Politica e Società-1

(ateismo e agnosticismo inclusi...)

1998-2004 dc

commenti, contributi e opinioni

E-mail

kynoos@jadawin.info

Pagina ereditata dal sito di Atheia

Ho unificato le due precedenti pagine di Politica e Sociale perché, in fondo, si occupavano degli stessi temi. Per non appesantirne il peso nel sito, le ho numerate progressivamente a partire da quella con notizie e fatti più vecchi.

In questa pagina ci sono testi con data dal 1998 dc al 2004 dc compreso, il più recente all'inizio.


Breve nostro scritto di Jàdawin, circa 2004 dc:

La sindone!

Migliaia di imbecilli hanno sfilato recentemente per vedere un clamoroso falso costruito intorno al 1400, uno dei tanti, forse il più riuscito, che per tutto il medioevo circolavano in Europa. Si calcola che siano state fabbricate circa 200 sindoni, che vari ciarlatani diffondevano spacciandole per uniche. Una studiosa italiana di Leonardo Da Vinci, colpita da alcune circostanze, ha condotto una personale ricerca che l'ha portata, dopo anni, a una conclusione: la sindone di Torino è stata abilmente fabbricata da Leonardo (che vi avrebbe lasciato un suo misterioso segno di riconoscimento) per beffare atrocemente il clero che più volte gli aveva reso la vita difficile. Questa bufala della sindone si aggiunge alle miriadi di resti della croce, dei chiodi della croce e di quant'altro sparso in moltissime chiese del mondo. Se mettessero insieme tutti i pezzi di croce sparsi nel pianeta ne verrebbe fuori un traliccio! E non parliamo dei chiodi! Messi insieme farebbero un unico chiodo lungo diversi metri! E vogliamo parlare del sangue di San Gennaro, noto composto chimico che scaldato col calore della mano e agitato lievemente si scioglie? O delle madonnine che piangono sangue? Quando un chimico italiano ha dimostrato che, introducendo con una siringa del sangue nel gesso, lì rimane, tranne fare un foro in qualsiasi parte dello stesso: dopo un po' il sangue, attraversando le porosità del gesso, esce all'esterno!

Se non fosse per i deficienti che ci credono, tali scempiaggini ci farebbero solo ridere!


Nostra breve nota di Jàdawin del 2004 dc:

Elezioni e crocefissi: notizie sconfortanti...

Presidenti e segretari di seggio che si rifiutano di togliere i crocefissi e si rifiutano anche di mettere a verbale le relative proteste di elettori e di altri scrutatori, scrutatori che si opponevano al crocefisso buttati fuori dai seggi da poliziotti chiamati in causa dai presidenti e addirittura minacciati di denuncia per turbativa. Atei che neanche si dichiaravano come tali scambiati per "aderenti ad altre religioni" (neanche si immaginano che esistano, gli atei...), vigili bigotti e zelanti e rappresentanti di lista leghisti (con la complice silenziosa assenza dei rappresentanti di lista "di sinistra") che si scatenano a mettere crocefissi anche dove non c'erano...e anche dove non c'erano mai stati.....

Questo ed altro è successo, in molte parti del nostro "bel Paese", durante le ultime elezioni europee ed amministrative (2004).

Scaricate qui la sentenza che ha assolto definitivamente Marcello Montagnana nel 2000 per essersi rifiutato di fare lo scrutatore!


Da "il Riformista" di giovedì 23 dicembre 2004 dc

PREFAZIONI

Quando il proibizionismo nuoce gravemente alla salute

 

di ALBERTO MINGARDI

Effetti collaterali della libertà finita in fumo
I diktat dello Stato terapeutico voluto dal ministro Sirchia contro tabagisti e obesi sono assurdi e illiberali

«Il fumo uccide». «Il fumo nuoce gravemente alla salute». «Fumare fa male alla pelle». Gli ammonimenti melodrammatici e lugubri (scritti in perfetto stile d’annuncio funerario), che oggi tappezzano il 30% della superficie di un pacchetto di sigarette, sono una testimonianza a tono con la teoria e la prassi del “salutismo”, vestito ideologico che non può mancare nel guardaroba di ogni governo. Già, «il fumo fa male»: il fumatore lo sa, ne è convinto, se l’è sentito ripetere da ogni pulpito. E non può nemmeno portare questo suo cilicio di vizioso senza che gli sfuggano di mano le ultime briciole di dignità. Che ci stiamo apparecchiando il funerale, il Ministero della Salute esige ci sia ricordato ad ogni “bionda” che accendiamo, col gesto naturale di estrarla dal pacchetto. E’ una maledizione, un’ossessione. Che abbraccia grossomodo ogni anfratto della vita umana. In Italia, un certo ministro, che di cognome fa rima con un’espressione arabo-sicula usata di norma per comunicare stupore, s’è messo in mente di razionare le porzioni, di contingentare piatti di pasta e di riso, di arruolare i cuochi dei ristoranti in un esercito specialissimo, la cui missione è tenerci a dieta e, perché no?, farci osservare la regolamentare ora di esercizio fisico al giorno. «I camerieri non sono responsabili dell’obesità dei loro clienti», si diceva. Ora, almeno, si spera di farne gli eroi della nostra ritrovata magrezza.

La forma fisica ha preso il posto delle grandi narrazioni. Lo Stato del benessere è anche Stato del benessere fisico, e dichiara guerra ai chili di troppo e agli inestetismi con la stessa acribia che ha riservato alla ricchezza, alla proprietà, alle assai inestetiche diseguaglianze sociali. 

S’è persa la ragione. Tutto parte, è vero, da un fatto: esistono stili divita più o meno buoni, e scrivo “buoni” apposta, per evitare ambiguità di sorta. Non ci vuole un genio (né, viceversa, il ministro Sirchia) per capire che scandire lo scivolar via dei minuti a colpi di sigaretta e accendino, o fare di uno spuntino pomeridiano un banchetto di nozze, non aiuta a “star bene”. Ma “star bene” (le virgolette sono d’obbligo) non è detto sia l’obiettivo di tutti, né è detto sia la più nobile delle aspirazioni che ci è posta davanti.

Preferire un uovo oggi a un’ipotetica gallina domani non è un crimine. E’ una scelta. E si può, legittimamente, scegliere l’uovo, il bicchierino di grappa, la barretta di cioccolato, la pipata in compagnia, insomma qualsiasi cosa ci spenga una manciata di neuroni, ci faccia diventare i polmoni color seppia, sbaragli i passanti della cintura, nella convinzione che il gioco valga la candela. Mi esprimo un po’ per frasi fatte, solfeggiando proverbi, proprio per significare che non bisogna andare troppo lontano. Non serve un «pensiero politico», né una «etica pubblica», né tanto meno una visione del mondo coerente e sintetica, per cogliere i molti paradossi del salutismo. Bastano i proverbi, pillole di saggezza che hanno superato la prova del tempo, che si sono fatte amiche le generazioni, ma cui il potere politico rende poco rispetto. Il buon senso è una merce che vale nulla, sul mercato dell’ideologia: dove sono le parole roboanti, le grandi ambizioni, le dichiarazioni di guerra al balcone a vincere. In quella Chanson de Roland eternamente scritta e riscritta che è il gioco di specchi delle giustificazioni, l’artificio compiaciuto di ammantare la brutale arroganza del Potere con ricami retorici e formule arabescate, la Durlindana delle buone intenzioni non si risparmia nel tagliar teste.

Non è un caso se, in un bello scritto che fa da appendice a questo a questo libro (Libertà in fumo), Murray Rothbard abbia riconosciuto che i fumatori sono la minoranza oppressa dei nostri tempi. Né sbaglia Mina, quando vede nell’obeso («la quintessenza dell’antiestetico») l’«ultimo portabandiera, assieme al fumatore, del 'politicamente scorretto'»: il ciccione è uno dei sempre più impopolari guerriglieri urbani in lotta contro lo «Stato terapeutico», stigmatizzato dal guru dell’anti-psichiatria Thomas Szasz e trasformato da chimera ideologica a creatura pulsante di divieti e proibizioni da governi autoritari e surreali insieme, per quanto la vulgata giornalistica li ritenga colpevoli, massimo massimo, di qualche insignificante e trascurabile «eccesso di zelo». «For your own good», per-il-tuo-bene, è il sigillo con cui s’incarta ogni nuova trovata salutista. In tempi di relativismo culturale, il grande fratello, non ancora uscito del tutto dalle camere da letto, presidia incessantemente la cucina, attento a quel che si mangia, fiscale con quel che si beve.

«Assurdo»: non c’è altra parola per definire una situazione del genere. E nei meandri dell’assurdo si addentra il saggio che tenete fra le mani, un gran bel libro detto per inciso. Gli autori sono due scrittori di razza, la giornalista Judith Hatton e Lord Harris of High Cross, qui in gran spolvero. Devono essersi divertiti un mondo a compilare quella raccolta di inediti paradossi che è questo volume. (...) La lotta al fumo (come se fosse contro il “fumo” che si lotta, e non si avessero di mira, più concretamente, coloro che fumano) finisce per andare a ledere diritti di proprietà di alcuni singoli individui. I proprietari di locali aperti al pubblico, nello specifico, cui qualcun altro impone una forma di discriminazione (contro i clienti che fumano), impedendo loro al tempo di aprire la porta a chi desiderano e di sbatterla in faccia ai clienti sgraditi. Siamo a tal punto abituati a vivere in regime di “proprietà limitata” che il fatto che lo Stato imponga a un ristoratore quale dev’essere la sua clientela non ci scandalizza più. Judith Hatton e Lord Harris dimostrano, nelle pagine che seguono, che non solo c’è qualcosa di inevitabilmente sbagliato e moralmente ripugnante nel proibire a un uomo di fare del proprio corpo l’uso che preferisce, ma che ne deriva una cascata di assurdità che avrebbero potuto esserci risparmiate, facendo appena appello al buonsenso. Che libertà e buon senso, e non diversamente statalismo e follia, vadano a braccetto è la vera lezione che si può trarre da questo libro. Uno sguardo al presente ci farebbe concludere che è una lezione che pochissimi hanno voglia d’imparare, ma è l’esperienza di Lord Harris a riaccendere una fiammella di ottimismo. Combattere per ciò in cui si crede, c’insegna, non è mai una perdita di tempo: e le idee buone, alla lunga, la vincono. E’ la storia che ci insegna a sperare.

Dalla prefazione a «Libertà in fumo», di Judith Hatton e Lord Harris, Leonardo Facco editore


Comunicato stampa dei Radicali di Sinistra, arrivatoci il 16 Dicembre 2004 dc:

Corte Costituzionale e Crocifisso: il miracolo dell'informazione

Corte Costituzionale e Crocifisso nelle aule: il miracolo della disinformazione. Una non-decisione è diventata per la Moratti un riconoscimento del "valore della tradizione cristiana e il crocifisso come simbolo di amore universale". I Radicali di sinistra: la scuola non è una parrocchia, al posto dei crocifissi mettiamo il Tricolore

Nella giornata di ieri la stampa, la TV, la radio e più in in generale tutti i mezzi di comunicazione italiani hanno prodotto un altro piccolo miracolo di disinformazione e travisamento delle notizie: stiamo parlando della sentenza della Consulta sul crocifisso. 

L'unica azione del Garante della Costituzione è stata dichiarare "manifestamente inamissibile'' il ricorso in materia del TAR del Veneto, rispondendo che il ricorrente non poteva sollevare la questione (semplificando come se la Consulta avesse detto al TAR Veneto che l'oggetto del contendere è una "Questione di carattere amministrativo, non spetta a noi"). In sostanza nulla è stato deciso o avallato, e i Radicali di sinistra vedono nell'ordinanza la possibilità di continuare la lotta per la difesa per la laicità dello Stato -a partire proprio dalla scuola- fiduciosi per un esito finale positivo. 

I mezzi di comunicazione hanno compiuto il miracolo e da una non-decisione, come in sostanza è per incompetenza quella della Consulta, hanno trasformato la vicenda in una "vittoria del crocifisso". Rarissime le analisi razionali ed i resoconti completi che dessero voce entrambe alle parti, cercando di spiegare cos'era fosse accaduto in realtà. 

I Radicali di sinistra sottolineano l'inaccettabile comportamento della classe politica, incredibilmente allenata alle genuflessioni papaline ed altrettanto incredibilmente incapace di intendere un semplice atto amministrativo. Una non-decisione è diventata per la Moratti un riconoscimento del "valore della tradizione cristiana e il crocifisso come simbolo di amore universale" e per Volontè la "fine alle malcelate critiche laiciste nel nostro Paese". Il tutto nel silenzio delle opposizioni, che devono avere considerato la causa laica troppo poco importante, dimenticando che una scuola laica, pluralista e democratica è il fondamento di una società aperta e progredita, una società che non esclude, ma che include, una società dove la religione non viene pretesa e imposta, anche attraverso l'affissione di simboli di parte in luoghi pubblici, quindi frequentati da credenti e non. 

Proprio perché la scuola non è una parrocchia, i Radicali di sinistra invitano a togliere i crocifissi e mettere al loro posto il Tricolore, unico simbolo di libertà e democrazia di tutti gli italiani.


Da http://www.corriere.it/solferino/mieli/04-11-07/03.spm Domenica 7 Novembre 2004 dc



COSTITUZIONE UE

Identità e valori

Caro Mieli, in una risposta lei cita Marta Sordi per spiegare «che l’Europa, quando respinge le radici cristiane, non rifiuta una fede, ma Roma ossia l’humanitas, la ragione, la natura». In questi giorni anche il presidente del Senato Pera ha sostenuto concetti analoghi, dichiarando che l’Europa in formazione è priva di identità proprio per il rifiuto delle sue radici cristiane. Questa opinione, prevalente in Italia anche in ambienti laici, non è quella del resto d’Europa, come è evidente non solo dal «rifiuto», ma anche dalla lettura della stampa estera. Ed è altresì un’opinione dovuta a un’evidente amnesia e a un fraintendimento storico, che stenta a essere rappresentato dalla stampa italiana. Si dimentica infatti che la Convenzione costituente citava, quali elementi dell’identità europea, la civiltà greco-romana e l’illuminismo, mentre si può pensare che il rifiuto di menzionare le «radici cristiane» risieda nel fatto che la morale degli Stati democratici europei, quale sancita dalle leggi nazionali e comunitarie, non si identifica nella morale cristiana. È per questo che la Chiesa cattolica ha perso la battaglia sulle «radici cristiane» nella Costituzione europea. Essa ne ha però vinta un’altra, di cui si parla assai poco, ottenendo la cancellazione delle «radici» greco-romane e illuministiche e anche la cancellazione, nel Preambolo della Costituzione, delle parole di Tucidide, dove Pericle definisce la democrazia ateniese quale fondamento delle libertà individuali. È invece evidente che nessuno avrebbe potuto citare nella Costituzione europea le parole con cui S. Ambrogio convince l’imperatore Teodosio che non sono punibili i vescovi cristiani che distruggono a furor di popolo le sinagoghe, come accadde nella città di Callinico. O i passi di S. Agostino che giustificano l’uso della tortura, la persecuzione e la condanna a morte di pagani, eretici, ebrei, perché lo Stato cristiano agisce così per la salvezza delle loro anime, come il medico che amputa l’arto in cancrena. L’eredità di Atene e Roma era dunque citata nella Costituzione europea non in cifra cristiana, ma per quei valori politici del paganesimo antico, che, dalla rivoluzione francese, hanno ispirato le idealità delle democrazie moderne. Non so se la Chiesa cattolica possa essere orgogliosa di averne ottenuto la cancellazione. Ma non può certo sostenersi che la Convenzione costituente non avesse identificato dove risiede l’identità europea e a quali valori essa si ispira.

Felice Costabile, Ordinario di diritto romano, Direttore del Dipartimento di scienze storiche e giuridiche Univ. di Reggio Calabria


Ai primi di novembre 2004 dc il signor Danilo Di Mambro ci ha inviato la seguente e-mail, che noi volentieri pubblichiamo e a cui rispondiamo:

Le vittime della strada

Vorrei sottoporre alla Vostra attenzione un punto di vista su quella che per me è una cosa inaccettabile e contro la quale la mia coscienza si ribella senza permettermi mediazioni di sorta: le morti sulle strade.

La domanda che mi pongo e che, attraverso Voi, pongo alla classe dirigente del nostro paese è questa: come si può accettare che in Italia ci siano 7/8.000 vittime ogni anno per incidenti stradali? E' una strage indicibile al cui confronto guerre e catastrofi diventano "cosette"!

Secondo me la questione viene affrontata al rovescio, se vista nell'ottica di una società che si definisce evoluta e civile. Infatti, evidentemente tutti quei morti sono considerati, nell'immaginario collettivo, una specie di tributo, di sacrificio, che la comunità deve all'attuale modello di sviluppo e, quindi, si accettano come inevitabili e si interviene a valle del problema nel tentativo di limitare i danni. E' inspiegabile per me, senza tale concetto di sacrificio, il fatto che per vittime causate in altri contesti si mobilitino opinione pubblica, mass media e fior fiori di intellettuali e per quelle della strada si può dire che tutto tace, pur in presenza di proporzioni numeriche da brivido.

Attenzione però, perché se riconosciamo che quelle degli incidenti stradali sono vittime sacrificali all'attuale modello di sviluppo, allora dobbiamo anche avere consapevolezza che, col sacrificio, commettiamo un crimine vero e proprio: il fatto che il criminale sia una comunità intera non ne cambia la sostanza.

Se fosse vero che la vita, per la nostra civiltà, è un valore assoluto da tutelare senza cedimenti, il discorso dovrebbe completamente ribaltarsi e diventare: I MORTI SULLE STRADE NON CI DEVONO ESSERE. Da questo semplice principio consegue che mezzi e strade devono essere costruiti in modo che anche nella situazione più sfavorevole di incidente la vita sia sempre salvaguardata.

Oggi non è così, evidentemente. In più, passando dal punto di vista collettivo a quello individuale, ognuno di noi accetta di fatto che, utilizzando normalmente automezzi e strade, mette la sua vita nelle mani di "altri" e ne minimizza il rischio quasi come se non lo riguardasse: è incredibile. Io penso che in nessun altra situazione persone di intelligenza media, non costrette da motivi eccezionali, farebbero lo stesso, eppure per gli spostamenti su strada è cosa accettata da tutti, non ci turba ed è oltretutto difficile da mettere in discussione.

Il grave problema, su cui sorvoliamo tranquillamente, è che, purtroppo, gli "altri" si trovano nelle condizioni psicologiche, emotive, di salute, ecc., più diverse e continuamente variabili e, per questo, del tutto INCONTROLLABILI: questo è quello che non va. E' per questa incontrollabilità che il sistema così com'è non funziona e gli interventi a favore della sicurezza incidono così poco sul numero delle vittime.

Non è ragionevole pensare che la vita è salvaguardata solo quando, tra i tanti milioni, non ce n'è nemmeno uno che "sgarra". Nella sostanza, tuttavia, pretendiamo di fondare e realizzare la sicurezza sulle strade sul presupposto che tutti gli utenti, indistintamente tutti e sempre, si comportino in maniera ligia alle regole, attenta, rispettosa verso gli altri e ben presente a se stessi: E' UNA VANA PRETESA. Vi prego di riflettere con attenzione su quanto ho appena espresso, è il punto focale del ragionamento.

Ribaltiamo allora il discorso! Che la sicurezza invece di dipendere, com'è attualmente, dalla condizione utopica di "TUTTI GLI UTENTI SEMPRE PERFETTI", sia demandata ai costruttori di automezzi e ai costruttori di strade e sia piuttosto "A PROVA DI IMBECILLE", questa è la soluzione.

Così il sistema funzionerebbe perché l'operato dei soggetti responsabili può essere tenuto COSTANTEMENTE SOTTO CONTROLLO e perché le variabili introdotte dagli utenti non inciderebbero sulle conseguenze degli incidenti.

Naturalmente questo significa pensare ad un altro modo di muoversi, a cambiamenti profondi nel modo di produrre e quasi quasi ad un altro modo di vivere e forse di concepire la vita stessa col tutt'altro che trascurabile risultato che 7/8.000 persone ogni anno continuerebbero a stare con noi. Certo ci vuole coraggio a immaginare cambiamenti di tale portata, ma pensandoci bene gli investimenti necessari per adeguare strade e mezzi a nuove regole di sicurezza totale, riguardando le due industrie trainanti dell'economia italiana, l'auto e l'edilizia, potrebbero dare l'avvio ad una nuova rinascita economica del nostro Paese, forse addirittura estendibile a tutto l'occidente.

CONCLUSIONI

E' evidente, mi pare, che il genere di misure fin qui adottato a favore della sicurezza stradale, mi riferisco anche alle norme entrate in vigore di recente, influisce molto relativamente sul numero delle vittime, pertanto temo che due sole siano le possibilità che ci si prospettano: cambiare subito rotta in modo deciso o rassegnarci ad avere ancora, per un periodo indefinito, 7/8.000 morti all'anno. A mio avviso la nostra società, rassegnata alla seconda opzione, commette un vero e proprio crimine e, come ho detto, il fatto che il criminale sia una comunità intera non ne cambia minimamente la sostanza. In altri termini il "sacrificio" di cui ho parlato è un crimine, per lo meno sul piano morale.

Per di più a giustificazione del fenomeno non si può nemmeno chiamare in causa l'esercizio della libertà individuale dato che la propria incolumità dipende anche e soprattutto dal comportamento degli altri e dato anche che nessuno può vivere una vita normale se decide di rinunciare all'utilizzo delle strade.

Pertanto faccio un passo ulteriore e azzardo due domande:

  1. possiamo ritenere che giuridicamente le morti sulle strade sono un crimine che la nostra società commette contro i singoli?

  2. in caso di risposta affermativa alla precedente domanda, possiamo ritenere giuridicamente responsabile del suddetto crimine il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti?

Io, profano in questioni giuridico/legali, risponderei affermativamente ad entrambe, alla prima per i motivi addotti, alla seconda perché la responsabilità è, secondo me, sempre riconducibile a chi detta le regole, specialmente se queste non funzionano in maniera così eclatante come nel nostro caso. Hai voglia a dire che la colpa è dell'utente che non le rispetta! E' come se, volendo vendere tante più armi, se ne vendessero a tutti promulgando contemporaneamente regole ferree per prevenire i possibili incidenti e contro gli abusi: vi immaginate che potrebbe succedere? Non sarebbe assurdo pensare che regole ed azioni repressive sarebbero sufficienti ad impedire il verificarsi di incidenti ed abusi? Questi, nel caso, non sarebbero responsabilità dell'ipotetico "Ministro delle Armi"?

Credo che affrontare il problema in modo da giungere, in un tempo ragionevole e predeterminato, ad una riduzione veramente drastica delle vittime della strada, sarebbe un risultato per il quale gli uomini di inizio millennio sarebbero ricordati per sempre al pari di quelli che hanno determinato svolte epocali. Mi viene in mente, per esempio, quando si è messa in discussione e poi abolita la schiavitù. Anche allora, immagino, ci saranno stati gli scettici, quelli che dicevano che una società senza schiavi non poteva funzionare, che era un'utopia solo immaginarla e gli altri che dicevano: "ma la schiavitù è un delitto contro l'umanità, è inaccettabile, bisogna trovare altre soluzioni". Ecco, stiamo commettendo, come per la schiavitù, un inaccettabile delitto contro l'umanità, è nostro dovere trovare altre soluzioni ed oltretutto i ritardi sono imperdonabili.

Non posso pretendere che il concetto di "sicurezza stradale a prova di imbecille" penetri di primo acchito la corazza di insensibilità che ci siamo costruiti con decenni di sottovalutazione del problema, ma confido nel fatto che, incappando in animi meno assuefatti e con l'aiuto di qualche "addetto ai lavori" più disponibile e coraggioso, almeno se ne parli.

Caro signore,

benché quello da lei sollevato sia è un problema sociale che travalica un po' le nostre tematiche, ciononostante verrebbe perlomeno da dire che in un mercato che sforna migliaia di autovetture, con una pubblicità martellante che, magnificando concetti come velocità, potenza e prestazioni, spinge all'acquisto o al rapido ricambio delle auto, è quasi inevitabile che si paghi un prezzo in vite umane, per cui basta un colpo di sonno o una bravata per provocare incidenti gravissimi.

D'altra parte, nemmeno le più grandi autostrade a tre corsie possono dirsi immuni dagli incidenti, anzi sono dei mezzi per incentivare ancor di più il traffico privato a scapito del trasporto pubblico. Per quanto riguarda poi l'argomento degli investimenti in sicurezza, riteniamo che le grandi case automobilistiche non si risparmiano nello sbandierare i loro sistemi super sicuri: ABS, EPS, air-bag, doppio air-bag, barre anti-intrusione... tutto è business purché si paghi, però quando si mette a disposizione un mezzo che supera i 150 km, non è mai uno scherzo.

Tutto quello che lei dice sui cambiamenti necessari nella costruzione delle automobili e delle strade è verissimo, ma bisogna anche dire che i nostri connazionali, che tanto si vantano di essere i migliori, i più belli, i più bravi etc, sono veramente, ed indiscutibilmente, tra i più imbecilli, tra i più insensati, tra i più incivili di quel mondo "occidentale" ed europeo a cui pretendono di appartenere. Se ci si recasse in altri Paesi, come Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Islanda ed anche Regno Unito e Svizzera, ci accorgeremmo subito della differenza che corre, in generale, tra noi e loro. Non ho citato la Germania perché gli autisti tedeschi hanno altri difetti, come quello, ad esempio, di non mantenere assolutamente la minima distanza di sicurezza, soprattutto in autostrada dove non esistono limiti di velocità.

La sua proposta, pur non dettagliata, è validissima ma andrebbe accompagnata all'educazione stradale, in Italia sempre annunciata ma mai realizzata, e a misure drastiche:

Ma il problema di fondo è riconducibile, in ultima analisi e a nostro avviso, a quello che sempre ripetiamo: l'intero sistema di convivenza sociale (ebbene si: il capitalismo) andrebbe completamente ribaltato in un sistema in cui competitività esasperata, mancanza di senso civico, irresponsabilità verso se stessi e verso gli altri e consumismo sfrenato non esistessero più.

La salutiamo cordialmente invitandola a continuare a seguirci.


L'articolo su "Il Gazzettino on line", www.gazzettino.it nella sezione di Vicenza-Bassano il giorno 16 ottobre 2004 dc , la dice lunga sulle alleanze che i cattolici sono disposti a fare con i mussulmani per sconfiggere il "vero pericolo": l'ateismo!

IL CONFRONTO Iniziato il Ramadan per le 25mila persone della comunità vicentina. Un mese che sembra sempre più dedicato al dialogo, come spiega padre Matellini

«Musulmani? Cristiani? Ateismo, il vero pericolo»

(Ro.La.) E'iniziata ieri la prima giornata di Ramadan. E anche a Vicenza la comunità musulmana - 25mila anime in tutto e tra i primi posti in Veneto come numero - ha iniziato i 31 giorni di digiuno. Bandito ogni genere alimentare, acqua compresa, dall'alba al tramonto. Il dettato arriva direttamente dal Corano che, per purificare l'anima dei fedeli, impone lunghe giornate di inedia nel nono mese del calendario islamico. Ramadan in città non significa solo preghiera. Ma anche incontri e convegni. A spiegarlo Layachi Kamel, presidente del Consiglio islamico vicentino: «Sarà un mese colmo di meeting teologici e di approfondimento sulla nostra cultura. Gli islamici berici potranno ritrovarsi in uno dei 12 centri culturali del territorio. Non uso il termine moschea perché i nostri sono vere e proprie strutture polivalenti dove non ci si raduna solo per i riti religiosi. Per questo possiamo ritenerci fortunati perché non abbiamo problemi logistici come alcuni nostri fratelli in altre città venete: i nostri rapporti con le istituzioni locali infatti sono buoni».

Ma i luoghi di culto islamico sono frequentati anche da numerosi vicentini. «A volte vengono degli studenti universitari o semplicemente persone interessate a capire la nostra cultura. Perché noi non siamo l'Islam dei Bin Laden. L'Islam per definizione è una religione moderata: sono certi musulmani che portano avanti una lettura errata del testo sacro e compiono atti di cieca violenza. Che noi condanniamo con tutte le nostre forze».

Ed anche i rapporti con i vicentini diffidenti stanno, un po' alla volta, trasformandosi. «Stiamo lavorando affinché i cittadini cambino atteggiamento nei nostri confronti e perché la nostra sia sempre più una comunità aperta e rispettosa degli usi e costumi locali».

E proprio nel momento in cui è sempre più forte l'invito alla tolleranza ed al dialogo, si scopre che in città c'è chi ha precorso i tempi. Come Padre Celso Mattellini, 79 anni, che nell'aula Francescana del Convento di San Lorenzo ha organizzato mercoledì scorso un forum su "Spiritualità islamica e cristiana a confronto", confrontandosi con Abdallah Kabakebbji. «Sono sei anni - spiega Matellini - che proponiamo questo appuntamento. E all'inizio abbiamo anche ricevuto qualche lettera di disapprovazione. Ma è stato San Francesco per primo a predicare il dialogo con i musulmani e ad indicarci la via della fratellanza. Quella islamica non è una cultura inferiore come qualcuno ha asserito, ma ha molti punti di contatto con la nostra religione. Il vero pericolo è l'ateismo e io credo che il futuro vedrà noi e loro fare fronte comune contro questo atteggiamento».

Roberta Labruna


Da il Manifesto (on line) del 12 Ottobre 2004 dc:

Contrordine. 

Rocco e i suoi sfracelli

di Alessandro Robecchi

Da queste parti siamo piuttosto liberali in materia di faccende private e se Buttiglione non vuole sposare un gay io non ci trovo niente di male, che non se lo sposi e basta. Sarebbe davvero un'Europa atea e nichilista quella che costringesse Buttiglione a sposare un gay! Oltretutto sarebbe troppo punitiva per il malcapitato gay. Già mi vedo i titoli sul Corriere, il fondo di Panebianco e il sermone sul Foglio: Europa dissoluta, costringe un ministro a sposare un gay! Stavo quasi per indignarmi e scendere in campo a difesa del mio filosofo preferito quando ho capito che le cose non stanno così: è lui (Buttiglione) a voler impedire le nozze dei gay, a voler imporre le sue opinioni su donne, maternità, vita in famiglia, morale, etica, eccetera eccetera. E per uno che vuol far coincidere la vita reale (nostra) con i precetti del credo religioso (suo), la sedia di commissario europeo alle libertà non mi pare esattamente quella giusta. La faccenda potrebbe finire qui se non fosse che - preceduta da un intenso profumo di rose e da un solenne suono d'organo - scende in campo l'intellighenzja liberale italiana che si arrovella su un quesito: c'è forse un pregiudizio anticristiano? I cattolici sono una minoranza vessata e perseguitata? Rassicuriamo subito i neocatecumeni del libero mercato e i giulianiferrara del settimo giorno: sarà un vero problema in Europa perseguitare i cristiani. Le tigri sono quasi estinte, in settimana ci sono le coppe europee, sabato, domenica e lunedì c'è il campionato, trovare uno stadio libero per far mangiare i cristiani dalle fiere sarà molto difficile. Ma ormai la valanga è partita e l'ultima moda dei liberali laici è proprio questa, una tardiva conversione, un vibrante allarme sul pregiudizio anticristiano dell'Europa. Eccoli tutti che corrono con l'aspersorio in mano a difendere i sacri valori. Quelli della pace, o della tolleranza? Certo che no.

La critica cattolica alle spaventose disugliaglianze create dal sistema liberista? Nemmeno. L'importante è che non si sposino i gay, così ecco i rutilanti discorsi sull'Europa dei «culattoni», che fa il paio con l'Europa «massonica» di cui parla la Padania, quella «nichilista» dei teorici fascisti di An, quella «anticristiana e secolarizzata» di Panebianco. Perbacco, corro subito a comprarmi un'armatura. Il tutto innestato su quel comodo scenario che è lo scontro di civiltà che tanto piace a Pera & Oriana. Insomma, i grandi pensatori liberali italiani, forse per non parlare del monopolista che li ha assunti e se li è mangiati, o della costituzione che ci hanno cambiato sotto il naso, volgono lo sguardo verso temi alti: la persecuzione dei cristiani in Europa nel ventunesimo secolo. Ammetterete che è un tema affascinante, e anche un ottimo fumogeno per non parlare di quello che accade qui.

I pilastri del nuovo look liberale sono parecchi: Zapatero è una specie di anticristo, sempre per quella faccenda dei gay, ovvio, ma anche perché si è ritirato dalle crociate. L'Europa è un'entità smidollata che non vede l'ora di perdere il derby con i musulmani. Tra un po' anche i polacchi - notoriamente laici, atei e mangiapreti - ritireranno le truppe. Almodovar è un puzzone salvato dal rogo soltanto perché Ferrara ha finito i fiammiferi. Dove andremo a finire? Meno male che ci sono loro, i salvatori del cristianesimo, a scrivere i loro editoriali, sennò gireremmo tutti con due dita di barba e le ragazze col burqua (cosa che tra l'altro non mi pare spiacerebbe a Buttiglione).

Naturalmente io non ho nulla contro i pensatori liberali e anzi: per leggere Galli della Loggia basta un euro, sette volte meno di quel che costa un film dei Vanzina, dunque conviene. Però mi sforzo di essere più avanti di loro. Cioè: quale sarà la prossima moda? Dopo aver osannato come «liberale» Silvio, dopo aver teorizzato che ci vuole meno stato e più mercato, dopo aver lavorato incessantemente per tagliare le pensioni e andare in guerra, dopo aver difeso i cristiani dalla terrificante ondata di persecuzioni che li minaccia, dopo, dico, cosa si inventeranno? Molti di questi grandi pensatori liberali sono stati comunisti, poi socialisti craxiani, poi ultraliberisti e paladini della concorrenza, poi amici e teorici e dipendenti del grande monopolista. Ora eccoli accorrere in difesa dei cristiani che l'orribile Europa sta per sterminare. Quale sarà la prossima mossa? Un'apertura alle tesi venusiane? Un riconoscimento aperto e sincero dell'animismo di certe tribù del Borneo? Mi aspetto di tutto, essi sono imprevedibili. Proprio come chi, teorizzato un metodo piuttosto feroce (il liberismo) lo ha trasformato in ideologia e, convincendosi della sua stessa propaganda, lo ha scambiato per cultura. All'apparir del vero, poi, e vista la mala parata, ecco la crema del pensiero liberale che si compra un costume da integralista e fa la coda in Vaticano. Proviamo pure questa - si saranno detti i grandi pensatori liberali-


Da una mailing-list in Internet, settembre 2004 dc:

INTERVISTA

 «Il velo, specchio del patriarcato»

Parla Chahla Chafiq, scrittrice iraniana che vive in Francia. A favore della legge anti-foulard nelle scuole, ammonisce: «non bisogna accettare la discriminazione sessista alla base del velo»

Anna Maria Merlo, Parigi

Chahla Chafiq è una scrittrice iraniana, che vive in Francia, dove si occupa di immigrati e dove ha pubblicato vari libri sul difficile rapporto dell'islam con la modernità (Femmes sous le voile face à la loi islamique, Felin, 1995; Le nouvel homme islamiste, Felin, 2002). Ha firmato la petizione del «manifesto per la libertà di coscienza contro le dichiarazioni e gli atti di misoginia, di omofobia e di antisemistimo» di donne e uomini di cultura musulmana, credenti, agnostici, atei, lanciato nell'inverno scorso e che sta raccogliendo centinaia di firme in Francia, ma anche nel Maghreb e in altri paesi. Il velo è fonte di polemica. Viene definito a volte come questione culturale. Ma non è invece questione politica?

Quando il velo viene preconizzato per le donne è sempre una questione politica, sia nei paesi di origine che qui in Francia. Il fondo del problema filosofico del velo si esprime in un fatto molto semplice ed evidente: gli uomini non si velano. Nel mondo cosiddetto musulmano la questione della libertà della donna è una questione sociale e politica importante. Si tratta di un rapporto di forze: non tutti nel cosiddetto mondo musulmano sono a favore del velo, anzi molti sono contrari e molte non si velano, altri sono non credenti. Ma in occidente il mondo islamico viene sempre immaginato molto omogeneo e l'islam viene considerato un fattore identitario.

Cosa significa il velo politicamente?

C'è un legame diretto del velo con il sistema patriarcale, con la supremazia degli uomini sulle donne e dell'inferiorità della donna giustificata per legge. La legge a cui fanno riferimento queste normative risale al VII secolo. Ma oggi siamo nel XXI secolo, anche le società dette musulmane sono evolute sociologicamente. Le donne hanno avuto accesso all'educazione, alla scuola, al lavoro remunerato - prima lavoravano, eccome, ma non contava - e ora la strategia è di conservare il controllo sulla loro sessualità. Gli islamisti dicono: facciano pure di tutto, ma velate. E' il simbolo di una strategia patriarcale.

Ma come mai ci sono delle donne che rivendicano il fatto di portare il velo, anche in Francia?

In Francia o altrove, in parte lo fanno perché sono obbligate dalla pressione della famiglia, della comunità, in parte perché impregnate dell'ideologia islamista. Hanno interiorizzato la visione patriarcale, cosa del resto che esiste anche nelle società occidentali. L'obiettivo politico è chiaro: in Francia esiste una popolazione detta musulmana che vive qui dall'inizio del XX secolo, in aumento dagli anni '40, ma non c'è mai stato il problema del velo, che inizia negli anni `80. Cioè dopo la rivoluzione islamica. E dagli anni `80-'90 l'offensiva non si limita al velo: i corsi di biologia, lo sport, la piscina vengono disertati. Il movimento cresce in banlieue, sfortunatamente su un fondo di ineguaglianza, di razzismo. Su questa situazione si ancora la propaganda degli islamisti.

In che situazione è la maggior parte delle ragazze di origine musulmana, che rifiuta il velo? La legge le aiuta?

Solo una minoranza è velata, per questo bisogna fare attenzione. Se viene accettata l'idea che il velo è una questione che riguarda la donna musulmana, allora si emargina la maggioranza, accusata di rigettare la propria cultura. I gruppi islamisti fin dagli anni `80 hanno cominciato ad imporre i loro criteri al governo. Nella commissione Stasi, che ha preceduto la legge sulla laicità, all'inizio la maggioranza dei componenti era contro una nuova legge. Poi, dopo decine di incontri con persone che lavorano sul campo, sono stati obbligati a constatare che la situazione era degradata. La legge, secondo me, cerca di proteggere le ragazze non velate per evitare che la situazione peggiori. La scuola è in certi quartieri il solo luogo misto, di apertura verso un altro tipo di educazione.

Questa posizione le viene dalla sua esperienza in Iran?

Ero una studentessa di sinistra. Allora abbiamo fatto lo stesso errore che molti fanno qui: il velo è stato considerato una questione secondaria, la questione essenziale era l'antimperialismo. Un errore che ci è costato molto caro.

Perché secondo lei alcune femministe difendono il velo come scelta?

Fanno lo stesso errore che abbiamo fatto in Iran: su pretesto della lotta alle discriminazioni, accettano la discriminazione sessista. Le femministe e i progressisti sono colpevolizzati a causa della storia coloniale. Affermano che è una questione culturale. Ma non è possibile ridurre la cultura alla religione. Ci sono donne e uomini che vengono dal mondo detto musulmano che non accettano il velo. Perché l'occidente lo accetta? A fianco di chi lo accetta? C'è un problema di fondo: che modello di società esiste dietro il velo? E che modello di società difendiamo? A fianco di chi? A fianco di una maggioranza non velata o di una minoranza velata, qualunque siano le ragioni? Le donne che fanno la scelta del velo la devono assumere, facciano ciò che vogliono, ma non è compito della società assumere questa scelta, contro la maggioranza che lo rifiuta. Bisogna lottare contro le discriminazioni, ma perché farlo sulle spalle delle donne? La lotta contro il razzismo è una cosa, la denuncia contro la discriminazione delle donne è un'altra: una non deve prendere il posto dell'altra.


Riceviamo in e-mail il 21 Settembre 2004 dc e volentieri pubblichiamo, a richiesta, con la seguente dicitura:

 

Questo testo è in regime di Copyleft: la pubblicazione e riproduzione è libera e incoraggiata

purché l’articolo sia riportato in versione integrale, con lo stesso titolo e citando il nome dell’autore.

con preghiera di Pubblicazione e Diffusione

    La Vergine Maria e la fecondazione assistita  Ovvero la guerra tra le donne e il dictat del Vaticano. E io mi "sbattezzo"   

di Ennio Montesi

La Vergine Maria, se vivesse ai giorni nostri, si sottoporrebbe alla fecondazione assistita? Parto da questa domanda scivolosissima e, senza temere di cadere, vado avanti impavido. Sto scrivendo ma è come se parlassi con me stesso e quando uno parla con se stesso pensa e dice fra sé le cose più vere che gli escono dall’animo. La Vergine Maria fu donna e ha avuto un bambino di nome Gesù.

 

La Vergine Maria se fosse una donna come tante altre dell’Anno Domini 2004 andrebbe a fare la Fivet (Fecondation in vitro and embryo transfer) o Icsi (Intracytoplasmic sperm injection)? La Madonna si sottoporrebbe, se avesse bisogno, a una delle tecniche, sì o no? Chi alza la mano per rispondere? Questa domanda mi gira in testa da mesi e ho deciso di scrivere questo articolo percorrendo a ritroso qualche concetto insito nella specie umana. A volte i concetti sembrano scontati quando invece non lo sono affatto. Lo stesso dicasi per i dogmi che i custodi cattolici cercano di continuo di imbrigliare e tenere all’interno del proprio recinto religioso e ideologico, ma qualche volta questi dogmi scappano via recalcitrando al controllo e non li ferma più nessuno. Questo attorno alla fecondazione assistita è proprio uno di quei dogmi lazzaroni che non si riescono, ahimè, a tenere a freno.

 

Giovedì 22 maggio 2003 Giovanni Paolo II lanciò un allarme sulla fecondazione assistita prendendo a prestito le parole di Madre Teresa di Calcutta:

 

«La venerabile Madre Teresa di Calcutta (...) ebbe il coraggio di affermare di fronte ai responsabili delle Comunità politiche: “Se accettiamo che una madre possa sopprimere il frutto del suo seno, che cosa ci resta? L’aborto è il principio che mette in pericolo la pace nel mondo”. E' vero! Non può esserci pace autentica senza rispetto della vita, specie se innocente e indifesa qual è quella dei bambini non ancora nati. Un’elementare coerenza esige che chi cerca la pace difenda la vita. Nessuna azione per la pace può essere efficace se non ci si oppone con la stessa forza agli attacchi contro la vita in ogni sua fase, dal suo sorgere sino al naturale tramonto. Il vostro, pertanto, non è soltanto un Movimento per la Vita, ma anche un autentico Movimento per la pace, proprio perché si sforza di tutelare sempre la vita».

 

Nel messaggio di Giovanni Paolo II è insita, con estrema chiarezza, la volontà di spinta di aggregazione e di schieramento contro la fecondazione assistita. Per Giovanni Paolo II è basilare coagulare le varie frange delle forze cattoliche e politiche attorno all’oggetto della fecondazione assistita sbandierandolo e riducendolo solo fine a se stesso. Egli chiama in causa il Parlamento italiano a prendere netta posizione e a non perdere tempo e fare subito una legge. Giovanni Paolo II continua:

 

«Consapevoli della necessità di una legge che difenda i diritti dei figli concepiti, come Movimento vi siete impegnati di ottenere dal Parlamento italiano una norma rispettosa, il più concretamente possibile, dei diritti del bambino non ancora nato, anche se concepito con metodiche artificiali di per sé moralmente inaccettabili. Colgo l'occasione per auspicare che si concluda rapidamente l'iter legislativo in corso e si tenga conto del principio che tra i desideri degli adulti e i diritti dei bambini ogni decisione va misurata sull'interesse dei secondi».

 

Il Parlamento italiano reagisce presto in maniera positiva all’“invito” di Giovanni Paolo II di mettere in campo una legge e, apparentemente, sembra che la comunità cattolica abbia vinto la propria guerra sulla fecondazione assistita avendo dalla loro ormai una legge. Tuttavia, la loro è solo la vincita di una battaglia di Pirro. Poiché la guerra vera non è ancora nemmeno iniziata. Molti parlamentari - a prescindere dallo schieramento politico di appartenenza - storcono il naso e alcuni pure la bocca in merito alla legge che dovrebbe dettare regole sulla procreazione a tutti gli Italiani. Un numero rilevante di deputati - benchè siano essi stessi anche i firmatari - accettano solo sulla carta non potendo schierarsi apertamente e pubblicamente contro il dictat del Vaticano. Andare in opposizione dell’“invito” del Vaticano di certo è contro gli interessi politici e di ricandidatura di tanti parlamentari. “Va bene, avallo la proposta di legge” dice tra sé il parlamentare, “poi qualcuno di sicuro penserà di farci sopra il referendum per abrogare la legge. Io intanto faccio vedere al Vaticano che sono d’accordo con la sua linea. Ma figurati se soprattutto le donne accetteranno questa proposta di legge talebana, vedrai che battaglia ne uscirà fuori”. LLuoa bocca una legge e ideoloiziata. co di appartenenza -  anche i firmatariè solo la vincita di una battaglia. a sottile e forte sudditanza tra politica e clero non lascia posto a scelte politiche, culturali ed etiche, libere e personali. I parlamentari più legati alle matrici cristiano cattoliche ci mettono nulla a seguire l’invito di Giovanni Paolo II, anzi, è per essi un momento politico utile di coagulazione sotto un medesimo tetto.

 

Esiste un motivo del perché il Vaticano è contro la fecondazione assistita? Risponderò più avanti a questa domanda.

 

A grattare bene le scritture definite sacre, compresi i Vangeli Apocrifi, la Vergine Maria è stata fecondata dall’angelo con una serie di “preghiere, di processi mentali e spirituali”, ma sempre processi erano che avevano a che vedere, in ultimo, esattamente con la fecondazione della donna.

 

Ed ecco un angelo del Signore si presentò davanti a lei e le disse: - Non aver paura Maria: infatti hai trovato favore presso il Signore di tutte le cose, e concepirai per opera della sua parola. Udendo queste parole, ella rimase perplessa dentro di sé e domandò: “Concepirò io dunque per opera del Signore il Dio vivente, e partorirò come partorisce una donna?”. Protovangelo di Giacomo, vangeli dell’infanzia, XI, 2.

 

A questo punto l’accostamento con la Vergine Maria alla fecondazione assistita viene naturale da pensare. Le simbologie, le immagini e i segni si sovrappongono senza sforzo, ma anzi, combaciano perfettamente. Le varie spiritualità messe in gioco creano un momento di forte astrazione e di fuori fuoco dalla realtà concreta suscitata dagli spermatozoi maschili e dall’ovulo femminile, ma l’immagine di una donna fecondata appare molto nitida. E’ dunque proprio la figura della Vergine Maria e del suo iter di concepimento, che danno alla fecondazione assistita l’accettazione benevola che merita. Forse a pochi è noto (dato che i clerici evitano di parlarne) che Gesù avesse quattro fratelli e diverse sorelle, sempre figli naturali della stessa Vergine Maria che sono stati concepiti e partoriti in maniera normale, cioè senza l’ausilio dell’angelo, ma figli di Giuseppe e Maria e da loro concepiti con rapporto sessuale come una qualsiasi altra coppia di sposi. I fratelli carnali di Gesù si chiamavano Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda.

 

«I parenti di Gesù. E uno gli disse: “Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono là fuori e desiderano parlarti”. Ma egli, rispondendo a chi gli aveva parlato, disse: “Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli?”. Poi, stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è mio fratello e mia sorella e mia madre”». Matteo 12, 47-50.

 

«Gesù a Nazareth. “…Non è egli forse il figlio del falegname? Sua Madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? Le sue sorelle non sono tutte fra noi? Di dove, dunque, vengono a costui tutte queste cose?”». Matteo 13, 55-56.

 

Spingendosi oltre, è possibile affermare che la simbologia è quella di un Gesù Cristo concepito proprio grazie a un processo molto vicino e sorprendentemente simile a quello di una fecondazione assistita. Nulla di scandaloso né di blasfemo a guardare e rivalutare l’immagine di Gesù Cristo da questa nuovissima prospettiva che invito a riconsiderare e a discutere anche da parte del Vaticano stesso, figura di Gesù che non esito a rilanciare. Alla Vergine e giovane Maria, sposata con Giuseppe, l’angelo annuncia che avrà un bambino. Ed ecco intervenire l’elemento della fecondità in questo caso “spirituale” identico oggettivamente al processo di fecondazione assistita come è conosciuto oggi. Concepimento spirituale e fecondazione assistita si fondono in un disegno unico e moderno. E ancora, la presenza dell’angelo che “assiste” Maria e la rassicura che tutto andrà bene, è un ulteriore elemento simbolico del concatenarsi dal quale trarre ulteriori analogie e considerazioni. Nell’Antico Testamento ricordiamo la storia di Abraamo e di sua moglie Sara, storia di una coppia sterile. In quell’epoca c’era l’usanza, per sopperire alla sterilità femminile, di far accoppiare il consorte con la propria schiava. Abraamo, con il benestare di sua moglie, si congiunse sessualmente con Agar, giovane schiava egiziana di Sara, la quale dopo nove mesi partorì Ismaele. Ecco quindi l’uso di mediazione della pratica dell’utero in affitto. Se ai tempi di Abraamo fosse esistita la tecnica della fecondazione assistita, sicuramente Sara sarebbe ricorsa a questa piuttosto che mandare al letto il marito con un’altra donna! Dopo anni che Agar partorì Ismaele, Dio intervenne su Sara “rendendola feconda” così che lei potesse finalmente partorire suo figlio Isacco.

 

Credo che non verrò bruciato sul rogo dall’Inquisizione e dagli intellettuali gesuiti se affermassi, senza esitare, che la gravidanza della Vergine Maria potrebbe essere identificata e sollevata proprio come caso emblematico ed eclatante di fecondazione assistita, assistita dalle cure dell’angelo. Leggendo bene le scritture sembra quasi un uovo di Colombo, tanto appaiono efficaci, fondati e fusi tra loro gli accostamenti.

 

Jaques Cohen, direttore dell’Istituto di Medicina Riproduttiva Assistita a St. Barnas nel New Jersey, è il pioniere della fecondazione assistita primo a mettere in atto le tecniche di micromanipolazione, con strumenti capaci di operare su ovociti, sperma ed embrioni, che hanno portato all’elaborazione e all’applicazione di metodi come l’Icsi, impiegata oggi in tutto il mondo per permettere anche agli uomini che producono poco sperma di procreare. Sentiamo il commento di Jaques Cohen:

 

«Molti, e tra questi coloro che hanno scritto la vostra legge sulla fecondazione assistita, considerano quella dell’embrione una vita da tutelare. Ma questo è bizzarro. Se chiediamo a uno scienziato cos’è la vita, ci sa rispondere, anche se magari la risposta di oggi potrà apparire poco precisa in futuro. Ma se chiediamo quando inizia la vita, allora non otterremo una risposta scientifica, ma solo opinioni personali. Io per esempio, penso che la vita inizi quando il feto prende le sembianze umane, intorno alla ottava settimana, ma è solo la mia opinione. La Bibbia non parla di sperma e ovuli, non parla di congelamento. La legge spesso vuole stabilire una volte per tutte il momento originario della vita, quando nessuno sa quale sia. Per me sono molti i momenti nel ciclo riproduttivo di una cellula che sono meravigliosi e meritano il nostro rispetto. Ma non si può dire esattamente quale sia il più meraviglioso o importante».

 

La Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) sottolinea:

«Negli ultimi tempi le gerarchie vaticane non si limitano a rendere note le proprie opinioni, indirizzandole ai propri fedeli: intervengono, continuamente e deliberatamente, sulla scena politica al fine di ottenere quanto da loro richiesto, affinché sia applicato a tutta la popolazione. All’estero questo interventismo ha già suscitato polemiche: in Germania il Vaticano è intervenuto per vietare ai consultori cattolici il rilascio del certificato necessario per legge per abortire. In Polonia, il governo filo-papale ha nuovamente limitato l’interruzione di gravidanza, ripristinata nel 1993 dal precedente governo. I vescovi sono anche intervenuti affinché la carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione Europea contenesse un articolo sul «rispetto del diritto alla vita dal suo inizio alla sua fine naturale», al fine di rendere illegali le leggi nazionali su aborto ed eutanasia. La legge 194 fu approvata, non a caso, in un momento di transizione e di relativa debolezza del Vaticano (Paolo VI, molto malato, sarebbe morto dopo poche settimane): con l’attuale papa, e con la sua capacità di far rigar dritto i politici, cattolici e non, probabilmente non sarebbe mai stata approvata. La strategia cattolica è molto semplice, ed è spudoratamente esplicita: anzitutto, nell’ambito della legge sulla fecondazione, far passare il concetto che «l’embrione è una persona». Ottenuto ciò si aprirebbe infatti un conflitto con l’articolato della 194, per cui si sarebbe «costretti» ad intervenire anche su quest’altra legge, per modificarla in un senso ovviamente più restrittivo, se non per abolirla. La sterilità di coppia in Italia raggiunge oramai cifre da brivido: oltre una coppia su cinque non è in grado di assicurarsi una discendenza, una percentuale che tende ad aumentare di anno in anno. Con queste premesse, già oggi ben 300 strutture italiane praticano la fecondazione assistita: si stima che tra le 50.000 e le 70.000 coppie si rivolgano a questi centri, e che oltre 100.000 siano i pre-embrioni custoditi nei criocongelatori. Stiamo quindi parlando di un fenomeno di massa, che come tale deve essere considerato. Le tesi cattoliche sono facilmente smontabili. Moralmente possono pensarla come vogliono e giudicare anche ininfluente il parere della scienza, resta il fatto che queste tesi sono rivolte solo alla popolazione cattolica (circa il 17% della popolazione mondiale e l’80% - nominale - di quella italiana), e non si capisce per quale motivo dovrebbero essere applicate a tutta la popolazione: nessuno, ovviamente, si è mai sognato di imporre tali pratiche a donne e coppie non consenzienti. La fecondazione artificiale è una libera scelta e pertanto uno stato laico non deve basarsi sulla morale di una parte della sua popolazione per frapporre divieti ad una pratica volta, fino a prova contraria, a superare i problemi di sterilità e di infertilità di una coppia. Alla stessa stregua vanno considerate le obiezioni secondo cui la fecondazione eterologa minerebbe la stabilità della famiglia: statistiche USA mostrano dati che vanno nella direzione diametralmente opposta sia per quanto riguarda la solidità della coppia sia per quanto riguarda la cura nei confronti dei bambini. La decisione di accedere a questa pratica non è mai facile e, si presume, vagliata anche alla luce di queste problematiche: le medesime considerazioni possono valere per le responsabilità che si assume il padre o la madre prestando il suo consenso (identiche, del resto, nel caso dell’adozione). Quanto alla (eventuale) sofferenza che proverebbe il bambino nel non conoscere il padre o madre biologici, è agevole constatare come tali difficoltà siano riscontrabili, anche in questa circostanza, nel caso dell’adozione. L’alternativa per il bambino è tra il non nascere ed il nascere attraverso l’AID (Artificial insemination by donor) cioè fecondazione artificiale eterologa: difficile quindi individuare un danno in questo. Sulle donne sole e/o lesbiche che intenderebbero accedere all’AID, alle quali una certa corrente di pensiero (soprattutto cattolica) non vorrebbe concedere tale possibilità, si può rilevare come, nella stragrande maggioranza dei casi, esse potrebbero comunque raggiungere lo scopo anche attraverso una rapporto eterosessuale tradizionale: dovremmo quindi vietare anche queste gravidanze? Dovremmo conseguentemente considerare illecito il figlio di una ragazza madre? Un discorso valido, a maggior ragione, per l’inseminazione post-mortem. Per finire, un’osservazione sulla fecondazione di donne anziane. Chi è contrario basa la propria opinione sulla minore speranza di vita delle stesse: secondo la logica sottintesa, le stesse persone dovrebbero essere contrarie a che malate terminali portino a termine la gravidanza. In definitiva, bisogna considerare la fecondazione assistita un nuovo metodo riproduttivo, alternativo a quello tradizionale: visto sotto quest’ottica, non è altro che una possibilità in più per raggiungere lo scopo a cui si aspira».

 

Ora, cerchiamo di pulirci bene la mente dalle scorie della consuetudine imbarbarita sempre più dalla propaganda martellante che proviene dalle file di coloro che hanno la verità dei dogmi e della fede in mano e la verità della vita sotto braccio. Pascal diceva che un vero viaggio non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi. Mettiamoci dunque in cammino dentro noi stessi e teniamo bene aperti gli occhi del pensiero mutevole e razionale. Ogni volta che sento parlare della legge sulla fecondazione (attualmente vigente in Italia) sono assalito da sconforto e amarezza. Una legge che va immediatamente abrogata e pure dimenticata tanto è vergognosa. Se penso poi all’assoluta assenza di informazione su questo grandissimo tema, il sangue mi inonda il cervello come fosse un uragano caraibico. La disinformazione è diventata un gravissimo problema sociale che - se non arriveranno soluzioni drastiche e in qualche modo radicali - formerà una popolazione sempre più inerte e sempre meno critica verso il proprio destino, inconsapevole che saranno altri a decidere del proprio futuro.

 

Tornando alla legge sulla fecondazione assistita, mi chiedo come è possibile che qualcuno abbia scritto queste cose facendole diventare pure legge? Come? Forse è stato qualche alieno bicefalo ermafrodita trisessuale venuto dallo spazio che ha scelto questo pianeta per le vacanze. Nessun essere umano che si dica pensante avrebbe mai potuto partorire niente di peggiore. Eppure è accaduto. Se non ci stupiamo più delle guerre nelle quali viviamo quotidianamente, ci stupiamo di una leggetta che non permette alle coppie di avere la felicità unica e immensurabile di un figlio? Bazzecole. Se non diremo la nostra al più presto, diverremo un popolo ancora più sofferente. E non è affatto vero che la cosa non interessa tutti noi, ma proprio tutti. Un giorno i nostri figli e i nostri nipoti potrebbero desiderare un figlio e per vari motivi non potranno averlo, allora vorranno ricorrere anche loro alla procreazione assistita, se ci sarà questa libertà di scelta. Ammesso che la legge non lo proibirà loro.

 

Solo il fatto che alcuni uomini e donne (eletti democraticamente) abbiano avuto il coraggio di proibire con una legge disgustosa ad altri uomini e donne la libertà di essere padroni di se stessi e delle proprie scelte mi fa inorridire. Inorridire e vergognare di far parte di questa specie che si definisce umana. Ci sono persone che si arrogano il diritto di decidere della nostra vita e di quella dei nostri figli; costoro sono da tenere lontano il più possibile dalle poltrone del potere e molte di loro sono dentro il Vaticano.

 

Mi sono riletto i nomi dei firmatari della legge e mi auguro proprio che non vengano mai più rieletti in Parlamento. Questo me lo auguro di cuore. Le persone che hanno avallato e firmato questa legge non debbono mai più permettersi di scrivere altre di leggi ottuse e offensive verso l’intelligenza e la sensibilità di ognuno di noi. Il danno arrecato, in particolar modo alle donne, è immenso e qualcuno deve pagare per questa leggerezza. Di campi da arare e da seminare, solo che abbiano voglia, ce ne sono a iosa per queste persone che già definisco ex parlamentari. Così ogni volta che aspergeranno i semi di grano sulle zolle di terra profumata si ricorderanno, come fosse un marchio indelebile, di quale grave torto abbiano fatto agli esseri umani del proprio Paese.

 

Rispondo alla domanda, esiste un motivo del perché il Vaticano è contro la fecondazione assistita?

 

Ci sono molti motivi, ma il vero motivo è quello che dal discorso della fecondazione assistita il Vaticano intende “rivedere” e “riaffrontare” il tema dell’Aborto. E dopo l’aborto il Vaticano intende “rivedere” e “riaffrontare” il tema del Divorzio. E’ evidente che resta ancora aperta la ferita dogmatica provocata a Paolo VI per gli assensi a favore del divorzio nella società, quando un giornale estero titolò “L’Italia è finalmente uscita dal Medioevo”. Un boccone amaro che il Vaticano non ha ancora digerito e per questo vuole rigurgitare sulla strada dei diritti sociali e personali. La mancanza di influenza totale sulla vita privata della gente rende la politica del Vaticano instabile e meno monolitica e la propria forza di penetrazione meno efficace.

 

La posta in gioco è di conseguenza molto alta e si tratta della posta di poter scegliere della nostra vita in maniera autonoma, liberale e molto personale. La lotta non è tra i Cittadini e il Parlamento per ottenere l’abrogazione della legge; la lotta è di tutt’altra natura e l’asse della diatriba è spostato verso il femminile. E’ infatti in corso un duro braccio di ferro tra le Donne e il Vaticano. La volontà importantissima della donna di diventare mamma è al di sopra e al di là di qualsiasi dichiarazione emessa dal Vaticano sulla fecondazione assistita. Questo aspetto rende la politica e la propaganda vaticana inattuale, bigotta e totalmente al di fuori delle esigenze vere delle persone. Da ciò, è probabile che il Vaticano pagherà questo arroccamento e chiusura con una perdita consistente di seguaci, più o meno praticanti, alla propria religione. Io sono uno tra i primi ad andarmene.

 

Le Istituzioni pubbliche si comportano sempre più come se ci fosse la religione di Stato, come se l’Italia fosse una Repubblica Cattolica, simile alle Repubbliche Islamiche, invece che una Repubblica laica, come vuole la Costituzione e come quasi tutte quelle del mondo occidentale. Mi sono svegliato come da un lungo sonno, da un torpore  prolungato causati dalla mia negligenza di vederci chiaro e prendere coscienza. Proprio durante la stesura di questo articolo ho attivato la procedura per essere “sbattezzato” e per la mia cancellazione alla “Chiesa cattolica apostolica romana” inviando per raccomandata a.r. la lettera, di cui riporto il testo sotto, al parroco della parrocchia dove fui battezzato quasi mezzo secolo fa:

 

OGGETTO: Istanza ai sensi dell'art. 7 del Decreto Legislativo n. 196/2003.

Io sottoscritto Ennio Montesi nato a (…) il (…) e residente in (…) con la presente istanza, presentata ai sensi dell'art. 7, comma 3, del Decreto Legislativo n. 196/2003, mi rivolgo a Lei in quanto responsabile dei registri parrocchiali. Essendo stato sottoposto a battesimo nella Sua parrocchia in una data a me non nota ma presumibilmente di poco successiva alla mia nascita, desidero che venga rettificato il dato in Suo possesso, tramite annotazione sul registro dei battezzati, riconoscendo la mia inequivocabile volontà di non essere più considerato aderente alla confessione religiosa denominata "Chiesa cattolica apostolica romana". Chiedo inoltre che dell'avvenuta annotazione mi sia data conferma per lettera, debitamente sottoscritta. Si segnala che, in caso di mancato o inidoneo riscontro alla presente istanza entro 15 (quindici) giorni, il sottoscritto si riserva, ai sensi dell'art. 145 del Decreto Legislativo n. 196/2003, di rivolgersi all'autorità giudiziaria o di presentare ricorso al Garante per la protezione dei dati personali. Ciò, in ottemperanza del Decreto Legislativo n. 196/2003 (che ha sostituito, a decorrere dall’1/1/2004, la previgente Legge n. 675/1996), in ossequio al pronunciamento del Garante per la protezione dei dati personali del 9/9/1999 e alla sentenza del Tribunale di Padova depositata il 29/5/2000. Si allega fotocopia del documento d'identità. Distintamente E.M.

 

Proporrò questo articolo per la pubblicazione al Corriere della Sera e a La Repubblica, benché sia quasi certo che non verrà accettato adducendo magari come problema la sua lunghezza eccessiva. Lo tradurrò in inglese e lo invierò ai giornali statunitensi, New York Times, Washington Post e The New Yorker auspicando un’adeguata accoglienza tra le loro pagine. Comunque vada, lo renderò disponibile su internet, unica piazza mediatica ancora totalmente libera. Concludo con questo brano:

 

«Le colpe dei Farisei. “Allora Gesù, volgendosi alle turbe e ai discepoli, disse: «Sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli Scribi e i Farisei. Fate, dunque, e osservate tutto ciò che vi dicono: ma non agite secondo le opere loro, perché dicono e non fanno. Legano, infatti, pesi gravi e insopportabili e li caricano sulle spalle degli uomini, ma essi non li vogliono muovere neppure con un dito. Fanno poi tutte le loro azioni per essere veduti dagli uomini: portano, infatti, larghe le loro filatterie e mettono lunghe frange sui mantelli; amano i primi posti nei conviti e i primi seggi nelle sinagoghe; vogliono essere salutati nelle pubbliche piazze ed essere chiamati maestri dalla gente. Ma voi non vogliate essere chiamati maestri, perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno sulla terra padre vostro, perché uno solo è il vostro Padre, quello che è nei cieli. Né fatevi chiamar dottori, perché uno solo è il vostro Dottore, il Cristo. Chi è il maggiore fra di voi, sarà vostro servo. Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Matteo, 23, 1-12.

 

E ancora:

«Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, perché chiudete agli uomini il regno dei cieli, e non entrate voi, né lasciate che entrino quelli che vorrebbero entrare! Guai a voi Scribi e Farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per farvi anche un solo proselito, e quando lo è diventato, ne fate un figlio della Geenna il doppio di voi!» Matteo, 23, 13-15.

 

Per quanto mi riguarda gli uomini dalle ampie vesti e dalle lunghe frange sui mantelli, con me hanno chiuso bottega. E pensare che Gesù Cristo, nella Bibbia, ci mise in guardia.


(articolo apparso sull'inserto "Alias" de "il Manifesto" del 11 settembre 2004 dc) - Le parti in rosso sono nostre, come nostra è la correzione della punteggiatura e la correzione dei nomi dei giornali etc.

Le radici dell'orrore

A SEI ANNI DAL SIMPOSIO INTERNAZIONALE SULL'INQUISIZIONE, SVOLTOSI IN VATICANO NEL 1998, UN IMPONENTE VOLUME DI QUASI 800 PAGINE NE RACCOGLIE GLI ATTI, CHE CONFERMANO LA CINICA SPIETATEZZA DI QUEL SISTEMA DI DOMINIO E ANNIENTAMENTO. UN METODO E UNA IDEOLOGIA CHE CONTINUANO A SEMINARE DOLORE E MORTE

L'impero del male

di Adriano Petta*

Martedì 15 giugno scorso nella Sala Stampa della Santa Sede i cardinali Georges Cottier e Roger Etchegaray, assieme al bibliotecario ed archivista di S. Romana Chiesa Jean-Louis Tauran, hanno presentato gli atti del simposio internazionale sull'Inquisizione che si tenne in Vaticano dal 29 al 31 ottobre del 1998. Questi atti sono stati presentati e illustrati anche dal curatore dell'opera professor Agostino Borromeo sotto la forma di un volume imponente di ben 788 pagine dal titolo "L'Inquisizione - Atti del Simposio Internazionale" edito nella collana "Studi e Testi" dalla Biblioteca Apostolica Vaticana nel 2003. Il Simposio era stato voluto da papa Wojtyla perché, in occasione del Giubileo del 2000, intendeva chiedere perdono "per le forme di antitestimonianza e di scandalo" praticate nell'arco della storia dai figli della Chiesa (cosa che fece il 12 marzo 2000 nella "Giornata del perdono"). Ma prima di chiedere perdono era necessario avere una conoscenza esatta dei fatti. La Commissione teologico-storica del comitato giubilare aveva quindi invitato una cinquantina di professori specializzati nel campo, storici che abbiano dismesso i panni del giudice e si siano proposti solo di comprendere il passato (i testi in corsivo sono stati estratti dagli atti del simposio. Ndr.). Mercoledì 16 giugno scorso quasi tutti i giornali hanno riportato la notizia della presentazione del volume, accompagnata da tabelline e commenti che riassumevano più o meno acriticamente le parole del professor Borromeo e dei cardinali che avevano presentato il libro: il numero degli eretici mandati al rogo dalla Santa Inquisizione non giungeva nemmeno a 100, erano stati solamente 99, e veniva così ristabilita la verità storica che finalmente sfatava la leggenda nera sull'Inquisizione, creata ad arte dalla propaganda anticattolica, come sottolineava esultante il principe dei giornali cattolici "L'Avvenire" "tanto appassionante quanto ricco di scoperte si rivela l'imponente volume nel negare la "leggenda nera". Il card. Georges Cottier (Pro-teologo della Casa Pontificia) ha ribadito, infatti, che "una domanda di perdono che la Chiesa deve fare a riguardo dei propri errori del passato non può riguardare che fatti veri e obiettivamente riconosciuti. Non si chiede perdono per alcune immagini diffuse all'opinione pubblica, che hanno più del mito che della realtà".

Ma una domanda nasceva spontanea: come mai erano trascorsi oltre sei anni per la pubblicazione degli atti del simposio? E come mai il comitato organizzatore si è premurato di assicurare che le cause stavano solo in motivi di salute di alcuni studiosi…? Occorreva leggere questo librone. I 60 euro sono stati ben spesi perché il risultato è stato effettivamente ricco di scoperte… ma non nel senso sbandierato da "L'Avvenire" o lasciato immaginare da gran parte della stampa (e dai numerosissimi siti cattolici di mezzo mondo) nei giorni successivi alla presentazione.

Innanzitutto la struttura di questo imponente volume. Dei 50 partecipanti al simposio solo 30 hanno lasciato testi scritti, in italiano, inglese, spagnolo e francese (e note in portoghese e latino). Ognuno dei partecipanti aveva ricevuto un tema da trattare (origini, strutture territoriali, procedure, inquisizione romana e le scienze, l'inquisizione e le streghe etc.): molti testi sono ossequiosi nei confronti della Chiesa Cattolica, testi blandi, ambigui… ma ci sono anche testi durissimi, con molte scoperte o fatti poco noti. Papa Wojtyla e il comitato organizzatore del Simposio sapevano fin dall'inizio ch'era praticamente impossibile mettere nero su bianco una cifra esatta del numero delle vittime. L'Inquisizione cercò di far sparire quanti più archivi poté dei processi e delle sentenze. Non solo. Occorre tener presente che nel corso dei 600 anni di funzionamento di questo apparato repressivo, responsabile dei più grandi crimini collettivi della storia dell'umanità, spesso accadeva che il popolo terrorizzato ed esasperato assaltava i tribunali dell'Inquisizione distruggendo gli archivi che contenevano non solo la lista dei condannati, ma anche quella dei sospettati. Napoleone, poi, quando conquistò l'Italia, portò con sé tutti gli archivi dell'Inquisizione che purtroppo non furono ben conservati e (di cui) solo una piccola parte è ancora intatti a Parigi. Nella capitale francese i pezzi erano 7900 circa, di cui 4148 volumi di processi e 472 di sentenze fino al 1771: nella seconda metà dell'800 in concomitanza con situazioni politiche "pericolose" (Garibaldi, porta Pia) i funzionari della Congregazione del Santo Uffizio operarono distruzioni nella documentazione processuale degli anni 1772-1810 che non era stata portata a Parigi e in quella prodotta in seguito.

Dopo l'abolizione dell'Inquisizione in Spagna il popolo bruciò quasi tutti gli archivi con i dati dei processi e delle condanne. Il governo illuminista del viceré Domenico Caracciolo fece bruciare tutti gli archivi di Palermo per mettere una pietra sopra quella storia di orrori e per tutelare le migliaia di persone segnalate, esattamente come accadde in tutte le terre portoghesi, come ad esempio il viceré del Portogallo conte di Sarzedas, a Goa, la capitale delle Indie. Per avere un'idea delle proporzioni di quella macchina infernale occorre ricordare che solo all'Inquisizione di Palermo lavoravano 25.000 persone! In un altro capitolo del librone risulta che le sentenze capitali eseguite a Roma dal 1500 al 1730 furono "solo" 128. Ma questi dati sono stati ottenuti da 11 dei 39 registri originari, quindi con una semplice proporzione è lecito pensare che le esecuzioni furono (fossero) come minimo 453. Ma questi sono dettagli, le vittime innocenti dell'Inquisizione furono almeno cinquecentomila, senza contare i 100-150 mila presunti catari, uomini, donne e bambini, scannati vivi in poche ore a Béziers il 22 luglio 1209.

Questa faccenda dei numeri è comunque fuorviante: l'orrore vero consisteva nel fatto che tutti, nessuno escluso, poteva essere sospettato, imprigionato, perdere tutte le proprietà ed essere arso vivo in quanto l'Inquisizione non giudicava dei crimini, ma le idee. Bastava un gesto, una parola, un litigio con un parente o un vicino di casa, il volersi liberare di qualcuno scomodo per essere denunziati o per denunziare.

Alcuni quotidiani hanno pubblicato la stessa tabellina che, nel librone, fa parte dell'articolo di Gustav Henningsen scritto in spagnolo. Alcuni nell'alto della tabellina hanno scritto correttamente "Caccia alle streghe", mentre sotto "le vittime dell'Inquisizione nel Seicento". S'immagini ora un qualunque lettore: prima riga, in Irlanda l'Inquisizione ha bruciato vivi solo due eretici; seconda riga, in Portogallo solo 7… ma allora è proprio vero che questa leggenda nera dell'Inquisizione è stata tutta un'invenzione! Da notare la finezza: la tabellina inizia con Irlanda e Portogallo, di cui non si conoscono i dati, mentre poteva cominciare con quelli della Polonia (10.000 creature accusate di stregoneria, bruciate vive, su una popolazione di 3.400.000… solo nel Seicento!). Senti come cambia la musica di morte? Altri quotidiani hanno compiuto veri e propri "capolavori" d'involontario depistaggio pubblicando la stessa tabellina ma intitolandola "Le esecuzioni in Europa" (esecuzioni generiche, quindi totali, mentre la tabellina in questione si riferiva solo ai condannati di stregoneria e solo al Seicento!). Occorre ricordare che la Riforma di Lutero in pratica aveva rigettato tutto del cattolicesimo, tranne la caccia alle streghe. Comunque tutta la stampa (sia cartacea che sul web) ha riassunto i dati forniti direttamente dal curatore dell'opera Agostino Borromeo, secondo i quali le condanne al rogo comminate dai tribunali ecclesiastici sono state - in Italia, Spagna e Portogallo - 99. È lecito pensare che i quotidiani abbiano fatto esattamente quello che il papa e il comitato organizzatore del Simposio si erano prefissi sei anni fa: hanno abboccato all'amo pubblicando dati che nulla hanno a che vedere con le proporzioni apocalittiche di quello ch'è accaduto in mezzo mondo per quasi 600 anni. E non è nemmeno vero che in questi atti ci sia una volontà sfacciata di negare la "leggenda nera": è l'insieme della vicenda ch'è subdolo, ma tanto la gente non leggerà mai l'imponente volume, mentre quello che scrivono i giornali sì.

Non è tuttavia da escludere quell'effetto boomerang tanto temuto dai vescovi e cardinali più prudenti, che per sei anni si sono opposti alla pubblicazione degli atti del Simposio: sapevano che rimestando nello sterco del demonio poteva sprigionarsi qualche zaffata. E infatti in questo librone si possono cogliere parecchie "noterelle", come la storia dell'Inquisizione spagnola e portoghese in centro-sud America e nelle Indie. Il pretesto che innescava le denunzie e i processi erano (riguardava) nella grande maggioranza dei casi le proprietà. Per appropriarsi dei beni della gente la Chiesa, il Comune, la Città e lo Stato hanno accusato di eresia via via catari, valdesi, apostati, convertiti, apostolici, ebrei, ebrei neri, ebrei bianchi, musulmani, protestanti, marrani, nestoriani, induisti, blasfemi, sodomiti, streghe, illuse, illudenti, bigami, superstiziosi, anabattisti, criptogiudei, criptomusulmani, pagani, illuminati, scismatici, peccatori di magia, sortilegi, divinazione, abuso di sacramenti, disprezzo delle Chiavi, studiosi, medici, alchimisti, atei, oppositori politici, filosofi, matematici, scienziati… e li mandavano al rogo, perché l'eretico non può possedere beni, che invece sono della Chiesa la quale non lo spoglia ma si riprende ciò che è suo… anche in presenza di figli cattolici: per questo l'Inquisizione fu una macchina che macinò un'enorme massa di capitali finanziari e l'immanitas tormentorum spingeva gli accusati innocenti ad autoaccusarsi per sfuggire alla sofferenza. Il risultato era che non vi si difendeva la pietas religiosa, ma se ne faceva pretesto per impadronirsi dei beni altrui. Vale la pena riportare una sola frase del Manuale degli inquisitori di Nicolau Eymerich (il "vangelo" dell'Inquisizione per secoli): "Bisogna ricordare che lo scopo principale del processo e della condanna a morte non è salvare l'anima del reo, ma… terrorizzare il popolo". In genere la ripartizione dei beni depredati era 1/3 agli inquisitori, 1/3 alla Chiesa e un terzo al comune, alla città o allo Stato. A Viterbo e a Roma, sedi papali, 1/3 al comune e 2/3 agli inquisitori. Oltre allo scopo primario (minimizzare la quantità dei bruciati vivi) il Simposio aveva altri due intenti. Quello di parlare di numerose inquisizioni, di fenomeni differenziati, diversi d'epoca in epoca e di stato in stato e di far risaltare che la più umana fu - guarda caso - quella romana. E quello di addossare agli stati (soprattutto quello spagnolo e portoghese) la responsabilità di aver esagerato con la tortura e i roghi. L'ossequioso Adriano Garuti scrive, infatti, che la stessa carcerazione in S. Ufficio è forse stata soffusa da un alone eccessivamente tetro… non mancavano però normative o prassi che ne attenuavano il rigore: non si carceravano facilmente le donne, specie se nobili… e la capacità del soggetto ad essere sottoposto alla tortura era vagliata e confermata da un medico… L'inquisitore si faceva assicurare da un medico se l'eretico era forte e se si poteva divertire a sazietà. Significative sono alcune pagine di Henningsen quando racconta che quasi la metà dei 200 processi di stregoneria li portarono a compimento due inquisitori tedeschi: Jacob Sprenger (1436-1495) e Heinrich Institoris (1432-1492). La loro fanatica persecuzione delle streghe nel sud della Germania si scontrò con l'opposizione delle autorità civili ed ecclesiastiche. Allora i due inquisitori si lamentarono col papa Innocenzo VIII che il 5 dicembre 1484 emanò la bolla "Summis desiderantes affectibus" con cui dette ai due l'appoggio di cui avevano bisogno, elencando dettagliatamente quello che combinavano le streghe: "uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l'uva delle vigne e la frutta degli alberi, stregano gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi ed altri animali domestici, fanno soffrire, soffocare e morire le vigne, piantagioni di frutta, prati, pascoli, biada, grano e altri cereali, inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne, e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne di concepire…".

All'inizio del sec. XVI gli inquisitori di Germania, Francia e Italia intrapresero una violenta campagna di persecuzione verso la setta delle streghe con la completa approvazione del Vaticano grazie alle circolari papali emesse da Alessandro VI, Giulio II, Leone X e Adriano IV. Nel 1501 papa Alessandro VI scrive all'inquisitore della Lombardia Angelo da Verona raccomandandogli di procedere più duramente contro le tante streghe della zona che rovinano le persone, gli animali ed i raccolti. Il senato di Venezia protestò verso l'Inquisizione che aveva bruciato vive 70 streghe in Valcamonica e di sospettare (che sospettava) che altre 5.000 facessero parte della setta satanica… ma papa Leone X nel 1521 scrisse una bolla violenta nella quale autorizzava gli inquisitori a scomunicare le autorità civili che dovessero opporsi ai roghi delle streghe condannate dal Santo Ufficio. In soli 10 anni vennero bruciate vive 3.000 "streghe". Nella stampa populista si continua ad incontrare una cifra di nove milioni di vite sacrificate durante la persecuzione delle streghe di quell'epoca. Oggi si stima che il numero di processi di stregoneria in quell'epoca è di 100.000 in totale e circa una metà, 50.000 persone, finirono al rogo. Delle 1300 vittime in Portogallo, Spagna e Italia, meno di cento roghi possono essere attribuiti all'Inquisizione dei suddetti Paesi. Il resto si deve ai tribunali civili e vescovili degli stessi Paesi. Come se quei tribunali civili e vescovili non fossero emanazione diretta del potere della Chiesa che tutto permeava in quei secoli bui. Con questa operazione del Simposio, papa e cardinali hanno provato a mischiare le carte, a introdurre distinguo, a confondere, a scaricare responsabilità che sono state e resteranno sempre di coloro che crearono e mantennero vivo quel sistema di sterminio: la Chiesa Cattolica, i suoi vertici. Nel 1600 l'inquisitore don Alonso de Salazar Frías girò in lungo e in largo per tutto il Paese Basco spagnolo portando un Editto di Grazia alla setta delle streghe. 2000 persone si presentarono davanti all'Inquisizione chiedendo che fosse loro concessa l'amnistia promessa alle streghe. Le suddette 2000 streghe (ne) denunziarono altre 5000. Quel clima apocalittico era stato alimentato dalle bolle papali. Soprattutto la bolla di Innocenzo VIII, più di nessun altro, legalizzò la persecuzione delle streghe. Scrive Adriano Prosperi: "a partire dal 1559 e per volontà di Paolo IV, in maniera sistematica e capillare, tutti i cristiani che si recarono a fare la confessione dei loro peccati furono interrogati su eventuali loro reati o semplici conoscenze di reati di eresia o lettura di libri proibiti; e se qualcosa emergeva, vennero (venivano) rinviati al tribunale dell'inquisizione. Se la violenza della tortura e del patibolo spezzava (spezzò) i corpi, la violenza morale esercitata attraverso la subordinazione della confessione all'inquisizione spezzò le coscienze: e lo fece su tutta la popolazione in età di confessione.

Due anni prima lo stesso Paolo IV aveva investito tutta la travolgente irruenza del suo carattere nella trasformazione di un tribunale (della Santissima Inquisizione) spesso interlocutorio e prudente, incline a interrogarsi su se stesso, frenato e intralciato da altri centri di potere, in un'arma affilata di repressione e annientamento conferendogli (il 29 aprile 1557), per mezzo della minuta "Pro votantibus", licenza e facoltà di emettere voti e sentenze che comportassero tortura, mutilazioni e spargimento di sangue, fino alla morte inclusa, senza per questo incorrere in censura o in irregolarità. Il 28 ottobre dispensò tutti i cardinali e inquisitori del Santo Ufficio dall'irregolarità in cui incorrevano infliggendo tortura reiterata. Lo stesso papa, il 5 novembre dell'anno prima, aveva reso solenne e consacrato il rogo che sarebbe avvenuto la domenica successiva concedendo l'indulgenza plenaria a tutti i fedeli che avrebbero assistito allo spettacolo. 

L'uso della tortura nell'Inquisizione fu introdotto da papa Innocenzo IV il 15 maggio 1252, con la bolla Ad extirpanda, mentre Innocenzo III, con la bolla del 25 marzo 1199 Vergentis in senium, aveva modificato il reato d'eresia da religioso a crimine contro lo Stato, coinvolgendo così accanto alla Chiesa tutti gli Stati. Le rare volte che ci fu un tentativo di evangelizzazione senza violenza, venne puntualmente stroncato dal papato. Charles Amiel nel suo intervento L'inquisizione di Goa (capitale delle Indie portoghesi) racconta l'esperienza missionaria di due famosi gesuiti italiani, Matteo Ricci in Cina e Roberto De Nobili a Goa, nel 1605. De Nobili si stabilisce a Madurai nel paese tamil ove esercita il suo apostolato per 40 anni, adottando lo stile di vita degli eremiti brahmanici. Pratica l'ascesi e la maniera di vita di questi eremiti, opta per i loro costumi, si orna la fronte di ceneri simboliche, porta il cordone rituale e apprende il sanscrito, il tamil e il telegu. Entrambi furono prigionieri dell'accomodatio, il metodo di evangelizzazione che cercò di adattare la pratica cristiana agli usi e costumi degli autoctoni. Una missione gesuita francese creata da Luigi XIV prolunga e rivivifica nel Carnate nella prima metà del sec. XVIII l'operato di Roberto De Nobili. Ma la bolla Omnium sollicitudinum di Benedetto XIV nel 1774 scaccia definitivamente i rischiosi accomodamenti che avevano alimentato la querelle dei riti… e si tornò al metodo tradizionale della tabula rasa: l'induismo era percepito come un'accozzaglia di superstizioni e di culti demoniaci che non meritavano nemmeno il nome di religione.

Ventisette anni prima che a Goa sbarcasse Roberto De Nobili il 25 novembre 1578 l'inquisitore del tribunale di Goa, Bartolomé de Fonseca, scrive: "Mi hanno consegnato un tribunale pacifico, senza processi, prigioni con pochi prigionieri (una sola nuova cristiana, che si rifiutava di confessarsi, che non cedette in nulla e morì in quello stato), nel paese segretamente infiltrata questa gentaccia di nuovi cristiani, tranquilli e a riposo. Io ho reso il tribunale piegato sotto il peso dei processi, le prigioni sono riempite al massimo di prigionieri: ce ne sono stati di più in questo solo anno che nei tredici anni in cui lavoravano congiuntamente un arcivescovo e due inquisitori. Il paese è pieno di fuoco e di cenere dei cadaveri degli eretici e degli apostati, ed io vengo considerato più come uno sposo di sangue che come uno sposo di pace, odiato da tutti quelli che tengono nascosti i loro interessi con questa gentaccia, e sono numerosi." In effetti, aggiunge il relatore dell'articolo Charles Amiel, i roghi dal 1578 al 1579 sono i più micidiali del XVI secolo per gli ebrei: 43 alla volta. Soprattutto per gli ebrei non c'era scampo: si convertivano dappertutto ma, con la conversione, conservavano almeno le proprietà. Ed erano queste a cui davano la caccia papi e re. E allora bastava solo mettere in marcia la macchina infernale delle delazioni, arresti, incarcerazioni, processi, torture, moniti, giudizi, roghi… Ma c'era qualcosa di peggio dei roghi, i forni, l'orrore apocalittico dell'inquisizione: los "quemaderos" di Siviglia. Erano così tanti gli eretici condannati al rogo, che furono costretti a inventarsi qualcosa di speciale che consumasse meno legna dei tradizionali autodafé: costruirono uno accanto all'altro quattro enormi forni circolari sopra una piattaforma di pietra ognuno dei quali poteva contenere fino a quaranta "dannati". Accendevano un po' di legna sotto la piattaforma, buttavano dentro le povere creature e le cocevano a fuoco lento: occorrevano dalle 20 alle 30 ore per crepare. Funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli. 300 anni. Vennero chiusi da Napoleone Bonaparte nel 1808. Questo è riuscito a fare la Santa Inquisizione, sublime spettacolo di perfezione sociale (come scrive Adriano Prosperi citando un numero di "La Civiltà Cattolica" del 1853).

L'operazione di minimizzare l'operato dell'Inquisizione ha toccato, naturalmente, anche il conflitto fede-ragione, fede-scienza: tra 1559 e 1707 il numero delle opere scientifiche proibite dall'Inquisizione di Spagna per questa regione superò la somma di quelle proibite per ogni altra e lo stesso è quasi certamente vero per l'Indice romano, per il quale uno studio quantitativo non esiste ancora. Vale la pena ricordare che il cardinale Bellarmino - il carnefice di Giordano Bruno e Galileo Galilei - non venne fatto santo all'epoca dei fatti, nel '600, bensì pochi anni fa, nel 1930: ovverosia, nel 1930 la Santa Sede avallò tutto l'operato di Urbano VIII e dello spietato inquisitore Bellarmino! L'Inquisizione depredava anime, coscienze, proprietà. Giustificava i genocidi. Il 90% degli indios del centro-sud America venne sterminato con il permesso e la giustificazione degli inquisitori. I conquistadores spagnoli e portoghesi depredavano le terre in nome del Bene, di Cristo. Protestanti e Anglicani del nord Europa impararono il metodo e anch'essi presero a colonizzare, depredare, sterminare popolazioni autoctone come gli indiani del nord America e gli aborigeni dell'Australia.

[...]

Lo stato della Germania, senza perdere tempo a indire simposi sul numero esatto degli ebrei massacrati nei campi di concentramento, ha eretto al centro di Berlino un importante museo sulla storia e gli orrori del nazismo, come monito al mondo intero e alle future generazioni tedesche. La Santa Sede mistifica e minimizza il ruolo devastante dell'Inquisizione, invece di stigmatizzare la portata culturale e politica di quell'infernale sistema.

*Adriano Petta*Studioso di Storia delle religioni e della scienza, autore dei romanzi storici "Eresia pura", "Roghi fatui" (Stampa Alternativa), "Ipazia scienziata alessandrina" (Lampi di stampa)


Da L'Unità on line del 5/9/04 dc:

"Chi sostiene i referendum è nazista". Firmato: il ministro Giovanardi

Sostenere i referendum sulla procreazione assistita è come essere un po’ nazisti. Anzi, molto nazisti. Pretendere di sapere prima se l’embrione è malato è essere nazisti. Non accettare l’embrione - e poi il figlio con gravi malattie genetiche - è nazista. Sperare che la scienza possa aiutare a risolvere limiti fisici può portare direttamente nella stessa spirale di follia che guidò Hitler e le SS verso l’abisso. Loro, Hitler e le SS, per esempio, avrebbero firmato i referendum e poi li avrebbero votati. A sostenere questa tesi, sbattendo in faccia ai modenesi, suoi concittadini, un manifesto per ricordarglielo, è il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, UDC, cattolico. Hitler e la parata Ss. Poi la scritta: «Anche loro avrebbero firmato - Referendum sulla procreazione assistita». Il manifesto, che porta la firma UDC, l’ha voluto proprio lui, il ministro, che se ne è assunto la paternità spiegandone i motivi nel corso di due interviste apparse ieri su altrettanti quotidiani. Ministro, un manifesto scioccante... «Scioccante è ciò che sta accadendo. È aberrante che in Olanda permettano l’eutanasia per i bambini... È aberrante voler cancellare la legge sulla fecondazione assistita, senza nemmeno proporre modifiche o cercare di discuterne insieme», sostiene. Dubbi, zero. Pochi dubbi, aggiunge, anche sul motivo del parallelismo con i nazisti: «Perché la selezione genetica fa parte del folle progetto nazista secondo cui tutto ciò che è imperfetto deve essere eliminato. I Radicali fanno un passo in più rispetto all’aborto terapeutico: quando l’embrione, che è un essere umano in divenire, presenta dei difetti, allora deve essere eliminato...». Il primo passo annunciato dai Radicali, intanto, è una denuncia per il ministro. Poi, le critiche. Tante. Ecco, questo è uno dei casi in cui si sono superati i limiti della decenza. A dirlo sono in molti: in prima fila Alfredo Biondi, vicepresidente della Camera, FI, convinto oppositore dell’attuale legge sulla fecondazione assistita e sostenitore dei referendum. Dalla Festa de l’Unità di Genova, dove ha appena concluso un suo intervento sulla legge, fa sapere che non ci sta a farsi dare del nazista. «Dovrebbe intervenire il presidente del Consiglio, non per correggere le bozze, ma per ristabilire un clima di rispetto - dice - Giovanardi è il ministro per i rapporti con il parlamento, è gravissimo quello che ha fatto. Quel manifesto - continua Biondi - è un indicatore dell’intolleranza che nella storia della Chiesa già si è manifestata diverse volte, penso all’Inquisizione, per esempio. Se Giovanardi non capisce che l’attuale legge è formata da una sequela di divieti che non tengono conto dei diritti e delle aspettative di chi non può avere figli, allora ha un problema di analisi suo, personale. Ma non può fare analisi offensive verso chi la pensa in modo diverso da lui, non rispetta né avversari, né amici, visto che l’opposizione alla legge è stata trasversale». Come il voto favorevole, purtroppo. Diritti e aberrazioni. La DS Katia Zanotti aggiunge: «È aberrante che un ministro stravolga le questioni poste dal referendum e che nulla hanno a che fare con temi legati all’eugenetica, ma riguardano questioni legate ai diritti e alle scelte della donna e del nascituro». Insomma, Giovanardi, che pure sa distinguere fra embrione, feto e neonato, non può mescolare insieme questioni così diverse tra loro per attaccare i referendum. «Non si tratta di selezione eugenetica - continua infatti Zanotti - ma più semplicemente di diagnosi pre-impianto sugli embrioni per evitare gravidanze a rischio di malattie genetiche del feto. Loro, i cattolici, con questa legge, mettono di fronte alla donna una sola possibilità: l’aborto terapeutico». E a proposito di aberrazioni: «La cosa veramente aberrante è che un ministro della Repubblica sposti i temi dei referendum su un piano di straordinaria delicatezza sul quale le sensibilità etiche ci sono e sono diverse». La senatrice Maria Rosaria Maniera parla a nome di tutte le donne SDI: «Quando al confronto nella contrapposizione democratica delle idee si sostituisce l’insulto ignobile e l’aggressione, evidentemente mancano non solo argomenti e razionalità ma anche una solida base di civiltà e di democrazia». Monica Macchioni, segretario del PdCI di Modena, preferisce non commentare il manifesto. Si augura piuttosto altro: «Credo ci sia sufficiente carne al fuoco per decidere di non votare più per il ministro e per andare subito a firmare per il referendum che pretende di decidere sulla vita, sulla pelle e sulla felicità delle persone».


Pubblichiamo un breve stralcio dall'ultima newsletter dei Radicali di Sinistra, del 27 Luglio 2004 dc:

la newsletter dei Radicali di sinistra

Fuori l'antisemitismo dalle Istituzioni

"Forza Italia come Forza nuova: rappresaglia antisemita del capogruppo in Consiglio regionale delle Marche: ebrei "ospiti nel nostro paese""

www.radicalidisinistra.it/2004/news/luglio/marche.htm

 

Facciamo sentire la nostra voce oggi, per non essere imbavagliati domani

"Di fronte a questo episodio di inciviltà, che non è il primo e -purtroppo- non sarà nemmeno l'ultimo, i Radicali di sinistra, attraverso una la lettera aperta, hanno espresso piena solidarietà all'On. Ugo Ascoli" www.radicalidisinistra.it/creative/action/ascoli.htm

"Invitiamo tutti i cittadini a far sentire la propria voce contro ogni forma di discriminazione, di violenza, sottoscrivendo la lettera di protesta al Consigliere Roberto Giannotti" www.radicalidisinistra.it/creative/action/marche.htm


La presidente romana della Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, prof.sa Maria Mantello, ci ha inviato il 25 Giugno 2004 questo scritto, che volentieri pubblichiamo:

 Dubbio e scelta: le radici laiche dell’Europa

 

La Costituzione Europea è stata approvata senza nessun riferimento alle “radici cristiane”!

Ha vinto il libero pensiero e all’Europa sono state risparmiate cristallizzazioni giuridiche, paventato omaggio ai nostalgici della Restaurazione, che, non a caso, continuano a ravvisare nel Sacro romano impero medievale di Carlo Magno i presupposti storici dell’identità europea.

Per buona memoria, ricordiamo, che Carlo Magno, non potendo vantare una discendenza regale, aveva usufruito della “sacralizzazione” datagli in quella famosa notte di Natale dell’800 da papa Leone III. Un favore, che il re franco contraccambiava con l’imperiale imposizione del cattolicesimo. Nel XII sec, la Chiesa romana canonizzava l’imperatore difensore della fede. Poco importava, che in questa santa opera d’evangelizzazione, i Sassoni, ad esempio, colpevoli di non volersi battezzare, avessero rischiato l’estinzione: soltanto a Werden, ne furono decapitati in un giorno 4500.  

Solo il cattolico aveva diritto alla cittadinanza, tutti gli altri potevano, e dovevano essere perseguitati. Era il trionfo della teocrazia, che l’editto di Teodosio aveva legittimato fin dal 380: “Vogliamo che tutti i popoli a noi soggetti seguano la religione che l’apostolo Pietro ha insegnato ai romani –recitava l’editto- …si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno stolti eretici, né le loro riunioni potranno essere considerate vere chiese; essi incorreranno nei castighi divini ed anche in quelle punizioni che noi riterremo di infliggere loro”.

 Ma torniamo alla Carta europea.

Il tentativo delle nuove Sante Alleanze per arruolare ogni europeo sul carro della Chiesa cattolica non è passato. La cattiva coscienza di chi si è affannato ad accollare al cristianesimo meriti che mai ha avuto, allo scopo di occultarne le responsabilità per i milioni di morti ammazzati (pagani -come i Sassoni-, ebrei, omosessuali, donne accusate di stregoneria, eretici…), è apparsa addirittura grottesca, di fronte all’ennesima richiesta di perdono per le colpe della Santa Inquisizione, che il papa reiterava a ridosso dell’approvazione di questa Costituzione.

E neppure hanno avuto troppa eco le esternazioni di coloro, che, pur di riaffermare la superiorità “incontaminata” del cristianesimo, hanno auspicato una mobilitazione dell’Europa in chiave antimusulmana, giocando sull’indignazione, che il terrorismo islamico con i suoi brutali omicidi di innocenti (gli infedeli) sta diffusamente suscitando.

Delle disquisizioni filologiche di quanti si sono improvvisati maestri di laicità contro il “degenere” laicismo, non varrebbe neppure la pena di parlare. Costoro, infatti, vorrebbero una laicità ancella della religione, una sorta di contenitore espanso che tutte le fedi accolga; insomma un passivo accumulatore di “sacralità”. E guai a ricordare a costoro, che la fede costituisce il condizionamento formidabile delle coscienze, che essa può ostacolare la necessaria apertura mentale, presupposto per liberare il pensiero, e quindi essere laici. Griderebbero subito che si vuole attentare alla libertà di religione, fingendo d’ignorare che essa è conquista del mondo laico, e che si è realizzata nonostante i “bravi fedeli”, nell’esaltazione missionaria imperiale, imponevano all’Europa gli atti di fede, torturando e bruciando vivi i martiri del libero pensiero; nonostante i “bravi fedeli” scannavano (e in Ruanda hanno continuato a farlo anche in tempi assai recenti), nella convinzione fanatica di guadagnarsi, con tanto di benedizione ecclesiastica, il celeste paradiso; nonostante alcuni “bravi fedeli”si mobilitino ancora ai nostri giorni, perché la scuola e la ricerca scientifica siano strumenti propagatori delle loro dottrine; nonostante la Chiesa di Roma escluda ogni possibilità di dissenso al suo interno, con la sospensione “a divinis”, e nelle sue innumerevoli aziende, con il licenziamento.

 

Ma, in tutta quest’ossessiva pressione per riportare l’Europa sotto la cappa dell’universalismo cattolico, la menzogna che più sconcerta è quella di un cristianesimo portatore di libertà. Una ben strana libertà, visto che dovrebbe coincidere con la morale cattolica, come continua ad affermare l’attuale “vicario di Cristo” in terra.

Wojtyla scrive nelle sue encicliche, che ”non si dà morale senza libertà”. Bene! Potrebbe sembrare che la Chiesa romana si sia convertita all’etica laica, riconoscendo l’autonomia di ognuno contro l’eteronomia del confessionalismo religioso.  Potrebbe sembrare un richiamo a scegliere e a progettarsi autonomamente al di fuori del presunto programma divino. Peccato però, che Wojtyla, si affretti ad aggiungere: viene per tutti il momento in cui, lo si ammetta o no, si ha bisogno di ancorare la propria esistenza ad una verità riconosciuta come definitiva (quella ecclesiastica –ndr.) che dia certezza non più sottoposta al dubbio. (cfr: Veritatis splendor e Fides et ratio).

Strana libertà, allora, quella che si dovrebbe coniugare con l’obbedienza ad una verità sacralizzata e non con l’esercizio del dubbio!

Finché non si risolve questa contraddizione del voler assoggettare la libertà alla fede, resta l’inconciliabilità tra credente e laico. Per il fedele, la verità è già tutta data e rivelata, perché è la persona a rappresentare la “maschera” del disegno divino, che il Dio Creatore e Salvatore ha già predisposto, mentre per il laico non c’è nessun disegno dogmaticamente preordinato, perché egli sa che ciascun individuo si struttura attraverso le sue azioni, che liberamente sceglie nell'assunzione di responsabilità, per le conseguenze che le sue azioni hanno… non per il c i e l o, ma per la t e r r a.

Il laico sa bene, che esseri umani si diventa agendo. Sa bene che suo compito è di sostituire all'obbedienza alla norma, la progettualità della norma.

Si capisce, allora, come la libertà passi per strade ben diverse da quelle religiose. Si capisce perché scelta e dubbio siano da sempre contrastati dai chierici.

 

Scelta e dubbio. Eccole dunque le radici dell’Europa. E sono radici laiche!

Radici che derivano storicamente da quel grande patrimonio di idee, che dalla Grecia si è propagato in tutto l’occidente, e continua a propagarsi nel mondo intero, portatore di un insopprimibile anelito alla libertà. E’ con la filosofia greca, infatti, che ci ha insegnato a farci guidare dalla biologica ragione, che le scienze naturali sono nate, che si è sviluppata la scienza politica, per il conseguimento del bene individuale e sociale.

Il demone socratico del dubbio è sopravvissuto, nonostante i sistematici sforzi teocratici per estirparlo.  Da quel demone, si sono sviluppati i valori di libertà, uguaglianza, fratellanza. Valori laici, lo ripetiamo, che sono alla base delle moderne rivoluzioni libertarie.

Ad essi, promessa di serena convivenza civile, si richiama oggi il Preambolo della Costituzione europea, quando afferma: L'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

 


Da l'Espresso del 13 Maggio 2004 dc, con i nostri commenti in rosso:

Sono atea felice e militante

Le religioni sono troppo invadenti, provocano guerre e violenza. Occorre trovare il coraggio di essere dei senzadio. Il manifesto provocazione di una filosofa francese. Colloquio con Danièle Sallenave 

di Fabio Gambaro

L'ateismo fa bene. Ci obbliga a pensare un mondo senza il gendarme divino. Danièle Sallenave, scrittrice, filosofa, intellettuale molto nota in Francia (era amica di Sartre) ha appena pubblicato 'Dieu.com' (Gallimard, pagine 325), un polemico saggio in cui critica l'ingombrante presenza delle religioni nella nostra società e difende "un ateismo filosofico cosciente e responsabile". Di fronte alla deriva inquietante di una religione che sempre più spesso si presenta con il volto dell'intolleranza e della violenza, l'autrice invita a riscoprire l'orgoglio ateo. Sallenave non è sola. Il settimanale americano 'The New Republic' ha recentemente strillato in copertina 'God bless atheism' (dio benedica l'ateismo), mentre il tedesco 'Zeit', sempre in prima pagina, auspicava il ritorno alla critica radicale delle religioni, ed Eugenio Scalfari nella sua rubrica su 'L'espresso' (numero 17) rivendicava i diritti dei senzadio. Abbiamo incontrato la signora Sallenave a Parigi: "Contro chi dà per scontata la centralità della religione", spiega, "io dico che esiste un'importante corrente di pensiero non religiosa, che vanta una nobile e vigorosa tradizione". E rincara la dose: "In passato, il mio paese è stato accusato di essere 'l'orribile patria dell'ateismo'. Io mi sento figlia di questa tradizione, che è giusto contrapporre al ritorno delle religioni e alla violenza che cerca giustificazioni nella fede". 

Madame Sallenave, è sicura di questa deriva?

"La religione è presente nella nostra società più di quanto non si pensi, anche attraverso forme mascherate. Essa viene presentata come indispensabile per dare un senso alla vita umana. Di conseguenza, il pensiero non religioso viene disprezzato e gli atei si vergognano di dichiararsi apertamente tali".Il fatto più grave è che molti atei si accontentano di esserlo e si rifugiano in uno snobistico "non fare niente".

Come spiega questa evoluzione? 

"Dipende da un insieme di fattori. La costruzione europea è stata dominata fin dagli anni Cinquanta dalla cultura dei democratico-cristiani. Oggi l'ingresso nell'Unione Europea di paesi molto marcati dal cattolicesimo, come la Polonia, contribuisce a rafforzare la presenza della religione nello spazio comune. Va poi ricordata l'influenza del modello americano. Negli Usa tutti hanno una fede e l'ateismo è quasi sconosciuto La signora è male informata: gli atei americani sono tutt'altro che pochi e sono anche molto organizzati. Non si tratta solo di fanatismo religioso, che non manca anche ai vertici dello Stato, ma dell'impossibilità di concepire un essere senza religione. Infine, il crollo del muro di Berlino è stato interpretato da una parte del mondo cristiano, in particolare dal Vaticano, come una vittoria della religione sull'ateismo".

Cosa la preoccupa di più? 

"Ci viene detto che le religioni favoriscono la spiritualità, il dialogo e la pace civile. La realtà è ben diversa, oggi come ieri. Nel passato dell'Europa le guerre di religione hanno scatenato ogni sorta d'intolleranza e di fanatismo. Oggi, in molte parti del mondo, la fede religiosa serve a giustificare guerre e atti terroristici. I kamikaze musulmani si sacrificano in nome di una religione che diventa puro nichilismo, incarnando un'utopia negativa senza futuro. Contro tutto e tutti, gridano 'viva la morte', proprio come facevano i fascisti spagnoli durante la guerra civile. Purtroppo in tutte le religioni è presente un principio di 'immoderazione' che apre la porta a ogni sorta di fondamentalismo. Non che tutte le religioni siano preda del fanatismo, ma faremmo male a sottovalutare il problema. E non solo nel mondo musulmano".

Si spieghi...

"Dopo l'11 settembre, l'aggressività e l'intolleranza del fondamentalismo islamico hanno prodotto atteggiamenti simili anche nelle altre religioni. Così, ad esempio, c'è chi enfatizza le fondamenta cristiane dell'Europa, le quali sarebbero minacciate da una nuova invasione islamica. Le religioni sono sempre più aggressive e dominate dalle fazioni più intolleranti".

Ma è possibile generalizzare? 

"Naturalmente no. È un fatto però che la violenza è spesso presente nel discorso e nell'immaginario delle religioni. La Bibbia è un testo pieno di violenza. E un film come 'La Passione' di Mel Gibson insiste esclusivamente sulla sofferenza, sul dolore e sulla morte. In India, un milione d'indù demoliscono una moschea e uccidono i musulmani che la difendono perché pensano che sotto ci sia un tempio di Rama".

L'ateismo può essere un'alternativa? 

"Non voglio dire che si debbano sradicare le religioni. Solo un tiranno come Stalin poteva pensare una simile assurdità Si da il caso, cara signora, che fu proprio Stalin, per convenienza, a rallentare e poi a fermare la campagna di propaganda dell'ateismo. E personalmente ci prendiamo tutta la responsabilità di dire che, sì, per il bene dell'umanità le religioni andrebbero proprio sradicate!. Si tratta invece di sviluppare un polo di pensiero ateo, capace di fare da contrappeso alla progressione incontrollata del discorso religioso. Occorre mostrare cosa significa vivere e fondare un'esistenza senza il concorso della religione. Bisogna tornare ai pensatori che si sono liberati dal pensiero religioso, a cominciare da Voltaire (che bell'esempio! Un deista opportunista che ha contraffatto l'opera di un vero ateo radicale come Meslier a suo uso e consumo!). Bisogna far circolare il loro pensiero".

La sua definizione di ateismo? 

"È ateo chi non ha bisogno di un dio per spiegare le leggi di natura, le istituzioni umane, il senso e l'organizzazione della vita. Essere atei significa rifiutare una giustificazione sovrannaturale del mondo, sul piano etico-morale come su quello scientifico. Per altro, proprio la tecnologia contribuisce a volte allo sviluppo di credenze pseudo-religiose".

In che modo? 

"Purtroppo, il successo della scienza non implica un razionalismo diffuso e condiviso. Anzi, l'incapacità di comprendere e dominare tecnologie sempre più sofisticate facilita l'oscurantismo moderno e l'idolatria. Il risultato è un mix di superstizione e di tecnologie avanzate che produce una visione magica del mondo, al cui interno c'è ampio spazio per la religione. Abbiamo bisogno di adorare ciò che non siamo in grado di capire".

Perché l'ateismo fa paura?

"Molte persone non sanno bene cosa sia l'ateismo, ma in maniera confusa lo sentono come una porta aperta verso ogni forma di depravazione. Vale ancora la vecchia paura dei moralisti: se Dio è morto, allora tutto è permesso. Per costoro, è la fine di ogni morale e di ogni possibilità di vita collettiva. Il che equivale a considerare la divinità un gendarme che ci obbliga a rispettare le leggi. Non mi sembra però che i grandi crimini contemporanei siano commessi in nome dell'ateismo. Al contrario, l'ateismo è un'immensa responsabilità affidata a ciascuno di noi. E proprio perché non siamo soggetti a leggi divine, dobbiamo essere responsabili e fare da soli, mostrandoci capaci di elaborare un nostro sistema di valori etico-morali" Questo connubio di etica e morale ci lascia, però, molto dubbiosi e sospettosi....: etica e morale!.

Essere atei è anche una militanza?

"Io sono per un ateismo cosciente che si traduce in un impegno costante. Ciò significa denunciare tutte le forme del pensiero religioso presenti più o meno insidiosamente nella nostra vita per non subire passivamente la religiosità diffusa che ci viene imposta dai luoghi comuni della cultura dominante. Occorre difendere la laicità e ritrovare il nostro senso critico. Solo così il diritto di credere e quello di non credere saranno sullo stesso piano".


Dalla rivista "Le Scienze" (si presume di Aprile 2004 dc):

Editoriale

Darwin: vietato ai minori 

Bisogna dirlo ad alta voce: chi fa scelte grandiose, passa alla storia. E giustamente ci resta, soprattutto quando la scelta coinvolge uno dei punti essenziali della scienza contemporanea. Orbene, un frammento d'Italia si è appena preso un posto di prima fila. Quaggiù, infatti, la teoria nata con Darwin è stata da pochi giorni depennata dai programmi di scienza delle scuole medie inferiori. La cancellazione è pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» del 2 marzo. Per gli increduli: se non avete il testo sottomano, cliccate su www.miur.it. Ai primi di marzo, però, avevamo già programmato l'articolo di Jean-Claude Ameisen che trovate a pagina 62. In redazione, quindi, si è creato un problema. Ameisen è uno scienziato dell'Università di Parigi 7. È un biologo evoluzionista, e cita, elogiandolo, un passo di Darwin. Abbiamo in un primo tempo soppesato l'idea di scrivere, su questa copertina di «Le Scienze», l' avviso «vietato ai minori», ma poi l'abbiamo scartata: non è il caso di scherzare. Resta invece da capire la ragione profonda di questa svolta epocale, che ha due premesse. La prima rinvia a una manifestazione politica tenutasi a Milano qualche mese fa: persone importanti hanno pubblicamente sostenuto che le idee di Darwin sono false e pericolose, e che l'unica spiegazione accettabile è fornita dal creazionismo. È stato facile, in quei giorni, fare spallucce e sorridere. In Italia c'è libertà di espressione: è dunque lecito aderire alla Lega per la Terra Piatta, curarsi con i fiori di Bach ed elogiare l'astrologia. Chi ha fatto spallucce, però, ha commesso un errore. L'attacco all'evoluzione doveva infatti essere inquadrato in un contesto «bipartisan», che vieta molte linee di ricerca su cellule staminali, applaude alla distruzione di coltivazioni con tracce di OGM e, in nome della libertà di coscienza, fa leggi incredibili sulla procreazione assistita. La «Gazzetta Ufficiale» di marzo è, semplicemente, un passo forte lungo una direzione precisa e trasversalmente consensuale: formare i cittadini della Repubblica con una scuola che impone ai giovani d'ambo i sessi di rigettare una concezione scientifica della vita, e che, non a caso, torna a insegnare alle fanciulle la filosofia del taglio e del cucito. L'altra premessa è sotto gli occhi di tutti, e da tempo. Basti qui ricordare, a puro titolo d'esempio, i severissimi moniti antidarwiniani di un fisico autorevole come Antonino Zichichi, o meditare sulle tesi dell'altrettanto autorevole Jeremy Rifkin, il guru che si è assunto il compito di bonificare il pianeta. Secondo Rifkin il dramma dell'uomo contemporaneo è causato dall'eredità lasciataci da individui come Newton e Darwin. Grazie alla loro opera, «l'originaria perfezione del mondo è stata incrinata dall'introduzione della conoscenza», che ha gravemente indebolito la spiritualità della concezione cristiana del vivere. Così si legge nel capolavoro rifkiniano, intitolato Entropia e stampato nell'anno di grazia 2000 da Baldini&Castoldi. Le idee di Rifkin, a quanto pare, piacciono a destra, al centro e a sinistra. Ci dicono che il prezzo da pagare per salvare l'umanità consiste nel demolire le fondamenta della razionalità. Darwin, insomma, è solo una rata dell'obolo che già stiamo versando. Ecco perché la parte più ferina del paese passerà alla storia.


Aprile 2004 dc circa:

Confronto fra vecchi e nuovi programmi di Scienze/Biologia nella scuola pubblica

(dopo la famigerata "riforma" della Moratti..)

una interessantissima (e lunga) indagine di Daniele Formenti a questo indirizzo, con tabelle e prospetti, confronti e analisi

http://www.unipv.it/webbio/labweb/primantr/news/riformascuola.htm 

Un appello sullo stesso argomento (23 aprile 2004):

http://www.repubblica.it/2004/d/sezioni/cronaca/darwin/appel/appel.htm

L'APPELLO 

"Un danno per la cultura delle nuove generazioni"

Dai nuovi programmi della Scuola media è scomparso l'insegnamento della "Teoria dell'evoluzione delle specie". L'elenco degli argomenti da trattare non comprende più "L'evoluzione della Terra", la "Comparsa della vita sulla Terra" la "Struttura, funzione ed evoluzione dei viventi" e "L'origine ed evoluzione biologica e culturale della specie umana" I programmi pubblicati nel decreto legislativo del 19 febbraio 2004 non contengono tracce della storia evolutiva dell'uomo né del suo rapporto con le altre specie.

Il mancato apprendimento della teoria dell'evoluzione per dei ragazzi di 13-14 anni, rappresenta una limitazione culturale e una rinuncia a svilupparne la curiosità scientifica e l'apertura mentale. 

E' senz'altro giusto spiegare che il Darwinismo e le teorie che ne sono conseguite hanno lacune da colmare e presentano problemi insoluti, ma non si può saltare completamente l'anello che lega passato e presente della nostra specie. Chiediamo dunque al Ministero dell'Istruzione di rivedere i programmi della scuola media, colmando una dimenticanza dannosa per la cultura scientifica delle nuove generazioni.

Carlo Bernardini - Dipartimento di Fisica La Sapienza e Infn 

Edoardo Boncinelli - Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, Trieste

Luigi Luca Cavalli Sforza - Università di Stanford

Bruno Dallapiccola - Istituto Mendel, Roma

Ernesto Di Mauro - Genetica molecolare, Università La Sapienza, Roma

Direttore della Fondazione "Cenci Bolognetti"

Renato Dulbecco - Premio Nobel per la medicina

Margherita Hack - professora emerita di Astrofisica, Trieste

Giuseppe Novelli - docente di Genetica Umana, Tor Vergata, Roma

Franco Pacini - Direttore dell'Osservatorio Astrofisico di Arcetri

Massimo Pettoello - Mantovani - professore di Pediatria,Foggia e New York

Alberto Piazza - docente di Genetica Umana, Torino

Pier Franco Pignatti - presidente della Società italiana di Genetica Umana


Da una mailing-list in Internet:

I cento milioni a diretta gestione dello Stato vanno per il 36% alla Chiesa

Firenze, 15 Aprile 2004. E' stato pubblicata l'edizione del 15 aprile del quindicinale "La Pulce nell'Orecchio", curato sul portale dell'associazione da Annapaola Laldi. In questo numero si "fanno le bucce", con rielaborazioni e accorpamenti statistici, ai fondi dell'otto per mille (OPM) che alcuni contribuenti destinano allo Stato, nella fattispecie -per il 2003, come da Gazzetta Ufficiale n.52/2004- poco più di cento milioni di euro (101.458.441,64).

Su 1265 domande arrivate per usufruire di questi fondi solo 203 sono state ammesse, e così ripartite:

FAME NEL MONDO:2,52%;

CALAMITA' NATURALI: 25,7%;

ASSISTENZA RIFUGIATI: 8,6%;

CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI: 63,18%, così ripartiti:

a) a favore di proprietà cattoliche 36,46%,

b) a favore di opere civili 26,61%,

c) a favore degli Ebrei 0,105%. (N.B. All'interno di questa voce, l'incidenza delle spese per la chiesa cattolica è del 7,71%, quella per le opere civili del 42,12% e quella per gli Ebrei dello 0,17%).

Comunque la si guardi, la spesa dell'OPM statale a favore di beni della chiesa cattolica (la quale, peraltro, quest'anno prevede di incassare direttamente oltre UN MILIARDO di EURO di OPM!) è sempre superiore a ogni altra singola voce. Per completare il quadro va detto che la chiesa cattolica, per la conservazione dei beni culturali, non spende mai più di un 5-6% del "suo" OPM. Perché, allora, lo Stato ne deve spendere, come quest'anno, il 36,4%?

Questa vera e propria occupazione da parte della chiesa cattolica anche dell'OPM statale non è una novità, ma negli ultimi tre anni si era assistito a un lieve ridimensionamento del fenomeno, che faceva ben sperare. Invece, quest'anno, la clericalizzazione dell'OPM statale è, si direbbe, la nota dominante.

Le assurdità scaturite dalla revisione del Concordato (febbraio 1984), che obbligarono lo Stato a farsi elemosiniere di se stesso per poter garantire alla chiesa cattolica un finanziamento stabile e sicuro, al posto (e più vantaggioso) della vecchia congrua (cioè lo stipendio statale ai parroci cattolici), si ripresentano più acute ed evidenti ogni volta che ci soffermiamo sull'argomento. Una di esse -e forse è la più grave perché, in sostanza, slitta facilmente nell'inganno- è quella della presunta "libera scelta" da parte dei contribuenti. E' bene ripetere che chi non sceglie alcun beneficiario dell'OPM regala la propria quota, in realtà, a tutti i beneficiari (ad eccezione di Valdesi e ADI-Assemblee di Dio in Italia), in proporzione delle scelte espresse dagli altri (art.47 L.222/1985); e siccome la chiesa cattolica è la più gettonata nella minoranza di chi esprime la scelta, a essa viene attribuita la stragrande maggioranza dell'OPM. Due sole cifre a conferma: nel 2002 allo Stato furono attribuiti poco più di 99 milioni di Euro, mentre la chiesa cattolica beneficiò di 908 milioni di Euro, cioè poco meno di 10 volte la quota dello Stato. Di conseguenza chi crede che, non firmando, darà i soldi automaticamente allo Stato ci ripensi, perché così non è. Così come chi sceglie di devolverli allo Stato, è bene che tenga a mente che il 36,46% di quegli specifici soldi andranno comunque alla chiesa cattolica.


Da "Il corriere della sera" del 5 Aprile 2004 dc

Addio società multiculturale

Il progetto Blair per integrare gli immigrati

di Angelo Panebianco

Tony Blair ne ha fatta una delle sue. Ha sferrato un altro attacco al tempio della «correttezza politica», offrendo nuovi argomenti ai suoi tanti denigratori europei ma dando anche conferma, ancora una volta, della sua lungimiranza e delle sue doti di statista. Un uomo a lui vicino, il laburista di origine afro-caraibica Trevor Phillips, presidente della commissione per l'uguaglianza razziale, da sempre in prima linea nelle battaglie a favore degli immigrati, in una intervista al Times, ha attaccato frontalmente il mito della società multiculturale. Phillips ha dichiarato che il multiculturalismo è un'idea sbagliata, che ha fatto fin troppa strada nella società britannica degli ultimi decenni, e che va abbandonata. Essa ha incoraggiato la separazione fra i gruppi alimentando i conflitti etnici. Al multiculturalismo va sostituita, d'ora in poi, un'attiva politica di «integrazione» degli immigrati. Non si può comprendere quanto esplosive siano queste tesi se non si considera il fatto che la società britannica, al pari di altre società anglosassoni, ha fatto negli ultimi decenni molti passi nella direzione del multiculturalismo, ossia della concessione di cosiddetti «diritti collettivi» ai vari gruppi etnici, di ampi riconoscimenti del diritto alla differenza culturale. Oggi che si constata quanto i frutti di quella politica siano avvelenati (lo mostra la radicalizzazione in senso antioccidentale di tanti giovani musulmani britannici) Blair sembra deciso a cambiare. C'è da scommettere che le polemiche saranno feroci, anche perché quello multiculturale è l'ultimo mito in ordine di tempo a cui si sia aggrappata ampia parte dell'intellighenzia occidentale, quella britannica compresa. In Italia su questi temi decisivi si continua a fare confusione. Per esempio, spesso si confonde la multietnicità con il multiculturalismo. Ma la multietnicità è un fatto, dovuto all'immigrazione. Il multiculturalismo, invece, è un progetto. E' il progetto di una società in cui le divisioni culturali che contano siano difese dalla legge e sostenute da politiche coerenti. Blair, per il tramite di Phillips, ha finalmente il coraggio di affermare che quel progetto è incompatibile con i princìpi di una società liberale. Il multiculturalismo è infatti uno dei tanti frutti del relativismo culturale, dell'idea secondo cui tutte le tradizioni culturali, anche quelle che, ad esempio, negano i principi di libertà individuale e di uguaglianza giuridica, debbano trovare rispetto e protezione legale al pari della nostra. Abbandonare il progetto multiculturale non significa certo che si debba imporre agli immigrati di rinunciare a tutte le loro usanze. Si tratta piuttosto di negare protezione legale, e indulgenza culturale, a quelle usanze, e solo a quelle, che risultino incompatibili con i nostri principi liberali. O, che è lo stesso, si tratta di operare perché gli immigrati adattino costumi e credenze in modo tale da renderli coerenti con i princìpi e le regole della nostra convivenza civile. E' stata la minaccia islamista a spingere Blair a un cambiamento di politica. Anche in Italia, su questo, bisogna cominciare ad essere chiari. Ci sono qui da noi musulmani che vogliono integrarsi, che vivono in modo moderno, e compatibile con la vita in Occidente, il loro credo religioso. Essi vanno aiutati in tutti i modi ad inserirsi. C'è però in Italia anche un Islam fondamentalista (purtroppo, si tratta dell'Islam più organizzato) che non accetta il nostro modo di vita. E' l'Islam che non vuole l'integrazione ma il riconoscimento della propria diversità culturale. E' il caso che anche noi si dica in modo netto, come ha cominciato a fare Blair, che non se ne parla proprio.


Dal forum del CICAP contro il plagio (con qualche piccolissimo adattamento, una correzione grammaticale e due nostre note)

Affari magici

di Annalisa Bucchieri ("Polizia Moderna", marzo 2004 dc)

E' un esercito quello degli operatori dell'occulto. Circa 22 mila tra cartomanti, maghi, chiaroveggenti, guaritori, esorcisti a disposizione degli oltre 10 milioni di italiani che ogni anno aprono il cuore e il portafogli al mondo esoterico, per un volume d'affari che supera i 5 miliardi di euro dei quali il 97 per cento è esentasse, o meglio, è il caso di dirlo, "occultato" al fisco. A giudicare dalle cifre del rapporto annuale sull'argomento stilato dal Telefono Antiplagio, un'associazione no profit fondata nel 1994 da Giovanni Panunzio, la magia è prima di tutto un grosso e appetibile affare al quale nessuno vuole rinunciare nonostante il mestiere di ciarlatano, ovvero qualsiasi attività diretta a speculare sulla credulità altrui, sia vietato dalla legge, secondo l'articolo 121, ultimo comma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

IL MISTERO ARRICCHISCE

Per una "fattura" si possono spendere 2.000 euro, per una "legatura d'amore" fino a 4.000. Eppure all'ingrosso i prezzi sono molto più accessibili. Ad esempio, un chilo di incenso contro il malocchio costa solamente 18 euro, mentre il kit per un rito qualunque costa mediamente 50 euro. Ciò che fa salire il prezzo delle prestazioni sono le "energie soprannaturali", in grado di guarire da ogni maleficio, che il mago di turno dichiara di possedere. Anche se finora nessuno e stato in grado, sotto scientifico controllo, di dare dimostrazione di almeno uno di questi fantomatici poteri. Si tratta nella maggior parte dei casi di truffe in piena regola, alle quali difficilmente segue una denuncia da parte della vittima che spesso si vergogna di ammettere la propria ingenuità. Un fenomeno sommerso di cui i fatti di cronaca che talvolta giungono alla ribalta, sono solamente la punta dell'iceberg.

UNA PIAGA SOCIALE NASCOSTA

Far emergere questo sottobosco è una delle battaglie della Federconsumatori, condotta dal suo affiliato Francesco Castellotti: "Gli arresti di Mamma Ebe e del Mago della Sfinge, come i servizi di Striscia la notizia, spero portino tutti a far riflettere sulla vera natura della magia: non è un fenomeno di folclore ma una vera e propria piaga sociale che porta, in casi estremi, a commettere gravi reati. E come se non bastasse il mondo della magia si rivolge ora anche agli adolescenti con pubblicazioni specializzate e interventi mirati sui mezzi di comunicazione, quasi a voler coltivare una nuova generazione di utenti".

EFFETTI "MEDIATICI"

Rincara la dose Panunzio: "Ormai i maghi si sono accaparrati innumerevoli spazi mediatici per alimentare il proprio giro d'affari. Le loro pubblicità si trovano non solo su riviste di settore ma anche su quotidiani e periodici, radio, servizi telefonici a pagamento, Internet e soprattutto televisioni". Ma proprio secondo il rapporto solo settemila dei circa 22mila operatori dell'occulto sono reclamizzati. Gli altri sfruttano il tam-tam delle conoscenze per acquisire nuovi clienti. Perché allora criminalizzare i mass media che ospitano questi soggetti? Risponde Panunzio: "Non era pericoloso quello che diceva Wanna Marchi mentre andava in onda, quanto quello che brigava quando contattava i suoi clienti in separata sede. Però, il piccolo schermo le permetteva il primo adescamento". Si unisce al coro Massimo Polidoro, segretario del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni Paranormali: "Oggi la tv è la cassa di risonanza per eccellenza, un mago sul piccolo schermo acquista immediatamente una patina di credibilità. Si incentiva così il ricorso all'irrazionale tra gli spettatori".

COSA DICE LA LEGGE

Sebbene un decreto-legge del '94 abbia stabilito pene più severe per le truffe dell'occulto, rimane il fatto che il reato di plagio è stato derubricato dal codice penale. Troppa tolleranza a detta di molti. Ma forse indurire la legge serve fino a un certo punto. Il problema va affrontato alla radice, domandandosi perché sempre più persone scelgono la fuga verso l'irrazionale nei momenti in cui il loro assetto emotivo è critico.

IDENTIKIT DEL CLIENTE.

La credulità non dipende dal fattore culturale in senso stretto. Non è scontato che il cliente che paga per guardare nella palla di vetro sia una persona semplice e poco informata. Ci sono esempi di personaggi in vista, non ultimo l'allenatore di calcio Liedholm che accompagnò i suoi giocatori da un guaritore di Busto Arsizio e per anni ha disegnato tattiche in campo basandosi su consigli astrologici (Nostra nota: e l'allenatore della nazionale italiana di calcio Trapattoni che manipola una bottiglietta con acqua "benedetta"). In testa alle regioni con più alto tasso di magia c'è, a sorpresa, la Lombardia con 2.500 operatori esoterici, e circa 180 mila clienti. I nuovi maghi battono le zone della ricchezza ad alta densità di popolazione, dove è più facile trovare clientela facoltosa. Quindi va sfatato il luogo comune che i meridionali siano più soggetti al fenomeno (Nostra nota: già, certo, nel settentrione ci sono SOLO settentrionali, no?). Si tratta di uno status psicologico più che culturale. Secondo la psicoterapia, spiega Gianni Lanari, responsabile del CISP (Centro Italiano di Soccorso Psicologico) queste persone plagiate dagli stregoni del nuovo millennio usano una categoria di pensiero disfunzionale, chiamata "fallacia di controllo". Cioè pensano che tutto ciò che gli succede loro non dipenda da loro ma da fattori esterni. Non sono responsabili né possono gestire o modificare l'andamento della propria vita. Quindi nei momenti di difficoltà o di disgrazia l'unica soluzione da ricercare è quella soprannaturale. Nella maggior parte dei casi il rituale magico o la fattura antimalocchio soddisfano il cliente. Sortiscono un effetto placebo: tendo a sentirmi meglio dopo che mi sono rivolto al mago solo per il fatto di essere convinto di aver intrapreso la strada giusta". Diversa la situazione di chi, afflitto da malattie gravi, si rivolge in extremis al guaritore o chi, incapace di accettare un lutto, cerca la medium psicofona che lo faccia parlare con il caro estinto. Queste persone possono essere state fino ad allora in grado di affrontare con le proprie risorse e la propria energia la vita, ma gli eventi estremi della morte e della malattia le hanno ridotte a una temporanea impotenza, di cui si approfittano gli "sciamani", mentre invece le vittime potrebbero trovare un valido aiuto nello studio dello psicologo. Ma è un'alternativa che non si prende frequentemente in considerazione. Costa troppa fatica e non garantisce soluzioni veloci. "Noi non diamo risposte immediate. Portiamo la persona a trovarle in sé - spiega Gianni Lanari - non indichiamo scorciatoie, avvertiamo piuttosto che il percorso psicoterapico sarà lungo e richiederà il massimo impegno". É un metodo che contrasta con la fretta che affligge la nostra società. Ad azzardare una lettura storica del problema è Benedetta Barbanti, psicologa clinica: "Oggigiorno non siamo più allenati a sopportare il dolore e a essere pazienti, tutto si deve risolvere nel più breve tempo possibile. La magia viene vista come il pronto soccorso della nostra anima in ambasce". Mentre poi, lungi dal chiudere l'emergenza in quattro e quattro otto si cade nella dipendenza dei cialtroni

.. E DEL MAGO DEL TERZO MILLENNIO

«E' successo a una mia paziente - racconta la Barbanti - che per dieci anni e stata succube di un profeta di metodi orientali. Le toglieva l'energia negativa con il sesso. Il millantatore in questione non aveva apparentemente nulla di familiare con la figura colorita di un indovino o cartomante. Ma si presentava come un profeta new age della medicina alternativa". I nuovi maghi sono ben lontani dall'imbonitore di piazza di paese, dalla fattucchiera di famiglia che leva il malocchio. Non si limitano a colpire la fantasia popolare, ma mettono in campo strategie psicologiche molto affinate. "Osservando quelli che parlano in televisione si capisce che se ne intendono di caratteristiche della personalità - continua la psicologa - utilizzano domande chiave, mirate ma molto soft: età della persona che ha chiamato e l'età della persona in causa, lavoro, il motivo della richiesta, se lo ha già visto in tv. Si fanno un quadro della situazione ma restano vaghi, non si espongono finché attraverso una carta che indica pericolo non provocano un commento della persona che ha chiamato. E da lì è tutto in discesa". Ormai gli stregoni del terzo millennio hanno conquistato il palcoscenico delle grandi città. A Milano sono 1.600: più numerosi degli psicologi e fatturano il doppio.

COSA FARE?

Ma gli psicoterapeuti non sono rimasti a guardare e hanno messo in campo una serie di iniziative sulla prevenzione. Tra le quali: la Settimana della prevenzione psicologica (www.prevenzione-psicologica.it), organizzata dal CISP nel mese di marzo, che offre la consultazione gratuita di 300 esperti in tutta Italia, per diffondere la cultura del benessere psicologico. D'altro canto sportelli virtuali d'informazione ai cittadini iniziano a moltiplicarsi sulla scia del Telefono Antiplagio. Creare un numero amico è utile soprattutto perché la gente truffata dal mago difficilmente ha il coraggio di dichiarare la propria ingenuità o di smascherare completamente una persona di cui ha subito il carisma. Attraverso una telefonata può invece mantenere l'anonimato e al tempo stesso sfogarsi. Federconsumatori è molto sensibile al problema. E ha lanciato recentemente Allarme Ciarlatani, un progetto articolato di tutela dai raggiri dei maghi. Si avvale di un telefono e una casella di posta elettronica (allarme.ciarlatani@libero.it), più una rete di sportelli in tutta Italia, nelle sedi dell'associazione, a disposizione delle segnalazioni dei cittadini. "Cerchiamo di dare consigli su come ottenere risarcimento dai danni economici. Ma soprattutto puntiamo sulla prevenzione attraverso progetti di comunicazione - dice Francesco Castellotti, a capo del servizio Allarme Ciarlatani e autore fra l'altro di "Attenti al mago", un manualetto di autodifesa a uso dei consumatori - facciamo campagne di informazione realizzate con l'aiuto di scienziati e illusionisti. Spesso infatti i furbastri dell'occulto utilizzano trucchetti che solamente un bravo illusionista sa cogliere.

Ebe e la Sfinge

di Giorgio Silvi (Polizia Moderna, marzo 2004 dc)

L'esercizio della magia ha portato in Italia a commettere gravi reati. I due casi risolti dalla Polizia di Stato, di cui si parla di seguito, vanno oltre la truffa semplice. Nel primo la ciarlatana invece della tunica esoterica veste un camice bianco-mistico e somministra, senza alcuna autorizzazione, nella sua clinica, intrugli che attentano all'integrità fisica, incorrendo così nell'esercizio abusivo della professione medica e nell'associazione per delinquere. Nel secondo la magia viene utilizzata per ottenere prestazioni sessuali dalle clienti, plagiate e umiliate. Un danno che va ben oltre quello economico.

MAMMA EBE, SANTE SEVIZIE

Ebe Gigliola Giorgini, in arte Mamma Ebe, è una vecchia conoscenza per il dirigente del commissariato di Cesena, Oreste Capocasa. L'arrestò la prima volta nel 2002 dopo una lunga indagine partita da una lettera anonima, scritta da una delle pseudosuorine pentite che lei stessa ordinava come ancelle del Signore. Aveva anche allestito una chiesetta dedicata a Padre Pio vicino al suo gabinetto paramedico. Il meccanismo di confondere patente di santità e principi religiosi con poteri da guaritrice era ben oliato. Farmaco e misticismo erano le sue armi. Con gli antidepressivi prescritti da un medico complice creava dipendenza e assoggettamento delle persone che si rivolgevano a lei chiedendo di essere esorcizzate dal Male. Inviava angeli a risolvere problemi casalinghi con tariffe da 25 euro l'ora. I suoi poteri soprannaturali venivano dimostrati con il cambiamento del colore degli occhi, se erano diventati verdi aveva visto Dio, azzurri la Madonna, e così via. Sceneggiate in cui sanguinava e riceveva finte stigmate la rendevano ancora più santa e buona agli occhi dei suoi clienti. Uscita di galera, Mamma Ebe si era spostata dall'Emilia in Toscana, nella sua casa vicino Pistoia, dove ricostruì esattamente tutto il diabolico meccanismo di prima. Aggiungendo alle pratiche mediche quella dell'agopuntura. Infilava senza nessuna igiene e cognizione anatomica spilloni ovunque. Ai genitali per la sterilità, nel cuoio capelluto per la calvizie, nel collo per i dolori cervicali. In maniera direttamente proporzionale aumentavano gli indemoniati e il conto in banca della Giorgini. Ma Oreste Capocasa che l'ha incastrata la prima volta ha continuato a seguire le sue gesta: "Dagli appostamenti all'abitazione siamo riusciti a verificare una media di 30 clienti al giorno per 30/50 euro a visita o applicazione. Grazie a uno stratagemma siamo riusciti a nascondere delle cimici nella villa e a intercettare le conversazioni che l'hanno inchiodata davanti ai giudici". Ora i capi d'imputazione che gravano sulla sua testa sono così gravi che è difficile che possa tornare presto in circolazione. Ma sconfiggere il reato è meno difficile che sconfiggere la creduloneria: "Trovo sorprendente - dice Capocasa - che dopo le rivelazioni delle indagini Mamma Ebe continui ad avere seguaci. La moglie di un professionista viene sempre a dirmi che ho perseguitato una santa".

LA SFINGE, L'UNICO ENIGMA ERA IL SESSO

Oscar Ghetti, dirigente della squadra mobile di Forlì, racconta del Mago della Sfinge da lui arrestato e recentemente condannato a 10 anni di reclusione: "Quasi altrettanti ne ha passati costringendo a scambi di coppia e prestazioni erotiche di ogni genere le clienti e facendo abusi su ragazze minorenni a partire dalla sua nipotina di 14 anni. Il rito sexualis a cui sottoponeva le sue vittime doveva servire a cacciare il male che albergava in loro. La sua patina esotico-egiziana, rafforzata dalla presenza della sacerdotessa Nefertiti, una sua adepta-aiutante che faceva da collettore con la clientela, era mescolata a pretese mistico-cattoliche: dichiarava che il Padreterno era entrato in lui donandogli poteri spirituali del Bene". Chi era realmente il Mago della Sfinge? Un perverso innanzitutto. Due denunce precedenti per atti osceni e di libidine nei confronti di minori ne denotano la vocazione all'abuso sessuale. La sua scarsa cultura non gli ha impedito d'inventarsi il teatrino magico per plagiare ai suoi sogni le clienti, tutte giovani e carine. Ve ne sono molti di questi sedicenti maghi che pretendono pagamenti in natura, invece o in aggiunta del denaro. "Fu un amico della ragazza vittima a fare la segnalazione - ricorda Ghetti - poi una poliziotta del mio team con molta pazienza e delicatezza ha fatto parlare la ragazza. Non è facile denunciare o raccontare certe situazioni: la vergogna, la mortificazione e la debolezza che ha portato queste persone a rivolgersi a un mago rende loro impossibile prendere coscienza del sopruso subito". Per questa giovane donna ci sono voluti quasi dieci anni e la fortuna di incontrare sulla sua strada una squadra di poliziotti molto attenti.


Dal sito de "la Repubblica" http://www.repubblica.it una notizia del 24 Marzo 2004 dc

A giudizio il riferimento religioso nel giuramento alla nazione. Si discute sull'eventuale violazione del primo emendamento 

Usa, la Corte decide su Dio

di Vanna Vannuccini

NEW YORK - Ogni mattina che Dio manda in terra in America gli scolari delle elementari, non appena entrano in classe, ascoltano la voce del preside trasmessa attraverso gli altoparlanti. Insieme, bambini preside e insegnanti pronunciano il giuramento alla bandiera con la mano sul cuore: "Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d'America e ai valori che rappresenta, una nazione sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti". Segue un minuto di silenzio in cui tutti restano immobili.

Il rito si ripete ogni giorno per ogni anno di scuola nella vita di tutti gli americani. Esattamente da 112 anni, da quando un pastore di idee socialiste, Francis Bellamy, pubblicò nel 1892 il "Pledge of Allegiance", il giuramento di fedeltà, nel suo giornaletto per bambini. Pochi mesi dopo il giuramento fece il suo debutto nelle scuole sotto il presidente Benjamin Harrison. Da allora è stato leggermente modificato un paio di volte. Ma la modifica principale fu fatta nel 1954: un'associazione cattolica, i cavalieri di Colombo (Knights of Columbus), chiese di aggiungere accanto alla nazione le parole "under God", sotto Dio. Si trattava di distinguere, argomentò, il giuramento di fedeltà americano da altri pronunciati da "comunisti senza Dio". L'America attraversava anche allora una crisi, una guerra atomica sembrava imminente e il presidente Eisenhower chiese al Congresso di aggiungere le due parole.

Cinquant'anni dopo, queste vengono contestate di fronte alla Corte Suprema. La Corte si riunirà stamani e come sempre i giudici apriranno l'udienza in piedi, con il capo chino, e ascolteranno le parole di prammatica: "Dio salvi gli Stati Uniti e questa onorevole Corte". Subito dopo dovranno decidere se la menzione di Dio che le scuole richiedono agli insegnanti di pronunciare ogni mattina non violi il venerato First Amendment della Costituzione. Se così fosse, quale sarebbe il destino dei tanti riferimenti religiosi contenuti nelle cerimonie civili americane, come appunto le parole con cui la Corte Suprema inizia le sue sessioni? 

Il caso è stato provocato dal ricorso in appello di una scuola californiana contro la sentenza esplosiva pronunciata nel giugno 2002 da una corte d'appello di San Francisco, che viene considerata la più liberal degli Stati Uniti. La Corte di San Francisco sentenziò che le parole "under God" equivalgono a un'esplicita professione di religione e sono pertanto incostituzionali. Dette così ragione a un medico e avvocato californiano, Michael Newdow, che si definisce ateo il quale non vuole che la figlia di nove anni sia costretta ogni mattina a reiterare devozione a Dio. 

Prima di tutto la Corte dovrà stabilire che cosa significhi veramente giurare fedeltà a "una nazione sotto Dio". Significa implicare che Dio esiste, "un dogma religioso che il governo non dovrebbe sponsorizzare nella scuola pubblica", come afferma Michael Newdow? Secondo l'amministrazione, che difende le due parole, pronunciarle non equivale a una professione di fede religiosa bensì di patriottismo. I garbugli della vicenda sono infiniti e intensamente controversi. La faccenda è ulteriormente complicata dal fatto che è in corso un'aspra battaglia legale tra il padre e la madre della bambina. La madre, che si definisce "una cristiana rinata" che ha ritrovato la fede dopo un breve sbandamento (causa non secondaria, afferma, del suo incontro con il medico californiano), sostiene che il padre non aveva diritto di presentare la causa perché non aveva a quel momento l'affidamento della figlia. Se la Corte vuole uscire d'impaccio senza deliberare una sentenza così ardua, basterà che stabilisca che in effetti il medico californiano non aveva titolo per parlare a nome della figlia.


Da "Libero" del  18/03/04 dc:

Il CNEL vuole dare il patentino ai maghi

di Nicola Apollonio

Il Centro italiano delle discipline astrologiche (nostra nota: le sigle e le iniziali della sigla estesa le preferiamo in MAIUSCOLO! Ci pensiamo noi a correggere...) inserito tra le associazioni con un albo privato-Guai a chiamarli maghi. E hanno ragione. L'astrologia è una materia seria, profonda e appassionante, bisogna sapere di scienza e di religione, di matematica e di medicina, di filosofia e d'arte. Mica roba da ridere. Tanto che il CNEL, il Comitato Nazionale dell'Economia e del Lavoro, sta pensando di fare dell'astrologia una vera "professione", con interlocutori adatti a garantire serietà e preparazione. Un discorso che ha preso piede da quando il CIDA (Centro Italiano delle Discipline Astrologiche) è stato ufficialmente inserito tra le associazioni non regolamentate ma che usufruiscono di un albo privato. Insomma, l'astrologo con in tasca il certificato CIDA -stando agli orientamenti del CNEL - potrebbe trovarsi inquadrato tra coloro che esercitano un'attività in ambito socio-sanitario. A meno che non si preferisca rimanere confinati nel settore delle arti e mestieri. Certo è, comunque, che l'astrologia è diventata l'ultima grande passione dei leccesi. In centinaia affollano corsi e seminari che si tengono in città, e non certo per poter leggere nella palla di vetro che cosa accadrà alle prossime elezioni provinciali, se vincerà la destra o la sinistra, come andrà a finire per i 73 indagati dalla procura della Repubblica per i prodotti della Banca 121, se il Lecce resterà in serie A e chi occuperà il posto di presidente del consiglio comunale rimasto vuoto dopo le dimissioni del forzista Stefano Ciardo messo alle corde per aver speso quasi 4.000 euro in tre giorni, poi addebitati alle casse comunali. I leccesi che aspirano a diventare astrologi seguono i corsi e i seminari di July Ferrari, funzionaria della Regione col pallino del simbolismo dell'oroscopo sin da quando era una ragazza, per cercare di penetrare quei misteri che ti aprono la mente e ti liberano lo spirito. Una mania che sta contagiando professionisti e gente comune. Casalinghe, psicologi, avvocati, studenti universitari, studiosi di scienze naturali. E un'ispettrice dell'orchestra sinfonica: «Mi piace dire che l'astrologia, per me, è qual una persona con cui t'intendi al volo su questioni profonde». Una sensazione che molti sentono ora il bisogno di comunicare. Pur sapendo che altri spiriti ben più famosi hanno compiuto per primi questo cammino verso la conoscenza. Leonardo da Vinci, Pitagora, Federico II di Svevia. Ovviamente, c'è pure chi ci gioca, chi chiede di sapere dall'animatrice degli happening domenicali salentini qualche previsione su come andrà a finire con l'ultimo amore trovato in discoteca, o con le stragi di Al Qaeda, o con il braccio di ferro tra sinistra moderata e sinistra girotondina. Ma July Ferrari, che tra l'altro si occupa di cultura astrologica anche in un programma della tv locale Tele Rama, non si scompone: «Il nostro è un approccio molto serio alla materia. Per questo siamo stati in grado di ottenere l'apertura di una sede CIDA a Lecce». E per questo la funzionaria della Regione sarà anche uno dei relatori al quarto convegno astrologico di Torino, il 5 giugno prossimo. Certo, lo studio dell'astrologia non è quello che molti frequentatori dei corsi pensano essere al momento dell'iscrizione, cioè un ciclo di lezioni di "infarinatura": si tratta, invece, di scoprire e approfondire diverse materie come l'astronomia, la mitologia, il simbolismo, la psicologia. Altrimenti, che astrologi sarebbero? E che senso avrebbe la benedizione del CNEL a questa prima scuola-pilota italiana per la formazione dei "soci certificati"? Tutti pazzi per le stelle. Ma con l'obiettivo di farne una professione.

.....

Ma vi rendete conto?


Su Libero.it, nelle news del 16/2/04 dc, la notizia è riportata così:

"Ora di religione? No, di ateismo"

Una proposta del governo inglese per la scuola pubblica

GB: a scuola anche corsi di ateismo

Proposta Governo per adeguarsi a declino fedi tradizionali

(ANSA) -LONDRA, 16 FEB- L'ateismo potrebbe diventare materia di studio nelle scuole britanniche. Lo propone l'autorità del governo che regola i piani di studio. In una società in cui sempre più persone si professano atee o agnostiche, sostiene la Qualification and Curriculum Authority,i bambini dovrebbero imparare - oltre alle religioni tradizionali- anche i principi alla base dei credi non religiosi. Bisognerebbe inoltre sensibilizzarli a problematiche etiche come il razzismo e la tolleranza verso le minoranze.


Dicembre 2003 dc circa:

Col consenso della redazione pubblichiamo questo interessante scritto ricevuto in e-mail da www.rivisitaindipendenza.org

Un invito a prendere la parola

 

-per chi vuole riflettere, confrontarsi, ricercare un percorso…-

 

Premessa: la guerriglia irachena imprime un salto qualitativo, quantitativo e geografico nei suoi attacchi. Lo riconosce il Pentagono, che ammette una media –nella seconda quindicina di ottobre– di 36 attacchi quotidiani (una media in continua crescita rispetto alle scorse settimane), ormai diffusi nel paese. Numerosi giornalisti ed osservatori sul campo stimano la media quotidiana degli attacchi ad un centinaio ed assicurano che gli Stati Uniti minimizzano le proprie perdite militari. In Iraq, a ben vedere, si sta ‘giocando’ una partita di portata enorme, ‘globale’, solo per cominciare in funzione anti-imperialista. Per un possibile rivoluzionamento dei rapporti capitalistici interni non c’è alternativa alla rivendicazione di indipendenza e di sovranità nazionale.

 

Intermezzo: Iraq, Palestina, Bolivia, Venezuela, eccetera. Epicentri, in forme diverse, della resistenza all'imperialismo su basi nazionali a fungere da detonatori. Negli scenari del XXI secolo, per necessarie ed ineludibili ragioni di millenarie emancipazioni, le lotte di liberazione nazionale si affermano come terreno di resistenza collettiva senza uguali, una possibile Apocalisse per il Padrone (USA in primis, senza trascurare i padroni/subalterni agli USA). Le ragioni delle varie resistenze nazionali sono da considerarsi legittimate dall'essere funzionali -in quanto tali e se coerentemente tali- a prospettive di liberazione sociale, terreno preliminare e possibile alla messa in discussione dei vincoli capitalistici interni. Morale dell’intermezzo: non c’è anti-imperialismo senza resistenza nazionale; ma non c’è liberazione nazionale effettiva senza liberazione delle classi subalterne.

 

Invito: lo scritto che segue, ridotto rispetto all’originale (pubblicato sul n.14 di “Indipendenza”), è stato scritto a ridosso della cessazione formalizzata da Bush delle “grandi operazioni” di guerra. Il testo vale come proposta di interlocuzione. Saluti

 

NUOVE PROSPETTIVE STRATEGICHE

-scenario, ipotesi e percorso, dopo la guerra d’aggressione all’Iraq-

 

Il messaggio inequivocabile che sale dalle macerie delle tante città irachene sottoposte ai bombardamenti e ai missili anglo/statunitensi, intriso del sapore ripugnante dei corpi in putrefazione dei tanti senza nome e dei tanti senza volti, migliaia di uomini e di donne, resistenti civili e militari iracheni, è un messaggio che si chiama fierezza, irriducibilità alla sottomissione. Un messaggio di resistenza, che ha opposto corpi allo strapotere militare e tecnologico degli invasori, e che non termina con la formale fine della guerra d’aggressione subita. La determinazione combattente ha sbugiardato le manipolazioni, le falsificazioni della propaganda degli aggressori e dei suoi terminali servili disseminati sul pianeta. (…) Non c’è dittatura che possa imporre la resistenza, costringere a combattere, infondere determinazione contro un nemico esageratamente più potente. Senz’altro lo può quell’atavico legame di amore e di difesa della propria terra.

Ma che mondo esce dall’ennesima mattanza a guida statunitense, stavolta in terra d’Iraq? (…)

 

LA FUNZIONE DELL’ONU

 

Contrariamente a convinzioni diffuse, con questa guerra Washington non supera la NATO né scioglie l’ONU. La NATO è destinata sempre più ad essere coinvolta in interventi logistico/militari fuori area, come braccio militare integrato della politica estera statunitense. Quanto all’ONU, il discredito di questo organismo, succedaneo alla Società delle Nazioni, non è di oggi, ma di lunga data e nasce dalla discrezionalità del proprio operato. (…) Ogni decisione dell’ONU è espressione del rapporto di forza tra alcuni Stati del Consiglio di Sicurezza. Riflesso per lo più del fronte dei vincitori scaturito dal secondo conflitto mondiale, gli atti dell’ONU sono stati, fino grossomodo al 1991, la risultante del con/dominio conflittuale USA/URSS. La rarefazione ad uno, cioè gli Stati Uniti, dell’esercizio indiscusso del potere militare e tecnologico, e della legittimità esclusiva –autoconferitasi– a decidere in stato d’eccezione, ha mandato a gambe all’aria quell’assetto in maniera progressiva. (…)

È interesse di Washington mantenere questo riferimento sovranazionale, percepito (erroneamente) come al di sopra delle parti, per più ragioni: 1. è strumento di pressione formidabile e di penetrazione culturale e logistica cui ricorrere all’occorrenza con Stati riottosi; 2. lo si utilizza, in termini di risorse, impegni e rischi quando si tratta del lavoro di manovalanza da far svolgere ad altri nei paesi conquistati; 3. è un terreno di verifica dove saggiare l’affidabilità degli Stati vassalli da tenere impegnati sul piano finanziario nella ricostruzione del paese aggredito, distogliendo peraltro le loro risorse dalla competizione intercapitalistica, a tutto vantaggio in ultima istanza del capitalismo statunitense.

(…) Con l’abbandono di Baghdad da parte di Saddam Hussein e la formale fine della guerra, gli USA impongono all’ONU il ritiro delle sanzioni, senza che quelle armi siano state trovate. L’ONU si adegua, legittima così l’aggressione e sana per conto di Washington un atto di patente illegalità internazionale. (…)

 

INDIRIZZI STRATEGICI USA

 

Se le guerre di aggressione nel Kosovo (1999) e in Afghanistan (2001) sono state scatenate grazie ad un’accorta regìa di preparazione sul terreno e massmediatica sulle cosiddette opinioni pubbliche, dissimulando le ragioni strategiche di fondo, l’aggressione all’Iraq (2003) segna indubitabilmente una discontinuità formale forte, inequivocabile, dirompente. L’aver puntato i piedi, per quel che è stato loro possibile, di Parigi, Bonn, Mosca, Pechino non è certo conseguenza di un’improvvisa folgorazione per la cosiddetta legalità internazionale. Non si tratta di un sussulto di nobile disinteresse: semplicemente la Casa Bianca, sempre più sfacciatamente, spinge per una riscrittura a proprio esclusivo vantaggio della mappa geografica, partendo dalle retrovie, con effetti di riflesso sugli interessi dei paesi industrializzati del mondo e di quelli percepiti come potenziali insidiosi antagonisti.

Il fine della Casa Bianca non è solo quello di ridisegnare tutta la mappa regionale dell’area arabo/centroasiatica, ma soprattutto di arrivare nelle migliori condizioni possibili all’obiettivo strategico del conflitto con possibili potenze (Russia, India, soprattutto Cina) percepite come nemici ben più corposi di paesi militarmente deboli come Jugoslavia, Afghanistan, Iraq. La Casa Bianca (poco importa se a conduzione ‘democratica’ o ‘repubblicana’) intende giungerci lungo una politica di ingerenza a tutto campo negli scacchieri più significativi del pianeta. Non solo militare peraltro. Quel che caratterizza la dirigenza statunitense è il suo messianesimo puritano e l’idea di un’investitura divina volta al compimento di una propria eterna missione civilizzatrice nel mondo. Questa dirigenza non intende conservare un bel niente, ma mutare l’assetto geopolitico internazionale con una visione strategica dei futuri e ben più consistenti conflitti che la contrapporranno per l’egemonia mondiale (delle risorse, dei mercati, ecc.). Dimostrando con questo –i vertici politico/militari di qualunque amministrazione statunitense– maggiore lungimiranza e visione d’insieme dei capitani d’industria nell’anticipare scenari, nel predisporre le condizioni, nel tutelare gli interessi economici delle proprie principali compagnie in tutto il mondo.

Per questo anche le bombe su Baghdad hanno avuto come reali obiettivi Pechino, Mosca, Parigi. La guerra in Iraq ha significato anche acquisizione di basi che, oltre che mezzo, sono per gli Stati Uniti obiettivo strategico di queste guerre, dal momento che il controllo delle risorse, il riassetto geopolitico di determinate aree, anche a fini di contrasto di una concorrenza economica, non potrebbero essere realizzati senza disporre di soldati o basi da lasciare sul terreno. Le basi, peraltro, risultato delle guerre passate, sono un trampolino per quelle future. Chi ha auspicato la fine rapida del conflitto in Iraq, ignora che questa è solo una tappa di quel conflitto prolungato che si dispiegherà, come ha detto l’amministrazione statunitense, per almeno una generazione.

 

Dopo l’Iraq gli Stati Uniti non si possono fermare. Volendo stabilizzare alle proprie condizioni la regione mediorientale nel breve-medio periodo il nuovo nemico si chiama Iran. Ma, attenzione, si tratta sì di un obiettivo strategico da tempo perseguito, ma pur sempre intermedio. Interno ancora alla cosiddetta fase della guerra al terrorismo che, secondo il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, sarà lunga e dura, ma alla quale –e questo è il cuore del problema– non seguirà la pace, sostiene sempre Rumsfeld, ma un’altra fase ancora più dura contro “un numero doppio di nazioni nucleari, molte delle quali saranno nazioni terroristiche”. In questa prospettiva le crescenti spese militari dell’amministrazione statunitense mirano ad allargare irreversibilmente la forbice tecnologico/militare con qualunque possibile altro antagonista. Ad includere il controllo satellitare dello spazio, integrato nel progetto di scudo stellare. Con il che si riducono ai minimi termini o forse si chiudono del tutto le possibilità che un qualsiasi Stato od anche una coalizione di Stati possa sfidare sul terreno militare gli Stati Uniti. È questa la visione strategica su cui si muove Washington. Privare della sua forza di deterrenza qualsiasi arma nucleare o di analogo impatto in mano altrui.

 

SCENARIO CHIUSO?

 

Qui, però, si configura il nodo decisivo per comprendere le future dinamiche dei diversi Stati nello scenario mondiale. Il capitalismo è basato sulla competizione e sul conflitto per l’ampliamento delle proprie quote di mercato e delle possibilità di utilizzo delle risorse. Questo conflitto non viene però condotto solamente nella sfera economica, ma coinvolge tutte le altre sfere della formazione sociale capitalistica, a cominciare da quella politica. L’ampliamento delle quote di mercato necessita dell’allargamento delle sfere d’influenza geopolitiche da parte del proprio Stato di riferimento.

L’invasività degli Stati Uniti sta dunque mettendo sempre più con le spalle al muro gli Stati concorrenti, che si troveranno prima o poi ad un bivio: sottomettersi o reagire. Ma reagire equivarrà per Washington ad una dichiarazione di guerra. Ora, perché questa reazione abbia una prospettiva, occorrerebbe mettere in moto processi di natura politica, economico/finanziaria, militare, che, rimanendo ad esempio in questa parte di mondo, rompano con le dinamiche dell’Unione Europea. Lo spazio non ci consente un’analisi circostanziata sui perché (culturali, politici, geopolitici, economici, sociali) del rifiuto di una qualsiasi accezione di Europa che sarebbe inevitabile sbocco servile o autoritario. Ci limitiamo solamente a constatare, rispetto a quel che si sta prefigurando, che se l’Unione Europea parlerà ad una sola voce, a maggioranza, le posizioni saranno ancor più smaccatamente filostatunitensi. Non a caso gli USA hanno sponsorizzato l’ingresso delle loro nuove colonie dell’est europeo e spingono per far entrare ancora altri membri, tra i quali Turchia ed Israele. Se a questo colleghiamo i vincolanti parametri del Patto di Stabilità ed il meccanismo politico/militare della NATO, pensato per far agire gli Stati membri tutti congiuntamente sotto supervisione degli Stati Uniti, rendendo dunque fattivamente difficile la possibilità di uno sganciamento statuale e di un parallelo autonomo apparato di difesa, emerge da sé l’interesse statunitense a questo progetto di allargamento europeo, alimentato dalla nascita, favorito nel suo prosieguo e sostenuto nella sua dinamica espansiva, al fine della riduzione ad uno di interlocutori statuali mantenuti subalterni.

 

Volendo generalizzare, ben oltre quindi l’Unione Europea, e pur restando in ambito capitalistico, ci sono due interrogativi da porsi: esistono allo stato, dando inequivocabili segnali di classe per sé, forze economiche e ceti politici, allocati statualmente, che, in un qualche paese significativo tra quelli a capitalismo avanzato, spingano per l’affrancamento dagli Stati Uniti? E ancora: ci sono il tempo, le condizioni e le prospettive di riuscita per un polo di Stati che converga su intese ed alleanze tradizionali anche a termine, tanto quanto basti, cioè, a ridiscutere l’egemonia statunitense, tenendo peraltro conto che non ci si muoverebbe in condizioni di vuoto pneumatico, con il nulla osta, cioè, e l’indifferenza dell’imperialismo dominante?

Guardando al decennio intercorso dall’implosione nel 1991 dell’Unione Sovietica, soprattutto agli ultimi 5 anni, con tre guerre di natura strategica scatenate dagli Stati Uniti, e sulla base del ragionamento sin qui svolto, riteniamo che i margini di manovra si siano fatti, a voler essere eufemistici, molto stretti e che ci si debba preparare ad uno scenario bloccato. Alle due domande sopra formulate, risponderemmo quindi negativamente. Non escludiamo reazioni in ambito capitalistico statuale. Temiamo che ricordino l’agitarsi del naufrago prima dell’annegamento.

 

UN PERCORSO NECESSARIO

 

Imperialismo USA per l’eternità, quindi? Non è detto. Ma bisognerà prepararsi ad un cambio radicale di prospettiva, quando e se si prenderà atto che è fattivamente impossibile contrastare gli Stati Uniti sul loro stesso terreno tecnologico/militare e che non sarà un forse fantomatico conflitto interimperialista a sbloccare la situazione, offrendo opportunità per i dominati e gli oppressi, come sembrò avvenire una sola volta nella Storia, in Russia, nell’ottobre 1917. Il dominio incontrastato sul terreno militare può infondere un senso di onnipotenza per chi lo esercita. Ma il punto di forza o, viceversa, di debolezza di tutti gli imperi che si sono succeduti nella Storia, si è sempre giocato sulla capacità di conquistare o meno il consenso politico dei dominati, di conquistarne “i cuori e le menti”, di trarre vantaggi economici dall’inclusione subalterna di Stati diversamente posizionati nella divisione internazionale della produzione. Ogni qual volta questo meccanismo si è inceppato, si è innescata la loro decadenza. La parola chiave è quindi: coinvolgimento. Qui si giocherà la partita. E non solo nelle retrovie dei paesi economicamente arretrati, ma soprattutto all’interno degli stessi paesi a capitalismo avanzato. Creare quindi problemi nelle ‘periferie’, nelle realtà nazionali degli Stati subalterni, condizionare e spingere per un corto circuito se non per uno sganciamento dei ruoli di supporto, potrà effettivamente configurarsi come il modo più efficace per contrastare sul serio e pesantemente l’imperialismo statunitense. Essere anti-imperialisti senza essere, conseguentemente, nazionalitari attivi nel proprio paese significa affermare la propria impotenza e, per questo, essere funzionali, perché innocui, a Washington.

Per l’accumulazione strategica delle forze e per un credibile sbocco che non sia la riproposizione di un Davide che ambisca a farsi Golia, sarà necessario adottare una scelta nazionalitaria. Cioè l’affermazione di interessi non esclusivisti, non discriminatori, non di classe dominante. Alle fanfare e alla retorica patriottarda dello Stato e dei suoi interessi di classe, inevitabilmente servili nel mono-centrismo imperialista a stelle e strisce, anche quando assumono le vesti da “grande narrazione” –il mito dell’Europa o del governo mondiale– sarà necessario contrapporre la “nazionalizzazione delle matrie”, cioè gli interessi nazionalitari delle classi subalterne incastonate nell’autodeterminazione effettiva di popolo. Che necessiteranno di cambiamenti di mentalità e di prospettiva. Lo stesso discrimine, a nostro modo di vedere, di una prospettiva seriamente anti-imperialista e quindi anti-capitalista deve saper essere dialettico, essere cioè maturante di coscienze e non affermazione settaria di fede. Non c’è alternativa al nazionalismo di liberazione come collante e detonatore sociale. Non c’è operaismo, confusionismo moltitudinario, umanesimo caritatevole che tengano. Quando da parte statunitense sarà completata la sistemazione delle retrovie planetarie, Pechino, Parigi, Mosca, finiranno come Belgrado, Kabul, Baghdad. Non ci saranno margini per disobbedienze da nuovi mondi possibili, se non a livello individuale come eremitaggio sociale o a livello micro-collettivo come piccola comunità separata ed isolata. La scelta è già una: sottomettersi o resistere. Ma per chi vorrà esprimere la propria libertà non misurata, secondo i canoni capitalistici, sulla disponibilità a mercificare la propria esistenza individuale, la resistenza nazionalitaria sarà l’imprescindibile terreno da cui partire. A chi prefigura una possibilità di liberazione solo da un futuro che veda uno scontro interimperialistico, facciamo notare che se la situazione resta bloccata, si sarà presa l’unica strada possibile. Ma anche nel caso del materializzarsi, a nostro avviso molto improbabile, di un tale conflitto, si sarà agito per preparare il terreno a che i dominati possano cogliere, attrezzati, quella possibilità di liberazione. Insomma, si tratta di sviluppare un percorso autonomo ed indipendente, necessariamente su basi nazionali. Non per inseguire splendidi isolamenti, ma preparando il terreno perché si possano anche stringere alleanze di mutua assistenza. Questa resistenza nazionalitaria è quindi imprescindibile e da materializzare il più presto possibile. Non solo in Italia. Prima che sia troppo tardi. Prima di dover altrimenti prendere atto che la partita è chiusa per un po’ di generazioni.

 


Riceviamo in e-mail il 19/12/03 dc e volentieri pubblichiamo:

Fecondazione assistita

La legge della vergogna

 

 Con l’entrata in vigore della legge sulla fecondazione assistita siamo tutti meno liberi come cittadini, e come donne in particolare. Con questa legge lo Stato italiano è meno laico, perché impone per legge principi morali propugnati dal confessionalismo del clero cattolico.

Una legge oscurantista, dove è bastato attribuire all’ovulo fecondato lo status giuridico di “nascituro” (così come la Chiesa romana predica), sia per vietare ogni possibilità di ricerca scientifica sui gameti, sia per riportare in un futuro non troppo lontano le donne a dover accettare la maternità come condanna.

Vediamo di riflettere su queste due questioni.

Come noto dai gameti umani possono avere origine tutte le altre cellule che compongono un individuo umano, e per questo il loro uso medico potrebbe essere vitale per la cura dei malati di Alzheimer, di Parkinson, di sclerosi laterale amiotrofica, di tumore ….e di molte altre malattie. Ma ogni speranza di sperimentazione scientifica in tal senso è definitivamente sepolta. I gameti sono stati sacralizzati per legge, e visto che sono soggetti giuridici,  si potrà anche arrivare a chiedere per loro un giudice tutelare a garanzia del loro sviluppo. Forse potranno rivendicare anche l’eredità dai futuri-ipotetici-virtuali genitori. Chissà?

Ma torniamo alla ricerca scientifica. Quotidianamente interveniamo su tutte le altre strutture cellulari umane, anche con una semplice aspirina. E nessuno si scandalizza per il fatto che qualche cellula del corpo umano muoia o venga “manomessa” a seguito di terapie chemioterapiche, ad esempio, o per interventi chirurgici. Anzi cerchiamo e vogliamo l’intervento medico perché è in gioco la nostra salute o addirittura la nostra vita.

Nessuno è stato mai rassegnato di fronte alla malattia.

Neppure gli stessi ecclesiastici, sebbene credano che il mondo ed ogni evento nel mondo, malattie comprese, è il prodotto dalla superiore volontà del loro Dio Unico e Rivelato. E che in nome di questo Dio, per molti secoli, hanno ostacolato e represso la ricerca  sul corpo umano, considerandola sfida intollerabile verso il mistero della vita, della natura che si doveva ritenere creata secondo un imperscrutabile disegno divino. Liberi pensatori, filosofi, scienziati sono stati perseguitati, incarcerati, mandati al rogo perché avevano avuto l’ardire di studiare la natura, di sperimentarla e di scoprire magari la non conformità alle pretese universalistiche delle ontologie ecclesiastiche. Come noto, nel medioevo (ma non solo) studiare e sezionare i cadaveri era vietato, e il mestiere del medico non godeva della stima che gli attribuiamo oggi. Anzi, era tra i mestieri “maledetti”, e come tale veniva lasciato esercitare agli ebrei, che il pregiudizio dell’antigiudaismo cristiano aveva trasformato nei perfidi deicidi. Per non parlare delle erbarie, delle levatrici, donne che custodivano l’arte della farmacologia e che accusate di stregoneria  a milioni, fino al XVIII sec., sono state cristianamente perseguitate, inquisite, bruciate.

La filosofia e la scienza, sfidando gli anatemi e i roghi, ha messo nella condizione di capire e di studiare la natura. Abbiamo imparato che la natura non è un’idea eterna, a priori. E non siamo così sprovveduti da non saper capire come dietro ai modelli universalistici di uomo, di donna, di natura, soprattutto se divengono coattivi, c’è sempre il vecchio desiderio totalitario di controllarci per impedire la legittima aspirazione ad una responsabile, autonoma e libera realizzazione individuale.

Appare fin troppo evidente, allora, che con la legge sulla fecondazione assistita, stabilendo per legge che i genomi sono equiparati ad un essere umano compiuto, si è voluta riproporre un’antistorica concezione di sacro mistero della vita.

E’ questo il regalo che la Chiesa romana voleva. E’ questo il regalo che ha ottenuto. E per questo le gerarchie non sono state troppo a sottilizzare sul fatto che qualunque fecondazione che avvenga in un laboratorio scientifico mette comunque in crisi il suo mito creazionistico. Non sono state troppo a sottilizzare che, per garantire fino in fondo questo presunto miracolo, anche la fecondazione omologa è per esse comunque inaccettabile. Del resto sanno bene, che proprio gli assurdi  meccanismi di divieti e imposizioni introdotti scoraggeranno le coppie dall’intraprendere o dal persistere nella “procreazione assistita”. La legge così come è combinata sarà essa stessa un deterrente, visto che poco si preoccupa della salute della donna, ma anche del nucleo cellulare appena fecondato, condannato a vivere anche se portatore di gravi malattie genetiche,  e da impiantare quindi senza nessun accertamento preventivo nel corpo della donna.

La donna, dunque, potrà essere costretta all’impianto dell’embrione nel suo corpo. E’ l’aspetto più repellente di questa legge. Non a caso qualcuno ha parlato di stupro di Stato.

Alla donna è inoltre negato un diritto elementare garantito ad ogni altro cittadino: scegliere liberamente un trattamento sanitario, e in ogni momento della terapia, stabilire se continuare ad accettarlo o sottrarsi ad esso. Nel caso della sterilità il trattamento sarà obbligatorio: i gameti non possono essere gettati, né conservati, e la donna dovrà prenderli nel suo grembo. E’ il fiat del modello mariano che attraverso la legge sulla fecondazione assistita viene reimposto alle donne. Un fiat pienamente compiuto, se attraverso questa legge che fa dell’embrione una persona, si otterrà l’abrogazione della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza.

Solo uno sprovveduto non può rendersi conto che l’obbiettivo vero per la Chiesa romana è quello di smantellare la legge 194. Cosa che le sarà abbastanza facile: se l’embrione è titolare di diritto, come non potrà esserlo a maggior ragione il feto?

Pertanto, quello che premeva alle gerarchie cattoliche e alla parte più retriva del mondo cattolico con le sue lobby dei movimenti della vita si compierà a breve. Non illudiamoci, il diritto alla maternità responsabile verrà rimesso in discussione, anche se la società civile non concorda affatto sulla repressione proibizionista che si sta realizzando sulla pelle degli individui, della donna in particolare, che evidentemente ancora per alcuni, continua ad essere lo strano animale, incapace di intendere e di volere,  che s. Tommaso (per fare l’esempio più noto) pretendeva mancante di qualcosa, un errore di natura (aliquid deficiens et occasionatumSummaTheologiae, I q.92, art.1 ad I), e per questo bisognosa sempre di un tutore: un padre, un fratello, un marito. Adesso lo Stato-Chiesa.

Che la chiesa faccia il suo mestiere non ci meraviglia affatto, ciò che ci sconcerta, è che la sua pur rispettabile visione del mondo, che ogni cattolico può benissimo seguire, debba divenire norma coattiva per ogni cittadino dello Stato Italiano.

Uno Stato sempre meno laico, meno progressista, meno democratico e sempre più genuflesso al Vaticano.

   

Maria Mantello (presidente Associazione Nazionale del Libero Pensiero Giordano Bruno)


Riceviamo da Rivistaindipendenza il 12/11/2003 dc e più che volentieri pubblichiamo:

NON CI SENTIAMO IN LUTTO

 

Come era prevedibile anche il contingente italiota al seguito degli invasori anglo/statunitensi è stato attaccato e pesantemente colpito. Il bilancio ancora provvisorio parla di un numero crescente di morti. Il fatto non ci sorprende e non ci tocca. Siamo da sempre schierati contro qualsivoglia aggressione e, di conseguenza, per il legittimo diritto di resistenza dei popoli a difendersi. Rifiutiamo ogni tentativo strumentale ed opportunistico di criminalizzare resistenze di tal tipo. Fu legittima quella italiana contro l’occupazione nazista (quantunque parziale, perché avrebbe dovuto proseguire contro la successiva occupazione statunitense ancora perdurante nel nostro paese). È legittima quella irachena. La Costituzione e lo Stato repubblicano scaturiti dalla Resistenza hanno avuto il loro battesimo nella legittimità della lotta armata contro l’occupazione. Non si può negare a chicchessia l’esercizio legittimo di questo diritto naturale di resistenza all’occupazione e all’oppressione.

Definire “terroristica” la resistenza irachena equivale a definire “terroristica” la Resistenza italiana. La morte dei carabinieri in Iraq non altera questa legittimità. Ripropone anzi, con forza, l’immediato ritiro del collaborazionismo militare italiota alla guerra d’aggressione di Washington, naufragata nel ridicolo delle sue pretestuose motivazioni, motivata in realtà dalle sue strategie geopolitiche di dominanza planetaria di ben più ampia prospettiva e contrastata da una esemplare resistenza nazionale, sempre più diffusa ed in crescita, di portata decisiva per le istanze di liberazione e di indipendenza dei popoli nel mondo. Nello specifico di questa fase la resistenza del popolo iracheno sta svolgendo un ruolo storico mondiale importantissimo, costringendo gli USA ad impantanare lì i suoi piani di aggressione, nella competizione inter-capitalistica in atto.

Chi parla di Patria e di presunti interessi nazionali da difendere aggredendo, contraddice già di per sé la legittima difesa di ogni Patria e di ogni nazione. Il che non muta se ciò avviene al seguito di un qualche alleato/padrone, in questa fase storica lo Stato (mono)imperialista USA. È necessario lanciare un messaggio chiaro e forte contro chi snatura l’idea comunistica di nazione per coprire interessi capitalistici e imperialistici. Per questo, simbolicamente, che 10-100-1000 Tricolori sventolino nelle manifestazioni anti-imperialiste e contro la guerra. Se ha un senso bruciare un Tricolore in Iraq, perché rappresenta uno Stato (quello italiota) co-occupante, quantunque vassallo e subalterno, qui, in Italia, il Tricolore sarebbe un messaggio simbolicamente chiaro e forte che una parte di questa nazione non si riconosce nelle scelte di questo Stato. Assunto nelle sue conseguenze materiali sarebbe solo un inizio. Di emancipazione.

Non c’è anti-imperialismo senza resistenza nazionale ma non c’è liberazione nazionale effettiva senza liberazione delle classi subalterne.

Fuori le truppe d’occupazione USA e dei suoi vassalli dall’Iraq!

Legittimità e sostegno alla resistenza irachena!

 

Indipendenza

12 novembre 2003

www.rivistaindipendenza.org


Breve nostra nota di Jàdawin, Settembre 2003 dc:

"Bastardo!"

"Mi hai offeso! Ti querelo!"

Settembre 2003. Questo è ciò che succede in Italia, Stato democratico e di diritto, e nel mondo liberale e capitalista: di fatto non si possono esprimere opinioni e giudizi (perché no, anche in modo rude) senza correre il rischio di essere denunciati e processati.

Il segretario dei DS, Fassino ha detto, senza nominarlo, che il burattinaio dell'affare Telekom Serbia sta a Palazzo Chigi. Il burattinaio, che tale è agli occhi di tutte le persone in grado di ragionare, si è offeso e lo ha querelato.

Fassino può certo permettersi anche di pagare qualche soldo di danni in caso che venga condannato: a questo punto noi, al posto suo, ci rivolgeremmo al burattinaio e gli diremmo: "Ti sei offeso per così poco? Beh, mi hai già denunciato e ora ti dico che

sei un gran bastardo e un figlio di p.!" (senza offesa per le professioniste del settore)


Riceviamo da Riccardo Tornese, studente diciassettenne, il 14 Novembre 2002 dc e volentieri pubblichiamo:

Darwin aveva ragione o torto?

La famosa teoria di Darwin ha causato, alla sua comparsa, una rivoluzione nel mondo scientifico e religioso e quindi anche nel modo di pensare della gente. Dopo le critiche iniziali l’opinione scientifica si è schierata completamente dalla parte di Darwin e le scoperte successive non hanno fatto altro che confermare le sue tesi ampliandole e spiegando tutte, o quasi, le fasi dello sviluppo non solo dell’universo ma anche della vita. Addirittura oggi la stessa Chiesa Cattolica Apostolica Romana considera la storia di Adamo ed Eva solo una storiella dal significato metaforico. In realtà queste teorie, sebbene vengano accettate dal punto di vista scientifico, non toccano affatto il modo di pensare della gente che è sempre basato sulla filosofia cristiana.

Infatti conosciamo benissimo Dante e La Divina Commedia il cui scopo principale è portare la gente sulla “retta via” cioè, detto in termini meno apostolici ma più pratici, compiere opera di indottrinamento, e, al contrario, tutti quegli autori che potrebbero dare un modello alternativo vengono studiati molto velocemente e senza permettere all’alunno di fare proprio il loro pensiero.

Anche io credo che la Divina Commedia sia un’opera di grandissima importanza ma, se dovessimo fare un rapporto fra importanza ed ore di studio dedicate a quell’opera, verrebbe fuori che l’opera di Dante non ha assolutamente pari, non ci sarebbe confronto con nessuna altra opera, sarebbe come dire che questa è quasi tutta la nostra cultura e che le alternative meritano appena di essere nominate.

Purtroppo è questo ciò che accade: la Divina Commedia si studia per circa quattro anni nel percorso formativo di un ragazzo del liceo mentre a qualche altra opera si dedica un anno o poco più, ma si tratta dei Promessi Sposi che è sempre in linea con i valori cristiani , e dell’Iliade e l’Odissea che esprimono una cultura passata e al giorno d’oggi improponibile come modello alternativo.

Tutti gli altri autori si studiano molto più velocemente, non si ha il tempo di attualizzare il loro pensiero e non vengono mai presi in considerazione come alternativa culturale, ma solo come grandi autori da conoscere per arricchire la nostra cultura da esibire. 

Infine, completando questa critica al sistema scolastico italiano, si dedica solo una piccola parte del quinto anno delle superiori allo studio degli autori e dei filosofi contemporanei (a dire il vero c’è il rischio che non si studierà neanche Freud ) che sono gli unici a proporre un modello alternativo ed attuale che meriterebbe di essere preso seriamente in considerazione  e approfondito. Invece rimaniamo ancorati al passato, abbiamo ancora una cultura ””aristotelica”” e perdiamo ogni giorno ore ed ore del nostro tempo nello studio di autori di cui non ci rimarrà niente.

A parte il sistema scolastico ci sono comunque influenze ben più pesanti che non colpiscono solo lo studente del liceo che, alla fine, ha una cultura abbastanza aperta.            

Il Cristianesimo, infatti, si è diffuso in Italia e quindi è qui che questo ha influenzato maggiormente la cultura ed il modo di pensare, tanto da creare quasi un circolo vizioso o forse portentoso (dipende dai punti di vista) che impedisce al singolo di avere una fede diversa da quella cristiana o, ancora peggio, un proprio modo di pensare e ciò non mi sembra giusto né rispettoso nei confronti della dignità umana né in linea con il libero arbitrio, che personalmente condivido, di cui la religione cristiana cattolica parla. Questo dovrebbe dare ad ognuno la possibilità di scegliere e di pensare ciò che si vuole: in realtà, in ambito religioso, ciò non avviene perché la Chiesa, pur non usando la forza, indirizza tutti verso il pensiero cristiano sfruttando appieno i mezzi culturali , religiosi e politici a sua disposizione nonché a volte il ricatto,  come nel caso dei credenti (specialmente di una certa età) a cui si dice che se non compiono opera di indottrinamento andranno all’Inferno: non si tratta quindi di violenza fisica, ma psicologica! 

Questo circolo portentoso ha inizio nella vita di ogni uomo appena i propri genitori, quasi sempre di religione cristiana cattolica, danno i primi insegnamenti al figlio. Naturalmente ciò è incontestabile e cambiare questa situazione sarebbe una violazione dei diritti umani ancora più grave.

In questa prima fase il bambino non ha ancora un concetto completo di religione e si limita a porsi degli interrogativi e ad accettare una risposta senza spirito critico (in quanto questo si forma solo con l’esperienza), è quindi nella fase in cui acquisisce ogni cosa che gli viene detta ed in cui pone le basi della sua cultura e del suo modo di pensare. E’ proprio adesso che, nella maggior parte dei casi, il bambino comincia a frequentare il catechismo. Qui, ai numerosi problemi che il bambino si pone, vengono date risposte in linea con il pensiero cristiano e anche se c’è un dibattito è sempre la tesi cristiana a prevalere perché portata avanti da un uomo la cui cultura e capacità persuasiva non hanno nulla a che vedere con quelle di un bimbo. Questo, comunque, interviene difficilmente con opinioni personali in discorsi di un certo livello perché questi richiedono conoscenze ed uno spirito critico che a questa età è impossibile avere. Parallelamente la scuola interviene con un’ora alla settimana di religione che si limita ad affrontare il cristianesimo facendo solo un excursus sulle altre principali religioni trattandone soltanto gli aspetti caratteristici, sempre in modo meramente nozionistico.

Durante quest’ora , invece, si potrebbe affrontare il tema religioso da un punto di vista filosofico in modo, però, da non privilegiare una religione in particolare, ma confrontando i vari modi di pensare delle più importanti culture e dando sempre un’alternativa laica: più o meno ciò che si fa al catechismo ma con una visione molto più ampia, aperta e, comunque, sempre in linea con i principi morali che regolano la nostra società.

E’ solo lasciando degli interrogativi aperti, ma dando i mezzi per trovare una risposta , che si apre la mente dei bambini che in questo modo diventeranno ragazzi aperti anche a culture diverse dalla propria e soprattutto dotati di un forte spirito critico e di un pensiero a cui credano veramente.

Ciò, però, non conviene né alla chiesa né ai politici che, in questo modo, possono perseguire politiche demagogiche.

Continuando l’attuale percorso di crescita, il bambino diventa ragazzo e comincia a sviluppare quelle capacità necessarie per affrontare il tema religioso, ma la sua cultura è limitata, ed il suo modo di pensare è già più che indirizzato al cristianesimo. Inoltre continua a frequentare il catechismo che rafforza le sue idee religiose e le fa diventare proprie: interviene però quello spirito critico che naturalmente sorge a quell’età (che molti chiamano "periodo di sbandamento") ma non trova i mezzi per venir fuori finendo per essere soffocato dalle teorie religiose che hanno il monopolio nella nostra società e dalla cultura a senso unico portando, spesso, al disagio adolescenziale.

Finita questa fase il ragazzo è diventato un uomo e difficilmente metterà più in discussione le proprie idee.

Questa è la triste storia di quasi tutti noi, e detto ciò cominciano ad avere senso le affermazioni precedenti che accusavano questa società di ledere la dignità umana: si capisce anche perché per un credente è così  difficile concepire l'esistenza di un ateo che nega l’esistenza di Dio. Ci sono tante persone che per indole sono di mentalità aperta ma che non riescono proprio ad immaginare un’alternativa.

Sarebbe il caso che tutti aprissero di più gli occhi e la mente e, soprattutto, che la società desse a tutti la possibilità di farlo, solo allora Darwin avrà veramente, per tutti, ragione.

 

Riccardo Tornese


Abbiamo letto sul supplemento "Salute" di "la Repubblica" del 14/11/02 dc alcune interessanti lettere spedite a quel giornale. "Salute" è dichiaratamente contro il fumo, da sempre, e allora ci prendiamo la soddisfazione di pubblicare solo queste due lettere controcorrente. Ed evitiamo di pubblicare la risposta della rivista: non ne vale proprio la pena.

Il divieto di fumare divide gli italiani

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Caro Pepe (Nostra nota: dovrebbe essere il curatore della rubrica delle lettere), qualche volta mi capita di andare in montagna e le signore terrorizzate per l'eventuale morso di una vipera declinano l'invito, al contrario con allegria accolgono l'ipotesi di una gitarella fuori porta. L'approccio alla prevenzione e al fumo al quale lei accenna nell'editoriale soffre, a mio avviso, di questa irrazionalità. Le probabilità di morire per il morso di una vipera sono quasi inesistenti, mentre i rischi di fare un incidente stradale sono notevoli, tuttavia i secondi sono rimossi da una metabolizzazione della "normalità".

Certamente il fumo è una causa dei tumori al polmone (il 30% si dice) e il restante 70%? La percentuale di incidenza tiene conto dell'iterazione e/o concausa dello smog? Non è quindi sbagliato fare le campagne contro il fumo tuttavia queste sono super affettate rispetto a quelle che bisognerebbe fare contro l'inquinamento e gli sforzi per ridurlo. Voglio dire che, applicando la par condicio, bisognerebbe scrivere sulle automobili e i TIR "l'uso di questo veicolo nuove gravemente alla salute". Ma cosa vuole, l'uso dell'automobile fa parte della normalità ed è metabolizzato dalla gente come un fatto ineludibile. Ma non è razionale e lascia in trasparenza un'asservimento degli organismi preposti alla Salute agli interessi forti delle multinazionali.

Gustavo Pasquali, Verona

***

Qui è Gian Turci da Forces Italiana. Mi permetto di scriverle brevemente per ringraziarla della recensione di "Fuma pure" (Nostra nota: un libretto di Stampa Alternativa che presto segnaleremo sul sito) , che io ho aiutato a tradurre. Mi permetto anche di correggere quanto segue: "Il trenta per cento dei cancri sono dovuti al fumo". Visto che una persona adulta su tre fuma, l'Istituto Superiore della Sanità ha appena confermato che l'incidenza di cancro è identica tra fumatori e non fumatori. Infatti ha anche detto che due cancri su tre si verificano in non fumatori. "Come la mettiamo col fumo passivo?". Questa è la più facile: il fumo passivo è una truffa. Infatti, con solo il 30% d'incremento di rischio statistico, esso è considerato totalmente insignificante dalla scienza vera, che richiede un minimo del 200% d'incremento per considerare che le statistiche epidemiologiche indichino un rischio che si possa considerare esistente (anche se non prova causalità).

L'epidemiologia è statistica, e la statistica non è scienza. Le cifre strombazzate dall'Istituto Superiore della Sanità non sono dimostrabili perché nessuna causalità è mai stata dimostrata, e sono solo campate in aria per scopi propagandistici. E' triste che il Ministero della Salute si riduca a ciò con le tasse dei contribuenti, ma la verità scientifica è questa.

Gian Turci, Forces Italiana.


Su "la Repubblica" di Giovedì 8 Marzo 2002 dc il piccolissimo articolo nelle brevi:

Finalmente possibile la cremazione e la dispersione delle ceneri!

ROMA - Anche in Italia le ceneri potranno essere conservate in casa oppure essere disperse secondo la volontà del defunto. Il Senato ha approvato la legge sulla cremazione e la dispersione delle ceneri. Fino ad oggi tutto ciò era reato, ora non più. Le ceneri si potranno disperdere in apposite aree all'interno dei cimiteri, in aree private all'aperto. Per la dispersione in mare, laghi e fiumi sarà consentita in tratti liberi da natanti e manufatti. La dispersione è eseguita dal coniuge o da altro famigliare o dall'esecutore testamentario.


Su "Salute" di Giovedì 12 Aprile 2001 dc, supplemento de "la Repubblica", c'è una lettera interessante della lettrice Dany, che riportiamo integralmente:

Basta con le misure del "pistolino"!

Non se ne può più! Basta! Basta con le lettere di maschietti ossessionati dalle misure del loro pistolino. Basta anche con le relative risposte. Rassicuranti e asettiche. Le dimensioni sono importanti? Dipende. Semplicemente e banalmente: dipende. Ci sono donne per le quali sono importanti, per altre meno di niente. Ci possono essere momenti in cui magari un po' di "sostanza!" in più non guasta, altri ancora in cui non ha nessuna importanza. Sarebbe ora che i maschietti finalmente capissero che la sessualità femminile è un pochino più complessa e ricca di quanto pensano. Piantatela di vedere tutto in termini di centimetri, minuti, velocità, frequenza e ripresa. Siate un po' più umani e un po' meno automobili! Un po' di fantasia, non potete ridurre tutto a mettere al caldo il vostro stupido pistolino! Imparate ad usare la lingua e le dita. Imparate a carezzare e baciare. In fondo non è poi molto difficile e soprattutto è molto divertente!


Da la Repubblica del 20/9/2000 dc (le correzioni ortografiche e grammaticali sono nostre, i nostri interventi sono in rosso):

Scienza, tecnologia e troppa retorica

Siamo alla soglia di un nuovo modo di vivere: che senso ha un'opposizione indiscriminata?

di Aldo Schiavone

È spiacevole dirlo: ma nei dibattiti di cosiddetta "bioetica" cui assistiamo sempre più spesso vi è - a guardar bene - qualcosa di inguaribilmente caduco, di inessenziale e addirittura di frivolo. Vi è anche, in verità, un logoro gioco delle parti: da un lato gli scarni annunci americani, dall'altro le interminabili polemiche europee (soprattutto italiane, ma non solo).

Insomma: ricerca e retorica. Parlare, in fondo, costa meno di studiare.

A rendere inadeguate queste discussioni è un limite assai insidioso. L'ostinarsi, cioè, ad affrontare i problemi nella loro apparente frammentarietà, seguendo la cascata degli annunci dei media - oggi la clonazione, ieri il genoma o il destino degli embrioni, domani una nuova tecnica d'intervento genetico - sottraendosi a una visione d'insieme di quanto sta accadendo, e di quello che ci si aspetta. Come se non si riuscisse a sollevare gli occhi dal singolo evento, dal traguardo appena toccato: e ogni volta si trattasse dell' ultima frontiera raggiungibile, invece che di un piccolo e fugace passo in un cammino soltanto iniziato.

Questa mancanza, questa difficoltà a mettere a fuoco l'autentico orizzonte della storia in cui siamo coinvolti, ha una spiegazione: la diffusa paura a pensare il futuro che sta paralizzando la forza progettuale dell' Occidente, una specie di stallo intellettuale, che qualcuno, negli anni passati, ha scambiato, fraintendendo, per "fine della storia". Ed è proprio da qui che suggerirei di partire. Dalla necessità, ora più che mai, di una capacità di interpretazione e di previsione che è non solo esercizio conoscitivo, ma essenziale dovere morale, perché interpretare e prevedere implicano assunzioni di responsabilità, ed educazione al tempo che si apre. Semplificando, credo si possa dire che oggi siano tre i settori nei quali l'intreccio fra scienze e tecnologie si sta dimostrando determinante nell'elaborare le forme del nostro futuro: le biotecnologie, l'"intelligenza artificiale" (intendendo con ciò lo sviluppo della computeristica almeno fino a una generazione di macchine in grado di apprendere dai propri errori, e ai cosiddetti computer quantici), la comunicazione globale, presto capace di trattenere in rete un accumulo di conoscenza e di contatti potenzialmente infinito, e di trasmetterlo attraverso ricettori sempre più piccoli - domani, miniaturizzati. Per adesso questi campi appaiono ancora distinti, almeno nella percezione comune. Ma in breve non sarà più così.

Biotecnologie in grado di intervenire sull'evoluzione della specie (vi siamo già quasi arrivati) e macchine capaci di auto-correggersi e di apprendere attraverso le connessioni di una rete totale (anche da questo risultato non siamo lontani) sono destinate a integrarsi su un terreno comune (e qualcosa sta già cominciando ad accadere in alcuni laboratori d'avanguardia): nella nascita di una nuova dimensione umana, dove la barriera tra "naturalità" e "artificialità" non avrà più senso alcuno. Questo significa - come non capirlo? come non valutarlo? - che ci troviamo alla soglia di un salto, al di là del quale le condizioni "naturali" della nostra esistenza - dal patrimonio genetico alle differenze di genere - non figureranno più come presupposti immodificabili e dati una volta per tutte, esiti intangibili di un percorso evolutivo scandito su milioni di anni, escluso dall'intervento della nostra soggettività, bensì come risultati flessibili del lavorio consapevole dell'intelligenza della specie, giunta finalmente al punto in cui può impadronirsi del proprio destino biologico, e trasformarlo.

Una tradizione legata a una visione romantica e catastrofista della scienza spinge ancora a collegare all'evocazione di questi scenari immagini da incubo. Si tratta in gran parte di fantasmi: rumore con il solo effetto di impedirci di pensare. Certo, andremo incontro a rischi altissimi, ma anche a straordinarie opportunità di liberazione e di sviluppo. Si apriranno problemi di inaudita complessità: di eguaglianza, di potere, di vita e di morte, di costruzione di una socialità radicalmente nuova. Si intravede già qualche elemento, e presto la politica ne verrà del tutto invasa.

È possibile bloccare una simile corsa? Cancellare questo domani che già batte alle porte? Interrompere il circuito fra ricerca e intervento sempre più intenso sulle basi biologiche e relazionali della specie? È chiaro che la risposta è no, perché la pressione è potentissima, e non è solo riconducibile all'intreccio capitalistico fra scienza e bisogni, ma attiene a qualcosa di più profondo, che si ritrova nei tratti di pulsioni remote, in codici mentali capaci di spinte irresistibili.

Eppure, in Europa, una singolare alleanza tra fondamentalismo cristiano - nell'accattivante versione del neopopulismo cattolico - e fondamentalismo ecologico, cui si aggiungono brandelli di sinistra che ormai identificano direttamente la scienza con le multinazionali, ritiene ancora realistico cercare di invertire la tendenza (questa è la combinazione di forze emersa nel recente voto europeo sulla clonazione, su cui Antonio Polito e Gianni Riotta hanno proposto osservazioni intelligenti).

Il centro concettuale di un simile schieramento si trova nella difesa di una concezione "sacrale" dell'intimità biologica della natura, concepita come luogo dell'inviolabilità, campo esclusivo riservato al dispiegarsi delle leggi di Dio (o dell'evoluzione, per gli ecologisti). È un' idea teoricamente e storicamente ormai indifendibile, e soprattutto è un'idea di cui un cristianesimo maturo non avrebbe più bisogno per sopravvivere: basterebbe un'esegesi non prevenuta della "Genesi" per rendersene conto (mi prometto di tornare su questo punto), ma può essere il collante di un pericoloso populismo antimoderno. Riproporla non solo ci attarda in polemiche sterili, ma ci allontana dal cuore della questione. Che non è di tracciare un confine sostanziale e invalicabile - per riservare a Dio quel che sarebbe di Dio - ma di fare in modo che l'uso di ogni tecnologia trasformatrice della nostra identità e del nostro status quo biologici sia orientato solo al bene comune, poiché non è all'agire consapevole dell'uomo che bisogna porre limiti, ma semmai alla forma del mercato e della merce, quando la loro razionalità non coincide con quella dell'interesse generale della specie (una nozione, quest'ultima, con cui dovremo imparare a familiarizzare). Si apriranno - è evidente - conflitti complessi, con in gioco poste incalcolabili. Ma davvero: "hic Rhodus, hic salta". Sbaglio, o sarebbe un bel punto di discussione per una sinistra in cerca di se stessa?

Verso la fine del 1999 dc é comparso un interessante articolo sul supplemento "Musica!" de "la Repubblica", a firma Matteo Guarnaccia (curatore del libro "Neopaganesimo", Stampalternativa, 1999 dc). Ne proponiamo uno stralcio e un adattamento.

Chi sono e cosa fanno le streghe neopagane

L'ammissione delle responsabilità della Chiesa nelle persecuzioni contro le altre fedi, nell'ambito del Giubileo, ha fatto uscire allo scoperto la comunità pagana internazionale che ha chiesto di essere inclusa tra i destinatari delle scuse papali, accanto ad ebrei, musulmani e cristiani eterodossi.. La richiesta é stata accompagnata da circa 1650 firme, in rappresentanza di singole personalità (attivisti pagani, studiosi universitari, ministri di culto cristiani) e di organizzazioni (Federazione Universale Pagana, Chiesa di Tutti i Mondi, Congrega della Dea, Compagnia di Iside, Santuario del Cerchio, Lega delle Streghe per la Consapevolezza Pubblica, Rete di Assistenza per le Religioni basate sulla Terra, Archivio delle Storie Soppresse etc.). Sono tutte sigle che si possono trovare in Rete: c'é un paganesimo tradizionale che non é mai morto e un altro che imprevedibilmente é rinato all'interno della società moderna. Quest'ultimo si presenta come stile di vita che riconosce la presenza diffusa del sacro e si basa su una relazione intima e paritaria tra umani e natura. Uno degli aspetti più intriganti é quello delle donne dedite alla stregoneria. Le streghe ribadiscono di non avere nulla a che fare col satanismo, considerato una branca eretica del cristianesimo. E tantomeno con fascinazioni naziste. ono attive nel mondo anglosassone, dalla California alle isole britanniche, terre di elfi, fate e druidi dove la Wicca, antica congrega di streghe e stregoni, da sempre prospera. Le streghe sono tra le ecoattiviste, all'interno del movimento femminista, nei gruppi per i diritti civili delle minoranze (e degli animali), nei siti Internet. Impegnate nel campo della ricerca storica hanno prodotto opere di divulgazione e dato vita a centri di documentazione sulla Storia Nascosta dell'umanità.. Organizzano festivals ed effettuano continui ceck-in sui luoghi di potere del pianeta (Stonehenge, tra i molti) e interagiscono con sciamani tradizionali in tutto il mondo. Per loro dalla contemplazione dei fatti più semplici della vita si può, per gradi, arrivare all'estasi. Anarchiche, antiautoritarie e ricche di ironia sono agli antipodi dell'asettico e consolatorio mondo New Age. Non giocano col Diavolo , secondo il luogo comune diffuso, ma certo navigano anche nella parte oscura della nostra psiche. Si considerano libere professioniste della guarigione e terapiste spirituali, irriducibili seguaci del principio universale femminino dai mille volti e dai mille nomi: la dea che ha regnato per millenni in tutto il mondo antico, prima di venire oscurata dal potere monoteista patriarcale.

Ci sono figure della nuova stregoneria che hanno scelto la piena visibilità mediatica, scrivono libri, tengono conferenze e rilasciano interviste. Come Florinda, Taisha e Carol, le tre discusse donne più vicine a Carlos Castaneda negli ultimi anni della sua vita. Ci sono "piratesse energetiche" come l'ungherese Z Budapest ("Se sputi sulla stregoneria sputi suoi tuoi antenati") che ora vive in California. O come l'americana Starhawk. Per lei "essre una strega oggi significa essere molto coinvolte nel processo di guarigione del pianeta e compiere azioni mirate a sistemare i casini che gli abbiamo combinato".


Nostro articolo del Villanazzo:

La chiesa di nuovo all'attacco contro l'aborto

Il caso di Ragusa, dove una tredicenne psicolabile, come la madre e la nonna, é rimasta incinta di un coetaneo ha dato modo alla chiesa cattolica di scatenarsi e di dimostrare la propria empietà criminale. Un primo tutore a cui era stata affidato il caso era favorevole alla gravidanza, questi è stato ricusato, per cavilli giuridici che gli antiabortisti, naturalmente, giudicano strumentali, e il nuovo tutore, dopo attento esame, si è detto favorevole all'aborto. Naturalmente da qui l'"Osservatore romano", organo di quella banda di nemici dell'umanità che risiede in Vaticano, ha scatenato una campagna di stampa violenta oltre che mistificatrice. Il risultato è stato che Don Bezzi, noto pretaccio della zona, ha tirato fuori dal cilindro una lettera che la ragazza avrebbe scritto, chiaramente da lui plagiata, in cui esprime la volontà di non porre termine alla gravidanza.

Non c'è dubbio su come finirà: lo stato laico, ancora una volta, obbedirà agli ordini del Vaticano e abiurerà ai suoi in compiti, in barba a una legge esistente e al comune sentire di chi ha a cuore non la vita in se, come gli ipocriti cattolici, ma la qualità della vita, senza ipocrisie e falsi moralismi.

Dicembre 1999 dc


Nostro articolo di Jàdawin (novembre 1999 dc circa):

Un nuovo beato, un nuovo specchietto per imbecilli

Ma sì, il nostro amato papa, il più grande papa reazionario di tutti i tempi, ha fatto Beato, per poi diventare Santo, il Padre Pio degli imbecilli, l'impostore delle false stimmate, il truffatore della credulità popolare, il realizzatore di "importanti opere di carità" (per soli cattolici paganti e solventi) e, manco a dirlo, di "miracoli". Dopo avergli dato addosso per decenni, perché non le conveniva, ora la chiesa cattolica si appropria di un'altra icona, ne cavalca la popolarità e la ufficializza, e subito dopo l'altra grande truffa italiana, il sangue di San Gennaro, "miracolosamente" si liquefa nuovamente.

Di nuovo, c'è bisogno di commenti? Ora capiamo perché gli atei si sono sempre tenuti nel loro riserbo, non occupandosi di rendersi pubblicamente visibili e attivi. Il disprezzo! Ma in noi è più forte la rabbia e, siccome non siamo affatto "tolleranti" ne "democratici" ne "pacifisti", e non abbiamo "rispetto" per le idee altrui (quando sono di questo tipo, naturalmente), nel nostro piccolo romperemo le balle. Sempre!


Un interessante articolo di Giorgio Bocca su "L'Espresso" del 21 Ottobre 1999 dc:

La prevalenza del cretino ha i suoi vantaggi

Ma lei é pessimista o ottimista? Non so mai come rispondere a queste domande inevitabili e anche un po' prive di senso. Che significa essere ottimisti o pessimisti se il futuro é assolutamente imprevedibile? In una storia, in una società che sono dominate dal caso, dalla classica tegola che a tutti può cadere sulla testa? Come si fa a non essere pessimisti se all'evidenza l'umanità è sempre "una pianta storta", ma come non essere ottimisti al pensiero che è arrivata dalle caverne e che probabilmente sopravviverà anche ai computer e ai telefonini?

Ma lei è pessimista? Non dovrei? Le campagne che circondano Milano, la città in cuivivo, sono in gran parte avvelenate, lungo il Lambro fino a dodici metri di profondità; fiumi e laghi sono delle fogne a cielo aperto; il pensiero unico e dominante è quello del turbocapitalismo, cioè una volontà ossessiva, una spinta incomprensibile ma inarrestabile all'autodistruzione. I nostri giovani industriali riuniti a Capri hanno fatto discorsi indecenti e ottusi sul profitto che è più importante dell'uomo, sull'aumento dei dividendi che è più importante che dar lavoro a tutti: discorsi di cui si sarebbero vergognati anche i loro bisnonni padroni delle ferriere. Chi non era del parere veniva fischiato, ululato, possibilmente cacciato. Anche il presidente della camera Violante, uno degli ex comunisti che ce la mettono tutta per sembrare moderati e flessibili.

Il mondo è tutto cartografico. la parola esploratore non ha più senso, come quella di scalatore. In mancanza di grandi pareti "vergini", come l'Eiger, da conquistare oggi si scalano degli spuntoni di roccia in mezzo ai vigneti e ai castagni: le falaises, a cui si danno nomi fantastici infantili tipo "desiderio supremo" o "raggio di luna". Persino la criminalità ha perso in fascino e fantasia: si ruba e molto ma d'accordo con lo Stato e con i carabinieri, si imbroglia ma in forma di pubblicità. La mediocrità di una vita senza passioni e senza utopie è tale che non ci si può più divertire neppure a raccontarla: vi pare che personaggi come il banchiere Cuccia o l'imprenditore Colaninno siano raccontabili? I padroni lo erano ai tempi di Balzac, quando c'era alle loro spalle una borghesia capace di pensare al progresso degli uomini, ai nazionalismi, al "fardello dell'uomo bianco" e non solo alle Opa.

Si può essere ottimisti in un tempo in cui si produce non per gli uomini ma contro gli uomini, perché respirino peggio, mangino peggio, vivano con sofferenza nelle loro città immense e informi? Si può essere ottimisti in una storia che non insegna mai niente, in un tempo che ha prodotto due guerre mondiali, lo stalinismo e il nazismo, ma nei Balcani e a Timor si ricomincia da capo, su un copione immutato? Ma come non essere ottimista se sei giovane e questo gran disordine ti crea occasioni per arrampicarti, per fare soldi e sesso e, se vuoi, anche volontariato e opere di bene con i drogati e i disoccupati; e puoi sempre salvare vecchiette inseguite da eroinomani.

Come non essere ottimisti se a nessuno viene negata l'infanzia, quel tempo meraviglioso di percorsi fantastici, incoerenti ma indimenticabili, in cui tutte le regole, le ipocrisie, le menzogne della vita come sarà restano ignote. E come non essere ottimisti se a questa infanzia ognuno di noi continua ad attingere come a una riserva preziosa e se, in essa, vivono i nostri figli e nipoti che ci ripropongono gli stupori e le gioie della "prima volta"? . Come essere pessimisti se il nostro disperato attaccamento alla vita è tale da confermare, oltre ogni possibile dubbio, che essa è il nostro massimo bene? Non ci sono più esplorazioni da fare, ma c'è la ricerca del Dio ignoto e sempre a nostra disposizione. E, in fondo, anche la prevalenza del cretino che ci circonda ha i suoi vantaggi: ci può far credere di esser intelligenti e diversi. Insomma si può tirare a campare.


Sul supplemento "Musica!" di "la Repubblica" di Giovedì 16 Luglio 1999 dc, nella rubrica "Next generation", è riportata una lettera di un ventenne alla curatrice Serena Dandini. E' talmente interessante e fuori dal coro che lo pubblichiamo per intero

Quando la pace diventa una moda

Cara Serena.

i più deteriori stereotipi sui giovani usciti dalla verbosa ilarità di qualche diligente sondaggiologo circolano ormai ad una velocità tale da superare e fagocitare felicemente il proprio oggetto fino a divenire unica, inconfutabile, reale realtà (o iperrealtà?). È quasi insultante la puntualità con cui il luogo comune esce confermato e vincente nei conati di desideri, sinceramente disperati talvolta, che noi, tuoi infedeli lettori, ostentiamo confusi. Cara Serena, lo dico con affetto, io non ne posso più di questi figli cinici di padri e madri sessantottini delusi e con pancetta da impiegato, che vedono i genitori fumare tristemente spinelli il sabato sera mentre si domandano amletici: Are You Experience? Non è accettabile il loro qualunquismo imbastito con frasi fatte simil-veteromarxiste, il loro moralismo borghese magari elegantemente spacciato per fini analisi sociologiche, sintatticamente corrette, sul conflitto generazionale, sulla musica rock (il Vero rock!), sulla guerra in Kosovo e sulla cultura postmoderna. Se questi liceali cosi leziosi dovessero essere organici alla prossima classe dirigente, come temo, siamo davvero fottuti. Ma ciò che mi fa davvero penare è che questa "cultura giovanile" ovvero quello che l'industria culturale genialmente riproduce, a immagine e somiglianza di adolescenti cooI hunters, è a nostro "esclusivo" uso e consumo, è coerentemente fedele a questa linea. C'è chi passa da rigurgitate versioni edulcorate del Rap delle gang americane, ai gadget del Che, fino alla cacca nel pannolino della figlia conditi da pizzetto e artata svaghezza con copricapo rasta, interpretati con l'entusiasmo annichilente della filosofia del "Grande Boh" (unico momento di autentica consapevolezza esistenzialista di un Jovanotti!). Tutto questo è Arte? Ma i critici sono pagati percriticare o per cosa? A parte Mollica (un nome, una garanzia) ma che dire di questo paramusicalismo ammiccante e nostalgico alla Castaldo? Che dire di questi Pavarotti & Friends? Di questo nostro bisogno osceno e fracassone, kitsch, opportunistico e obeso di fare beneficenza? Per beneficiare chi? Carrierristi rotolanti come pietre verso l'oblio? O, forse, chi è stato stuprato, sgozzato o ammazzato in TV via satellite e ha visto il suo stupratore, sgozzatore e assassino, blandito e lusingato da zelanti intellettuali e cittadini occidentali e radical-chic ormai dimentichi della nostra storia di resistenze (armate) antinaziste e antifasciste? Si sentiva davvero il bisogno di canzoni come quella di JovaLiga&Pelù. Un orribile mostro a tre teste (vuote) che ha generato una poltiglia artisticamente ingiudicabile con un testo scrivibile in cinque minuti per cinque lire da qualsiasi mediocre ghostwriter per dire "nulla" facendo finta di dire "qualcosa" e coniugare massificate formule politicamente corrette a ritornelli rivoltanti. La guerra è brutta ma il cretinismo è peggio. È facile giocare il gioco delle equidistanze con il righello, la squadretta, le giuste coordinate del conto corrente quando non ti sparano addosso. Cara Serena, non voglio essere definito "giovane", non sono bulimico ne anoressico e quando sono depresso non scrivo alle gentili (e belle) signore come te (lo faccio solo nelle fasi maniacali, da vero depresso), non sono portoricano, negro, musulmano o ortodosso, non studio nel migliore liceo della mia città, non passo le notti insonni a chattare con amici croati o serbi (com'è meravigliosamente trendy!) ma spero, non appartenendo ad alcuna di queste categorie protette, di essere egualmente degno della tua ospitalità. Ti saluto caramente

Tuo Michele


Un interessante articolo, nella rubrica "Segnali di Cerami", è comparso sul supplemento "Musica!" di "la Repubblica" di Giovedì 3 Giugno '99 dc. Ci è talmente piaciuto che ne pubblichiamo una sintesi.

La malattia del tifo calcistico

Difficile da credere. Eppure ci sono tante, tantissime persone che non hanno nient'altro nella testa e nel cuore che il tifo calcistico per la propria squadra. Il fenomeno è talmente estremo, crudele e paradossale che non si può non nutrire per queste povere persone pietà, tenerezza e rabbia. Rabbia soprattutto quando una simile patologia sfocia nella violenza più assurda come è successo, ad esempio, a Salerno.

Il tifo è un frullatore, riduce in poltiglia qualsiasi problema: qualsiasi conflitto. Deresponsabilizza le anime fragili. La squadra del cuore ci da sempre da pensare e da sognare: ventiquattro ore al giorno per tutti i giorni dell'anno, durante il campionato, durante il mercato dei calciatori, durante la preparazione estiva. Una buona parte del successo di questo avvincente sport lo si deve proprio alla condizione miserabile (sia a livello spirituale e psicologico che a quello della qualità della vita) di un gran numero di persone mentalmente destabilizzate. La violenza negli stadi e nei treni è una diretta conseguenza dell'horror vacui di cui sono vittime i tifosi assoluti, quelli appunto che nella vita non hanno altro, proprio nient'altro. Riconoscersi nulla nel nulla è impossibile, di qui la reazione forte, violenta, per sentirsi vivi. Il tifo è una valvola di sicurezza psicologica, fa comodo a chi ha molti problemi (e chi non ne ha?). Il tifoso che vive nevroticamente la sua finta passione sportiva non fa che immagazzinare nella sua intimità rancori, frustrazioni e impotenze che nei caratteri più deboli possono esplodere in gesti inconsulti, irragionevoli, lesionistici e autolesionistici. Il fanatismo sportivo non mira, come nelle religioni, all'eternità. Finisce e ricomincia, finisce e ricomincia. A chi non si stringe il cuore nel vedere un uomo ridotto a semplice, brutale, ottuso tifoso di calcio? Quando anche la passione diventa una malattia la paura del nulla si fa ancora più forte.


Nostro articolo di Jàdawin del Novembre 1998 dc:

La crisi di governo

(ma ora c'é il "nuovo" governo D'Alema, grande novità!)

Il Partito della Rifondazione Comunista si è spaccato sul votare o meno la fiducia al governo sulla Finanziaria del '99. Il governo si è presentato al dibattito alla Camera e ha perso per un voto (anzi, per due). Colpa del transfuga Liotta (anticomunista viscerale, a quanto riferiscono le cronache) di Rinnovamento Italiano, e della Pivetti che, dice lei, non si è presentata perchè alcuni della maggioranza l'avevano rassicurata che tanto ce l'avrebbero fatta anche senza di lei? Colpa di Bertinotti, che voleva tutto e subito?

Noi non siamo certo fan di Armando Cossutta. Sappiamo che è stato prima uno stalinista, poi un togliattiano (fa molta differenza?), e comunque un fedele filosovietico (nel senso peggiore del termine). Ma al di là di questo non possiamo che dare ragione alle sue argomentazioni. In politica bisogna anche essere realisti. C'erano due cose negative: un governo cosiddetto di centro-sinistra che si è distinto per aver fatto una politica di destra, di aver corteggiato troppo la destra in nome delle riforme (quali riforme...è meglio lasciar perdere) e che, a prezzo di ulteriori sacrifici per le masse popolari, ci ha fatto entrare in Europa (bella soddisfazione! Ha vinto il liberismo, la libertà di licenziare, sottopagare, sfruttare ulteriormente giovani e vecchi lavoratori). L'altra cosa negativa era questa: se il governo cadeva e se si andava a elezioni anticipate tutti sapevano che avrebbe stravinto il centro-destra. Perchè gli italiani sono coglioni? Sì, ma questa considerazione non è molto consolatoria. Ora, come dice un detto, tra due mali bisogna scegliere il minore. Bertinotti, con la sua "strategia" ha scelto il maggiore. E per di più ha smembrato un partito che, glielo ricordiamo, a livello nazionale raccoglie l'8 % dei voti.

Che strategia! Che lungimiranza! Bertinotti ci è sempre stato abbastanza simpatico, così, in generale. Ma dispiace vedere i trotzkisti di entrambe le tendenze essere ancora più "estremisti" di lui e vaneggiare su un futuro avanzamento delle lotte di massa e un recupero di credibilità, grazie a questo gesto di rottura. Ci dispiace per loro, ma sono solo illusi. Il PRC era e rimane, nei due tronconi che ne restano, un'accozzaglia indescrivibile di stalinisti, gramsciani, togliattiani, maoisti, trotzkisti, moderati travestiti da "rivoluzionari". E poi la massa di militanti e simpatizzanti ignoranti culturalmente e politicamente che, quando parlano,, non sanno neanche quello che dicono. Uno spettacolo desolante. E questa sarebbe l'avanguardia delle masse proletarie?

Comunque una cosa dovevano fare: salvare il governo Prodi. Adesso cosa diranno alle masse quando Berlusconi, Fini e soci (Previti in testa), ridendo a crepapelle, porteranno la pensione a 65 anni per tutti, aboliranno magari anche lo Statuto dei Lavoratori, privatizzeranno quello che è rimasto da privatizzare, ridurranno a zero la politica sociale che, bene o male il governo Prodi, incalzato da Bertinotti, aveva portato avanti? Vogliamo proprio vedere: e si illudono anche di prendere più voti? Vadano in giro a chiedere, tra la gente comune, cosa pensano di Bertinotti e dei "comunisti". Se, tutti e due insieme, i due partiti "comunisti" prenderanno quello che adesso prende uno solo va già bene.

Complimenti. Complimenti davvero.


"L'Espresso" del 5 Marzo 1998 dc pubblicava uno speciale sul '68. Tra i vari interventi se ne segnala uno, di Romano Luperini, che riportiamo quasi integralmente.

Il '68 è stato troppo poco violento

"Associare la parola violenza al sessantotto fa parte del terrorismo giornalistico....Il sessantotto fu violento perché svolse una funzione distruttiva attraverso azioni anche illegali - le occupazioni delle facoltà, manifestazioni non autorizzate - non perché praticasse la violenza o spalleggiasse e consentisse l'intervento di gruppi terroristici.

Distrusse le dipendenze, i rapporti, i meccanismi scontati, le gerarchie visibili e quelle impalpabili, ponendo una domanda radicale di significato che metteva in causa ogni momento della vita. Per chi e per che cosa si vive? Per chi e per quale fine si studia e si lavora? Per chi e per quale fine ci si associa e si fa politica? I rapporti personali e sessuali (la microfisica del potere) possono essere distinti da quelli politici? E anche: le forme della democrazia possono essere separate e addirittura antitetiche rispetto ai suoi fini? Tutti i gruppi chiusi organizzati come nicchie egoistiche e protettive (la famiglia) o come istituzioni volte alla carriera individuale e alla formazione della classe dirigente nazionale (le scuole, le università) ne furono allora sconvolti.

A questa violenta domanda di senso...non dava risposta ne il capitalismo con la società del benessere ne il comunismo realizzato con il suo Stato burocratico. Il Sessantotto fu contro l'Unione Sovietica e, in Italia, contro il Pci; e sviluppò una critica di massa al socialismo realizzato che oggi è diventata senso comune. Anche per la parola socialismo bisognava (bisogna) tornare a far coincidere il nome con la cosa.

Infine: il Sessantotto distrusse la dimensione nazionale e statuale per porsi all'interno del sistema-mondo: nacque da una globalizzazione ...che presupponeva una lotta senza frontiere. Anche per questo fu anticipatore e violento. Immanuel Wallerstein scrive "ci sono state due rivoluzioni mondiali. Una nel 1848. La seconda nel 1968. Entrambe hanno fallito. Entrambe hanno trasformato il mondo". Purtroppo il Sessantotto non lo ha trasformato abbastanza. Non è stato troppo violento, ma troppo poco."


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