Aprile 2015 dc:
Considerazioni Inattuali n.70
Tutti insieme appassionatamente
Spezzeremo le reni alla Grecia
Draghi, Lagarde, Schauble, Renzi e Padoan: mancano le proposte di
Atene. Così Angela Merkel viene blindata per l’incontro con Tsipras. Le
proposte ci sono, ma non vengono giudicate tali dalla Troika:
ristrutturazione del debito e nuovi crediti mirati alla ripresa
economica. A tappe forzate verso un default pilotato senza il Grexit.
(Candide)
Che
il debito pubblico – 240 miliardi – sia diventato insostenibile da tre
anni a questa parte lo asseriscono un po’ tutti, economisti di grido,
di orientamenti diversi al servizio delle istituzioni internazionali e
quelli indipendenti di enti finanziari privati.
Che possa essere sostenuto pro tempore
– per i prossimi mesi – imponendo nuovi e più pesanti sacrifici a dieci
milioni e settecento mila uomini, donne e bambini allo stremo dopo
quattro anni di austerity lo sostengono i cosiddetti “creditori”, la
Germania al comando dell’Eurogruppo, la Banca Centrale Europea e il
Fondo Monetario Internazionale. Con quali fini? Estrarre le ultime
gocce da un limone già spremuto, più propriamente dare un’altra stretta
alla garrote fino agli ultimi rantoli di fine anno, accelerare con la
sospensione di crediti già pattuiti la bancarotta del governo
progressista Tsipras e quindi la sua caduta, magari con un golpe tipo
quello dei colonnelli e con un default pilotato se non con il Grexit
commissionare militarmente una nazione sulla falsariga del Cile di
Pinochet.
La corsa verso questi sottaciuti
traguardi ha raggiunto ritmi e velocità impressionanti nelle ultime
settimane rendendo inevitabile una memorabile citazione storica di
settantacinque anni fa: “… con la stessa certezza assoluta, ripeto
assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia, in due o dodici
mesi poco importa, la guerra è appena cominciata”.
A parlare era il cav. Benito Mussolini
che quattro mesi dopo i rovesci dell’esercito italiano rincarò la dose
con un “fra poco verrà il bello”. Il bello arrivò con l’intervento di
tre divisioni corazzate tedesche che portarono alla resa la Jugoslavia
e la Grecia.
E fermiamoci qui con la disdicevole ma
calzante analogia storica perché la Germania di Angela Merkel non ha
bisogno oggi di divisioni corazzate per cercare di piegare la Grecia.
Riassumiamo invece per sommi capi
quali sono state le tappe forzate dell’offensiva contro la repubblica
ellenica scatenata dalla Troika dall’inizio di aprile ad oggi. Nei
giorni di Pasqua il cancelliere tedesco, rivestita di panni cristiani
per le visite romane al papa Bergoglio e alla Comunità di Sant’Egidio,
delega al suo ministro delle finanze il compito di dettare cadenze e
ritmo da carica dell’offensiva.
Sul colloquio con il collega greco,
Wolfgang Schauble dice di non aver capito nulla di quanto sentito e di
non aver ricevuto proposte o controproposte concrete sugli impegni
pregressi del governo greco concernenti le ultime tranches dei “bailout
credits” concessi dall’Eurogruppo.
Il leitmotiv viene riecheggiato a
Washington da Christine “le foulard” Lagarde, elegante e leggiadra
presidente del Fondo Monetario Internazionale (con la quota di
partecipazione del 18%, la più alta in assoluto, gli Stati Uniti fanno
da padroni; la Grecia ha l’1%). Con voce mesta e accorata la signora,
portata all’alto incarico da Sarkozy, anticipa negoziati duri
dall’esito incerto con il governo greco per via dei suoi programmi
ancora non chiariti (Atene deve restituire altri 800 milioni allo FMI
entro il 12 maggio). Madame Le Foulard lascia ai suoi portavoce le
previsioni più nere sul vertice di Riga del 24 aprile che deve decidere
se negare o meno la concessione di una tranche di 7,2 miliardi di euro
ad Atene, ma quando Wall Street e le borse europee incominciano a
traballare, autorizza il suo rappresentante per il Dipartimento Europeo
Paul Thomsen ad aprire un debole spiraglio di luce: forse le condizioni
poste dalla Troika potrebbero essere “slimmed down”, rese più leggere.
Dello stesso parere non è Mario Draghi
riavutosi dallo spavento della “femen” che è saltata sul suo tavolo per
ricoprirlo di coriandoli: il presidente della BCE, che ha già negato
alla Grecia l’accesso ai 60 miliardi di euro al mese del quantitative
easing, si esprime in termini severi sul Governo Tsipras – secondo il
titolo de Il Corriere della Sera “Draghi dà la scossa alla Grecia:
faccia una proposta subito” e nel corso di una conferenza stampa
avverte che malgrado le precauzioni da lui prese, si sta per “entrare
in acque inesplorate”.
E scendiamo ora davanti al piccolo e
mesto palcoscenico italiano, al ministro dell’Economia Pier Carlo
Padoan: non abbiamo nulla contro questo ministro, ma è mai possibile
che abbia sempre, in comune con la collega Federica Mogherini,
espressioni facciali da tragedia greca? Angoscia esistenziale, infanzia
infelice o dispepsia? Malgrado un viso corrucciato da Edipo a Colono il
Pier Carlo ha cantato in una conferenza stampa a poche ore da quella di
Draghi, “Tout va tres bien madame la marquise”, ha detto cioè che
l’Italia non ha nulla da temere da un ulteriore peggioramento della
crisi greca perché ha messo in sicurezza il suo debito sovrano e la
ripresa economica è ormai avviata. Ha aggiunto di non saper nulla di
nuove proposte di Atene: se esistono, sono state presentate ad altri, a
sua insaputa. L’Italia è salva quindi, anche se l’Unione Europea a
causa del Grexit rischia di affondare come l’ultimo motopeschereccio
della morte nel Mediterraneo. Segue naturalmente le istruzioni del
boss, il premier di Pontassieve, detto “il cravattaro”, non solo per
l’aiuto alla Grecia consistente in una cravatta donata ad Alexis
Tsipras, ma anche e soprattutto per il pieno appoggio da lui dato allo
strozzinaggio praticato dalla Troika su dieci milioni e settecentomila
cittadini della UE. Come se non bastasse è molto ambizioso e
intraprendente in altri campi il Matteo Renzi: manca conferma da fonti
ufficiali, ma sembra che abbia proposto ad Obama una sua mediazione con
Putin, l’offerta di altre basi militari USA in Italia qualora la Grecia
accompagni l’espulsione dall’Unione Europea con l’uscita della NATO,
poi prima ancora dell’ultima tragedia l’impiego dei droni armati di
Sigonella contro le imbarcazioni degli scafisti ed infine – last but
not least – pieno e incondizionato sostegno all’iniquo e micidiale
trattato commerciale transatlantico che, se approvato,
devasterebbe l’economia agricola e non solo agricola del vecchio
continente.
Torniamo all’insostenibilità del
debito sovrano greco ed alle proposte di Atene che da tempo esistono e
vengono deliberatamente ignorate. Il popolo della repubblica ellenica
non vuole lasciare l’Europa e la moneta unica, ma non vuole neppure
rinunziare ad un futuro di ripresa sociale, civile ed economica. Il
governo Tsipras ha finora rispettato la volontà e le speranze del suo
popolo. Ha respinto le condizioni capestro per l’erogazione delle due
rate del prestito per un totale di circa sedici miliardi di euro, ha
varato energiche misure contro l’evasione e la corruzione e per la
tassazione dei grandi patrimoni non trasferibili all’estero, misure che
daranno i loro frutti entro la fine d’anno e poi, anatema per le
oligarchie europee, vuole una ristrutturazione del debito che consenta
restituzioni in tempi più lunghi ed un’allocazione di consistenti quote
dei nuovi crediti agli investimenti nel sociale, nelle infrastrutture e
nei servizi. Minacciato di bancarotta a breve termine ha anche preso
misure precauzionali all’interno e con la federazione russa e con la
Cina (il gasdotto Turkish Stream e le disponibilità del Pireo). Ma lo
stesso ministro delle finanze Varoufakis in occasione del convegno
primaverile dello FMI a Washington ha ribadito l’appartenenza del suo
popolo alla famiglia europea nel cui ambito vanno risolti tutti i
problemi del negoziato in corso.
Improbabile ma non impossibile che il
cancelliere tedesco Merkel, confortata dal ben orchestrato ed esplicito
appoggio dei partners europei, receda il 24 aprile dal suo teutonico
rigore; il fine ultimo rimane quello di evitare il contagio
dell’insubordinazione ellenica nel vecchio continente. Per ottenere
questo risultato basterà l’intento di spezzare le reni alla Grecia?
Lucio Manisco
www.luciomanisco.eu/wp
da Democrazia Atea il 18 Aprile 2015 dc:
Italia versus Vaticalia
Il
monarca vaticano ha incontrato il Presidente della Repubblica italiana
e ha chiesto che la religione non sia solo un fatto di coscienza ma che
sia più presente nella società.
Riepiloghiamo.
Non abbiamo una legge sulla fecondazione assistita (quella attuale è
stata demolita dalla Corte Costituzionale lasciando un vuoto normativo)
perchè la presenza della religione cattolica, praticata dai
legislatori, lo impedisce
Non abbiamo una scuola laica e plurale perchè la presenza della
religione cattolica inquina la scelta degli insegnanti e dei programmi
ministeriali.
Non abbiamo una legislazione sulle coppie omosessuali perchè la presenza della religione cattolica non lo consente.
Non abbiamo una legislazione fiscale che consenta di tassare le
attività commerciali di stampo religioso perchè la presenza della
religione cattolica non lo permette.
Non abbiamo uno sviluppo di progresso e di civiltà perchè la religione
cattolica riporta ogni giorno di più la società italiana verso la
regressione delle conquiste civili.
E Bergoglio ha avuto il barbaro coraggio di chiedere ancora più spazio.
Sì, è davvero un rivoluzionario, come lo sono tutti coloro che vogliono
sovvertire l'ordine costituito, e ciò che sembra voler sovvertire
Bergoglio è l'impianto democratico della Repubblica italiana per
trasformarlo in una mai rinunciata teocrazia.
da Lucio Manisco il 9 Aprile 2015 dc:
Considerazioni Inattuali n.70
La memoria genetica dei musulmani.
L’Islam buono e quello cattivo
Sessanta anni di stermini e di milioni di morti dimenticati dalla lotta al terrorismo
La decima crociata di Papa Bergoglio
Il
passato e il suo ricordo possono intralciare gli indirizzi politici dei
governi. Vengono pertanto revisionati, ristrutturati o sepolti.
A distanza di anni
e di decenni hanno comunque la pessima abitudine di riemergere, di
riprodursi con sembianze a volte deformate ed effetti tali da seminare
sgomento e provocare reazioni anomale e controproducenti in Occidente.
Il mondo musulmano vive ancora la nostra recente esperienza in Algeria
e nel Medio Oriente, ma conserva una memoria genetica di un passato non
troppo lontano, di persecuzioni e del sangue versato dopo la Seconda
Guerra Mondiale. E prima o poi quella memoria tornerà a tormentare la
coscienza del mondo occidentale.
Trascriviamo queste note su quanto ci
disse Ben Bella nel 1998. Ci aveva presentato all’eroe dell’Armata
Popolare di Liberazione Luciana Castellina a Ginevra durante la marcia
con cui veniva celebrato il 50° anniversario della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo. Non volle parlarci del suo ruolo ad
Algeri, della sua prigionia, dell’esilio dopo il colpo di Stato di
Boumedienne, ma insistette a lungo sulle sue apprensioni per quanto ci
teneva in serbo un futuro incerto, non solo di guerre ma anche di
ingiustizia sociale. Parole accorate e profetiche di un personaggio
famoso che non si considerava certo un vinto, ma neanche un vincitore
trionfante della storia.
A rintracciare quelle note ci ha indotto un eccellente articolo di Tommaso Di Francesco su il Manifesto
del 5 aprile scorso. C’è una distrazione generale, scrive,
sull’ecatombe dei combattimenti e dei bombardamenti scatenati in Iraq,
Pakistan e Afghanistan dall’11 settembre 2001 al primo semestre del
2014: più di un milione e trecentomila morti, quasi tutti civili, senza
contare le altre centinaia di migliaia di vittime in Siria e a Gaza.
Morti che non hanno nome, che non contano niente. Stati Uniti e alleati
europei continuano a sganciare bombe accompagnati dal ritornello dei
leader occidentali “Siamo in guerra contro il terrorismo, non contro
l’Islam”. Il terrorismo di turno, almeno da otto mesi a questa parte, è
quello dei tagliagole dello Stato Islamico, degli sciiti contro i
sunniti e viceversa, armati e finanziati in alternanza o
contemporaneamente dalla Nato, dagli Emirati, dall’Arabia Saudita e in
misura decrescente dall’Iran mentre lo Stato israeliano di Netanyahu se
ne sta a guardare più o meno compiaciuto.
Abbiamo poi l’Islam buono e quello cattivo, il primo che cerca invano
l’integrazione nelle periferie desolate del mondo occidentale, il
secondo minoritario, impermeabile alla cultura occidentale che fa
strage di infedeli, cristiani e musulmani pacifici, in Medio Oriente,
nel Nord Africa e in misura limitata anche in Europa. Tutti d’accordo
perché, come ha osservato a febbraio persino Time,
il settimanale dedicato al primato di civiltà e allo “eccezionalismo”
del popolo statunitense, questo vive in “un presente eterno in cui ogni
riflessione è limitata a Facebook e la narrazione storica è delegata a
Hollywood”.
Rischiamo ben volentieri di farci assegnare il ruolo di improbabili
sostenitori dei tagliagole e ricordiamo per sommi capi alcuni eventi
del dopoguerra che nelle parole di Ben Bella sono entrati nella
“memoria genetica” del mondo musulmano, un mondo in quegli anni aperto,
pacifico e generalmente incline ad abbracciare i valori della giustizia
sociale.
In Indonesia, dopo l’indipendenza, è vero, era presente un partito
comunista: bastò a Londra e Washington per abbattere con un colpo di
Stato il governo progressista del Presidente Sukarno per sostituirlo
con la dittatura di Suharto e con l’invio di truppe scelte e l’impiego
di fazioni dissidenti islamiche e cristiane per scatenare una guerra di
sterminio in tutto il Paese che provocò da un milione e mezzo a tre
milioni di morti musulmani tra il 1965 e il 1966. Le ingenti risorse
minerarie e petrolifere dell’Indonesia vennero così assicurate agli USA
e alla Gran Bretagna. Per il Grande Impero d’Occidente i movimenti
indipendentisti, postcoloniali e progressisti nel Medio Oriente
islamico ed arabo erano diventati inaccettabili e da abbattere con
qualsiasi mezzo: venne rafforzato con armamenti e finanziamenti diretti
il Wahabismo, una setta islamica ultraconservatrice nell’Arabia Saudita
e fiumi di sangue precedettero e accompagnarono l’installazione dello
Shah in Iran.
Dopo la sua caduta Saddam Hussein, allora nei favori di Washington, fu
finanziato ed armato nella guerra di otto anni contro l’Iran di
Khomeini (un milione di morti).
Un milione e mezzo poi le vittime – tra caduti e per fame da sanzioni –
della prima guerra contro l’Iraq del 1992, di cui nessuno oggi parla. E
poi gli attacchi e le guerre di Israele contro la Palestina, l’Egitto,
la Giordania e la Siria, sempre nella memoria della Shoah e in nome del
diritto alla sopravvivenza con i quattro miliardi di dollari USA
all’anno che hanno fatto di questo Stato la nuova Prussia atomica del
Medio Oriente.
È questo l’humus del
risentimento del mondo musulmano in cui germinano i semi del fanatismo
estremo dell’IS. È stato detto e ribadito da osservatori di noi ben più
autorevoli che ignorare le cause del terrorismo vuol dire perpetuarlo.
Come combattere il Califfato? Suggerimenti razionali e
ridimensionamenti del fenomeno abnorme nei suoi aspetti più efferati
vengono offerti da Lucio Caracciolo nell’ultimo numero di Times
“Chi ha paura del Califfo”. Non è comunque un mistero per chi sa far di
conto che il primo passo dovrebbe essere quello del taglio dei
finanziamenti indiretti e del riciclaggio dei petrodollari dell’IS di
cui sono responsabili gli Emirati Arabi (il Dubai si è aggiudicato il
titolo di Bancomat del Califfato). Alcune pressioni su questi regimi
“criminogeni” sono state esercitate negli ultimi mesi
dall’Amministrazione Obama, ma “pecunia non olet”, gli affari sono
affari e “the business of America is business”.
Facile comprendere invece le ragioni dell’appello ad una Decima
Crociata di chi ha sempre parlato del denaro come “sterco del diavolo”,
di pace universale, di Dio che tutto e tutti perdona, di misericordia,
di amore per i poveri, di cristiana pietas
verso i diseredati colpevoli e meno, e cioè di papa Bergoglio. Giusto
che il non più sontuoso erede del pescatore di Tiberiade condanni la
persecuzione dei cristiani quale pastore del gregge, ma da qualche
giorno a questa parte la denunzia del silenzio complice dell’inerzia
occidentale suona come un esplicito invito a sterminare i lupi, tutti i
lupi.
Se ha assunto i toni di Urbano II e di Pietro l’Eremita – Deus le volt
– un altro motivo è più che opinabile: l’alta missione dei Gesuiti,
dettata dal fondatore Francesco di Sales (non di Assisi), quella del
proselitismo e delle conversioni di massa, la stessa che lo ha portato
sul soglio pontificio in piena crisi di vocazioni e di chiese semi
vuote, aveva trovato in Bergoglio un predicatore popolare e di gran
successo. I lupi del Califfato hanno spaventato il gregge e bloccato la
missione. Vanno quindi ammazzati in gloria in excelsis Deo.
Lucio Manisco
www.luciomanisco.eu
D'Alema e Amato,
meglio perderli
È
dal 1998 che attraverso la Fondazione Italianieuropei Massimo D’Alema e
Giuliano Amato fanno “cultura politica” in Italia, ma ancora gli
italiani non sono in grado di intravedere quali siano stati i benefici
per la Nazione scaturiti dall’opera culturale di questi due.
Di certo i risultati di questo sodalizio sono ora sotto gli occhi della Procura.
Le elargizioni “volontarie” che la coop rossa CPL Concordia ha versato
alla Fondazione in questi anni suscitano perplessità e disgusto.
D’Alema è impegnato a querelare tutti coloro che in queste ore hanno
avuto il legittimo sospetto che i vini della sua casa vinicola non
siano stati acquistati per meriti enologici.
Giuliano Amato invece, dopo aver incassato la nomina a giudice emerito
della Corte Costituzionale, non si sente minimamente imbarazzato nel
sapere che la Fondazione che ha presieduto per anni ha ricevuto
elargizioni dal sapore tangentizio.
Sembra di ripercorrere un film già visto quando Amato uscì indenne da
Tangentopoli nonostante fosse stato il tesoriere di Craxi nel periodo
aureo del sistema tangentizio del PSI.
Ma nessuno toccherà Amato anche perché la sua nomina fa parte di un
progetto più ampio di smantellamento delle garanzie costituzionali e
lui diventa un tassello sul quale contare.
Per smantellare la Costituzione hanno bisogno di una Corte Costituzionale non imparziale.
Giuliano Amato è stato nominato Giudice della Corte Costituzionale dal
peggior Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e non possiamo
sperare in nulla di buono.
Mai nomina fu più preoccupante e inopportuna.
Amato, oltre che essere stato responsabile delle politiche economiche
di Craxi, è stato anche sodale di Tremonti e frequentatore dell'Aspen
Institute.
Amato è stato colui che in passato ha imposto una manovra previdenziale INPDAP che lo privilegiava vergognosamente.
Le sue conversazioni con Mussari del Monte dei Paschi di Siena per
finanziare i suoi tornei di tennis avrebbero imbarazzato molti ma non
il dottor Sottile.
Per non parlare delle conversazioni telefoniche con la vedova di un "tangentaro" del PSI.
Da ultimo, poco prima di essere eletto giudice della Corte
Costituzionale, si è espresso in modo vergognosamente acido contro gli
atei, arrivando a sostenere che non possono avere gli stessi diritti
dei cattolici.
Queste espressioni di basso profilo e di volgare indecenza danno la
misura della sua assoluta incapacità di difendere la Costituzione e di
interpretare in maniera autentica soprattutto l’articolo 3
sull’uguaglianza di tutti i cittadini.
Amato è stato tesoriere del PSI mentre il partito prendeva tangenti, è
stato Presidente della Fondazione Italianieuropei mentre la Fondazione
rastrellava finanziamenti, dalla carriera politica ha ricavato la
modalità per riscuotere 450.000,00 euro l’anno.
Massimo D’Alema e Giuliano Amato, pur sapendo che la Costituzione
italiana non riconosce i titoli nobiliari, hanno accettato di far parte
di ordini cavallereschi.
Amato infatti fa parte dei Cavalieri dell'Ordine di San Michele e San
Giorgio mentre Massimo D’Alema, tra le tante inciviltà, fa parte
dell’Ordine Piano, un ordine pontificio che lo rende cavaliere servente
della corte papale.
Ma che aspettarsi, del resto, visto che sono entrambi del PD.
www.democrazia-atea.it
da il Manifesto 8 Ottobre 2014 dc, segnalazione in e-mail il 2 Aprile 2015 dc:
“Sblocca Italia”
il decreto voluto dalle lobby che dominano incontrastate il nostro Paese.
di Paolo Berdini
Non
era mai accaduto prima d’ora che un nutrito gruppo di intellettuali,
giuristi, storici dell’arte, economisti e ambientalisti scrivessero un
instant book contro un decreto legge del governo.
Non sono mancate critiche aogni
provvedimento legislativo, ma arrivare a produrre un organico libro
segnala la gravità del decreto “Sblocca Italia”.
Rottama Italia è un agile volume informatico edito da Altreconomia, ideato da Sergio Staino e curato da Tomaso Montanari.
Il libro si può scaricare sul sito www.altreconomia.it/rottamaitalia e lo potete trovare anche sulla edizione on line de Il Manifesto.
Sono due i motivi che hanno reso possibile il volume.
In primo luogo i contenuti che denunciano la gravità della crisi di prospettiva delle classi dirigenti del Paese.
Sbaglierebbe infatti chiunque pensasse
che siamo di fronte al pensiero di Renzi, del ministro Lupi o di
qualsiasi altro esponente di
secondo piano del governo. Il decreto è stato scritto direttamente
dalle lobby che, nel sonno della politica, dominano incontrastate il
Paese.
Gli
articoli che liberalizzano le possibilità di trivellazioni petrolifere
in ogni parte del Paese sono da anni richieste dai petrolieri.
Le norme che annullano il potere di controllo delle Soprintendenze
nella tutela dell’ambiente sono da anni nell’agenda della lobby delle
grandi opere. Quelle che mettono le basi per una nuova fase di
cementificazione delle città sono volute dalla lobby dei proprietari
immobiliari. Norme “liberalizzatrici” che facilitino la vendita del
patrimonio immobiliare dello Stato sono chieste a gran voce dal mondo
finanziario internazionale.
Un
intero capo del decreto ”Sblocca Italia” (il quarto) affida il futuro
delle opere pubbliche e delle città alla finanza di rapina responsabile
della crisi mondiale di questi anni.
Una classe dirigente incapace di fare
i conti con il fallimento delle ricette neoliberiste vuole continuare
ancora con le stesse politiche distruggendo ulteriormente la struttura
dello Stato.
Mentre
ad esempio la tassazione sulle imprese e sulle famiglie cresce senza
sosta, con alcuni articoli si regalano milioni di euro alle grandi
imprese che si spartiscono da decenni il sistema delle grandi opere. Sono infatti previsti generosi sconti fiscali per le società concessionarie.
Milioni di euro che passano dalle famiglie italiane sempre più
impoverite ai soliti noti. Il caso ha voluto che negli stessi giorni in
cui Renzi proponeva tali sconcezze, la Corte dei Conti ha accertato che
solo nel periodo 2006 – 2010 per la costruzione della linea «C» della
metropolitana di Roma, devono essere restituiti 370 milioni
ingiustamente guadagnati perché le regole sono state cancellate e non
ci sono più strumenti di controllo.
Ciononostante
continua la rumorosa invettiva contro la «burocrazia» e con lo “Sblocca
Italia” si allentano ulteriormente le regole. Lo stesso Raffaele Cantone, in sede di audizione parlamentare ha dato l’allarme su questo punto.
Il
libro segnala anche una importante novità: la maturazione di una
visione alternativa del futuro dell’Italia che in questi anni si è
alimentata nelle tante vertenze territoriali e che è oggi arrivata ad
una convincente sintesi.
La premessa al libro firmata da Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, si intitola Fuori dalla Costituzione
e ragiona sul fatto che il decreto è contrario alla Carta Fondamentale
in tutte le norme che affidano il futuro dei territori e delle città ai
privati invece che allo Stato e che permetteranno di svendere il
patrimonio pubblico.
Nel libro si ritrova il filo del ragionamento sulla piena attuazione della Costituzione elaborato da Salvatore Settis nel suo Paesaggio, Costituzione, Cemento (2012) e completato sempre da Settis con Maddalena in Costituzione incompiuta (2013), con Leone e Montanari) poi ulteriormente perfezionato da Maddalena in Il territorio bene comune degli italiani (2014).
Il
legame con la Costituzione fornisce un’inedita forza unificante alle
tante lotte dei comitati che un’accorta propaganda ha bollato come
affette dalla sindrome nimby e che sono invece l’unico strumento in
mano alla popolazione per opporsi ai “rottamatori” d’Italia.
da Democrazia Atea il 26 Marzo 2015 dc:
La mia banca è differente
C’era una volta la
P2, una loggia massonica criminale della quale facevano parte alcuni
banchieri i quali si occupavano di riciclare il denaro della mafia
attraverso lo IOR, la banca del Vaticano, e per questo erano chiamati
“I banchieri di dio”.
Tra questi c’era Roberto Calvi il quale, per meglio costruire il suo
futuro di predatore finanziario, si era iscritto all’università Bocconi
di Milano.
Il bocconiano non si laureò ma ebbe il tempo per dedicarsi all’Ufficio di propaganda dei gruppi universitari fascisti.
La personale inclinazione criminale fascista lo aiutò a diventare
esperto nelle pratiche più spregiudicate e banditesche del mondo
finanziario e ben presto arrivò ai vertici del Banco Ambrosiano, una
banca privata controllata dallo IOR.
In un periodo di facile espansione, Calvi decise di allargare il
proprio orizzonte predatorio verso l’America Latina facendo affari con
le principali diocesi del Sud America.
In quel tempo la diocesi di Buenos Aires era governata dal cardinale
Quarracino, il quale era entrato in affari con Carlos Guido Natal Coda,
piduista e presidente del Banco Ambrosiano in Argentina, e con il
banchiere Trusso, direttore generale del medesimo Banco Ambrosiano,
entrambi collegati a Calvi e ad un altro grande criminale: Paul
Marcinkus, che all’epoca era Presidente dello IOR.
Gli affari intrapresi dal cardinale, con la consulenza degli amichetti
piduisti, non erano dei più limpidi e non andarono bene, e fu così che
Quarracino portò la diocesi di Buenos Aires verso il crac.
Morto Quarracino la diocesi fu affidata a Bergoglio il quale dovette
risanare i buchi delle operazioni finanziarie scellerate del suo
predecessore.
Tutto cambia, tutto si trasforma, tranne il vecchio IOR cui Bergoglio
si rivolse e insieme ad Angelo Caloja, rimasto alla guida della banca
del Vaticano per venti anni dopo Marcinkus, predispose un piano di
salvataggio per la diocesi di Buenos Aires che funzionò e che la salvò
dal fallimento.
Le parole di gratitudine profuse a iosa pubblicamente da Bergoglio
quando ha rincontrato Cajola, hanno lasciato intendere che lo IOR
aspetta ancora di essere ricompensato per il salvataggio di Buenos
Aires.
Lo IOR ha saputo aspettare e ora Bergoglio gli restituirà il favore
attraverso la più redditizia slot machine della fede, meglio nota come
Giubileo,
Chi credeva che Bergoglio avrebbe smantellato lo IOR non ha compreso
che è lo IOR che smantella i pontefici, come ha fatto con Ratzinger.
E così Bergoglio tornò dai suoi discepoli e disse: “pecunia non olet”.
Carla Corsetti
Segretario Nazionale di Democrazia Atea
da Lucio Manisco il 17 Marzo 2015 dc:
Considerazioni Inattuali n.67
Da un sorriso momentaneo all’Apocalisse di Giovanni.
Declino di un impero con gli artigli nucleari
pari a quelli dei suoi avversari
La nuova guerra fredda e il disordine mondiale.
Una, due, tre, quattro
rondini non fanno primavera, ma sfrecciano su uno squarcio azzurro del
plumbeo inverno dei nostri pensieri e producono un sia pur fugace
sorriso.
Netanyahu dato perdente dai sondaggi, il “quantity easing” di Draghi si
rileva fallace se non controproducente ai fini della ripresa, Landini
rivisita la “Lega dei Giusti” e fa uscir di senno la pseudosinistra e
un sindacato rinunciatario e dialogante con chi gli sbatte la porta in
faccia e poi… poi un personaggio eccezionale, il ministro greco delle
finanze Varoufakis, marxista, ironico e geniale che con la pistola
puntata alla tempia dai poteri forti del vecchio continente, con la sua
giacchetta di pelle e la camicia fuori dai pantaloni sfida l’elegante
sosia di Gianni Agnelli che presiede la BCE – gli manca solo l’orologio
sul polsino – propone che la gestione dei mille miliardi e rotti del QE
venga affidata alla Banca Europea degli Investimenti, chiama questo
trasferimento “piano Merkel” e tra un cedimento e l’altro, annunziato
ma dilazionato di mesi, continua a spiazzare i più esagitati fautori
della austerity. Il suo umorismo non è venuto meno quando due giorni fa
è esploso il cosiddetto “fingergate”: due anni fa, quando erano in
pochi a conoscere il suo nome, nel corso di un convegno in Croazia a
chi insisteva sull’inamovibile rigore vessatorio imposto dalla Germania
all’economia ed al popolo greco aveva replicato protendendo a mezz’aria
il dito medio. Il video del gesto a dir poco rude, ma certamente
meritato da chi strangolava il suo paese è stato divulgato da “Bild” ,
il quotidiano di estrema destra più sensazionalistico d’Europa, che ha
sparato in prima pagina l’interrogativo: “Wurde Varoufakis
entmachtet?”, “Verrà spodestato Varoufakis?”. La risposta del ministro:
“È un grande onore avere in
Bild un vero nemico”.
Nel descrivere questi episodi più o meno ameni o propizi ben altri
eventi di segno opposto tornano ad avere il sopravvento, spengono il
sorriso sulle labbra, ripropongono il pessimismo della ragione su una
realtà amara di degrado inarrestabile che sembra precludere l’ottimismo
dell’azione. È la realtà dipinta a tinte fosche, ma veritiere oggi come
meno di un secolo fa, da William Butler Yeats nei versi de “Il
secondo avvento”.
Si disgrega ogni cosa; il centro non può reggere;
mera anarchia dilaga sul mondo,
dilaga la marea torbida di sangue, e ogniddove
viene annegato il rito dell’innocenza;
i migliori mancano di ogni convinzione, i peggiori
sono rigonfi di passionale intensità.
Avevamo già evocato il poema tempo fa nel corso di un dibattito con
alcuni studenti universitari nella sede del circolo Bertolt Brecht di
Brooklyn a New York: il tema, trito e ritrito, era “Declino e caduta
del grande impero d’occidente?”. I giovani interlocutori, quelli più
radicali, rilevavano compiaciuti ma poco convinti le analogie con
l’impero romano, gli altri, più conservatori, denunziavano con sdegno
simulato o forsanco sincero quelle analogie.
Era improbabile che gli uni e gli altri avessero letto i ponderosi 6
volumi de “La storia del declino e della caduta dell’impero romano” di
Edward Gibbon, pressoché certo invece che le loro conoscenze fossero
limitate al nozionismo delle “Monarch Notes”, i compendi ad uso e
consumo degli studenti USA. Senza ostentare conoscenze più approfondite
avevamo osservato che le analogie erano improprie perché lo storico
inglese aveva documentato un percorso di molti secoli prima della
caduta e perché i presunti odierni eredi di quell’impero dispongono,
alla pari dei loro “barbari” avversari, di ultimativi artigli nucleari.
Perché il ricordo di quel dibattito? Perché pochi giorni fa in un
documentario di due ore e mezza trasmesso dalla rete Russya-1 volto a
dimostrare la grandezza e la saggezza di statista di Vladimir Putin
nell’annessione della Crimea il dirigente del Cremlino ha dichiarato
sic et simpliciter
di aver valutato con i suoi consiglieri militari durante la crisi
l’opportunità di ordinare l’allerta dell’arsenale nucleare del suo
Paese. Mancano precedenti del genere dalla crisi missilistica di Cuba,
mentre in altre sei crisi sottaciute nella storia della guerra fredda i
presidenti degli Stati Uniti non avevano mai ammesso di avere allertato
e in tre casi ordinato l’inizio del conteggio alla rovescia dei
“Minuteman III” ed il decollo dei bombardieri strategici “B52”. I mass
media USA non ne hanno parlato così come minimizzano oggi la portata
nefasta delle misure prese dal premio Nobel per la Pace Barack Obama
per accelerare i tempi di una nuova e più aspra guerra fredda con
l’invio di 5.000 militari delle forze speciali statunitensi e di caccia
bombardieri F-16 a ridosso delle frontiere russe, in Lituania, in
Estonia, in Polonia. Il compito di consegnare “armi letali” all’Ucraina
è stato affidato agli alleati europei, Italia inclusa, il 5 del
corrente mese, il giorno in cui Putin ha accolto con il sorriso della
Gioconda l’amico dell’amico di Berlusconi, Matteo Renzi. Sviluppi
pre-bellici che vengono accompagnati dalla guerra del petrolio, del
dollaro e delle sanzioni contro la federazione russa. Si assiste ai
primi segnali di disgregazione della NATO, con la Turchia, fino a ieri
solido alleato degli Stati Uniti che non collabora alla guerra ai
terroristi dell’ISIS e persino con la Gran Bretagna di Cameron che,
dimentica della special relation, stringe rapporti di natura non
commerciale con la Repubblica Popolare Cinese. Sembra che il “disordine
creativo” teorizzato dal Pentagono per quanto riguarda il Medio Oriente
proceda a tappe forzate anche in Africa a partire dalla Libia (le
parole del nostro Capo di Stato Maggiore riecheggiano le note di
“Tripoli sarai italiana al rombo del cannon”).
La politica statunitense presenta aspetti a dir poco inusitati con una
cinquantina di senatori repubblicani che usurpano i poteri
presidenziali per la politica estera e con una lettera agli Ayatollah
iraniani sabotano i negoziati del Segretario di Stato con Teheran sul
nucleare. E potremmo continuare facendo nostre le lamentazioni di
Geremia e le profezie di Giovanni sull’Apocalisse o su una fine del
mondo che potrebbe magari avere come sottofondo “non un bang, ma un
gemito”.
Fermiamoci qui augurandoci contro ogni evidenza la rinascita del “movimento che abolisce lo stato di cose presente”.
Lucio Manisco
www.luciomanisco.eu
da Democrazia Atea il 9 Marzo 2015 dc:
Contro l'aborto, a prescindere
Nel 2013
l’eurodeputata socialista portoghese Edite Estrela fu relatrice di una
risoluzione che avrebbe consentito alle donne dell’Unione Europea di
poter contare su una tutela legislativa in tema di gravidanze
indesiderate e lotta alla discriminazione. La risoluzione prevedeva,
tra le tante forme di lotta alla discriminazione di genere, anche
l’accesso equo alla contraccezione e all’aborto sicuro e legale.
Le associazioni criminali antiabortiste, responsabili in tutto il mondo
della assenza di prevenzione attraverso l’educazione sessuale,
finanziarono una campagna di dissenso contro la “Relazione Estrela” e
il loro assunto ideologico, neanche a dirlo, trovava consenso nel mondo
cattolico.
In quella occasione i deputati renziani Silvia Costa, Franco Frigo,
Mario Pirillo, Vittorio Prodi, Patrizia Toia, e David Sassoli, si
astennero lasciando passare un ordine del giorno promosso dalla destra
conservatrice e dai nazisti europei, che di fatto, neutralizzava la
risoluzione Estrela.
Qualche parlamentare renziano tentò di giustificarsi di fronte al
gruppo parlamentare di appartenenza, che c’era stato un problema di
traduzione e che non aveva compreso il testo in votazione.
Balle.
L’intera questione era stata all’esame delle commissioni per sei mesi e
la relazione Estrela era assai temuta dal Vaticano che attraverso la
sua solerte pretaglia, non voleva farsi sfuggire una occasione così
importante per stroncare i diritti delle donne.
Quando il Vaticano ordina c’è sempre un politico imbecille che crede
che l’ordine sia impartito direttamente da dio, e lo esegue senza
riserve.
Forse non sarà stato il caso di quei sei europarlamentari renziani, ma
poiché provenivano tutti da un’area ultracattolica, il sospetto che il
loro fondamentalismo abbia prevalso sui diritti umani, è lecito.
Nei prossimi giorni sarà portato in discussione a Strasburgo il
Rapporto presentato a gennaio da Marc Tarabella, sulla parità di
genere, la salute riproduttiva delle donne e l’accesso agevolato alla
contraccezione e all’aborto.
Gli europarlamentari del PD hanno una possibilità di riscattarsi dopo
il tradimento sul rapporto Estrela, anche se è notorio che il deficit
che li affligge per l’assenza di una cultura politica sul principio di
laicità, è irrecuperabile.
Si auspica l’approvazione del rapporto Tarabella, ma nel contempo si è
consapevoli che anche questa volta il PD potrebbe di nuovo allearsi in
votazione con i nazisti ultraconservatori.
S
e accadesse prevediamo il copione: un minuto dopo manderebbero Debora
Serracchiani in televisione a dire a tutti che il PD è un partito
progressista e di sinistra e che il loro capo ha sempre ragione, a
prescindere.
Carla Corsetti
Segretario Nazionale di Democrazia Atea
da Democrazia Atea il 24 Febbraio 2015 dc (pubblicato anche sul mio blog Jàdawin di Atheia):
Hanno ucciso Intissar
È stata uccisa a Tripoli Intissar Al Hassari.
Le hanno sparato perché era una attivista e faceva parte del movimento “Donne libiche per l’illuminismo”.
Chiedeva il disarmo delle milizie e accusava apertamente i miliziani
dell’ISIS delle brutalità commesse in nome del fondamentalismo
religioso.
Aveva aperto una biblioteca-bar tenuta da una cooperativa femminile,
nel centro di Tripoli e su facebook invitava la gente a donare libri
nella convinzione che la cultura può vincere sulla violenza.
Ha pagato con la vita il suo impegno per la libertà nel suo Paese.
Democrazia Atea esprime il proprio cordoglio per la sua morte.
A mai più.
La Segreteria Nazionale di Democrazia Atea
da SU LA TESTA l'altra Lombardia, www.laltralombardia.it 9 Febbraio 2015 dc:
Foibe: la verità,
contro il revisionismo storico
In
coincidenza del 10 febbraio assistiamo ad indecorose iniziative ed
interventi sulla 'questione foibe' che non riflettono la verità e le
documentazioni storiche, bensì manifestano posizioni strumentali e
storicamente prive di ogni fondamento tipiche del revanscismo
nazionalista che ha sempre ispirato i fascisti di ogni risma ed oggi
lambisce ampi settori del “centro-sinistra”.
In questi anni il revisionismo (di
destra e di “sinistra”) ha fatto carte false pur di deformare,
falsificare e cancellare la storia. Nel
nome della “pacificazione” e della costruzione di un’artificiosa
“memoria condivisa” viene condotta una campagna di stravolgimento della
verità storica, tesa alla sistematica assoluzione del fascismo
e alla denigrazione di chi lo ha realmente combattuto - in particolare
dei comunisti, i quali ebbero un ruolo fondamentale nell’antifascismo e
nella Resistenza - arrivando alla vergogna di mettere sullo stesso
piano nazi-fascisti ed antifascisti, repubblichini e partigiani,
combattenti per la libertà ed oppressori o, peggio ancora, presentando
i carnefici come vittime e martiri e i perseguitati come aggressori.
Con l’istituzione della “Giornata del
Ricordo” del 10 febbraio, questa campagna ha avuto anche il suo
appuntamento ufficiale in cui i cosiddetti “infoibati” vengono
presentati come martiri “solo perché italiani”. Si tenta cinicamente di
sfruttare il sentimento d’appartenenza nazionale per riproporre
l’infame connubio tra fascismo e Italia e una visione nazionalista e
sciovinista della storia e della realtà. Il tutto avallato dall'ex
presidente della Repubblica Napolitano, che non solo ha straparlato di
barbarie ed espansionismo slavo nel definire il movimento partigiano
sul confine orientale (che, vogliamo ribadire, fu italiano, sloveno e
croato), ma ha anche concesso medaglie ai familiari dei presunti
“martiri dell’italianità”, tra cui, ad esempio, Vincenzo Serrentino,
giustiziato dopo regolare processo in quanto criminale di guerra
ricercato dalle Nazioni Unite.
Questa
ri-scrittura della storia è, tra l'altro, funzionale allo sdoganamento
politico e ideologico delle attuali organizzazioni fasciste e della
destra radicale, che sono considerate ormai, da parte del centro-destra
e non solo, come partner politici ed elettorali del tutto legittimi.
Queste formazioni sono facili
strumenti da utilizzare contro i movimenti politici e sociali non
omologati e non compatibili con l’attuale sistema politico, come
dimostra il crescendo di azioni squadristiche sempre più gravi come
quella di Cremona del gennaio scorso contro il compagno Emilio. Molto
grave è il fatto che in questi giorni i prefetti e i questori di alcune
città autorizzino iniziative sulle foibe promosse da organizzazioni
fasciste e di estrema destra come casa Pound e Forza Nuova.
Questi burocrati dello stato disattendono tutte le disposizioni
legislative che impediscono attività e riti di stampo fascista.
Si ignora sistematicamente quanto la DOCUMENTAZIONE STORICA ci consegna.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale,
con il Trattato di Rapallo (1920) e poi quello di Roma (1924), l’Italia
acquisì sul suo confine orientale un territorio nel quale abitavano
quasi 500.000 tra sloveni e croati. Con l’avvento del fascismo iniziò
un processo di assimilazione forzata: vennero progressivamente
eliminate tutte le istituzioni slovene e croate, le scuole furono
italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare,
vennero posti limiti all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi,
cambiati i nomi dei luoghi. Questo generò una prima ondata di
sentimento anti-italiano.
Con lo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale, nel 1941 il regime fascista e quello nazista attaccarono e
occuparono quasi tutta la Jugoslavia, lasciandosi andare a uccisioni e
brutalità di ogni genere. Vennero approntati, sia nel territorio
italiano che in quello jugoslavo occupato, un gran numero di campi di concentramento,
nei quali oltre ai detenuti di etnia slava vennero spesso rinchiusi
anche migliaia di antifascisti italiani e stranieri di varie
nazionalità. Gran parte degli slavi, fra cui anche vecchi, donne e
bambini, trovarono la morte per inedia, malattie, torture o
soppressione fisica, come peraltro espressamente richiesto da
Mussolini, che chiedeva «l’annientamento di uomini e cose».
I primi partigiani jugoslavi
iniziarono la loro lotta antifascista sin dal luglio 1941. I
nazifascisti tentarono inutilmente in tre riprese il loro
annientamento. Il primo tentativo fu realizzato nell’ottobre 1941 e si
avvalse anche di vere e proprie azioni terroristiche verso i civili (ad
esempio l’eccidio nazista di 7000 abitanti di Kragujevac). Il secondo
fu attuato nel marzo 1942, quando il Comando superiore armate Slovenia
e Dalmazia (poi detto Supersloda) inviò a tutti i reparti la circolare
3C. Questa circolare conteneva ordini di una ferocia inaudita come, ad
esempio: “Internare, a titolo protettivo, precauzionale e repressivo,
individui, famiglie, categorie di individui delle città e delle
campagne e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali;
si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non
verranno perseguiti. Perseguiti invece, inesorabilmente, saranno coloro
che dimostreranno timidezza e ignavia”. La terza grande offensiva si
svolse nell’estate 1942, sotto la direzione del generale Mario Roatta,
e si concluse, come gli altri due tentativi, con grandi massacri di
civili, ma senza riuscire a scalfire la forza e il coraggio dei
partigiani jugoslavi, ai quali si univano molti partigiani italiani di
orientamento comunista.
Si preferisce non ricordare le migliaia e migliaia di civili jugoslavi trucidati dalle truppe italiane nell’ex-Jugoslavia,
occupata dal 6 aprile 1941 fino all' 8 settembre del 1943; si ignorano
le migliaia di civili (donne, vecchi e bambini) morti nei campi di
concentramento fascisti ad Arbe, a Gonars e in altri campi del
centro-nord Italia (per ulteriori approfondimenti consulta
http://www.laltralombardia.it/public/docs/biblio.html).
Si cancellano dai libri di storia e dalle commemorazioni le violenze sistematiche subite in Istria dalla popolazione locale indigena nel corso dell’occupazione fascista (distruzione
di Centri culturali e di case del popolo, italianizzazione forzata dei
cognomi slavi, imposizione della lingua italiana ecc...)
Si arriva a falsificare la realtà fino
a moltiplicare il numero degli infoibati (fra cui moltissimi gerarchi
fascisti e collaborazionisti macchiatisi di gravissimi delitti e
violenze) e degli esuli, sparando cifre a casaccio e manipolando la
documentazione e la ricerca storica, come hanno dimostrato con i loro
studi alcuni storici e ricercatori quali Enzo Collotti, Alessandra
Kersevan e Claudia Cernigoi. Ad esempio, i 500
infoibati istriani (numero documentato da recenti ricerche) diventano 4
o 5 mila e per alcuni addirittura 30.000 e così a seguire con altre
foibe, come quella di Basovizza.
Non si
contestualizzano mai i fatti, quasi che le “foibe” fossero un dato
impazzito della realtà da usare per la bieca propaganda politica.
Perché si vuole speculare sul sangue, sul dolore e sulle vittime di una
guerra la cui totale responsabilità ricade sui nazi-fascisti aggressori?
In realtà si tenta di sfruttare
cinicamente il sentimento di appartenenza nazionale per riproporre
l’infame connubio tra fascismo e Italia, con una visione nazionalista e
sciovinista della storia e della realtà.
Si vuole affermare e perpetuare il
luogo comune di “italiani brava gente”, ignorando che “dall’unità del
nostro paese fino alla fine della seconda guerra mondiale, oltre
all’aggressione della Jugoslavia, si sono verificati molti episodi nei
quali gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà.”
(dalla quarta di copertina del libro di Angelo Del Boca “Italiani brava gente?”).
Fra gli episodi, sempre citati da Angelo Del Boca, professore dell’Università di Torino considerato il maggior storico del colonialismo italiano,
troviamo: 1000 ostaggi fucilati dall’esercito italiano nel territorio
di Lubiana (ex-Jugoslavia) tra il 1941 e il 1943, 35.000 persone
deportate in Italia nei campi di concentramento, di cui 4.500 morte nel
campo dell’isola di Arbe; le deportazioni in Italia di migliaia di
libici, lo schiavismo applicato in Somalia lungo i grandi fiumi,
l’impiego in Etiopia dell’iprite e di altre armi chimiche proibite che
hanno procurato migliaia di morti e devastazioni indicibili, lo
sterminio di duemila monaci nella città conventuale di Debrà Libanos
(Etiopia), la consegna ai nazisti, da parte dei repubblichini-fascisti,
di migliaia di ebrei votati a sicura morte (Italiani, brava gente? di
Angelo del Boca- Ed. Neri Pozza pag.318).
E’ vero che nel corso dell’ultimo
secolo altri popoli si sono macchiati di violenze e nefandezze a danno
di altri quasi in ogni parte del mondo. Tuttavia solo
gli italiani hanno pervicacemente tentato (almeno la storiografia
ufficiale) di gettare un velo sulle pagine nere della loro storia,
ricorrendo ossessivamente ad uno strumento auto consolatorio: il mito
degli “italiani brava gente”. Dietro questo buonismo, in realtà, si
sono consumati i crimini peggiori e gli eccidi più barbari...”
Moltissimi capi militari italiani, fra cui i generali Graziani, Badoglio e Roatta,
sono stati considerati dalle istanze internazionali criminali di guerra
per gli eccidi ordinati e compiuti in Jugoslavia e in Africa orientale
(Etiopia, Somalia) e Libia. Ma non hanno mai pagato, perché i governi post-resistenziali non concessero mai l’estradizione, in nome di cinici equilibri internazionali.
La cosiddetta “questione delle foibe”(le
foibe - dal latino ‘fovea’ che significa fossa, incavo, apertura del
terreno - sono delle cavità naturali per lo più a forma di imbuto
rovesciato tipiche del territorio istriano) è stata un po’ il punto di partenza della campagna di denigrazione della Resistenza nel suo insieme.
Mentre a Trieste, ed in genere nelle regioni del Nordest, la destra
nazionalfascista ha sempre tirato fuori le “foibe” come uno dei propri
cavalli di battaglia per propagandare l’anticomunisno e l’odio etnico e
politico contro la Jugoslavia, è solo negli ultimi anni che il fenomeno
è esploso a livello nazionale, coinvolgendo nella non comprensione del
fenomeno anche esponenti della sinistra, arrivando addirittura alle
posizioni estreme della dirigenza di Rifondazione comunista
bertinottiana che, pur non conoscendo assolutamente l’entità dei fatti,
si è arrogata il diritto di condannare senza appello la Resistenza
jugoslava, ed i partigiani italiani che con essa hanno collaborato, per
dei presunti “crimini” dei quali non solo non vi è prova, ma che dalle
risultanze storiche risultano addirittura non avvenuti. Il
problema è che di “foibe” si è parlato finora molto, ma a livello di
sola propaganda e a sproposito. Per decenni si è parlato di “migliaia
di infoibati sol perché italiani”, senza che i propagandisti esibissero
le prove di questo loro dire. Per decenni i propagandisti hanno scritto
e riscritto sempre le stesse cose, citandosi l’un l’altro e non
producendo alcun documento ad avvalorare quanto da loro asserito. Si è
giunti, nel corso degli ultimi anni, al fatto che questo “si dice”
senza alcun valore storico sia stato avvalorato anche da storici
considerati “seri” e “professionali”, in quanto facenti parte degli
Istituti storici della Resistenza…”
E' utile ricordare, inoltre, la posizione di Giorgio Bocca:
“L'argomento dei campi di concentramento fascisti è pochissimo
conosciuto a livello di opinione pubblica ed è per questa scarsa
conoscenza che personaggi come Silvio Berlusconi possono dire che
Benito Mussolini mandava i suoi oppositori in vacanza. Il gioco dei
morti è francamente inaccettabile quando risponde a un opportunismo
politico come quello attualissimo dei neo fascisti, nipotini di Salò, e
allievi di Giorgio Almirante. Ed è inaccettabile
anche l'uso sacrale che si fa dei morti per dimostrare che le idee per
cui morirono gli uni valgono come quelle per cui morirono gli altri.
Nel caso italiano non si tratta di
recuperare la storia dei vinti e di correggere quella dei vincitori, ma
di ricordare che se si fossero scambiati i ruoli noi non saremmo qui a
parlarne, saremmo finiti in massa in qualche lager o in qualche camera
a gas e per il lungo futuro del Terzo Reich noi e i nostri figli e
nipoti saremmo vissuti, ove non eliminati, in una società barbarica.
Altro che vaghe e passeggere distinzioni fra diverse bandiere, diverse
idee, diverse utopie: la scelta era fra la schiavitù razzista e la
libertà civile, fra la fedeltà cieca alla tirannia e i diritti umani. La
pietà verso i morti è antica come il diritto dei loro parenti e amici a
ricordarli, ma la pubblica celebrazione coinvolge un giudizio sulle
loro azioni da vivi e la celebrazione di quanti, fino all'ultimo,
stettero dalla parte del Reich nazista è celebrazione del nazismo”.
Con la giornata del 10 febbraio si
istituzionalizza la mitologia di una popolazione italiana cacciata
dalla sua terra, quando in realtà i territori dell’Istria e della
Dalmazia, che con la Prima Guerra Mondiale l’Italia aveva occupato
militarmente, non erano mai stati abitati da popolazioni italiane, se
non in minima parte. Dagli anni ’20 il fascismo pianificò e scatenò una
violenta campagna volta ad imporre forzatamente l’ “italianità” alla
popolazione jugoslava. Quando si
parla degli esuli italiani dell’Istria e della Dalmazia non si deve
dimenticare che gran parte di questi erano stati impiantati in quei
territori artificiosamente dal fascismo e spesso del regime erano stati
collaboratori attivi. I
fascisti da sempre hanno cercato di far passare la tesi dello scontro
tra italiani e jugoslavi; in realtà nella Venezia Giulia vi è stata una
resistenza forte e radicata in cui alcune formazioni partigiane
jugoslave e italiane operavano congiuntamente contro i nazifascisti
(italiani, tedeschi e jugoslavi). La celebrazione menzognera
delle foibe cui stiamo assistendo si inquadra in una più ampia campagna
di denigrazione della resistenza: la classe dominante (oggi
rappresentata dal governo Renzi - Alfano ) promuove il revisionismo
storico nelle scuole, nelle università, mette in piedi enormi
operazioni di intossicazione e manipolazione dell’opinione e delle
coscienze. Ne consegue che il principale nemico, in questa lotta, sono:
l’intellettuale asservito alla manipolazione della storia, il
consigliere comunale che asseconda lo sporco teatrino partecipando a
questa o quella commemorazione e l’attuale governo che, in linea con i
suo predecessori, promuove la celebrazione della giornata della
falsità. All’operazione portata avanti dalla classe dominante, si
unisce l’azione di gruppuscoli neofascisti.
Oggi si tratta di
contribuire al contrasto del revisionismo storico, superando
un'impostazione puramente difensiva della 'questione foibe' e dare una
risposta culturale e politica determinata e documentata contro le
menzogne e le falsità di forze reazionarie e revisioniste dell'area
così detta “democratica”.
Si tratta, cioè, di:
- dare una prospettiva di lettura
critica basata sui fatti della storia e della realtà, con particolare
riferimento alle avventure coloniali e imperiali dell’Italia
prefascista e fascista;
- valorizzare il ruolo fondamentale
avuto dalla Resistenza per le conquiste politiche, sociali e civili
successive alla 2^ guerra mondiale;
- valorizzare gli ideali della lotta antifascista nell’attuale contesto storico;
- raccogliere e socializzare la
preziosa eredità della lotta al fascismo per la costruzione di un altro
mondo possibile e necessario, basato sulla pace, la libertà, la
democrazia compiuta e non delegata, l’emancipazione sociale e la
dignità umana.
- valorizzare l’importanza dell’antifascismo attuale anche esprimendo solidarietà a chi è colpito dalla repressione statale.
SU LA TESTA l'altra Lombardia
Febbraio 2015
p. s. - Questo intervento è stato
realizzato anche con il contributo di materiali utilizzati per il
Convegno da noi organizzato con altre formazioni nel 2008 dal titolo
“Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”. Per ogni altro
ulteriore approfondimento e documentazioni consultate la pagina del
nostro sito dedicata a Foibe – contro il revisionismo storico http://www.laltralombardia.it/foibe.html
Selfie made man
La vittoria di Alex Tsipras in Grecia è un dato certo per tutte le agenzie di stampa.
Come pure la crescita di Podemos in Spagna.
In Grecia e in Spagna si affermano le sinistre che riporteranno al
centro del dibattito politico i diritti in contrapposizione con le
aberranti decisioni di austerity.
Se anche l’Italia avesse espresso un forte partito di sinistra, tutti e
tre i Paesi avrebbero potuto imporre un peso decisionale non
indifferente alle politiche della Germania e della BCE.
E invece l’Italia esprime un partito maggioritario confuso nel suo
ruolo identitario, che si auto-qualifica di sinistra per essersi
iscritto PSE ma che vara leggi contro le tutele dei lavoratori, che
vara leggi in favore delle banche, che manda la polizia a manganellare
gli operai e che è espressione degli interessi di Confindustria.
Alex Tsipras di Siryza ha delle marcate defaillance in termini di
laicità, mentre Pablo Iglesias di Podemos ha delle defaillance in
termini di populismo, ma entrambi hanno un peso specifico all’interno
dei partiti che rappresentano e che sono anche la cifra della loro
personale capacità di esprimere una responsabilità diretta nelle
decisioni difficili che hanno preannunciato di voler assumere contro la
Troika.
Considerando l’autonomia di pensiero degli italiani, i quali
recentemente, senza battere ciglio, si sono fatti indicare persino il
numero dei figli che possono fare, non stupisce che possano esprimere
il loro gradimento nei confronti dell’attuale Presidente del Consiglio
il quale non è in grado di elaborare una linea politica qualificante,
ma solo l’affermazione di un personalismo vanesio .
Mister Quarantapercento si conferma come esecutore convinto di ordini
altrui, sbadiglia durante gli incontri con le autorità istituzionali
straniere, gioca con il telefono, twitta e si fa i selfie.
Carla Corsetti
Segretario Nazionale di Democrazia Atea
da Democrazia Atea il 23 Gennaio 2015 dc:
Oscurantismo veneto
All’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto
Direzione Generale Riva de Biasio S.Croce 1299
30135 Venezia
All’Autorità Garante Per l’Infanzia e per l’Adolescenza
Via di Villa Ruffo, 6
00196 Roma
“Se non si può dire che tutti gli islamici sono terroristi, è evidente
che tutti i terroristi sono islamici e che molta violenza viene
giustificata in nome di una appartenenza religiosa e culturale ben
precisa”.
Questo è un passaggio della lettera che l'8 gennaio 2015 l'assessore
Elena Donazzan ha inviato a tutti i prèsidi del Veneto invitandoli ad
esortare i genitori degli studenti stranieri - per non dire non
cristiani - a condannare i recenti fatti di Parigi.
Con il suo comportamento xenofobo l'assessore Donazzan ha nuovamente
intrapreso una azione discriminatoria nei confronti degli studenti
veneti, questa volta, nei confronti di coloro che non fondano il
proprio vivere quotidiano su valori di matrice cristiano-cattolica.
Non pare infatti di ricordare che l'assessore Donazzan abbia mai
inviato analoga circolare per chiedere alle famiglie dei bambini
cristiani di dissociarsi fermamente dall’attentato norvegese del 2011,
quello in cui Anders Breivik uccise 77 persone per difendere le radici
cristiane.
Il terrorismo non ha un colore politico e non ha una fede di appartenenza.
Il terrorismo significa incutere terrore nella popolazione attraverso azioni criminali e violente.
Elena Donazzan ha approfittato di un evento terroristico per
enfatizzare una discriminazione di natura religiosa già ben radicata
sul territorio veneto, non perdendo occasione di evidenziare la deriva
del suo agire in qualità di rappresentante delle istituzioni, in
disprezzo della Carta Costituzionale che sancisce la Laicità delle
Istituzioni.
Non è passato molto tempo dall'ultima sua proposta, successivamente
approvata da una delibera regionale, di istituire la festa della
famiglia naturale in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Naturalmente, la famiglia naturale come definita dai suoi valori cristiani.
Ancora una volta Elena Donazzan cerca di imporre il suo personale pensiero attraverso una iniziativa istituzionale.
Ancora una volta tra gli studenti discriminati figurano minori.
Democrazia Atea non starà a guardare e, come sempre, sarà in prima
linea nella difesa dei diritti umani, in particolar modo, se i
destinatari di tali abusi, sono minori.
Chiede alle Autorità in indirizzo un immediato intervento che consenta
agli studenti minorenni, sottoposti a questa squallida discriminazione,
di non dover subire costrizioni che limitino il loro diritto di pari
condizioni, pari dignità e pari diritti garantiti dalla Costituzione.
Ciro Verrati
Vice Segretario Nazionale di Democrazia Atea
da Lucio Manisco il 20 Gennaio 2015 dc:
Considerazioni attuali sulle inattuali n.ro 60
Contro l'Esprit de la Republique della marcia di Parigi
non solo islamofobi e razzisti, pa progressisti della sinitra estrema, complottisti e poi i soliti confusionari.
Chi
lo ha seguito su questa strada aveva ad esempio denunziato Assange come
un provocatore al soldo dei servizi e le rivelazioni di WikiLeaks come
marginali o fittizie. Tra e-mail, telefonate e messaggi scritti
lasciati al mio indirizzo una dozzina di questi Chiesastici ci hanno
accusato di avere deliberatamente ignorato in Considerazioni Inattuali
n.60 anche la sola ipotesi di un patrocinio e di un supporto
finanziario della “Sureté” e della Intelligence USA agli assassini
nella sede di Charlie Hebdo e pertanto, con un improvviso salto mortale
di essere diventati sostenitori del grande impero d’Occidente insieme
ai due milioni di parigini, drogati dalla propaganda, che avevano
invaso i boulevards della capitale. Il sonno della ragione, come aveva
intitolato Goya una serie delle sue famose incisioni, crea dei mostri.
Non è un mostro Marie-Ange Patrizio,
intellettuale francese di sinistra, una vera amica e non solo perché ha
tradotto molti dei nostri scritti divulgati dal Reseau Voltaire, ma
anche e soprattutto per affinità culturali, sociali e politiche. Ci ha
comunicato da Marsiglia che non abbiamo capito nulla della marcia, che
Voltaire non c’entra niente e tout court che Charlie Hebdo “è un
giornale di merda”.
La risposta di un Paese, l’Italia,
dove si avverte ogni giorno allarme e preoccupazione per la libertà di
espressione, dove cioè si teme che possa un giorno lontano tornare:
Charlie Hebdo è un simbolo esasperato, ridanciano, coinvolgente di
questa libertà di espressione e i milioni che hanno marciato a Parigi
lo hanno intuito anche se non l’avevano mai sfogliato e se lo avevano
fatto si erano magari indignati per il suo contenuto dissacrante ed
asageratamente onnivoro di religioni, poteri politici, autorità di ogni
genere. E in quella fiumana umana che aveva invaso le strade della
capitale gran parte probabilmente non aveva mai letto i testi
filosofici e satirici di Voltaire, di Rabelais, di Bussy-Rabutin, di
Beaumarchais, di Chamfort e di tanti altri, ma il loro spirito
aleggiava su tutti perché l’Esprit de La Republique, dell’età dei lumi,
del laicismo, della libertà, della Comune, del maquis ha ispirato non
solo in Francia, ma nel mondo intero la resistenza alle prevaricazioni
dei potenti, alle dittature più oscene, ai fanatismi religiosi.
Significativa l’indifferenza di chi
marciava per l’accozzaglia di capi di governo, di Stato e di altri
personaggi a dir poco equivoci che superblindata e del tutto isolata
era stata inserita alla testa dell’immane corteo. Un’indifferenza che
ha richiamato alla memoria la battuta di Bertolt Brecht: “Al momento di
marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico”.
Il nemico non era Mitterand alla cui
marcia trionfale dopo la vittoria elettorale partecipammo. Non ci
piaceva affatto Chirac in testa a quel corteo in cui ci inserimmo del 1
maggio contro Le Pen e non proviamo oggi simpatia alcuna per Hollande,
ma Considerazioni Inattuali n.60 è stato un ennesimo atto d’amore per
il popolo francese, per il tuo popolo, Marie-Ange. Au revoir.
da Democrazia Atea il 15 Gennaio 2015 dc:
Satira e religione
La libertà di espressione è certamente
il cardine dei sistemi democratici e la sua limitazione si risolve
inevitabilmente nella limitazione di tutte le altre libertà
democratiche.
È per questo che assurge a simbolo di tutte le libertà.
La libertà di espressione si è spesso
scontrata con la limitazione di dover tener conto della offesa ai
sentimenti religiosi dei singoli o dei gruppi.
Una società che impernia il proprio
cardine democratico sulla libertà d’espressione, non può concepire una
sua limitazione tout court quando si parla di religione.
Salman Rushdie pubblicò i suoi
“Versetti satanici” e la Commissione Europea valutò che il sentimento
religioso dei credenti, in quel caso specifico, non potesse porsi
contro le legittime forme di manifestazione di un pensiero critico.
La Corte in quel caso ritenne che
proteggere il sentimento religioso dei credenti non poteva comprimere
il diritto di critica pubblica della religione, e che il dibattito
pubblico su alcune tematiche avrebbe contribuito all’approfondimento
della conoscenza e del confronto.
Vi sono stati molti altri casi nei
quali la Corte ha invece ritenuto che le limitazioni imposte dagli
Stati nazionali alla libertà d’espressione fossero giustificate per la
difesa di interessi superiori, come l’ordine pubblico o la protezione
della salute.
Le pronunce della Corte hanno
interessato anche la satira che occupa un posto speciale tra tutte le
libertà d’espressione perché “…ha lo scopo di provocare e agitare, e
pertanto qualsiasi ingerenza su questa forma di manifestazione del
pensiero deve essere esaminata con particolare attenzione”.
La satira rileva una contraddizione
religiosa, scopre il punto debole di un uomo politico, ridicolizza una
figura mitologica ed è per questo che la Corte Europea ha dichiarato
che “gli interventi satirici possono contribuire al dibattito su
questioni di interesse generale senza i quali non vi può essere una
società democratica.”
L’islam, il cattolicesimo e
l’ebraismo, sono religioni che negano a loro stesse un piano di realtà
razionale, e dunque non saranno mai in grado di conciliare le proprie
credenze con la necessaria forma di irriverenza che è insita nel
messaggio satirico.
La satira invece ha proprio la
finalità di provocare, di irridere, di scandalizzare, di
caricaturizzare, ma anche di irretire e di introdurre tematiche che
favoriscano un approfondimento su argomenti che rivestono un interesse
pubblico.
All’indomani dell’assassinio dei
vignettisti francesi, le frasi “non giustifico l’uccisione però quelle
vignette….” sono state, per molti, il termometro della incapacità di
accettare che il proprio credo non sia condiviso e soprattutto che
possa essere ridicolizzato.
In altri casi il confine tra il politically correct e l'ipocrisia è apparso sovente piuttosto labile.
I“distinguo” rivelano come, nella
maggior parte dei casi, non si sia nemmeno compresa la finalità
intrinseca del messaggio satirico perché più esteso è il dissenso e più
grande è la contraddizione che il messaggio satirico avrà sollevato.
Chi fa satira non è masochista e, per
quanto conosca esattamente la violenza umana, può legittimamente
credere che la bestialità non prevalga.
Nell’islam non sarà possibile superare
l’arretratezza interpretativa del messaggio religioso fino a quando le
società islamiche non saranno attraversate da una fase di discussione
razionale, e quindi ancora per molto tempo prevarrà l’arcaicità
violenta della loro struttura religiosa che non lascia spiragli
all’ironia figurarsi alla satira.
Non si deve necessariamente essere
d’accordo con il messaggio della satira, anzi, è del tutto legittimo
non esserlo, ma la curiosità intellettuale è spesso anche la cifra
dell’intelligenza con la quale si è capaci di mettere in discussione le
proprie rigide certezze nel tentativo di protendere verso una
progressione emancipativa, unica autentica risposta alla violenza.
Carla Corsetti
Segretario Nazionale di Democrazia Atea
da Democrazia Atea il 12 Gennaio 2015 dc:
Marche republicaine
Ho partecipato a la Marche Republicaine di Parigi insieme a due milioni di cittadini francesi.
In questi giorni tristissimi non solo
per Parigi, la Francia, ma anche per l'Italia e il mondo e per tutta
l'umanità, vorrei ricordare una poesia che non ha bisogno di commenti.
L'autore, purtroppo, è stato costretto a commentarla con la propria vita.
Si tratta di Stéphane Charbonnier
(Charb), direttore di Charlie Hebdo. L'aveva scritta circa due anni fa,
dopo il secondo tentativo di incendio alla redazione del suo
settimanale, dove l'aveva pubblicata:
"Peins un Mahomet glorieux, tu meurs.
Dessine un Mahomet rigolo, tu meurs.
Gribouille un Mahomet ignoble, tu meurs.
Réalise un film de merde sur Mahomet, tu meurs.
Tu résistes à la terreur religieuse, tu meurs.
Tu lèches le cul aux intégristes, tu meurs.
Pends un obscurantiste pour un abruti, tu meurs.
Essaie de débattre avec un obscurantiste, tu meurs.
Il n'y a rien à négocier avec les fascistes.
La liberté de nous marrer sans aucune retenue,
la loi nous la donnait déjà,
la violence systématique des extrémistes
nous la donne aussi. Merci, bande de cons."
Sthéphane Charbonnier (Charb) (21 agosto 1967 – 7 gennaio 2015)
(Traduzione:
Dipingi un Maometto glorioso, e muori.
Disegna un Maometto divertente, e muori.
Scarabocchia un Maometto ignobile, e muori.
Gira un film di merda su Maometto, e muori.
Resisti al terrorismo religioso, e muori.
Lecca il culo agli integralisti, e muori.
Prendi un oscurantista per un coglione, e muori.
Cerca di discutere con un oscurantista, e muori.
Non c'è niente da negoziare con i fascisti.
La libertà di ridere
senza alcun ritegno
la legge ce la dà già,
la violenza sistematica degli estremisti
ce la rinnova.
Grazie, banda di imbecilli.)
Carlo Chionne
Segretario Provinciale Di Livorno di Democrazia Atea
da Lucio Manisco il 12 Gennaio 2015 dc:
Considerazioni inattuali n.ro 60
La marcia di un grande popolo
che rivive i valori universali della sua storia repubblicana.
A PARIGI LO SPIRITO DI VOLTAIRE
E DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE. A ROMA LO SCIOPERO DEI VIGILI URBANI E I TAFFERUGLI TRA I TIFOSI DEL DERBY.
Davanti
all’orrore di Charlie Hebdo la paura fa novanta tra i vignettisti
nostrani: tra le poche eccezioni quella del solito, formidabile Vauro
Senesi.
di Lucio Manisco
Parigi e la Francia nei nostri cuori.
Un popolo in marcia che rivive i valori della sua storia repubblicana,
dell’età dei lumi, di una grande rivoluzione che dopo più di due secoli
di guerre, di oscene dittature, di neo-colonialismo, causa primaria del
terrorismo, continua a lievitare nello spirito della famiglia dell’uomo.
Un milione e mezzo, due milioni di
citoyennes senza paura che si mobilitano spontaneamente e con
straordinaria compostezza per esprimere sdegno e condanna per l’orrore
della strage dei redattori di Charlie Hebdo, per un atroce attacco alla
libertà di espressione fondamento di ogni altra libertà. E gran parte
di quei milioni di persone non aveva mai letto quel periodico anche se
ne conosceva l’esistenza nelle edicole aveva seguito sulla stampa
benpensante le cause di diffamazione aggravata intentate ai suoi
direttori e vignettisti. Eppure tutti quei “Je suis Charlie” indicavano
un’identificazione assoluta, istintiva con la laicità estrema,
ridanciana e libertaria di chi si era sempre schierato contro il
fanatismo e l’ipocrisia di tutte le religioni, di tutti gli abusi del
potere in Francia e nel mondo intero. (Può darsi che sia sfuggito alla
nostra attenzione, ma non ci risulta che Papa Bergoglio al di là delle
sue innumerevoli e quotidiane condanne della violenza abbia menzionato
la testata grondante sangue di quell’irriverente settimanale. Se così
fosse, sarebbe inevitabile il richiamo ai giudizi di Pascal sui
gesuiti).
“Charlie Hebdo – ha scritto The
Guardian – ha sempre ribadito che le immagini del culto sono pure e
semplici invenzioni umane”. Un concetto presente in tutti gli scritti
filosofici e satirici di Voltaire, elaborato con razionalità cartesiana
nel dibattito tra atei e credenti e non certo assente nella ferrea
separazione tra Stato e Chiesa della repubblica francese. Ed è lo
spirito di Voltaire, ateo ma soprattutto libertario, che abbiamo
avvertito aleggiare sulle folle che hanno invaso i boulevard parigini
in difesa dei diritti umani e delle libertà aggredite dal fanatismo
pseudo religioso degli assassini nella sede di “Charlie” (Charles de
Gaulle e non Charlie Brown).
Solo la televisione ha esaltato la
parata di capi di Stato e di governo in testa al corteo, una singolare
ammucchiata di dirigenti politici europei e di personaggi a dir poco
equivoci che della libertà di espressione sanno solo come reprimerla.
La fiumana umana non li ha visti e ci è apparsa piuttosto indifferente
alla loro partecipazione evidenziata ad ogni pie’ sospinto dai mass
media internazionali.
Non c’era Obama ed a rappresentarlo
non c’erano il vice-presidente o il titolare degli esteri ma l’Attorney
General, ministro alla giustizia Eric Holden Junior, che avrà
certamente incalzato i colleghi europei ad adottare il modello
americano nella lotta al terrorismo: enhanced interrogations,
Guantanamo, neutralizzazioni extra-giudiziarie, droni, e bombe,
soprattutto bombe sui nemici del grande impero d’occidente. I risultati
di questi metodi seguiti per più di ventitré anni erano evidenti ai
milioni che marciavano nella capitale francese ma continuano ad essere
negati dalla Vandea Islamofoba di Marine Le Pen che ha trovato degna
compagnia nei “buzzurri” della Lega nostrana. Dovremmo parlare di
Renzi, retrocesso in seconda fila nella parata dei grandi capi, ma non
lo facciamo per carità di patria.
Non possiamo non parlare invece dello
spettacolo offerto da Roma in contemporanea con quello di Parigi.
L’attenzione dell’Urbe è stata monopolizzata dallo sciopero dei vigili
urbani per ottenere gli straordinari e chiedere le dimissioni di quel
bravuomo di Ignazio Marino mentre c’era l’emergenza dell’ordine
pubblico per via del derby. E difatti ci sono stati i rituali, furiosi
tafferugli tra i tifosi della Roma e quelli della Lazio: tafferugli
sottaciuti dalla RAI e da Sky, certe peraltro che le dirette sulla
partita non avrebbero perduto un solo telespettatore romano per la
concorrenza del grandioso evento parigino.
E parliamo anche della solidarietà
formale e improntata alla massima cautela dei direttori di giornali che
si sono guardati bene dal pubblicare le vignette di Charlie Hebdo che
hanno figurato invece per tre giorni su tutta la stampa europea. Pavida
ed in alcuni casi ostile la reazione dei nostri vignettisti
all’uccisione dei loro colleghi di Charlie (se la sono cercata). Poche
le eccezioni, prima tra tutte quella del solito, formidabile Vauro
Senesi su Il Fatto Quotidiano. Un bravo anche a Viani su il Manifesto.
dal nuovo Autore del sito e del blog, 8 Gennaio 2015 dc:
Il terrorismo è frutto della religione?
di Luca Immordino
Il 7 Gennaio 2015 dc a Parigi, presso la sede del periodico settimanale
satirico Charlie Hebdo, è occorso un gravissimo episodio di inaudita
violenza e crudeltà, perpetrato da fanatici in nome della religione
musulmana, contro gente innocente e contro le più elementari regole di
umanità.
Ecco descritti brevemente i fatti. Dalle prime sommarie ricostruzioni
tre persone giungevano a bordo di un’autovettura presso la sede della
rivista satirica. Dall’auto scendevano due individui a volto coperto ed
armati di kalashnikov che costringevano una donna, che lavorava lì, a
farsi aprire la porta d’ingresso immettendo il suo codice di accesso.
Appena entrati è iniziata la strage che, una volta terminata, ha avuto
come conseguenza la morte di 12 persone ed il ferimento di altre 11, di
cui 5 in modo grave.
Sempre dalle registrazioni sonore e dalle riprese video, nonché dalle
testimonianze dei sopravvissuti, si è avuto modo di accertare che la
strage è stata effettuata per motivi religiosi da estremisti islamici.
Il giornale in questione si occupava di satira che spesso aveva come
tematica la religione, compresa l’attualità del fenomeno
dell’estremismo islamico. Per questa sua attività era stato additato
dalla quasi totalità degli ambienti religiosi come dissacrante e, da
alcuni di questi, condannato apertamente con gravi minacce anche di
morte, seguite da intimidazioni.
Le religioni, purtroppo, sono state e sono fonti di efferati crimini
per le loro caratteristiche dogmatiche che si impongono come ordini
assoluti, non contestabili ed ai quali bisogna obbedire a pena di
severissime punizioni divine. Tutte le religioni contengono nei loro
testi, considerati “sacri”, ordini e minacce di terribili punizioni
contro chi non si allinea al volere divino. Ecco un breve esempio
limitato alla religione più diffusa in “Occidente”, tratto dal Nuovo
Testamento ritenuto, per così dire, più morbido ed illuminato rispetto
al Vecchio Testamento: “Guai alle città incredule! – Allora [Gesù]
cominciò ad inveire contro le città in cui aveva compiuto la maggior
parte di miracoli, perché non si erano convertite:«guai a te, Corazin!
Guai a te, Betsaida! Poiché, se i prodigi che sono stati compiuti in
mezzo a voi fossero stati fatti a Tiro e Sidone, da tempo in cilicio e
cenere avrebbero fatto penitenza. Ebbene, vi dico che nel giorno del
giudizio la sorte che toccherà a Tiro e Sidone sarà più mite della
vostra. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Sino agli
inferi sarai precipitata. Poiché, se a Sodoma fossero stati compiuti i
prodigi che si sono compiuti in te, sarebbe rimasta fino ad oggi.
Ebbene, vi dico che nel giorno del giudizio la sorte che toccherà alla
terra di Sodoma sarà più mite della tua»”. (Bibbia, Nuovo Testamento,
vangelo secondo Matteo 11,19).
Questi testi, sui quali si fondano le più grandi religioni
contemporanee, hanno origini incerte e remote, sono stati tramandati
anche in modo non genuino e con modifiche nel corso dei secoli, e
rispecchiano una visione cristallizzata ed obsoleta che si basa su
concezioni ormai superate.
C’è anche da dire anche che la quantità di attentati è minima rispetto
alla percentuale di popolazione credente. Ciò è da ricollegarsi al
fatto che ogni credente ha un modo diverso di interpretare la stessa
religione ed al giorno d’oggi la percentuale di persone praticanti è di
molto inferiore rispetto a chi si definisce credente. È impressionante,
rispetto alle stragi compiute da squilibrati od altri soggetti, il
fatto che quelle compiute a sfondo religioso forniscono a determinati
individui ulteriori motivazioni per perseguire e giustificare certi
gesti estremi, quali sono gli attentati terroristici. Questo determina
la maggiore incidenza di atti terroristici per opera di questi ultimi,
rispetto a quelli compiuti per motivazioni non legate alla religione.
D’altronde in passato, come nel presente, la stragrande maggioranza
delle guerre è da attribuirsi a motivazioni religiose (iniziando dalle
crociate e finendo alle recenti guerre che vedono in contrapposizione
“Occidente” e “Mondo Islamico”).
Cos’è allora che differenzia le varie religioni? È vero che la
stragrande maggioranza degli attentati terroristici avvenuti in
Occidente sono opera di fanatici islamici, ma è anche vero che episodi
gravissimi sono stati commessi da estremisti cristiani, come per
esempio l’ultimo di eccezionale gravità, avvenuto in Norvegia. In
questo paese scandinavo nel 2011 un fanatico della religione cristiana
uccise brutalmente a colpi d’arma da fuoco 77 persone quasi tutte
giovani e ne ferì più di 300, anch’esse per la maggioranza ragazzi.
Per ampliare questa breve analisi anche ad un’altra grande religione
mondiale, in India si registrano molti atti terroristici a sfondo
religioso compiuti anche da credenti appartenenti alla religione
induista.
Il problema è da ricercare nella mitigazione nell’osservanza dei
dettami religiosi dovuta alla nascita ed allo sviluppo dei valori
laici, secondo i quali conta il reciproco rispetto nei rapporti umani e
non il prevalere in questi, dei dettami divini relativi al credo di
ogni singolo individuo. Analizzando più nello specifico il caso
“estremismo religioso musulmano”, possiamo tranquillamente affermare
che a livello storico è facilmente constatabile che nei paesi dove si è
affermato l’Islam, non si è avuto un periodo che possiamo paragonare al
nostro illuminismo: “Contrariamente a quanto affermatosi nell’Europa
moderna, il movimento musulmano per la riforma non fu interessato a
revisioni dottrinali, né il rapporto con la modernità fu avvertito
quale processo di adattamento all’ideologia della modernizzazione, così
come proposta dalla cultura europea nell’Ottocento. L’Islam in quanto
sistema di atti di culto non poteva essere soggetto ad alcuna
revisione”. (Antonino Pillitteri “Introduzione allo studio della storia
contemporanea del mondo arabo” Laterza editore, Bari 2008, pagina 18).
Si pensi che le istituzioni statali dei paesi islamici sono ancora
intrise profondamente da elementi religiosi, come ad esempio
l’applicazione della legge coranica nel campo del diritto. Secondo poi,
un altro fattore che ha aperto la strada all’affermarsi di gruppi
estremisti, è da ricercarsi in fattori geopolitici. Infatti, durante il
contrasto fra le due superpotenze mondiali U.R.S.S. ed U.S.A., gli
americani fomentarono e finanziarono i gruppi islamici più estremisti
in modo da poterli utilizzare contro il nemico sovietico. L’Unione
Sovietica era un paese ateo e per di più confinava con numerosi paesi
islamici ed addirittura nelle repubbliche sovietiche ad essi
confinanti, vi era una lunga tradizione legata alla religione musulmana
(dopo il crollo dell’U.R.S.S. con la proclamazione d’indipendenza di
queste ex repubbliche sovietiche, è stata adottata come religione
ufficiale quella islamica).
da
Sebastiano Isaia 2 Gennaio 2015 dc:
Un cattocomunista al Quirinale?
Come ricordava ieri Fausto Carioti su
Libero,
in vista delle elezioni politiche del 2006, che porteranno al successo
(molto relativo) dell’Unione di Romano Prodi, Sergio Mattarella disse
di avere in comune molte più cose con i “comunisti” di Armando Cossutta
che con i radicali di Marco Pannella, i cui valori di riferimento si
risolvono, sempre secondo l’ex pupillo di Ciriaco De Mita, in
un’inaccettabile individualismo in campo economico e sociale. I
radicali, sentenziò allora il “cattolico adulto” siciliano, ci
farebbero perdere voti perché i loro valori etici sono distanti da
quelli che da sempre sono al centro della concezione solidaristica e
comunitaria della vita cara al popolo di sinistra. È in posizioni di
tal fatto che bisogna ricercare il significato più profondo di un
termine politologico di italianissima marca ritornato in auge
negli ultimi giorni: “cattocomunismo”.
Di Pannella e dei radicali non la pensavano diversamente i “comunisti”
del PCI, i quali negli anni Settanta appoggiarono le campagne per i
“diritti civili” promosse appunto dal PR solo dopo averle osteggiate,
sabotate e comunque stemperate attraverso un meticoloso lavoro di
mediazione con le “masse cattoliche” che votavano DC. L’individualismo
piccolo borghese dei radicali fa il gioco dei reazionari perché tende a
spaccare le masse popolari: questo l’argomento usato allora dai
“comunisti” contro il partito di Pannella.
Analogo discorso il PCI in odor di “compromesso storico” scagliava
contro le «avanguardie studentesche e operaie», il cui «radicalismo
piccolo borghese» indeboliva il «fronte di classe» e offriva facili
pretesti alla reazione: «Compagni, ricordate la lezione cilena!».
Com’è noto, il tasso di laicità dei togliattiani è sempre stato oggetto
di critica e di scherno da parte di socialisti, repubblicani e forze
“laiciste” di varia tendenza, che non perdoneranno mai al PCI il “vizio
d’origine” rappresentato dalla costituzionalizzazione dei Patti
Lateranensi (Art. 7). Che poi oggi Pannella saluti l’elezione di
Mattarella con un «Dio ce l’ha mandata buona», ebbene questa bizzarria
forse si spiega con la tendenza manifestata ultimamente dal vecchio
trombone radicale ad annettersi svariati personaggi: da Papa Francesco
al Dalai Lama, da Giorgio Napolitano a George Soros, da Eisenhower a
Gandhi, e così via. Chissà se pur di non ammettere di averla
sparata troppo grossa questa volta, il vecchio Marco berrà la favola
dell’«Einaudi cattolico» messa in giro da ciò che rimane della mitica
corrente demitiana.
Piero Ostellino continua invece a non avere dubbi sulla natura
antiliberale di Mattarella: «Matteo Renzi ha riesumato, come presidente
della Repubblica, un vecchio democristiano di sinistra, quanto di più
illiberale abbiano prodotto, da noi, la cultura politica egemone e il
sistema politico» (
Il Giornale, 1 febbraio 2015). Musica per le orecchie della “sinistra – ma anche della “destra” – antimercatista”.
Sempre a proposito di cattocomunismo, una vignetta di Mauro Biani pubblicata ieri da
il Manifesto
recitava: «Siamo vissuti berlusconiani, moriremo democristiani. Può
essere un passo avanti». Per la “sinistra” di Miserabilandia la cosa
potrebbe pure stare in questi ottimistici termini. D’altra parte, sulla
natura conservatrice del sedicente quotidiano comunista non ho mai
avuto dubbi. Ricordo, ad esempio, che negli anni Novanta
il Manifesto,
avvezzo a ingoiare giganteschi rospi pur di eliminare dalla faccia
della terra il Cavaliere Nero di turno (da Andreotti a Craxi, da
Berlusconi a Renzi), deplorò la scelta di Fini di dar vita ad Alleanza
Nazionale perché la nuova formazione politica «svendeva l’anima
sociale» del vecchio MSI al campione del “liberismo selvaggio” e della
“sottocultura televisiva”. «Fini e An», disse invece Mattarella il 9
aprile 1994, «per la smania di occupare il governo hanno accettato
senza difficoltà l’inquietante proposta di Bossi di spaccare l’Italia,
barattando il federalismo con la promessa di presidenzialismo». Ecco
perché oggi giornalisti di stampo “liberale” come Piero Ostellino e
Nicola Porro, che giustamente definiscono Mattarella nei termini di un
classico «esponente dell’establishment conservatore che è solito
cambiare qualcosa affinché nulla cambi» («in confronto a Mattarella,
Forlani è un movimentista», ha detto ad esempio lo spassoso De Mita),
si domandano con angoscia come ci si possa entusiasmare per un
esponente della «preistoria della prima repubblica, per l’unto da De
Mita, per la scelta di un uomo della sinistra dc (che era vecchia e
pallosa anche allora quando comandava). Ma ci rendiamo conto,
Mattarella». Proprio questo profilo politico rende simpatico il grigio
e compassato Sergio al conservatore sinistrorso: «C’è Stato», esulta
oggi
il Manifesto. C’è Stato, c’è Stato, altroché se c’è lo Stato!
Ecco cosa invece pensava del “comunismo” il nuovo Presidente della
Repubblica: «Sono personalmente convinto, avendo sempre militato in una
forza politica che ha contrastato il comunismo, quando questo era forte
e comandava in molti Stati d’Europa, che l’ideologia comunista o,
volendo essere più precisi, il marxismo-leninismo, rappresenti una
negazione della libertà e sia in conflitto, insuperabile, con i
principi di una democrazia liberale». Può darsi. Ciò che è certo,
almeno all’avviso di chi scrive, è che il “comunismo” «o, volendo
essere più precisi, il marxismo-leninismo» di cui parlava il
democristiano siculo, era in conflitto insuperabile con la teoria e,
soprattutto, con la prassi dell’autentico comunismo, mai sperimentato
in nessun luogo del pianeta nemmeno in una sua forma rozza o
incompiuta. Ovviamente non mi sorprende affatto che Mattarella non
abbia colto l’abissale differenza che passa tra il comunismo e lo
stalinismo (che del primo è la più cruda negazione): non ci sono
riusciti nemmeno fior di intellettualoni “comunisti”!
Insomma più che di cattocomunismo*, a proposito dei «cattolici che
guardano a sinistra» si dovrebbe parlare piuttosto di cattostalinismo,
o cattostatalismo. Ma queste sono quisquilie politologiche,
pinzillacchere dottrinarie, mi rendo conto. E allora concludiamo con
qualcosa di serio!
Le prime parole del nuovo Capo di Stato hanno commosso chi pensa
ossessivamente, dalla mattina alla sera, alla cattiva esistenza «degli
ultimi»: «Il mio pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e
alle speranze dei nostri concittadini. È sufficiente questo». Sì, come
prima esternazione di sobria banalità può bastare. È sufficiente
quantomeno a convincere Norma Rangeri a una cauta apertura di credito:
«Capiremo se le prime frasi pronunciate dal Presidente della
Repubblica sono soltanto parole o diventeranno fatti. Perché
la partita non si gioca tra i mille scesi in campo tra le mura
del parlamento, ma tra i milioni di lavoratori e famiglie
italiane che sono al collasso» (
il Manifesto, 31 febbraio 2015). Sento puzza di «convergenze parallele»…
”Se fossi in Parlamento voterei Mattarella come presidente della
Repubblica”. Lo afferma il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini,
interpellato telefonicamente: “Considero che sia la figura adatta, con
l’autonomia necessaria per far applicare e far rispettare i principi
della nostra Costituzione. E in più – prosegue Landini – in un momento
di distacco e di sfiducia delle persone dalla politica, considero
l’etica e la moralità con cui Mattarella ha fatto politica un punto e
una qualità molto importanti”» (
Il Secolo XIX,
30 gennaio 2015). Molti sostenitori della “Rivoluzione Greca” ancora in
corso non la pensano diversamente, e con ciò essi mostrano una
stringente coerenza – e non faccio dell’ironia: tutt’altro”! Non c’è
che dire, i lavoratori italiani si trovano in mani sicure: quelle degli
onesti servitori del Superiore Interesse Nazionale. D’altra parte, dai
figli e dai nipotini del togliattismo-berlinguerismo non ci si poteva
aspettare di meno.

* Scrive Francesco Cundari: «Quale sia l’origine del termine è
difficile dire. Il dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro
ne data la nascita al 1979. Ma già l’anno prima lo si ritrova in un
libro di Enzo Bettiza (“Il comunismo europeo”) dove l’autore definisce
le Brigate rosse “una sorta di esasperazione estremistica del
compromesso storico”. […] Storicamente, il riferimento più naturale è
al gruppo di Franco Rodano, fondatore del Movimento dei cattolici
comunisti, poi confluito nel Pci, dopo avere incrociato varie
esperienze con altri giovani provenienti da esperienze associative di
area cattolica, come il già citato Ossicini e Antonio Tatò, che molti
anni dopo sarebbe diventato il più stretto collaboratore di Enrico
Berlinguer. E così, dopo essere stato a lungo un ascoltato consigliere
di Palmiro Togliatti, Rodano avrebbe esercitato, anche attraverso Tatò,
una forte influenza su Berlinguer, tanto da essere ritenuto da molti il
vero ispiratore del compromesso storico» (
Il Foglio,
30 gennaio 2015). Questo a proposito di cattostalinismo e, in un certo
senso, di “album di famiglia”: «Chiunque sia stato comunista negli
anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle BR. Sembra
di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci
vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria. Il
mondo, imparavamo allora, è diviso in due. Da una parte sta
l’imperialismo, dall’altra il socialismo. L’imperialismo agisce come
centrale unica del capitale monopolistico internazionale» (R. Rossanda,
il Manifesto, 28 marzo 1978). Che brutto album!
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