Ateoagnosticimo
commenti, contributi e opinioni
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In questa pagina ho inserito alcuni sostanziosi contributi
"teorici" su ateismo e agnosticismo. Tutti sono invitati a
partecipare.
Maggio 2008 dc: rendo disponibile, sotto Licenza Creative
Commons la cui spiegazione è nel testo, il libro di Fritz Mautner L'ateismo e
la sua storia in occidente, qui
in formato .pdf
Ateoagnostici
famosi
Ho ricevuto in e-mail dall'autore Daniele Burgio,
nel Luglio 2015 dc, questo scritto, che pubblico pur non trovandomi
d'accordo con esso: le religioni, tutte e senza eccezioni, sono il
cancro dell'umanità, a prescindere da avvenimenti e situazioni nelle
quali alcuni dei loro seguaci possano essere stati, più o meno
consapevolmente, "di sinistra", "rivoluzionari", "comunisti":
Ratzinger o fra Dolcino?
L’effetto di sdoppiamento nelle religioni occidentali
PREFAZIONE
Gesù di Nazareth, il “primo socialista”.
Le comunità politico-religiose degli esseni e di Qumran, basate entrambe su un modo di vita e di produzione collettivistico.
Amos e Isaia, profeti “rossi” dell’Antico Testamento.
Fra Dolcino e T. Muntzer, rivoluzionari comunisti e cristiani.
Le organizzazioni “eretiche” cristiane, dagli eroici marcioniti agli
anabattisti rivoluzionari della Comune di Munster, con la loro scelta
di campo allo stesso tempo comunista e religiosa.
I cristiani per il socialismo, il
cristiano-marxista Chavez, Boff e la teologia della liberazione, il
socialismo indigeno di Evo Morales, ecc.
Pratiche plurimillenarie e
proteiformi, concrete ed innegabili, su cui il materialismo storico
“classico” si è confrontato e rapportato solo di sfuggita e con un
certo imbarazzo, mentre invece esse richiedono sia un processo accurato
di analisi che un criterio generale d’interpretazione e di
comprensione, in grado di spiegare perché – a determinate condizioni –
la religione si sia potuta e si possa tuttora trasformare in positiva,
liberatoria e sovversiva “anfetamina dei popoli”.
Anche Engels, nella sua notevole opera “La guerra dei contadini
in Germania”, riconobbe che l’azione del religioso, credente
cristiano e rivoluzionario Thomas Muntzer era ispirato da principi-
guida che come minimo si avvicinavano al comunismo, ma purtroppo da
tale fatto innegabile, indiscutibile e testardo non derivò le
necessarie conseguenze teoriche.
Risulta ormai necessario modificare una parte consistente dell’ormai
consolidata analisi marxista sulla pratica religiosa, presa nella
globalità: del resto “il vero è l’intero”, rilevava Hegel nella
sua geniale “Fenomenologia dello Spirito”.1
Riteniamo ancora valido il nucleo fondamentale della valutazione
espressa dal marxismo “classico” sia rispetto alla genesi della
religione, da intendersi come il prodotto dell’azione umana (l’uomo ha
creato le divinità, e non viceversa), che soprattutto per quanto
riguarda la funzione concreta di “oppio dei popoli” svolta via via
dalla religione in una sua particolare versione, quella fornita dagli
apparati ecclesiastici collegati strettamente al potere politico e agli
organi statali, a partire dalla teocrazia sumera (3700 a.C.) fino ad
arrivare all’attuale gerarchia vaticana.
Ma il nucleo non è tutto, e se già
nell’introduzione alla sua “Critica della filosofia del diritto di
Hegel” Marx scrisse giustamente che “l’uomo crea la religione e
non la religione l’uomo”, rilevando anche che la religione “è l’oppio
dei popoli”, aggiunse anche che essa rappresenta “l’espressione della
miseria effettiva e la protesta contro questa miseria effettiva”, e
cioè il “sospiro della creatura oppressa”.
Oppio dei popoli, e allo stesso tempo “protesta contro la miseria”: una
polarità di opposti molto interessante, ma poco studiata e compresa.
Della tradizionale concezione materialista rispetto alla religione
molto bisogna conservare, a nostro avviso, ma quasi altrettanto bisogna
modificare: per tanto si propongono quattordici tesi generali su questo
tema, che formano l’ossatura fondamentale di questo libro.
1 Nella sua accezione più ampia, le concezioni e le pratiche umane
religiose esistono ormai da almeno centomila anni ed a partire dal
comunismo primitivo del medio paleolitico, molto prima cioè della
comparsa delle società di classe; esse inoltre sussistevano dopo il
1917 e si riproducono tuttora nel socialismo
industriale/post-industriale, e continueranno a riprodursi con tutta
probabilità anche nel futuro comunismo sviluppato (“a ciascuno secondo
i suoi bisogni”), almeno per un lungo periodo.
L’organo principale del partito
comunista cinese, Il Quotidiano del Popolo, a questo proposito ha
notato lucidamente nel giugno 2011 che la “religione può anche esistere
per un lungo periodo all’interno di una società socialista”, invitando
inoltre i marxisti cinesi a rispettare e riconoscere “tale esistenza
oggettiva” della pratica religiosa.2
2 Come fenomeno di massa, la ragione della vitalità passata, presente e
futura della pratica religiosa è che essa risponde nella sua matrice
originaria (parzialmente modificatasi nel corso degli ultimi 100.000
anni) ad un bisogno collettivo e profondo del genere umano, quella di
dare un senso e una risposta al problema della morte. A nostro avviso
nel futuro la religione scomparirà come fenomeno di massa solo se
gli esseri umani riusciranno a diventare potenzialmente immortali, con
la creazione di una super-genetica e di un processo di
autotrasformazione oggi quasi inimmaginabile.
3 Le prime divinità create dall’uomo, a partire almeno da 30.000 anni
fa, furono di natura femminile e risultarono perfettamente compatibili
con i rapporti di produzione collettivistici, egemoni nel medio
paleolitico: la religione connessa alla divinità nacque pertanto
“rossa” (sul piano sociopolitico) e donna, mantenendo tale matrice per
più di 20.000 anni.
4 La pratica religiosa rimase una “bella signora in rosso” anche
durante gran parte del periodo neolitico e calcolitico (9000-3900
a.C.), segnato dalla nascita dell’agricoltura, allevamento, artigianato
specializzato, dei primi centri urbani e della fusione del rame: le
religioni del neolitico rimasero quasi sempre di matrice femminile
(Gerico, Catal Hujuk, Ubaid, ecc) e perfettamente inserite/compatibili
con rapporti di produzione collettivistici, ancora dominanti nella
netta maggioranza delle società umane di quella lunga fase storica.
5 Tuttavia, proprio nel periodo neolitico-calcolitico, tra le
popolazioni nomado-pastorizie si affermò una diversa forma di
religione, patriarcale-classista, basata principalmente su divinità
maschili e sul culto della violenza, compatibile a sua volta con nuove
società protoclassiste fondate sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Dopo il 9000 a.C., la religione si “sdoppiò” come sottoprodotto di
notevole peso dell’effetto di sdoppiamento, su cui si ritornerà
in seguito.
6 Anche dopo la progressiva affermazione della società classista, prima
in Eurasia ed in seguito nel resto del pianeta, i testi sacri delle
principali religioni mondiali sorte dopo il 1000 a.C. rimasero
“sdoppiati” al loro interno. Essi infatti contenevano una parte, più o
meno centrale a seconda dei casi, di matrice classista (o
interpretabile facilmente in tal senso) e tesa a difendere i rapporti
di produzione classisti vigenti ed egemoni nelle loro zone di origine,
ma allo stesso tempo anche un’altra ed alternativa sezione, che
sosteneva invece la giustizia sociale ed era impregnata di un’ostilità
più o meno aperto verso i ricchi, manifestando simultaneamente una
preferenza per relazioni di produzione/distribuzione fraterne,
cooperative e di tipo collettivistico.
Come aveva notato giustamente Ernst
Bloch, “la Bibbia è insieme “il testo dei sacerdoti e di quelli che si
sono sempre opposti a loro”, mentre l’insofferenza
(“mormorazione”) contro ogni schiavitù e oppressione è il filo
rosso segreto che l’attraversa tutta, nonostante le manipolazioni e le
contraffazioni”.
Nel 1968 il grande Ernst Bloch, nel suo splendido libro intitolato
“Ateismo nel cristianesimo”, sottolineò il “mormorare” sovversivo ed
anticlassista contenuto in molti passi della Bibbia, contrapposti a
tanti altri in cui in essa invece si “scodinzola” e si esaltano le
strutture classiste, le guerre e la violenza, notando che “nella Bibbia
si trovano già adombrate due tipologie: c’è la plasticità di chi non fa
altro che scodinzolare verso l’alto e c’è, invece la fierezza di chi
recalcitra sotto il pungolo quasi sapesse che esso non ha ragion
d’essere e tanto meno di continuare ad essere, senza dubbio il
mormorare può anche risultare arrogante e stupido, ma in ogni caso è
sempre più umano dello scodinzolare. E tanto più spesso tale
mormorazione ha avuto ragione dell’impulso, tanto meno stupida è
risultata di quanto non possa essere gradita ai signori”.3
7 Proprio la parte “rossa” e filocollettivistica dei testi sacri ha
costituito la fonte di legittimazione principale, dal 1000 a.C. fino ai
nostri giorni, per tutta una serie variegata di eresie e di movimenti
politico-sociali scontratisi via via in Occidente (e non solo) con i
rapporti di produzione/distribuzione (e politici) classisti, dominanti
ed egemoni in gran parte del globo durante gli ultimi millenni di
storia del genere umano.
Abbastanza frequentemente, negli
ultimi tremila anni e fino al nostro terzo millennio (Hugo Chavez, Evo
Morales, ecc), la religione ed il messaggio religioso dei testi sacri
–utilizzato in modo selettivo - ha costituito “l’anfetamina dei popoli”
ed una fonte carsica di ribellione collettiva contro le ingiustizie
sociali e politiche, tipiche delle società classiste.
8 Tutta una serie di organizzazioni di matrice religiosa, anche dopo il
3700 a.C., ha via via creato delle comunità socioproduttive
alternative, al cui interno vigevano principalmente dei rapporti di
produzione/distribuzione collettivistici (nazirei/esseni, prime
comunità benedettine, comune di Tabor nella zona ceca del 1420-1430,
comunità anabattiste in Europa e Stati Uniti, ecc.): una “linea rossa”
collocata agli antipodi del processo di accumulazione di ricchezze (ivi
compresi schiavi e servi della gleba) portato in prima persona avanti
negli ultimi millenni dalle religioni dominanti nelle società classiste.
9 Gli apparati burocratico-religiosi ed i vertici politico-religiosi
delle principali organizzazioni ecclesiastiche occidentali, a partire
dal Vaticano e dalla gerarchia cattolica dopo il 311-313 d.C., hanno a
loro volta utilizzato in modo mirato i loro testi sacri selezionandone
e utilizzandone essenzialmente la parte “nera” e filoclassista, e
mettendo invece sotto silenzio la parte “sovversiva”, per sostenere più
o meno direttamente i rapporti di produzione classisti (asiatici o
schiavistici, feudali o capitalistici) e le ricchezze/proprietà via via
accumulate anche dalla casta religiosa nelle società di classe.
Trasformando pertanto la religione nell’“oppio dei popoli” descritto da
Marx, in modo assolutamente corretto rispetto ad una particolare forma
storica di pratica religiosa, risultata egemone in Occidente durante
gli ultimi millenni.
10 L’interconnessione e la lotta tra la “linea nera” e quella
“rossa” ha costituito un segmento significativo dell’esperienza
religiosa in terra occidentale, sia sul piano culturale che sotto
l’aspetto pratico (roghi di eretici, Inquisizione, libri proibiti,
scomuniche papali, ecc).
11 Il fenomeno religioso risulta pertanto elastico e plasmabile nei
suoi mutevoli rapporti con le due principali forme di relazioni
socioproduttive, e cioè potenzialmente/concretamente compatibile sia
con rapporti di produzione collettivistici che classisti, sia con
movimenti comunisti che con forze politico-sociali filo classiste:
rappresenta una sorta di “strumento multiuso”, sia nella sfera politica
che in quella economico-sociale, di pratica intermodale che convive ed
attraversa modi di produzione diversi (comunismo primitivo, schiavismo,
ecc).
12 La religione rappresenta allo stesso tempo un elemento strutturale
dell’Homo Sapiens, in quanto risponde ai suoi bisogni profondi
(relazione con la morte, innanzitutto), ma anche ed allo stesso tempo
una sovrastruttura, in quanto si modifica profondamente con la
trasformazione delle forze produttive e dei rapporti di produzione, con
l’atteggiamento espresso in materia religiosa dalle diverse classi
sociali (dopo il 3700 a.C.), ecc; fa parte della sovrastruttura, ma
anche della “sottostruttura umana” descritta da S. Timpanaro, come la
fame e la sete. Una “sottostruttura” modificata via via dalla praxis
umana, e nella quale rientra a pieno titolo anche la coscienza
collettiva della morte individuale, propria ed altrui, acquisita dalla
nostra specie almeno a partire dal 100.000 a.C. con l’inizio (sicuro)
delle sepolture rituali dei defunti da parte di alcuni clan paleolitici.
13 Anche la storia dello scetticismo in campo religioso
(ateismo/deismo/agnosticismo) dimostra come esso a sua volta si sia
ugualmente “sdoppiato” e diviso al suo interno rispetto alle scelte di
campo di tipo socioproduttivo e politico.
A fianco di un egemone ateismo comunista e filocollettivistico, si è
infatti riprodotto anche un ateismo classista (filo-feudale e
filo-borghese) ed una forte “linea nera” all’interno del pensiero
laico-scettico. Da Teodoro di Cirene (quarto secolo a.C.) fino ad
arrivare a Nietzsche ed ai suoi emuli, si è sviluppata anche una
particolare forma di ateismo che, più o meno apertamente, ha sostenuto
i rapporti di produzione e distribuzione basati sullo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, affiancandosi a modo suo sotto questo aspetto
decisivo all’azione filo classista svolta parallelamente dagli
apparati e vertici ecclesiastici.4
14 Seppur per motivi perfettamente comprensibili (l’ateismo dei “padri
fondatori” Marx ed Engels, il giustificato disprezzo per il costoso e
parassitario apparato ecclesiastico “cristiano”, l’iperlegittima
ostilità per la scelta di campo filoclassista compiuta dai vertici
“cristiani”, da Costantino fino ai nostri giorni, ecc.), il movimento
comunista con la sua settaria e non selettiva scelta ateista ha fatto
un grande regalo alla borghesia mondiale.
Prima di passare al tentativo di mostrare la validità delle
“quattordici tesi”, alcune premesse indispensabili. Chi scrive sono
atei non praticanti, che riconoscono l’importanza della pratica
religiosa per gran parte del genere umano passato (dal 100.000 a.C.,
come minimo) e presente, oltre al peso e rilevanza che assume anche per
gran parte degli atei la dura “contraddizione-morte”; ovviamente
simpatizziamo con la “linea rossa” all’interno del fenomeno religioso a
partire da Mosè della fuga degli schiavi ebrei, da Amos e Isaia fino ad
arrivare alla contemporanea Teologia della Liberazione, al bolivarismo
cristiano di Chavez in Venezuela e di Morales in Bolivia, ecc.
In seconda battuta va sottolineato come il “pianeta religione” sia
troppo esteso per essere analizzato nel suo insieme: pertanto ci si
limiterà al solo esame del solo occidente, America post-colombiana
inclusa, comprendendo al suo interno l’esperienza religiosa di matrice
ebraica sia per il suo indiscutibile collegamento con il mondo/pensiero
cristiano che per la costante presenza di comunità ebraiche nel mondo
occidentale, durante gli ultimi 2500 anni.
Per un processo di selezione inevitabile, l’esperienza religiosa via
via sviluppatasi in Russia e nel Caucaso nell’ultimo millennio non
verrà inserita nel presente libro, come del resto quelle (estremamente
interessanti ed illuminanti) formatesi nel mondo arabo-islamico, in
India e nel sub-continente cinese, in Africa e nell’America
pre-colombiana: aree geopolitiche nelle quali in ogni caso la
“linea rossa” dimostrò carsicamente una notevole vitalità.
Basti pensare che uno dei grandi “veleni” della vita, secondo quasi
tutte le scuole buddiste, consiste proprio nell’avidità e nella ricerca
di beni materiali; oppure che Lao-Tzu, grande pensatore di quel taoismo
cinese che dopo alcuni secoli aggiunse una matrice religiosa a quella
originaria, di tipo filosofica, esaltò sia la condizione della pace
perenne che un utopica condizione umana originaria, contraddistinta
dall’assenza di stato/autorità e dall’eguaglianza totale tra tutti gli
uomini.
Per quanto riguarda i criteri fondamentali utilizzabili al fine di
individuare la “linea rossa” in campo religioso, essa si è rivelata nel
corso degli ultimi tre millenni principalmente attraverso il bisogno di
fraternità, uguaglianza e cooperazione multilaterale fra gli esseri
umani, in una parola attraverso il desiderio di comunismo, quasi sempre
di matrice ascetica e livellatrice, espresso sia dai principali
esponenti della “linea rossa” che dall’insieme dei loro seguaci/fedeli.
Le forme di pratica socioproduttiva e/o politico-sociale che ha assunto
in Occidente questo sogno collettivo di “amore ed uguaglianza” sono
state molteplici e differenziate, a secondo delle diverse situazioni
storiche e fasi temporali. Tra di esse le principali risultano:
l’attesa collettiva di un apocalisse
divina, di un intervento liberatorio della divinità capace di
distruggere l’ingiustizia sociale ed i rapporti di produzione
classisti, creando parallelamente un nuovo modo di vivere e nuove,
splendide e fraterne relazioni tra gli esseri umani;
il ripudio individuale/collettivo del
processo di accumulazione di ricchezze, attraverso la messa in comune
dei beni all’interno delle comunità religiose di appartenenza ed una
scelta ascetica-egualitaria;
l’azione rivoluzionaria di massa di matrice allo stesso tempo collettivistica e religiosa (comunità di Qumran, Dolcino, ecc);
la creazione di comunità socioproduttive allo stesso tempo collettivistiche e religiose (esseni, Moravi, ecc);
la combinazione, mutevole e variegata
a secondo delle condizioni storiche, delle quattro tipologie di praxis
religiosa-alternativa sopra indicate.
Una “linea rossa” socioreligiosa mutevole e proteiforme, con grandi
lati positivi ma non priva di seri limiti, soggettivi ed oggettivi.
Oltre all’ascetismo egualitario ed al rigetto della sessualità che la
contraddistinse quasi sempre, almeno dal 1000 a.C. fino al 1880-1890,
la tendenza collettivistica di matrice religiosa ha costituito quasi
sempre durante i tre millenni in via di esame una forma minoritaria
(molto spesso iperminoritaria, a causa delle persecuzioni a cui è
andata via via incontro) sul piano quantitativo e rispetto alla
globalità dei credenti nel mondo occidentale, anche comprendendo al suo
interno pensatori e teologi che (come il vescovo Ambrogio di Milano,
Giovanni Crisostomo, ecc) coniugarono simultaneamente, nella loro
elaborazione teorica, elementi e spunti tipici sia della “linea rossa”
che di quella “nera”.
In secondo luogo va sottolineato come non vi fu una seria forma di
contaminazione tra marxismo e “linea rossa” religiosa. Come ha notato
E. Hobsbawm, il comunismo di matrice religiosa non risulta certo una
delle fonti, neanche secondarie, di ispirazione del pensiero marxiano:
ma questa verità indiscutibile ed elementare va in ogni caso collegata
ad un secondo e non irrilevante spunto analitico, e cioè che “i
numerosi esempi storici di comunità cristiane comuniste” confermavano
almeno “un’aspirazione al comunismo già esistente” (Hobsbawm) molto
prima di Marx e del moderno socialismo scientifico, un bisogno
collettivo noto a Marx ed Engels.
“Nemmeno i numerosi esempi storici di comunità cristiane comuniste –
indipendentemente dai diversi gradi di conoscenza che di esse si aveva
– possono essere indicati tra gli ispiratori delle moderne idee
socialiste e comuniste. Non è chiaro in quale misura le più antiche fra
esse (come i discendenti degli anabattisti del secolo XVI) fossero note
ai più. E’ certo comunque che il giovane Engels, menzionando diverse
comunità di questo tipo per dimostrare la praticabilità del comunismo,
si limitò a esempi relativamente recenti: gli shakers (che egli
considerava “le prime persone che in America e nel mondo in generale
hanno fatto nascere una società sulla base della comunità dei beni”), i
“rappiti” e i “separatisti”. Nella misura in cui essi erano conosciuti,
confermavano soprattutto un’aspirazione al comunismo già esistente,
piuttosto che essere alle origini di simili ideali”.5
Va infine rilevato come “l’effetto di sdoppiamento” via via
sviluppatosi in campo religioso, all’interno dell’area occidentale e
più in generale su scala planetaria, costituisca “solo” uno dei
numerosi sottoprodotti e ricadute concrete della plurimillenaria
dinamica socioproduttiva (e sociopolitica) sviluppatasi dopo il 9000
a.C., con la genesi concreta dell’“era del surplus” (costante ed
accumulabile) apertasi dopo il 9000 a.C. in Eurasia (area
siro-palestinese ed anatolica, Gerico dell’8500 a.C., ecc) e l’inizio
di un mega-trend socio produttivo, che si è cercato di sintetizzare e
comprendere attraverso la teoria dell’effetto di sdoppiamento.
Fermo restando che il tema è già stato sviluppato nel libro “ I
rapporti di forza”, a cui si rimanda (cap. 6/7/8), qualche osservazione
preliminare sullo schema teorico che sorregge questo libro.6
Secondo la concezione tradizionale ed
“ortodossa” del materialismo storico rispetto alla storia universale,
quest’ultima può essere paragonata ad una grande e lunga strada a senso
unico, anche se composta da alcune diramazioni secondarie che in
seguito si ricollegano al sentiero principale, oltre che da una serie
di vicoli ciechi che vengono abbandonati, più o meno rapidamente.
In questa prospettiva storica, la “grande strada” è formata nella sua
essenza da vari segmenti interconnessi, seppur ben distinti tra loro
(comunismo primitivo/comunitarismo del paleolitico, nella preistoria
della nostra specie; fase del modo di produzione asiatico; periodo
schiavistico; fase feudale; epoca capitalistica e, infine,
socialismo/comunismo), ma essa era ed è considerata tuttora un
tracciato predeterminato, almeno in ultima istanza: qualunque
“viaggiatore” e società potevano/possono anche prendere delle
“scorciatoie” ma alla fine, volenti o nolenti, erano /sono costretti a
rientrare nel sentiero di marcia principale e nelle sue variegate, ma
obbligate tappe di percorso.
In base ai dati storici allora a
conoscenza di Marx ed Engels, fino al 1883-95, questa era probabilmente
l’unica visione complessiva del processo di sviluppo della storia
universale che poteva essere (genialmente) elaborata a quel tempo ma,
proprio dopo il 1883-95, tutta una serie di nuove scoperte ed
avvenimenti storici portano a preferire una diversa concezione generale
della dinamica del genere umano.
Immaginiamoci una “grande strada” che, dopo un lunghissimo segmento
(fase paleolitica e mesolitica) di scorrimento, si trovi di fronte
improvvisamente ad un “grande bivio” e ad una gigantesca biforcazione:
da tale bivio partono e si diramano due diverse ed alternative strade,
che conducono a mete assai dissimili, senza alcun obbligo a priori per
i “viaggiatori” (a causa del Fato/forze produttive) di scegliere l’una
o l’altra.
Ma non basta. Non solo non vi è più una sola strada obbligata di
percorso, ma – a determinate condizioni e pagando determinati
“pedaggi”- qualunque “viaggiatore” e qualunque società umana
possono trasferirsi nell’altro tracciato, alternativo a quello
selezionato in precedenza, cambiando pertanto radicalmente le proprie
condizioni materiali di “viaggio” nell’autobus che stanno utilizzando
con altri passeggeri: la scelta iniziale di partenza “al bivio”, giusta
o sbagliata, risulta sempre reversibile in tutte e due le direzioni di
marcia, in meglio o anche in peggio.
Fuor di metafora, la concezione che proponiamo ritiene che subito dopo
il 9000 a.C., ben undici millenni fa nell’Eurasia del periodo
neolitico, con la scoperta dell’agricoltura, allevamento e artigianato
specializzato, si sia creato e riprodotto costantemente fino ai nostri
giorni un “grande bivio”, da cui si sono diramate due “strade”, due
linee e due tendenze socioproduttive di matrice alternativa, l’una di
tipo comunitario-collettivistico e l’altra di natura classista, fondata
invece sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Pertanto dopo il 9000 a.C. e fino ai nostri giorni, nell’era del
surplus, non sussiste alcun determinismo storico, ma altresì un campo
di potenzialità oggettive (sviluppo delle forze produttive e
creazione/riproduzione ininterrotta di un plusprodotto accumulabile…
l’era del surplus) su cui si possono innestare, e si innestano poi
concretamente e realmente delle prassi sociali contrapposte, volte a
condividere in modo fraterno mezzi di produzione/ricchezza/surplus o,
viceversa, a fare in modo che essi vadano sotto il controllo e possesso
di una minoranza del genere umano, in entrambi i casi con immediate
ricadute anche sulla sfera politico-sociale delle diverse società.
Detto in altri termini, a parità di sviluppo qualitativo delle forze
produttive e già formatisi elementi cardine quali
agricoltura/allevamento/surplus costante, fin dal 9000 a.C. per
arrivare ai nostri giorni era possibile che si sviluppasse sia
l’egemonia di rapporti di produzione collettivistici, che quella
alternativa di matrice classista: un effetto di sdoppiamento nel quale
nulla era/è tuttora scritto a priori, nei libri mastri della Storia.
Situazione di “sdoppiamento”, potenziale/reale, valida nel 9000 avanti
Cristo ma anche nel 2010 della nostra era, valida nell’8999 a.C., ma
anche nel prossimo anno e nei prossimi decenni: uno stato di
sdoppiamento ed un’alternativa radicale nei rapporti di produzione
possibili e praticabili sul piano storico, che da undici millenni
esclude a priori qualunque forma di determinismo storico e di
metafisica basata sul “progresso inevitabile” del genere umano.
Certo, qualunque regressione ad uno stadio paleolitico basato sulla
caccia/raccolta di cibo era ed è tuttora impedita proprio da quel
processo di sviluppo qualitativo delle forze produttive, da quell’“era
del surplus” costante/accumulabile che determina il sorgere e la
riproduzione ininterrotta dell’effetto di sdoppiamento. Ma a parte
questo “dettaglio” non trascurabile, negli ultimi undici millenni il
corso della storia universale è diventato decisamente multilineare,
composto com’è dal “bivio”e dalle due “strade” alternative in campo
socioproduttivo e politico, la cui logica ed essenza più profonda
risultano essere l’antideterminismo e l’emersione costante di un campo
di potenzialità alternative, nel quale la pratica collettiva degli
uomini del passato, presente (noi stessi...) e del futuro assume un
ruolo decisivo, sotto tutti gli aspetti.7
Prima di esaminare la storia contraddittoria delle religioni formatesi
via via nel mondo occidentale, dal 1000 a.C. fino ai nostri giorni,
serve e diventa indispensabile aprire un processo preliminare di
focalizzazione sia sulla genesi ed evoluzione del rapporto
creatosi tra genere umano e “sfera sacra” che sull’effetto di
sdoppiamento.
1-G. W. F. Hegel, “Fenomenologia dello Spirito”, p. 35, ed. Einaudi
2-“Why CPC can unite religious believers”, in english.peopledaily.com.cn, 8 giugno 2011
3-E. Bloch, “Ateismo nel cristianesimo”, p. 66, ed. Feltrinelli
4-G. Minois, “Storia dell’ateismo”, pp. 45-46, Editori Riuniti
5-E. Hobsbawm, in “Storia del marxismo”, vol. primo, p. 6, ed. Einaudi
6-R. Sidoli, “I rapporti di forza”, cap. 6-7-8, in www.robertosidoli.net
7-C. Preve e R. Sidoli, “Logica della storia e comunismo novecentesco”, pp. 9-10, ed. Petite Plaisance
Da Ateismo, Dizionario filosofico a cura di M.
Rosenthal e P. Judin, Politliteratura, Mosca 1963: a livello teorico nulla da
eccepire:
Ateismo militante
"L'ateismo cerca di chiarire le fonti e le cause della
nascita e dell'esistenza delle religioni, critica le dottrine religiose dal
punto di vista di una visione scientifica del mondo, spiega il ruolo della
religione nella società e studia le modalità per il superamento dei pregiudizi
religiosi...
L'ateismo marxista è *militante*. Esso critica la
religione da ogni punto di vista e in ogni epoca storica, indicando le vie e i
mezzi per la sua *sconfitta definitiva*.
L'ateismo marxista ha dimostrato che la sconfitta totale
della religione è diventata possibile soltanto a seguito della distruzione delle
radici sociali di questa nel corso dell'edificazione comunista".
Dall'insospettabile sito San Tommaso D'Aquino il Doctor
Angelicus
http://digilander.libero.it/avemaria78/tommaso/fabro.htm questo
interessante scritto (giugno 2011 dc):
I fondamenti dell'ateismo
marxista
di Cornelio Fabro
Evidentemente fra
comunismo e ateismo, nella pura esigenza formale che questi due termini
comportano, non c'è assoluta solidarietà di principio: il comunismo indica un
certo tipo di teoria sociale sull'acquisto e distribuzione dei beni materiali in
funzione del lavoro umano; l'ateismo è l'atteggiamento che prende l'uomo circa
l'ammissione di un Principio assoluto dell'universo e della storia dell'uomo.
Anche storicamente si sono avuti delle forme o concezioni comuniste della vita
(Platone, certe sette platonico-pitagoriche e gnostiche, alcune eresie
medievali, Fourier...) nelle quali il collettivismo dei beni materiali è
piuttosto richiesto da un teologismo che intende la fraternità umana in Dio nel
suo significato più immediato di «comunità»
come « comunione v integrale. E l'ateismo d'altronde è stato più spesso, come il
materialismo che ne è la più frequente matrice, la filosofìa degli aristocratici
della cultura e dei detentori della finanza: un fenomeno quindi di
« saturità » o se si vuole,
d'insensibilità spirituale ch'è tipicamente capitalistico. Ciò non toglie nulla
alla tesi di Max Weber che il capitalismo moderno sia un prodotto del
Protestantesimo ovvero della dissociazione operata dal principio della Riforma
fra coscienza pratica e coscienza teoretica: prima di Max Weber lo stesso
Kierkegaard aveva osservato che il proletariato moderno era una derivazione
diretta della concezione protestantica della vita secondo la quale l'uomo,
assicurato il suo conto con Dio con la sola fides poteva a suo agio
ingolfarsi nei piaceri e negli affari di questa vita.
L'ateismo marxista ha visto in questa
dissociazione di comunismo e ateismo un'incongruenza in cui sta il doloroso
equivoco che proprio il principio della libertà del ceto degli sfruttati,
appartenga invece agli sfruttatori, i ricchi e i padroni, i quali lasciano la
religione ai paria della vita per abbrutirli nella soggezione con la minaccia
d'inesistenti pene nell'altra vita o col falso miraggio di un'eterna felicità in
un fantastico aldilà.
L'ateismo significa
perciò, nell'ideologia marxista, non tanto la polemica diretta contro la
Teologia e la Rivelazione divina quanto lo svuotamento del senso ontologico che
può avere la coscienza umana come rapporto verso la trascendenza: in questo
senso, e così lo intendono di solito i dottrinari del marxismo, l'ateismo
marxista è l'unica conclusione logica della filosofia moderna e particolarmente
dell'Idealismo trascendentale di Hegel anche se Hegel per suo conto questa
conclusione non l'ha proposta ovvero l'ha accortamente mascherata (è noto che
l'hegelismo fu subito accusato di ateismo!). L'ateismo procede principalmente da
due posizioni ideologiche che intaccano i due attributi fondamentali di Dio, la
spiritualità e la personalità con la sua distinzione dal finito. Così il
materialismo di tutti Ì tempi, dalla sua prima affermazione teoretica
nell'atomismo di Democrito alle raffinate posizioni dell'Illuminismo francese,
considera lo spirito come uno pseudo-concetto e chiude inesorabilmente
l'esistenza umana nel cerchio della temporalità. Il panteismo si presenta invece
come fautore dell'assoluto e dell'eterno e tutto riporta all'unità suprema
dell'essere: ma la realtà di quest'assoluto è immanente ai suoi modi e alle sue
forme o piuttosto queste svaniscono in esso. Dio non è una Persona che viva la
sua vita suprema, ma è ridotto al punto di riferimento di quell'assoluto
teoretico o deontologico di cui ha bisogno la coscienza umana per affermare i
suoi valori: Dio è la realtà del finito che sarebbe mera parvenza se non si
rapportasse all'assoluto, ma anche l'assoluto nulla è fuori dei suoi modi o
forme. Potremmo quasi dire che nel panteismo metafisico di Spinoza, come in
quello trascendentale degli Idealisti, il mondo non ha verità fuori di Dio e Dio
non ha realtà fuori del mondo della natura e della storia. All'ateismo meta-
fisico di Spinoza spetta d'aver operato la riduzione dell'essere nella forma
d'immanenza quiescente, per cosi dire, conchiudendo dentro l'appello della
soggettività cartesiana, l'aspirazione del materialismo stoico della filosofia
classica. All'ateismo dell'idealismo tedesco e specialmente hegeliano spetta
d'aver resa presente tale immanenza di Dio in ogni punto e momento del finito,
muovendosi coi movimenti stessi del finito (dialettica trascendentale) come
risoluzione definitiva dello "io penso". Che lo "orizzonte teoretico"
dell'ateismo marxista sia da vedere nell'influenza combinata di Spinoza-Hegel,
mediata dall'autocoscienza kantiana, è un punto su cui i marxisti teorici
insistono di continuo e che i loro avversar! dovrebbero prendere in seria
considerazione se non vogliono colpir l'aria, come spesso avviene, con le loro
facili diatribe. Una volta ch'è prospettato su questo suo sfondo
storico-dottrinale, l'ateismo marxista può anche rappresentare uno sforzo di
coerenza e di sincerità per uscire dall'equivoco di una situazione in cui altri
si ostinano a permanere contro la logica dei principi. Così oggi non abbiamo
soltanto forme di marxismo in lotta fra loro sul piano politico, benché
professino l'identico materialismo storico e quindi l'ateismo dichiarato
(socialismo dì sinistra come di destra, trotzkismo, ecc.), ma gli stessi partiti
più direttamente impegnati ad avversare il collettivismo sociale marxista, come
i partiti liberali, repubblicani... dei più vari indirizzi o ignorano o
avversano direttamente la necessità del momento teologico per la situazione e la
soluzione dell'essere dell'uomo. E, bisogna riconoscere, dal punto di vista
strettamente teoretico, i marxisti contro simili avversar! hanno facilmente buon
gioco e non sarebbe troppo esigere un po' di coerenza dai i chierici » della
cultura, fìn quando si è ancora in tempo. La lezione che il marxismo
consequenziario sta dando all'umanità e la minaccia ch'esso alimenta nella vita
internazionale dovrebbe aprire gli occhi sui reali motivi di un disagio che
diventa sempre più insopportabile e che fa spesso sospettare se gli avversar!
del marxismo non alimentino la loro opposizione dalla sfrenata cupidigia per
godere in pienezza quella vita terrena di cui i marxisti affermano, almeno in
linea di principio, che tutti gli uomini devono essere partecipi in virtù
dell'identica comune natura.
Mi limiterò a toccare i tre momenti decisivi
dell'ateismo marxista: Hegel, Feuerbach, Marx, che a un secolo di distanza
rappresentano ancora i momenti cruciali del dramma che attraversiamo e da cui
forse dipenderà la sorte di questo povero genere umano per molti secoli.
L'episodio più clamoroso dell'ateismo nel
pensiero moderno è stata la Atheismusstreit in cui fu coinvolto lo stesso
Fichte nel 1798-99 ma che fu dovuta principalmente a Karl Forberg suo amico e
collaboratore del « Philosophisches Journal » che Fichte dirigeva assieme
al Niethammer.
Il Forberg vi aveva pubblicato nel 1798 un ampio
articolo su Lo sviluppo del concetto di religione, nel quale, ribadendo
l'impossibilità della ragion teoretica di attingere l'assoluto ontologico,
presentava la sfera dei valori umani, della moralità e del dovere, come unica e
concreta istanza della "religione dell'uomo la quale perciò poteva ben dirsi
una religione senza Dio". Dell'esistenza di Dio, osserva Forberg, non abbiamo
nessuna evidenza ne dall'esperienza ne dalla speculazione; l'esistenza del male,
che si manifesta dovunque, mostra nel mondo la presenza del diavolo piuttosto
che quella di Dio. Cade così la "teoria del sentimento" (Jacobi) come valore
probativo dell'argomento teleologico kantiano perché allo stato attuale del
mondo, sia fisico come morale, Satana non ha minor diritto alla presidenza
dell'universo di quanto non ne abbia Dio! Unica fonte della religione resta
allora la coscienza morale (Gesinnung) intesa come e il "desiderio del
buon cuore per il trionfo del bene", un desiderio ch'è fede o fiducia (Glaube)
nell'ordine morale e che non è una mera e vuota chimera (eine blosse und
leere Schimare) ma speranza implicita già nell'aspirazione per un ordine
etico del cosmo. La religione pertanto altro non è che «fede nel valore della
buona causa, così come la irreligione non è che disperazione per la buona causa:
esiste un governo morale del mondo, ed una divinità che governa il mondo secondo
leggi morali». Questa divinità non ha affatto un senso ontologico ma soltanto
deontologico, in quanto rappresenta il senso e lo scopo dell'agire umano, il
punto di riferimento ideale che da senso all'attività pratica: così si è potuto
giustamente vedere nella posizione del Forberg un'anticipazione della filosofia
dello «Als ob» di Vahinger. Moralismo puro senza residui metafisici o, se
piace, umanesimo assoluto come lo rivendicherà Feuerbach dopo l'ubriacatura
dell'idealismo hegeliano. Quel che importa rilevare dall'episodio della
Atheismusstreit è la disarticolazione della moralità dalla metafisica e
quindi dalla teologia.
In Hegel questa scissione o incompiutezza della
coscienza filosofica sembra comporsi nella superiore unità della speculazione in
cui etica e metafisica, filosofia e teologia s'incontrano e si fondono
nell'identico cammino e "risultato" ch'è lo Spirito. Compito della
considerazione filosofica è essenzialmente quello di eliminare l'accidentale, il
mero molteplice e l'accadere esteriore, per "entrare" nell'universale, nel
necessario, nell'Uno assoluto. Quindi per Hegel la posizione di Kant va
rovesciata; non solo è possibile conoscere Dio, ma la conoscenza di Dio è la
sostanza stessa del sapere filosofico e corrisponde al precetto stesso della
Sacra Scrittura quando ordina non solo di amare Iddio ma anche di conoscerlo.
Una nozione generica di Dio, come Provvidenza del mondo, osserva Hegel, può
bastare per la coscienza ingenua...: parimenti volerlo confinare a principio
ordinatore della natura materiale, è relegare Dio nella sfera che meno gli è
propria, quella dell'aconcettualità e restringere la ragione a ciò che non è
divino, che è limitato e finito, alle bazzecole dell'empiria. Ma l'uomo,
proclama Hegel, sente anche la necessità superiore di avere una a domenica della
vita in cui si elevi al di sopra delle faccende feriali, occupandosi del vero e
recandoselo alla coscienza. E così se il nome di Dio non dev'essere qualcosa di
vuoto, dobbiamo riconoscere che Dio è benevolo ossia comunicativo. Perché se
nelle antiche concezioni dei Greci Dio è presentato come invidioso, Aristotele
ha detto che i poeti mentiscono molto e che a Dio non può attribuire invidia e
infatti per quanto Dio partecipi di sé, nulla può perdere come non perde una
fiamma quando un'altra viene accesa da essa.
Il "medio" in cui Dio si
manifesta non può essere che il pensiero: quanti hanno posto che la coscienza
attinge Dio con l'intuizione e col sentimento, ovvero (secondo la terminologia
hegeliana) nella sfera dell'immediatezza, abbassano Dio e la coscienza dell'uomo
insieme : l'uomo infatti si eleva al di sopra dell'animale precisamente in virtù
della ragione che domina il sentimento, e l'animale non ha nessuna religione.
Pertanto, conclude Hegel, quando Dio si rivela a lui, lo fa essenzialmente in
quanto è pensante: Dio è l'essere in sé e per sé eterno, e ciò ch'è in sé e per
sé universale è oggetto del pensiero, non del sentimento, dove non può trovarsi
che come risonanza e derivazione dalla ragione e sotto la vigilanza della
ragione, che altrimenti si cadrebbe nella soggettività dell'arbitrio e del
libito. Ed eccoci alla dichiarazione finale che sembra uscita dalla penna di uno
degli apologeti dei primi secoli del Cristianesimo: "Nella religione cristiana
Dio si è rivelato, ha cioè concesso agli uomini di conoscere la sua natura in
modo di non essere più qualcosa di chiuso, di segreto... E' divenuto manifesto
quel che sia la natura di Dio, Se si dice: 'Non sappiamo nulla di Dio'... la
religione cristiana diventa qualcosa di superfluo, di tardivo, di decadente. "
Nella religione cristiana si sa che cosa sia Dio... La religione cristiana è
quella che ha manifestato agli uomini la natura e l'essenza di Dio. Così noi.
come cristiani, sappiamo ciò ch'è Dio. Esso non è più ora una realtà
sconosciuta: se continuiamo ad affermarlo, non siamo più cristiani. La religione
cristiana esige umiltà, di cui già parlammo, e cioè quella che consiste
nell'attingere la conoscenza di Dio non da sé, ma dalla sapienza e conoscenza
divina. I cristiani sono, così, iniziati ai misteri di Dio; e in tal modo ci è
data la chiave per intendere la storia del mondo.., (perché) Dio non vuole avere
per figli degli animi angusti e delle teste vuote, ma esige che lo si conosca;
vuole figli il cui spirito sia povero di sé ma ricco della conoscenza di lui, e
i quali pongano ogni valore in tale conoscenza".
Tutto questo sembrerebbe pacifico se Hegel non si
affrettasse a precisare che l'ambito proprio per la conoscenza del divino e
quindi del compimento del rapporto dell'uomo a Dio, non è propriamente la
religione e la fede, ma la filosofia e la storia del mondo. La fede infatti si
arresta all'immediato e non va oltre la sfera dell'intuizione da cui trae le
immagini per rappresentarsi la natura di Dio, per es. che Dio è Padre, Figlio,
che il Padre « genera » il Figlio, oppure che Dio si adira, che si pente..., o
che all'inizio della storia umana si trova la disobbedienza del primo Uomo per
avere mangiato il frutto proibito di un certo albero, ecc... Tutto questo non è
che simbolo e allegoria, che resta al di qua del vero pensiero e in cui perciò
l'unione con l'Assoluto è adombrata non realizzata, Hegel ne trae la conseguenza
che la religione è essenzialmente legata a tali immagini, prese nella loro
immediata significazione, e che perciò la religione non può costituire . lo
stadio definitivo dell'umana coscienza ne la conoscenza vera della natura di
Dio, ma soltanto un'immagine umbratile e approssimativa. Soltanto la filosofia
presenta la divinità nella pura forma della suprema universalità e concretezza
del reale come concetto puro e identità assoluta con se stesso: si sa che nella
graduazione hegeliana della vita dello Spirito la Religione occupa il posto di
mezzo fra l'Arte che è direttamente legata alle immagini sensibili della realtà
spazio-temporale e la pura idealità della Filosofia, perché la Religione
conserva ancora la dualità in seno al reale (creatura e creatore, finito e
infinito, bene e male...) ed esprime Soggetto nel medio della rappresentazione.
Nel "sistema" dell'Idealismo oggettivo di Hegel
(a cui basta accennare dato lo scopo elementare della nostra disamina), il puro
concetto di' Dio ch'è oggetto della speculazione, è senz'altro il "risultato"
ovvero il termine logico della "mediazione" (Vermittlung} del pensiero. E qui
Hegel rimanda all'esposizione che nella grande Logica fa del processo della
mediazione. Ridotto al nocciolo e in termini un po' accessibili, esso si può
riassumere nei punti seguenti: i) L'assoluto ovvero Dio va concepito come
movimento e processo, come l'unità dinamica cioè dialettica dei contrari. 2)
Questa unità è espressa dalla stessa Ragione umana in quanto essa esprime
l'oggettività assoluta ovvero l'identità suprema di forma e contenuto e »
risolve » in sé le sfere opposte della Natura (spazio) e dello Spinto (tempo),
3) Dio è quindi il Concetto in quanto esso è la totalità del divenire
dell'essere e delle sue forme ovvero (in termini hegeliani) esso è il «
risultato • della mediazione del finito, la sua positività e necessità. Quindi
non meraviglia più la dichiarazione di Hegel : "A questo modo Dio è anche il
finito, ed io così sono l'Infinito. Dio ritorna a sé nello Io come in quel che
toglie se stesso come finito ed è Dio soltanto come questo ritorno. Senza mondo
Dio non è Dio". Mentre la Religione considera l'Assoluto ch'è Dio dal punto di
vista della coscienza (e quindi come dualità nella rappresentazione), la
Filosofia lo determina come l'unità assoluta dei contrari, Idea, che non si
rapporta che a se stessa.
Venendo perciò a toccare in concreto l'accusa di
ateismo che spesso si fa alla Filosofia, Hegel non la trova più fondata di
quella di panteismo: per la prima, nella Filosofia c'è troppo poco di Dio, per
la seconda ce n'è troppo assai. Egli osserva che l'accusa di ateismo presuppone
una rappresentazione determinata di un Dio pieno di contenuto e dipende dal
fatto che il pensiero rappresentativo non trova più nei concetti filosofici le
forme peculiari alle quali esso è legato (perché esse son proprie della sfera
inferiore della rappresentazione da cui la Filosofia si è invece liberata).
Perché la Filosofia esprime la verità nella sua forma assoluta in cui perciò la
forma inferiore (della rappresentazione, cioè della religione) è tolta (aufgehoben)
e insieme conservata nella sua verità: cioè la Filosofia può ben riconoscere le
sue proprie forme nelle categorie del modo religioso di rappresentare e per tal
guisa riconoscere il suo proprio contenuto e rendergli giustizia. Ma l'inverso
non ha luogo (cioè nel rapporto della Religione verso la Filosofia); giacché «il
modo religioso di rappresentare non applica a se stesso la critica del pensiero
e non comprende se stesso, però nella sua immediatezza esclude gli altri modi».
Anche la "recente" accusa di panteismo di cui è oggetto la filosofia non sembra
a Hegel più fondata, perché essa tradisce la povertà della teologia che prende
per unica fonte di conoscenza il sentimento soggettivo e nega la conoscenza
della natura di Dio che testa qualcosa d'indeterminato che può essere indicato
in qualsiasi cosa, come nelle scimmie della religione indiana, nel bove della
egiziana, ecc.
La cosiddetta a "elevazione della Filosofia al
punto di vista puramente speculativo del puro Concetto", proclamata da Hegel, è
quindi soltanto apparente, perché Hegel lavora all'ombra della teologia che poi
vuoi superare e così tutto svapora nel vuoto, e la natura e l'uomo; la natura,
perché la sua verità e realtà sensibile è ridotta a concetto, e l'uomo, in
quanto la sua realtà è pensata unicamente nella forma dell'universale storico
vestito di attributi teologici. Basta perciò demolire la sovrastruttura
teologica e l'hegelismo cade sgonfiato delle sue pretese metafisiche e il suo
Umanesimo "masqué" si mostra nella immediatezza dei suoi rapporti
naturali e sensibili. La dialettica non è automovimento dello Spirito assoluto,
ma pro-cesso d'interazione fra la coscienza umana, nella sua concretezza dei
suoi fenomeni vitali e sociali, con la natura e di ogni singolo con gli altri
sin. Ecco la riforma quindi della dialettica hegeliana, il ritorno dalla sfera
dell'astrazione del concetto a quella della concretezza della vita. Hegel ha
constatato che ogni ente finito presenta per il pensiero un "limite" e quindi si
presenta come una negatività: di qui la necessità di raggiungere una superiore
positività in cui esprimere la verità per sé. Ma questo limite, osserva
Feuerbach, è la stessa natura che circonda l'uomo che le metafisiche idealiste —
come prima il Cristianesimo — hanno misconosciuta nella sua autentica
positività. Hegel, una volta abbandonata la realtà della natura, non la può più
riguadagnare e finisce nel vuoto delle astrazioni .
La filosofia hegeliana perciò, in quanto è
l'espressione speculativa della teologia cristiana, si risolve come questa in
una "mitologia" e cade con essa. Perciò Feuerbach precisa: "L'essenza del
Cristianesimo è l'essenza dell'uomo, ma dell'uomo che conosce la natura, la
materia, i corpi, il suo corpo, soltanto come un limite, una negazione della sua
essenza, e perciò nel superamento (Aufhebung) di questo limite od almeno
— poiché l'uomo non si può liberare dalla natura — dalla trasformazione di
questa natura che corrisponda a questo ideale... pone il suo più alto scopo e
natura. La limitatezza, la deficienza, la non-verità del Cristianesimo, anche
come filosofia cristiana, è di non aver conosciuto la vera natura dell'uomo.
Poiché io sono contro il Cristianesimo nella misura in cui sono per la natura
dell'uomo: nego il Cristianesimo nella misura in cui affermo la natura". Com'è
che nasce allora la religione? Così: "L'esistenza e l'oggettività di Dio altro
non è che la natura la quale, dopo che lì ha uccisi [gli idealisti, gli
spiritualisti, i teisti...], li perseguita come ombra, come spettro, una volta
che l'oggettività astratta è stata presa originariamente e essenzialmente come
divinità". Com'è che l'uomo arriva a questo a capovolgimento (Umkehrung)
di fondarsi sulla fede nell'oggettività di Dio così che la natura è ridotta a un
fantasma, a uno spettro? È a causa della
"separazione" (Trennung}, risponde Feuerbach, che l'uomo pone fra l'uomo
e la natura, così che arriva alla concezione di un Dio disumano e di una natura
disumana.
Allora "la natura, che non sia oggetto dell'uomo
o della coscienza. è ora senz'altro la cosa in sé kantiana, un astratto senza
realtà, ma appunto nella natura fa naufragio (scheiert) l'idealismo. La
scienza ci porta, almeno nella sua situazione attuale, necessariamente ad un
punto dove le condizioni dell'esistenza umana non sono ancor date, quando la
natura, cioè la terra, non era ancor oggetto di un occhio o di una coscienza
umana, quando la natura era un'essenza assolutamente non-umana. Ed è con
l'esistenza dell'uomo che la natura prende il suo senso". Perciò le
contraddizioni non sono inerenti alla filosofia come tale, ma derivano dal primo
falso passo di cercare la spiegazione della natura fuori della natura e
dell'uomo, indipendentemente dalla natura.
Feuerbach poteva perciò riassumere la sua critica
costruttiva alla filosofia hegeliana con la formula: La teologia è antropologia
(Die Teleologie ist Anthropologie). Cioè quel che noi chiamiamo Dio non è
altro che l'essenza umana divinizzata o assolutizzata e la storia delle
religioni si riduce in sostanza alla storia della umanità e così abbiamo tante
religioni quanti sono i popoli: ecco il primo principio. E mentre le divinità
delle religioni politeistiche si fermarono al gruppo etnico ipostatizzando lo
spirito nazionale, il Cristianesimo divenne cosmopolita e poté concepire Dio
come l'umanità divinizzata. Secondo principio: c'è però una realtà indipendente
dall'uomo da cui l'uomo dipende, ed è la Natura. Così quel che finora si pensava
dell'uomo in assoluto e si attribuiva alla religione, si riduce a antropologia e
a fisiologia: l'uomo ha il suo essere, nasce, vive e muore a seconda dei suoi
rapporti con la natura ovvero dei rapporti che il suo corpo può esercitare con
le forze della natura. A questo mode l'antitesi di teismo-ateismo risulta priva
di senso in quanto, una volta che il termine « teismo risulta vuoto di un
proprio contenuto e mera estrapolazione che l'uomo fa della sua natura, anche il
termine ateismo » non può significare alcunché, se non in quanto come negazione
di una negazione esprime la positività della riconquista di se stesso che l'uomo
fa con la critica della religione e alla -filosofia speculativa, responsabile
della estraneazione (Entusserung, Entfremdung) dell'uomo stesso- Qui già
si annunzia il marxismo nel suo nucleo di "realismo".
Per Feuerbach questa «risoluzione della
religione», questa discesa della filosofia dall'Olimpo dell'astrazione fittizia,
è un atto di onestà e di sincerità contro l'ipocrisia dei "sistemi"
dell'Idealismo, responsabili fra l'altro di aver snaturato la religione stessa
in quel ch'essa può dire di schietto per l'uomo ingenuo. L'essenza quindi di
tali filosofie è un ateismo ancora più sopraffino del suo, ateismo ipocrita e
disumano in quanto tradisce ogni legittima aspirazione di bene e felicità
dell'uomo, perché l'idealismo ha posto il supremo scopo dell'uomo nella politica
strappandogli ogni speranza alla felicità. Si deve invece proclamare un
Umanesimo concreto in cui l'uomo attua se stesso così che la sua vita
corrisponda ai]a sua natura. Il posto dell'Idea in cui l'Idealismo hegeliano
faceva svaporare il Dio della teologia è preso dalla "Natura": è da essa
unicamente che l'uomo dipende e ad essa si rapporta il "sentimento" di
dipendenza a cui le filosofie idealiste riducono la religione. Quindi:
1. Il sentimento di dipendenza è il fondamento
della religione.
2. L'oggetto originario di questo sentimento di
dipendenza è la Natura.
3. La Natura allora è il primo oggetto della
religione. Il sentimento di dipendenza, celebrato da Schleiermacher come
l'essenza della religione, è pertanto l'unico vero nome e concetto universale,
afferma Feuerbach, per indicare e spiegare la ragione psicologica ovvero
soggettiva della religione ed in esso si riassumono tutti gli altri sentimenti.
La posizione di Feuerbach chiude il ciclo dei
grandi sistemi di filosofia della religione dell'Ottocento, con la negazione
dell'essenza stessa dello "homo religiosus " e ciò in virtù dell'antropologismo
implicito nel "cogito" cartesiano e mascherato dal pensiero puro dell'Idealismo
oggettivo. Ormai, conclude Feuerbach, il processo della dissoluzione del sacro è
consumato: "La filosofia precedente cade nel periodo del tramonto del
Cristianesimo della sua negazione del medesimo ma che voleva insieme figurare
come la posizione. La filosofia hegeliana nascondeva la negazione del
Cristianesimo sotto la contraddizione di rappresentazione e pensiero: cioè lo
negava mentre lo affermava, sotto la contraddizione di un Cristianesimo
incipiente e uno compiuto... Il Cristianesimo in realtà è negato, negato nello
spirito e nel cuore, nella scienza e nella vita, nell'arte e nell'industria: è
negato in radice, senza remissione, irrevocabilmente, poiché gli uomini si sono
appropriati ciò ch'è vero, umano, antisacro (das Antihelige), così che al
Cristianesimo è stata tolta ogni forza di opposizione...".
Prima la negazione del Cristianesimo era
incosciente, ora è divenuta cosciente, voluta, direttamente intesa: essa apre
una nuova epoca, la necessità di una nuova filosofia libera, non più cristiana
ma decisamente anticristiana, La filosofia prende così il posto della religione,
ma una filosofia "toto genere" diversa dalla filosofia precedente: questa era
filosofia pura, non religione, senza religione, mentre la nuova filosofìa dev'essere
essa la religione dell'umanità. E perché non manchi nulla ai presupposti
feuerbachiani del marxismo, il Nostro precisa subito il contenuto di questa
nuova religione identica alla filosofia: "Al posto della fede c'è l'incredulità,
al posto della Bibbia la Ragione, al posto della religione e della Chiesa la
politica, al posto del ciclo la terra, della preghiera il lavoro, dell'inferno
l'indigenza materiale e al posto del cristiano l'uomo...: la politica dev'essere
la nostra religione ".
Tutto questo cambio di orientamento della
coscienza dell'uomo dall'orizzonte fittizio in cui prima si muoveva al suo
orizzonte reale, questa proclamazione del primato della politica (affermata del
resto dalla Filosofia del Diritto e dalla Filosofia della Storia dell'ultimo
Hegel), suggerisce a Feuerbach l'espressione definitiva (ein offizielles
Prizip). Nella sua formulazione negativa esso non è altro che l'Ateismo vale
a dire l'abbandono di un Dio diverso dall'uomo ".
Come il Protestantesimo ha dissolto il
Cattolicesimo e la filosofia idealista ha fatto svaporare il Cristianesimo
protestante, così il nuovo Umanesimo ha riportato definitivamente l'uomo a se
stesso al di qua di ogni mito sia teologico come speculativo: ora abbiamo quel
che Feuerbach chiama lo "uomo assoluto", ch'è l'uomo inteso come elemento
operante nello Stato. Perciò l'ateismo di cui si parla è «ateismo pratico».
Marx non ha fatto mistero su quel che la
fondazione teoretica del comunismo scientifico deve all'opera di Feuerbach: egli
si è assunto espressamente il compito di rivendicare dal silenzio a cui
l'invidia meschina di alcuni e il livore degli altri 1'avevano condannato, salvo
poi a sfruttarlo sottomano: "È da Feuerbach
che data la critica positiva e naturalistica. Quanto più silenziosa, tanto più
sicura, profonda, vasta e duratura è l'efficacia degli scritti di Feuerbach, i
soli scritti, dopo la Fenomenologia e la Logica di Hegel, in cui si contenga una
vera rivoluzione teoretica". È Marx, ai
primi passi della sua revisione critica della dialettica hegeliana, avanza lo
spunto critico contro la superficialità dei cosiddetti e teologi critici che non
hanno avvertito la contraddizione di pretendere di far della teologia
all'interno di un sistema come l'hegeliano che deve almeno ispirare l'esigenza
dell'assoluta indipendenza della ragione: questa teologia da strapazzo non fa
che esagerare il difetto di quella posizione di trascendenza metafisica che
Feuerbach aveva definitivamente criticata in Hegel. La teologia, sentenzia Marx,
rimane oggi come sempre il luogo putrido della filosofia la dissoluzione della
filosofia, il suo processo di putrefazione e, per conto suo, s'impegna di dare
alle scoperte di Feuerbach tutto l'approfondimento critico di cui esse sono
suscettibili.
L'originalità di Marx, come si è visto in altra
occasione, è nella dialettizzazione della realtà umana sensibile scoperta da
Feuerbach, nella interpretazione dialettica del rapporto fra l'uomo e la realtà
sensibile in funzione del lavoro umano: è così che il comunismo scientifico
trasforma completamente il comunismo volgare (Proudhon, Fourier, St. Simon...),
come lo chiama Marx in quanto esso non si preoccupa che di negare la proprietà
privata e sopprime ovunque la personalità dell'uomo fino a patrocinare la
comunanza delle donne, un comunismo quindi che alla fine non è altro che
l'espressione conseguente della proprietà privata la quale precisamente è tale
negazione. E Marx nota con forza e non senza un certo pathos di umanità: «L'
invidia universale che si organizza in una forza, non è altro che la forma
mascherata in cui si presenta l'invidia cosi da trovare la sua soddisfazione
soltanto in un altro La concezione di ogni proprietà privata come tale è per lo
meno rivolta contro la proprietà privata più ricca come invidia e tendenza al
livellamento così che queste formano persino l'essenza della concorrenza». Quel
che Marx condanna nel comunismo rozzo è la sua concezione piatta e egoista
dell'esistenza che lo pone a un livello inferiore della stessa proprietà privata
dimostrando così come sia vuota e vana la sua soppressione della proprietà
privata. A questo comunismo manca il concetto di uomo come a "natura generica"
da cui il comunismo scientifico attinge la sua positività teoretica e
l'efficacia sociale: rileva i difetti della proprietà privata ma non li supera,
prospetta la reintegrazione ovvero il ritorno dell'uomo a se stesso, come
superamento della autoestraneazione dell'Io umano ma senza cogliere l'essenza
positiva della proprietà privata e quella stessa del bisogno umano come tale.
Il comunismo scientifico invece comporta il
superamento o negazione positivo della proprietà privata intesa come
autoestraneazione dell'uomo e quindi come appropriazione effettiva dell'essenza
dell'uomo mediante e per l'uomo, perciò come ritorno per sé come essere sociale,
ritorno completo, cosciente e attuato dentro tutta la ricchezza dello sviluppo
precedente. Questa socialità positiva in cui avviene il superamento (Aufhebung)
della proprietà, è lo scopo a cui tende l'umanesimo feuerbachiano, la vera
risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo l'uomo, della
lotta fra essenza e esistenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la
libertà e la necessità, tra l'individuo e il genere: brevemente, è l'unica
soluzione dell'enigma della storia.
La soppressione della proprietà privata non deve
perciò essere un fenomeno di risentimento, ma l'espressione della riconquista
dell'essere originale dell'uomo che nella proprietà privata aveva invece patito
la sua "estraneazione" : questa proprietà privata, immediatamente sensibile, è
la espressione materiale sensibile della vita umana estraniata. Di tale
estraneazione fanno parte o ne sono la conseguenza, per Marx, la religione, la
famiglia, lo Stato. Il diritto, la morale, la scienza, l'arte, ecc. Pertanto la
soppressione positiva della proprietà privata in quanto appropriazione della
vita umana, è perciò la soppressione positiva di ogni estraneazione, e quindi il
ritorno dell'uomo, dalla religione, famiglia, Stato, ecc., alla sua esistenza
umana cioè sociale. Mentre l'estraneazione causata dalla religione si compie
soltanto nella sfera dell'interiorità umana ovvero della coscienza,
l'estraneazione economica riguarda la vita reale, e perciò — conclude Marx — la
sua soppressione deve abbracciare ambedue i lati. Quindi (ed eccoci al punto!)
il comunismo comincia subito con l'ateismo (Owen) : soltanto che l'ateismo che
non si concreta sul piano sociale resta un'astratta filantropia, inoperante.
Come allora l'essere dell'uomo non è l'idealità astratta ma si attua nella
sfera della natura come sensibilità, come la sua natura è tutta nella socialità,
cosi l'essenza umana della natura esiste soltanto per l'uomo sociale, perché
soltanto nella società la natura esiste come vincolo per l'uomo con l'uomo. La
società è dunque l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con
la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo
e l'umanesimo compiuto della natura. La dialettica astratta dell'hegelismo si fa
dialettica concreta di uomo e natura, di singolo e società: soltanto così
pensiero ed essere, benché in sé distinti, nello stesso tempo sono uniti l'uno
all'altro. È inutile per il nostro argomento
seguire il neofita Marx dei Manoscritti giovanili nella sua naturalizzazione e
socializzazione dell'essere dell'uomo, mistificato dalla dialettica hegeliana e
dalle precedenti metafisiche come dalle religioni. Nella risoluzione sociale
dell'essere dell'uomo svaniscono tutte le opposizioni in cui si sono dibattute
le filosofie e le religioni, nate tutte dall'equivoco che l'essere dell'uomo sia
un astratto (metafisica): mentre esso è nella concretezza dell'agire, nella
pratica, nella socialità reale, nel lavoro umano come processo della origine
stessa dell'uomo.
Non il divenire del pensiero ma il divenire .del
lavoro forma l'essere dell'uomo ed è così che si spiega tutta la cosiddetta
storia del mondo come il divenire della natura per l'uomo (mediante il lavoro).
L'ateismo non è quindi più un atteggiamento polemico ma una constatazione della
situazione dell'uomo, già trovata da Feuerbach e ora fondata nella sua genesi
originaria.
L'esistenza di un Essere trascendente fuori della
natura e dell'uomo è ormai inintelligibile, cade fuori di ogni posizione
dell'essere: Dal momento che la essenzialità dell'uomo e della natura è
diventata praticamente sensibile, in quanto l'uomo per l'uomo come esistenza
della natura, e la natura per l'uomo come esistenza dell'uomo è diventato un
rapporto pratico, sensibile, intuibile; il problema allora di un'essenza
estranea, di una essenza superiore alla natura e all'uomo, un problema quindi
che comporta l'ammissione della inessenzialità della natura e dell'uomo, è
divenuto praticamente impossibile. "L'ateismo, come negazione di questa
inessenzialità non ha più alcun senso, poiché l'ateismo è una negazione di Dio e
pone, per via di questa negazione l'esistenza dell'uomo". Ma il socialismo non
ha bisogno di formulazioni metafisiche, non abbisogna più di tali espedienti, di
tale mediazione, dice Marx. Esso comincia dalla coscienza teoreticamente e
praticamente sensibile dell'uomo e della natura nella loro essenzialità. Non c'è
più bisogno d'indugiare sulla negazione della religione. Il socialismo è
un'autocoscienza positiva dell'uomo, non più mediata dalla soppressione della
religione, nella stessa guisa che la vita reale è la realtà positiva dell'uomo,
non più mediata dalla soppressione della proprietà privata, dal comunismo. Il
comunismo è, in quanto negazione della negazione, l'affermazione, perciò è il
momento reale e necessario per il prossimo svolgimento storico,
dell'emancipazione della natura umana: è la struttura necessaria ed è principio
animatore del prossimo futuro, ma il comunismo non è come tale lo scopo dello
sviluppo dell'uomo, la forma della società umana ".
L'esegesi di quest'ultima posizione dei rapporti
fra comunismo e società umana forma ancora argomento di ricerca e di opposizione
fra gli stessi partiti marxisti, ma sull'ateismo come posizione di principio
essi tutti (socialisti e comunisti) si accordano e nel preciso senso affermato
da Feuerbach-Marx. I Manoscritti giovanili ci hanno dato la struttura
teorica della negazione marxista ch'è originale in quanto scaturisce dal suo
assunto di dialettismo materialistico-storico, dalla fusione cioè del
naturalismo di Feuerbach (contenuto dell'essere dell'uomo) e del dialettismo di
Hegel (processo di sintesi dei contrari nel divenire).
Pubblico, in sintesi, alcune statistiche dal sito dell'UAAR
www.uaar.it
Religioni nel mondo
***
RELIGIONI NEL MONDO
Vi sono due opinioni
comuni da sfatare: che la fede sia patrimonio della quasi totalità del genere
umano, e che la religione cattolica sia la religione nettamente predominante.
Non è così.
Un essere umano su
cinque non crede in nessuna religione: se a questi aggiungiamo i non praticanti
e i praticanti non consenzienti di religioni imposte, si arriva quasi a un 50
per cento di persone che regolano la propria esistenza prescindendo da dogmi e
dottrine.
Quanto alle singole
credenze, la frammentazione è incredibile ed è figlia, come è facile constatare,
più di particolari eredità storico-politiche che di una libera e ponderata
scelta dell’individuo: valga per tutti l’esempio dell’America Latina, «fortino»
della religione cattolica, prodotto della colonizzazione ispano-portoghese e
della conversione forzata dei nativi.
Non esistono
statistiche convergenti: la fede, contrariamente a quanto affermano i vari
leader religiosi, ha una dimensione individuale e come tale non sempre
facilmente identificabile. Inoltre le varie confessioni tendono a «barare» sulle
cifre reali dei propri fedeli.
In questa sede diamo
i dati percentuali tratti da una fonte cristiana (2001 World Christian
Trends), sicuramente non sospettabile di
simpatie verso atei e agnostici.
Cristiani(*) |
1.999.563.838 |
33,0% |
Musulmani(**) |
1.188.242.789 |
19,6% |
Atei e non religiosi |
918.248.462 |
15,2% |
Induisti |
549.583.323 |
9,1% |
Seguaci delle religioni cinesi |
384.806.732 |
6,4% |
Buddhisti |
359.981.757 |
5,9% |
Seguaci delle religioni etniche |
228.366.515 |
3,8% |
Seguaci delle nuove religioni |
102.356.297 |
1,7% |
Sikh |
23.258.412 |
0,4% |
Ebrei |
14.434.039 |
0,2 |
Seguaci dello spiritismo |
12.333.735 |
0,2% |
Altri |
273.873.101 |
4,5% |
TOTALE |
6.055.049.000 |
100,0% |
|
|
|
(*)di cui: |
|
|
Cattolici |
1.057.328.093 |
17,5% |
Protestanti |
342.001.605 |
5,6% |
Ortodossi |
215.128.717 |
3,6% |
Anglicani |
79.649.642 |
1,3% |
Altri |
305.455.781 |
5,0% |
|
|
|
(**)di cui: |
|
|
Sunniti |
1.002.542.801 |
16,3% |
Sciiti |
170.100.000 |
2,8% |
Altri |
15.599.988 |
0,2% |
CATTOLICI
NEL MONDO
È relativamente
semplice illustrare i numeri dei cattolici sul pianeta: metà vivono nel
continente americano, un quarto in Europa, un quarto nel resto del mondo.
Secondo l’annuario
statistico della Chiesa i cattolici sono poco più di un miliardo, pari al 17%
della popolazione mondiale: tale cifra è però assolutamente inverosimile, basata
com’è sul numero dei battezzati.
In termini relativi,
la nazione più cattolica è San Marino: secondo il Vaticano il 100% della sua
popolazione sarebbe cattolico. In realtà già il calendario atlante De Agostini
dà la percentuale nella piccola repubblica al 95 per cento: una chiara riprova
di come le cifre vengano costantemente manipolate.
In termini assoluti,
ecco invece la top ten (dati 1997, fonte Annuario statistico della
Chiesa, da Limes 1/2000):
BRASILE |
126.944.000 |
MESSICO |
79.603.000 |
ITALIA |
56.258.000 |
STATI UNITI |
54.603.000 |
FILIPPINE |
49.492.000 |
FRANCIA |
47.440.000 |
SPAGNA |
37.770.000 |
POLONIA |
36.085.000 |
GERMANIA |
29.209.000 |
ARGENTINA |
29.156.000 |
ATEI NEL
MONDO
Stimati tra i cento
e i quattrocento milioni di persone, gli atei dichiarati sono ancora più
difficilmente enumerabili: nessuno più che un ateo dà a questa concezione un
atteggiamento individuale. Generalmente le statistiche li computano insieme agli
agnostici, agli scettici, agli indifferenti, a coloro che più semplicemente non
si riconoscono in nessuna religione (e in questo caso il totale può arrivare al
miliardo e mezzo di persone).
Inoltre, la cifra è
subordinata alla mancanza di statistiche precise riguardanti la Cina, il paese
più popoloso del mondo. Qui l’ateismo si mischia al confucianesimo e al taoismo
(più sistemi etici che religioni, peraltro privi di
credenze in entità soprannaturali), a loro volta contaminati da elementi
buddisti. Questo, in un paese che già diversi secoli prima dell’avvento del
comunismo era famoso per far scaturire discussioni sull’ateismo dei suoi
abitanti (vedi, ad esempio, Matteo Ricci e Voltaire). In questa sede presentiamo
un’elaborazione dei dati contenuti in un’altra fonte non sospetta di simpatie
per l’ateismo, ovvero i Quaderni della Chiesa che soffre - Rapporto 2002
sulla libertà religiosa nel mondo. Questa pubblicazione presenta i dati
complessivi dei cristiani paese per paese e, laddove
siano stati ritenuti significativi, anche i dati concernenti gli «agnostici»
(sotto la cui denominazione sono stati evidentemente raggruppati i dati
concernenti anche gli atei e i non religiosi), presentati per ben 69 nazioni.
Alcune
considerazioni:
- l’influenza
del comunismo si fa sentire: 3 dei primi 5 Paesi in termini percentuali hanno
ancora un regime di questo tipo
- il
crollo dei regimi comunisti in molti altri Paesi non ha però provocato un crollo
della miscredenza a favore della religione, anzi: in alcuni Stati il dato è
addirittura in aumento
- l’Italia
si piazza più che bene, se si considera che ha «in casa» il Vaticano. O, forse,
proprio per quello!
RELIGIONI
IN ITALIA
Anche per l’Italia
si pone lo stesso problema di calcolo.
Secondo il Vaticano
nel 1997 56.258.000 italiani erano cattolici, pari al 98% della popolazione: una
percentuale da classico della fantascienza (smentita, come abbiamo visto, dalle
statistiche redatte a opera di alcune sue
organizzazioni).
In realtà la cifra
è, come al solito, gonfiata dal metodo di calcolo della Chiesa. Secondo
l’ennesima fonte cattolica (in questo caso lo studio Il fenomeno religioso
oggi, pubblicato dalla Pontificia Università Urbiniana)
i cattolici sarebbero meno dell’80%, seguiti da un 18% di atei.
LINK
Inseriamo a questo
punto alcuni link ad alcuni siti Internet dedicati all’argomento, in modo che
ognuno possa formarsi una propria opinione.
Ultimo
aggiornamento: 13 gennaio 2007
Dopo le feste...un ragionamento sempre valido
Avete "santificato" il Natale?
Avete passato un buon "santo" Natale? Siete
stati buoni? Avete santificato la ricorrenza? Bene, se lo avete fatto allora,
per un altro anno, potete ritornare ad essere quello siete normalmente:
ipocriti, pigri, violenti, rissosi, viziosi, ignoranti, calcio-dipendenti,
bigotti, ignoranti della realtà ma informatissimi sulla squadra del cuore, e via
di questo passo.
Potete stare tranquilli: se vi comporterete
così il Paradiso è vostro! Continuate pure in questo modo e divertitevi come vi
pare: questa vostra democratica, pluralista, servizievole, disponibile,
multietnica, cristiana e cattolicissima società vi garantisce la vita eterna...ma
non mettetela in discussione e, soprattutto, non cambiatela!
Ricevo da Lucio Garofalo in e-mail il 7 Gennaio 2010 dc
questo interessante scritto personale:
Resto ateo, grazie a dio e …
a Paolo VI
Pochi giorni fa sono convolato felicemente a nozze,
celebrate in chiesa con il rito misto.
Qualcuno mi ha chiesto, in modo provocatorio: “Un comunista che si sposa in
chiesa?”.
Per tale ragione ritengo giusto ed opportuno esporre le mie ragioni, provando a
precisare la mia posizione rispetto alla scelta compiuta. Ebbene, chiarisco
immediatamente che il sottoscritto si è sposato in chiesa in qualità di ateo
dichiarato.
Infatti, io e la mia consorte abbiamo deciso e concordato con il parroco la
formula del rito misto, la quale prevede la possibilità di contrarre matrimonio
tra membri della chiesa cattolica apostolica romana ed esponenti di diverse
confessioni religiose, non cattolici oppure non credenti ed atei come il
sottoscritto, che siano battezzati o meno.
In pratica il sottoscritto non ha partecipato ai vari momenti del rito
cattolico, astenendosi dal recitare le preghiere e le formule di culto,
astenendosi soprattutto dalla liturgia eucaristica celebrata al termine della
cerimonia: ad esempio, nel pronunciare le formule tipiche del matrimonio
cattolico, il sottoscritto non ha mai menzionato dio.
Per i cristiani il rito del matrimonio misto non rappresenta, sul versante della
diversità religiosa, un atto impossibile. Tale soluzione matrimoniale è prevista
dal diritto canonico, ma probabilmente nelle nostre zone non è stata applicata
in modo frequente.
Il 31 marzo 1970 il pontefice Paolo VI scrisse “Matrimonia Mixta”, una lettera
apostolica redatta in forma di “Motu Proprio”, ossia assunta di “propria
iniziativa” dal papa. In questo testo sono state impartite le norme relative ai
matrimoni misti. Tale lettera, altrimenti nota come Dispensa Paolina, è
estremamente importante e significativa per comprendere i notevoli progressi, a
tratti persino rivoluzionari, compiuti dalla dottrina cattolica e dal codice del
diritto canonico nell’ambito specifico del matrimonio.
Dunque, sebbene sembri che mi sia parzialmente piegato, chiedendo la
celebrazione di una formula mista che mi riconosca come ateo e non credente, in
realtà la mia scelta è stata quella di un "compromesso" compiuto per amore verso
mia moglie e mio figlio.
Per quanto concerne la procedura da seguire, occorre anzitutto rendere esplicita
al sacerdote la propria eventuale posizione di credente in un’altra fede, o di
ateo, e concordare la celebrazione di un rito matrimoniale misto. Per ciò che
attiene alla cerimonia religiosa, in effetti non cambia nulla, tranne il fatto
che la parte di fede diversa, o non credente, si astiene dal partecipare alle
fasi della liturgia cattolica, alle preghiere e soprattutto al momento
dell'eucarestia. Comunque confesso che, malgrado io sia un ateo, durante la
celebrazione del matrimonio mi sono emozionato ugualmente.
Ma perché sono ateo? E soprattutto, perché resto ateo, grazie a dio?
Proverò a rispondere brevemente a questo interrogativo, se possibile senza
complicare troppo il ragionamento, che è essenzialmente di ordine teorico e
filosofico.
La mia adesione alle posizioni dell’ateismo convinto e praticante, direi quasi
fondamentalista (per usare una sorta di ossimoro concettuale), deriva anzitutto
da una riflessione “astratta” molto semplice e chiara, che si spiega e si
comprende facilmente.
In teoria, se dio non esistesse tanto meglio, vuol dire che avrebbe ragione chi
lo rinnega. Ma anche se dio esistesse, il discorso logico non muterebbe di una
virgola in quanto:
1) se dio è onnipotente, come asseriscono i suoi vescovi e rappresentanti in
terra o le sacre scritture, perché non interviene per eliminare la violenza e il
dolore?
2) se invece dio non è onnipotente e non può fare assolutamente nulla contro il
male insito nel mondo, allora è come se dio non esistesse, è un essere inutile,
una sorta di soprammobile neanche tanto bello da vedere, dato che è invisibile;
3) la terza ipotesi, la più accreditata dalla dottrina ufficiale della chiesa e
pure dagli atei, si basa sulla teoria formulata da Sant’Agostino, uno dei padri
spirituali della chiesa cattolica apostolica romana, ossia che dio ha concesso
all’uomo il dono del libero arbitrio, vale a dire la libertà di pensare ed agire
assumendosi le proprie responsabilità, dunque anche la possibilità e la capacità
di negare dio.
Sulla base di tali premesse teoriche, forse oltremodo semplificate, si evince
chiaramente il percorso filosofico e razionale che mi ha condotto verso un
approdo di tipo ateistico, così come discende pure un sentimento di sincera
gratitudine verso dio, in quanto mi ha concesso il prezioso dono del libero
arbitrio, grazie al quale sono (appunto) ateo.
Insomma resto ateo, pur essendomi sposato in chiesa. Una simile scelta non
equivale ad un gesto di incoerenza, come è fin troppo facile obiettare, in
quanto le mie convinzioni non sono minimamente scalfite da un rito nuziale
celebrato dal sacerdote sull’altare.
Lucio Garofalo
Dal supplemento Salute di la Repubblica di fine 2008 la scienza
mette la parola fine anche alle fantasie di pre-morte a cui credenti, bigotti e
ingenui vari hanno fatto ricorso per dimostrare l'esistenza di un altro mondo
oltre questo:
Quell'attimo ai confini della morte
Prende il via in questi giorni uno studio
coordinato dall'inglese Sam Parnia au 1500 "sopravvissuti"
di Johann Rossi Mason
Sino a qualche decennio fa le esperienze fatte in
situazioni critiche ai confini tra la vita e la morte facevano parte del
paranormale. Sino a che non sono state raccolte, catalogate e studiate con una
certa regolarità. E proprio in questi giorni prenderà il via uno studio
coordinato da Sam Parnia della Southampton Univesity (Gran Bretagna),
esperto della coscienza in situazioni di morte clinica, che permette di capire
meglio cosa significa arrivare ad un passo dalla morte e, come descrivono quelli
che lo hanno provato, "tornare indietro".
Spiega Parnia: "La morte non è un momento preciso, ma
un processo in divenire in cui le varie funzioni cessano progressivamente. Nei
prossimi tre anni studieremo 1500 soggetti sopravvissuti a un arresto cardiaco
per indagare se abbiano avuto esperienze "fuori dal corpo" o di "pre-morte"
chiamate NDE, ossia Near Death Experience".
Intanto ecco cosa si sa di questo fenomeno. Molte
persone che hanno avuto un incidente grave, un arresto cardiaco o comunque
eventi che li hanno portati ad un passo dalla morte, riferiscono un'esperienza
in cui la coscienza si è staccata dal corpo, ha fluttuato in una dimensione
ultraterrena, abbia ad esempio attraversato un tunnel buio o un ponte di luce,
avuto visioni celesti o incontri con persone significative o con il divino.
In Italia se ne occupa, tra gli altri, Fulvia Cariglia,
coordinatrice del Congresso di Studi delle Esperienze di Confine che si tiene
ogni anno a (San) Marino, insieme ad un gruppo di esperti che si occupano di
ricerche su questa singolare esperienza. "Le NDE", spiega, "sono ricorsi di
un'esperienza psichica vissuta in genere in una situazione molto prossima alla
morte, qualunque ne sia la causa. Il ricordo poi affiora spontaneo. I contenuti
sono sensazioni di perdita del corpo, di viaggiare o galleggiare in un tunnel
alla fine del quale si va incontro ad una luce intensa, che abbraccia ogni cosa
con una sensazione di pace, di gioia".
"Non sappiamo cosa avviene nel cervello di questi
soggetti" dice ancora Cariglia, "forse la carenza di ossigeno nel cervello può
avere un ruolo importante" e aggiunge: "L'elettroencefalogramma non mostra nulla
di anomalo. Alcuni autori riferiscono che si verifica dal 40 al 48 per cento di
chi abbia una condizione di perdita di coscienza con rianimazione. Nel 4 per
cento dei casi il contenuto della NDE è inquietante, colmo di elementi terrifici
e viene vissuto come un incubo da dimenticare: in questo caso il soggetto non
vuole raccontarla e per questo ci rende molto difficile studiarla", conclude
Cariglia.
Classificazione delle Near Death Experience |
Tipologia |
Contenuti |
Esperienze a massima
espressività cognitiva |
Maggiore consapevolezza sia di sé
sia del mondo esterno,
aumentata qualità o quantità dei cinque sensi,
sensazione di trovarsi in un tunnel |
Esperienze a massima
espressività affettiva |
Sentimenti di pace e piacere,
chiarezza interiore, consapevolezza
gioiosa di essere parte del mondo intero,
accellerazione del tempo, memoria panoramica
della vita già vissuta, riassunto della propria
vita in un tasso di tempo ridottissimo,
preveggenza e capacità di conoscere anticipatamente il futuro |
Esperienze a massima
espressività trascendentale |
Superamento dei confini del proprio Io,
sensazione di uscita dal proprio corpo ossia Out of Body Experience (OBE),
visione di una luce brillante, incontro con una
entità mistica o con parenti defunti,
superamento di un punto di non ritorno,
ingresso in un altro mondo |
Scala Greyson per le
valutazioni
Per Bruce Greyson per parlare di NDE bisogna raggiungere il valore
si sette della scala di valutazione che porta il suo nome, riconosciuta
come uno degli strumenti più utili per gli studi clinici di questo
fenomeno.
Le fasi di una NDE:
- Perdita del corpo
- La visione del corpo come esterno
- Movimento nel tunnel
- Rassegna di ricordi
- Percezione di una luce sfolgorante
- Incontro con elementi umani o svrumani
- Richiamo nella vita terrena
- Ricordo dell'esperienza passata
|
Bambini
Anche i più piccoli raccontano l'esperienza
Anche i bambini che abbiano subito grandi traumi possono raccontare
esperienze significative di NDE, ovvero di "pre-morte". Per i più piccoli se ne
deduce l'esistenza da elementi indiretti come incubi, disegni e accenni a
elementi che non esistono nella realtà come le "persone luminose". Manca invece
nei piccoli la "visione panoramica" delle esperienze di vita a causa della
mancanza di un concetto strutturato di passato
Dal sito dell'UAAR www.uaar.it
:
19 settembre 2009: Liberi di non
credere
19 SETTEMBRE 2009,
ROMA
LIBERI DI NON CREDERE
primo meeting nazionale per un paese laico e civile
Erano pochi milioni, cent’anni fa. Oggi sono circa un
miliardo. Il formidabile aumento del numero dei non credenti è l’unica,
rilevante novità nel panorama religioso mondiale degli ultimi decenni. Un
fenomeno che, peraltro, nei paesi democratici non accenna affatto a
fermarsi: una crescita che, significativamente, non è il frutto dell’opera
di ‘missionari’ dell’ateismo e dell’agnosticismo, ma l’esito di centinaia di
milioni di riflessioni individuali. Circostanza ancora più eloquente, la
loro diffusione è maggiore quanto maggiore è la diffusione del benessere,
dell’istruzione, della libertà di espressione. Lungi dal portare le società
alla rovina, come vaticinano leader religiosi incapaci di trovare risposte
più adeguate alla secolarizzazione, atei e agnostici ne rappresentano la
parte più dinamica, quella che più contribuisce alla loro crescita: rispetto
alla media della popolazione sono più giovani, più istruiti, più aperti al
nuovo, più tolleranti nei confronti di chi viene troppo spesso dipinto come
‘diverso’: stranieri, omosessuali, ragazze madri, appartenenti a religioni
di minoranza.
Quasi ovunque il mondo politico ha registrato questi
cambiamenti, improntando le legislazioni nazionali a norme sempre meno
dipendenti dall’etica religiosa prevalente (ancora per quanto?), e
valorizzando per contro l’autodeterminazione dei singoli individui. Persino
in una “nazione cristiana” quale sono ritenuti gli Stati Uniti, un americano
su sette non appartiene ad alcuna religione: non è un caso che, nel suo
discorso di insediamento, Barack Obama abbia esplicitamente riconosciuto il
ruolo dei non credenti.
Un solo Paese occidentale sembra fare eccezione,
nonostante la religiosità sia in calo anche lì. È il Paese con la classe
politica meno apprezzata, con i livelli più bassi di libertà di espressione:
un Paese che tanti, in patria e all’estero, ritengono in declino. Quel Paese
è il nostro, quel Paese è l’Italia. Un Paese dove i non credenti sono i
paria della società, relegati dalla legge (e dal condizionamento
sociale) a cittadini di quinta categoria: l’incredulità viene buona ultima,
quanto a diritti, dopo la Chiesa cattolica, le confessioni sottoscrittrici
di Intesa, i culti ammessi e le confessioni non registrate. Un Paese dove si
può essere censurati se si tenta di scrivere che Dio non esiste. Un Paese
dove, in televisione, è impossibile ascoltare una critica alle gerarchie
ecclesiastiche.
Eppure gli atei e gli agnostici non sono affatto
pochi: anche in Italia, un cittadino su sette non crede. Ma nessuno lo
ascolta. Certo, il servilismo del mondo politico e dei mass media italiani
non teme, come si è detto, confronti con altri Paesi. Ma anche gli increduli
hanno le loro responsabilità. Se vogliono non essere discriminati sui luoghi
di lavoro; se desiderano che i loro figli, a scuola, non siano confinati in
un ghetto; se non accettano che ingenti somme delle (scarse) finanze
pubbliche finanzino organizzazioni confessionali; se, in poche parole,
pensano che l’Italia debba realmente essere uno Stato laico e democratico,
che tratta tutti i cittadini allo stesso modo, è necessario far sentire la
propria voce. Finora non è mai accaduto: mai atei e agnostici hanno
manifestato per i loro diritti civili.
Atei e agnostici non credono nei miracoli: sanno
benissimo che, per ottenere dei cambiamenti, è necessario darsi da fare. È
dunque venuto il tempo, anche per i non credenti, di mobilitarsi. Per questo
motivo l’UAAR, l’associazione di promozione sociale che unisce gli atei e
gli agnostici, indice per sabato 19 settembre,
alle ore 15, nell’area antistante lo stadio Flaminio (Piazzale Ankara) a
Roma
LIBERI DI NON CREDERE
primo meeting nazionale per un paese laico e civile
La data scelta non è casuale. I diritti dei non
credenti possono essere riconosciuti solo laddove non c’è alcuna religione
di Stato, di fatto e/o di diritto. Il 20 settembre 1870 non venne meno solo
una religione di Stato; fu abbattuto un regime teocratico all’interno del
quale era impossibile dichiararsi pubblicamente atei o agnostici. Molti,
quel giorno, ritennero a portata di mano la realizzazione di una società, in
cui una libera Chiesa costituisse solo una parte, non privilegiata, di un
libero
Stato. Quel progetto, faticosamente avviato, fu poi bloccato dal ventennio
fascista, dal cinquantennio democristiano e da un quindicennio di
confessionalismo bipartisan.
Ora i tempi sono cambiati. Non intendiamo rievocare
con nostalgia l’epopea risorgimentale: vogliamo invece impegnarci nella
costruzione di una società moderna, laica, europea.
Vogliamo l’uguaglianza,
giuridica e di fatto, di credenti e non credenti
Vogliamo l’affermazione concreta
della laicità dello Stato
Vogliamo la fine di ogni
privilegio, di diritto e di fatto, accordato alle confessioni religiose
Vogliamo che le concezioni del mondo non
religiose abbiano la stessa visibilità e lo stesso rispetto delle concezioni
del mondo religiose
In particolare, chiediamo:
Avvio di un processo per il superamento del regime concordatario
Riconoscimento delle unioni civili
Aumento delle risorse pubbliche stanziate per la ricerca scientifica
Rimozione degli ostacoli frapposti alla contraccezione d’emergenza (c.d.
“pillola del giorno dopo”)
Abolizione dei limiti all’accesso alla fecondazione artificiale introdotti
dalla legge 40/2004
Abolizione dell’obiezione di coscienza nei reparti di ginecologia degli
ospedali pubblici
Introduzione della pillola RU-486 e presenza capillare di consultori
pubblici
Legalizzazione dell’eutanasia attiva volontaria
Riconoscimento delle direttive anticipate di fine vita
Rimozione di ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale
Possibilità per tutti i cittadini di poter abbandonare formalmente la
propria religione
Disponibilità su tutto il territorio nazionale di strutture per la
cremazione e di sale del commiato laiche
Disponibilità, su tutto il territorio nazionale, di luoghi solenni e tempi
consoni per il matrimonio civile
Edifici pubblici laici, non contrassegnati dal simbolo della Chiesa
cattolica
Rispetto delle leggi sull’inquinamento acustico anche da parte delle
confessioni religiose
Abolizione delle leggi di tutela penale in materia religiosa
Fine dei privilegi delle confessioni religiose nelle strutture obbliganti
(ospedali, carceri, caserme...)
Riduzione dei tempi per l’ottenimento della separazione e del divorzio
Introduzione del sistema tedesco, per il quale solo i contribuenti che
vogliono espressamente finanziare la loro fede pagano la tassa di religione
Fine del versamento di fondi comunali alle confessioni religiose quali oneri
di urbanizzazione secondaria
Una scuola pubblica laica: dove chi non frequenta le ore di religione
cattolica non sia discriminato; dove lo stesso insegnamento religioso
cattolico sia sostituito da educazione civica o studio di religioni e
filosofie non confessionali; dove non si svolgano atti di culto, visite
pastorali o altre azioni di evangelizzazione; dove si insegnino
l’evoluzionismo e il pensiero critico; alla quale siano destinati i fondi
attualmente riversati su un sistema di scuole private ghettizzante e
inefficiente.
Se anche tu condividi questi obiettivi,
il 19 settembre partecipa a
LIBERI DI NON CREDERE
primo meeting nazionale per un paese laico e civile
Per aderire alla manifestazione inviate una e-mail con
oggetto “adesione” a: adesioni19settembre@uaar.it
Per partecipare alla manifestazione, contattate il
circolo o referente UAAR più vicino
Dall'ottimo sito, appena scoperto oggi 27 Aprile 2009 dc, DonZauker.it (La
messa è finita. Levatevi dai coglioni)
http://www.donzauker.it/ la prima stesura
http://www.donzauker.it/2008/04/28/civil-war/ , e di seguito l'aggiornamento
http://www.donzauker.it/2008/05/14/manifesto-di-intenti-2/
Manifesto (o
Manifestino)
della mancanza di
rispetto verso la Chiesa Cattolica
Dal nostro amico e collega
Federico Maria Sardelli, riceviamo, pubblichiamo e sottoscriviamo:
28 Aprile 2008
L’evoluzione dell’uomo ha permesso
alcune fondamentali acquisizioni: il principio di non contraddizione, la
penicillina, la democrazia, il rispetto per il pensiero altrui. Questo rispetto
viene giustamente esteso a tutto ciò che non è puro pensiero ma anche credenza,
spiritualità e ciò che questi concetti di sfuggente definizione producono in
campo etico: riti religiosi, manifestazioni devozionali, etc. Bene: oggi, anno
2008 dell’era post-tecnologica e informatica, a più di due secoli
dall’Illuminismo ed a quasi un secolo dalla teoria della relatività, la Chiesa
Cattolica continua le sue incursioni contro la razionalità, l’evoluzionismo, la
ricerca scientifica, la medicina curativa e palliativa e molti altri baluardi
della nostra debole maturità umana. Per contro, la Chiesa Cattolica, propugna
con vigore e in modo invadente il suo modello di civiltà: l’obbedienza acritica
verso una dottrina ed una tradizione forgiata a suon di concilî rissosi, papi
sanguinarî e persecuzioni inquisitorie, l’ingerenza nell’etica individuale e
sociale, la pressione costante sui governi - segnatamente quello italiano ma in
principio quelli di tutto il mondo - affinché modellino le proprie leggi sulla
base dei dettami cattolici, la condanna di ogni etica diversa da quella
cattolica e la pretesa di fungere da unico paradigma di comportamento non
soltanto per gli adepti di quella sètta ma per tutti gli esseri del mondo.
A complemento di questa protervia
dottrinale vi è una pratica religiosa troglodita e barbara fatta di riti
necrofili e pacchiani, come l’ostensione del cadavere di Francesco Forgione,
l’agitazione di ampolle contenenti il falso sangue di un morto, il cencio
dipinto in epoca medievale con la pessima riproduzione dell’impronta di Gesù, le
lacrimazioni di statue di gesso, riti che sarebbero del tutto risibili se non
fossero accompagnati dalla frode (la maschera di silicone sul volto del
cappuccino, il falso storico-chimico della sindone e del sangue liquefatto, etc)
e deliberatamente vólti al profitto
economico, oltreché al plagio ed alla soggezione degli ignoranti.
L’universalità dei mezzi di
comunicazione e la forza che la Chiesa Cattolica esercita su di essi rende la
moltiplicazione di questi riti, divieti, sentenze e prescrizioni del tutto
assillante ed invadente nei confronti di quell’enorme parte della civiltà umana
che non vi crede. Questo è il punto: la Chiesa Cattolica ed i suoi adepti
difendono questa congerie di riti e superstizioni appellandosi al rispetto che
si deve verso la religione e verso la sensibilità religiosa dei credenti. Di
fatto questo limite è infinito, non potendosi sondare quale sia il punto oltre
cui la «sensibilità religiosa» di una certa persona si ritenga urtata. La
civiltà dell’Illuminismo, del libero pensiero e della democrazia ha portato a
maturare il rispetto verso le idee e le idee religiose dei singoli, estendendo
il principio della difesa della libertà di pensiero anche a coloro che per
secoli hanno fatto del settarismo e della persecuzione il principale mezzo di
propaganda della loro dottrina.
Oggi il libero pensiero, la libera
ricerca scientifica, la libertà di scelta morale dei singoli è costantemente
ostacolata, criticata e negata dalla chiesa Cattolica con l’opera di capillare
propaganda portata avanti dal suo capo. Di fronte ai continui attacchi verso i
principî che ci hanno permesso di uscire dalla barbarie dei secoli passati e
dalla soggezione di una dottrina opprimente e involutiva, è necessario che gli
uomini razionali difendano il loro patrimonio di cultura e di evoluzione, così
come è necessario alla fragile democrazia difendersi dalle insidie del sempre
rinascente totalitarismo. È per questo urgente motivo che, d’ora in avanti, non
porteremo più rispetto verso la «sensibilità religiosa» di chi ci propone
sfacciatamente l’adorazione di cadaveri o parti di essi, di chi propugna
l’accanimento terapeutico sui decerebrati, di chi condanna l’uso della pillola
del giorno dopo, di chi si oppone all’uso dell’aborto anche per fini
terapeutici, di chi promuove la continuazione del dolore come mezzo di dominio
sulle coscienze, di chi sentenzia giornalmente sopra a materie di normale
amministrazione socio-politica e privata come le unioni civili, le pratiche
sessuali, etc. Non gli porteremo alcun rispetto, perché il loro pensiero
costituisce un danno ed una involuzione per la società.
Per di più, il principio di rispetto
verso le idee e convinzioni altrui dev’essere reciproco: non si capisce perché
la Chiesa Cattolica debba giornalmente infrangere questo principio offendendo la
sensibilità e la razionalità di tutti coloro che non si riconoscono parte di
essa, proponendo loro argomenti, dettami e comportamenti che offendono la logica
e la ragione. Gli uomini razionali, eticamente maturi e pacifici hanno dunque
tutto il diritto di risentirsi e considerarsi offesi di fronte a queste continue
incursioni. È per questo principio che, al puro scopo di autodifesa,
sospendiamo ogni forma di rispetto verso la Chiesa Cattolica,
avendo come unico limite quello delineato del codice civile e penale. Tutti i
riti, le affermazioni e le azioni della Chiesa Cattolica che risulteranno
contrarie alla logica, alla ragione, al buon gusto e ad un’etica laica matura ed
evoluta, saranno pertanto fatto oggetto di scherno, riso e mancanza di rispetto.
Sarà dunque lecito al laico ed all’uomo razionale non solo criticare, ma anche
prendere a pernacchie l’apparizione di un santo fra le macchie di una padella o
quei miracoli dove si ringrazia perché non sono morti proprio tutti. Ciò che
offende la ragione non sarà più rispettato.
Concetti come «fede», »sensibilità»
e «spiritualità» non potranno più costituire una copertura ed una patente
d’impunità per tutto ciò che di illogico, ripugnante, antistorico,
antiscientifico e laicamente immorale propugna la Chiesa Cattolica.
Federico M. Sardelli
Da parte loro, i Paguri aggiungono
come oggetti di scherno e mancanza di rispetto anche i canali - di qualsiasi
natura essi siano - completamente asserviti alla diffusione, la propaganda e la
difesa della Chiesa Cattolica, primi fra tutti i TG.
Manifesto d'intenti
14 Maggio 2008 dc
Per tutti quelli che leggendo
il manifestino di F.M.
Sardelli si sono sentiti in dovere di aggiungere: “Sì, ma questo
rispetto non lo meritano neanche le altre religioni, non solamente quella
cattolica.” ripubblichiamo il manifesto di intenti con il quale abbiamo
inaugurato il nostro sito, 6 mesi fa.
Voi,
i cristiani, gli ebrei, i musulmani,
i buddisti, gli scintoisti, gli avventisti, i panteisti, i testimoni di questo e
di quello, i satanisti, i guru, i maghi, le streghe, i santoni, quelli che
tagliano la pelle del pistolino ai bambini, quelli che cuciono la passerina alle
bambine, quelli che pregano ginocchioni, quelli che pregano a quattro zampe,
quelli che pregano su una gamba sola, quelli che non mangiano questo e quello,
quelli che si segnano con la destra, quelli che si segnano con la sinistra,
quelli che si votano al Diavolo, perché delusi da Dio, quelli che pregano per
far piovere, quelli che pregano per vincere al lotto, quelli che pregano perché
non sia Aids, quelli che si cibano del loro Dio fatto a rondelle, quelli che non
pisciano mai controvento, quelli che fanno l’elemosina per guadagnarsi il cielo,
quelli che lapidano il capro espiatorio, quelli che sgozzano le pecore, quelli
che credono di sopravvivere nei loro figli, quelli che credono di sopravvivere
nelle loro opere, quelli che non vogliono discendere dalla scimmia, quelli che
benedicono gli eserciti, quelli che benedicono le battute di caccia, quelli che
cominceranno a vivere dopo la morte…
Tutti voi,
che non potete vivere senza un Papà
Natale e senza un Padre castigatore.
Tutti voi,
che non potete sopportare di non
essere altro che vermi di terra con un cervello.
Tutti voi,
che vi siete fabbricati un dio
“perfetto” e “buono” tanto stupido, tanto meschino, tanto sanguinario, tanto
geloso, tanto avido di lodi quanto il più stupido, il più meschino, il più
sanguinario, il più geloso, il più avido di lodi tra voi.
Voi, oh, tutti voi
NON ROMPETECI I COGLIONI!
Fate i vostri salamelecchi nella
vostra capanna, chiudete bene la porta e soprattutto non corrompete i nostri
ragazzi.
Non rompeteci i coglioni, cani!
François Cavanna
Da Resistenza Laica www.resistenzalaica.it
, prima pubblicazione 26 Novembre 2007 dc, link diretto http://www.resistenzalaica.it/index.php?option=com_content&task=view&id=647&Itemid=1
L’Universo senza Dio
Eros
Cococcetta - resistenzalaica@gmail.com ,
lunedì 26 novembre 2007
La prova che Dio non esiste c’è:
è il principio di conservazione dell’energia e della materia. È un principio
molto noto in fisica, ma che, stranamente, è stato sempre annullato o,
quantomeno, enormemente sottovalutato.
Secondo questo vero e proprio fondamento della fisica, costantemente dimostrato
da tutti gli esperimenti, nulla si crea e nulla e nulla si distrugge, ma
tutto si trasforma.
In estrema sintesi il principio di conservazione si può così riassumere: nel
1772 Lavoisier dimostrò sperimentalmente che la materia non può essere creata
o distrutta, ma solo trasformata. Nel 1850 Faraday scoprì, analogamente, che lo
stesso principio valeva anche per l’energia. Tuttavia, fino ai primi anni del
Novecento, tutti pensavano che la materia e l’energia fossero due mondi
assolutamente separati e senza alcun punto di contatto; questo fino al 1905,
quando un giovane fisico tedesco, Albert Einstein, scoprì, con la celeberrima
equazione E = mc², che l’energia e la massa (materia) sono i due
aspetti che può assumere la realtà fisica (essendo, in effetti, la materia una
forma di energia).
Quindi, il principio in esame
divenne quello della conservazione della massa-energia: ciò che resta
sempre costante sul nostro piccolo pianeta e nell'universo è la somma di massa
ed energia, e l’una si trasforma continuamente nell’altra e viceversa. A
livello macroscopico il caso classico è l’energia solare (trasformazione
della materia in energia); a livello subatomico (fisica quantistica) l’urto di
fotoni genera continuamente coppia di particelle e antiparticelle, di diverso
tipo in base all’energia dei fotoni (elettrone-positrone, quark-antiquark,
ecc.), come pure l’urto di tali coppie genera fotoni.
Non si tratta di speculazioni filosofiche, ma di fenomeni fisici reali provati
sperimentalmente con un elevatissimo grado di accuratezza, come si verifica
costantemente negli acceleratori di particelle.
Nulla si perde (nel senso della
sparizione-annullamento) e nulla si crea, ma tutto si trasforma. Il principio di
conservazione implica che nulla è stato creato e quindi che l’universo è del
tutto autosufficiente: un eterno divenire della realtà fisica (materia-energia)
che non ha mai avuto origine e non avrà mai fine. Un Universo infinito
composto da mondi innumerabili che mutano incessantemente (Giordano
Bruno). Non è Dio che ha creato l’uomo, ma l’uomo che ha creato Dio (Ludwig
Feuerbach), per dare una risposta a questioni che in passato non poteva
comprendere e che, per tale motivo, sono state di esclusivo appannaggio della
religione (che ha sempre ostacolato la scienza) e della filosofia, che, salvo
pochi casi, è andata quasi sempre a braccetto con la religione.
Ma ora non è più così, perché ormai le vere risposte ci vengono dalla
scienza. L’importante è non negarle e, possibilmente, portarle all’attenzione
della collettività.
Da Diario del 27 Luglio 2007, recensione:
Fate un
festival ogni sera in casa vostra leggendo Spinoza
Opere di Spinoza, a cura di Filippo Mignini,
traduzione di Filippo Mignini e Omero Proietti, Mondadori, pagine 1.885, 55 euro
Sputa su questa
tomba! Qui giace Spinoza. Ma insieme vi sia sotterrata la sua parola, sicché la
peste delle anime non continui a mietere vittime». Questo i pii cristiani
invitavano a fare, disgustati e atterriti dal cattivo maestro Spinoza, e aizzati
da una banda che annoverava menti eccelse come Arnauld e più ancora Leibniz; ma
erano già stati anticipati dai pii ebrei ortodossi della sinagoga di Amsterdam,
i Senores do Mahamad: «Su decreto degli angeli e su ordine dei santi, noi
scomunichiamo, espelliamo, malediciamo e danniamo Baruch de Espinoza, col
consenso di Dio, e col consenso dell'intera santa congregazione. Sia maledetto
di giorno e maledetto di notte, maledetto quando si sdraia e maledetto quando si
alza. Il Signore non lo risparmierà...».
Cosa aveva detto
Spinoza per essere tanto sgradito? In sintesi estrema aveva sostenuto: Che Dio
è il Mondo e il Mondo è Dio; che Dio non è antropomorfo e nel Mondo non c'è
un Fine: la mucca non è stata fatta per essere mangiata dall'uomo come sostiene
il Genesi; Che Bene e Male esistono solo agli occhi dell'uomo che chiama bene
ciò che fa bene a lui e male ciò che fa male a lui, ma che per Dio sono la
stessa cosa; Che anche l'assassino, lo stupratore, la mosca, la spazzatura, la
puttana, sono Dio, o, almeno, che anche essi sono parte di Dio: dell'infinita
Sostanza che è Dio; Che Dio non ama nessuno né ascolta le preghiere di
nessuno, e non è libero: nemmeno di volere o non volere qualcosa: Dio fa solo
quello che deve fare, è costretto a fare quello che fa dall'ordine geometrico
che lui stesso è, e non potrebbe fare diversamente; Che la volontà umana non
è libera, ma si muove in un reticolo di necessità sempre già date; Che
tutto ciò che è contenuto nelle Sacre Scritture, Vangeli compresi e miracoli
inclusi, è una sciocchezza: a eccezione della «teoria» dell'Amore
predicata da Cristo e di pochissime altre briciole; Che il potere religioso è
funesto per la libertà democratica e individuale delle coscienze, e va abolito;
Che le passioni non sono un accidente dell'uomo ma sono l'uomo stesso, e non
vanno represse ma regolate; Che molare lenti per occhiali o farsi sostenere
economicamente da un mecenate e scrivere o dire solo quello che si pensa essere
vero, fosse più nobile che fare il professore universitario dicendo menzogne o
tacendo verità al servizio del potere di turno; e via di questo passo.
Ce n'era
abbastanza per fare di Spinoza un reietto universale? Si direbbe proprio di sì:
e motivi per pensarlo se ne troveranno in abbondanza nell'edizione delle Opere
di Spinoza curata da Filippo Mignini per la collana i Meridiani: un'edizione
imponente, che vede finalmente raccolto tutto Spinoza in un volume solo, agile,
ben tradotto, organizzato con chiarezza e annotato con cura. Ma questa non è
una recensione, quanto piuttosto un invito alla lettura del «mostro»: a
partire per esempio da quel Trattato teologico-politico che farebbe certo bene
agli ignoranti di vario genere e colore che ci governano, e fingono di scannarsi
tra loro per le «idee» e i «principi», ma non sanno cosa mai sia un'idea
chiara e distinta; e finendo con l'Etica: consigliabile agli spacciatori di
etiche ed etichette, quelli pronti a ogni angolo di via mediatico a dire agli
altri che devono fare qualcosa che loro sono esenti dal dover fare.
E poi, solo dopo
essersi inebriati del gelido vino di concetti ed essere sprofondati nelle
spirali da vertigine di scolii e definizioni e c.v.d. del folle geometra mentale
che ha scritto l'Etica, si potrebbe anche provare a leggere Spinoza più
liberamente, criticandolo a fondo e seriamente: per esempio, sul concetto di
Necessità. Si fanno i festival di filosofia, ma chi non ama il mediatico, si
faccia un festival in casa: ogni sera legga due pagine di Spinoza, le faccia
leggere a qualche amico, e una volta al mese si riunisca con i diversi lettori
per discuterne, possibilmente degustando quei piaceri che Baruch non demonizzava
né deificava. Il risultato? Beh, quello sarà una sorpresa...
Giuseppe Montesano
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riproduzione è libera e incoraggiata
purché l’articolo sia riportato in versione integrale, con lo stesso titolo,
citando il nome dell’autore e riportando questa scritta.
Perché mi riesce
impossibile credere nell'esistenza di Dio
Saggio di Luigi Tosti (*)
(*) Il giudice Tosti chiese, difendendo la Costituzione
italiana e la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, la
rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici.
E' bene premettere che credere nell'esistenza della balena
e credere nell'esistenza di Dio non è la stessa cosa. Chi crede nella balena lo
fa perché l'esistenza fisica del cetaceo è stata materialmente accertata e
documentata e, inoltre, può essere riscontrata da chiunque lo voglia,
viaggiando per mare o visitando acquari e/o musei di storia naturale. Chi crede
in Dio, invece, non lo fa perché l'esistenza fisica di Dio sia stata acclarata
da qualcuno e possa essere, all'occorrenza, riscontrata da chi lo voglia: in
realtà l'esistenza di Dio è stata (e viene tuttora) supposta per fornire la
giustificazione "logica" dell'esistenza del Creato, cioè
dell'Universo. Si tratta di un'esigenza che è scaturita nel momento in cui
l'uomo ha raggiunto l'autocoscienza, cioè la consapevolezza di
"esistere" e di essere immerso in un universo che
"esisteva".
La propria "esistenza" non è stata percepita
dall'uomo (né lo è tuttora) come ferma, illimitata e immutevole, ma in senso
diametralmente opposto. In altre parole l'uomo ha la consapevolezza di nascere,
prima, dai propri genitori, poi di crescere e, alla fine, di dover morire, e nel
suo convincimento tutto questo avviene in un ciclo causale (cioè di
causa-effetto) che si consuma nel tempo: se io esisto, lo devo al fatto che sono
stato generato dai miei genitori i quali, a loro volta, sono stati generati dai
loro genitori; e così via, a ritroso nel tempo.
Anche l'esistenza dell'universo è stata percepita (e
viene percepita) come mutevole e limitata. Infatti tutto si muove, si trasforma
e cambia: prima vi è una realtà, poi ve n'è un'altra e, infine, domani ve ne
sarà un'altra ancora. Orbene, la consapevolezza che l'esistenza propria e
dell'universo fosse necessariamente correlata col tempo ha indotto l'uomo (e
tutt'ora lo induce) ad ipotizzare un "inizio" e a porsi, dunque,
questa fatidica domanda: "chi mai ha creato l'uomo e il mondo?".
In altri termini, se l'esistenza dell'universo non è
ferma, ma si è svolta nel passato, si svolge nel presente e si svolgerà nel
futuro, è sembrato lecito (e tutt'ora lo sembra) chiedersi quando essa sia
iniziata e, altresì, quando essa finirà. Ebbene, la risposta primordiale a
questa domanda è stata quella di ipotizzare che l'inizio del mondo e di tutti
gli esseri viventi fosse da attribuire ad un atto creativo di un Essere
soprannaturale e immortale (quindi pre-esistente), capace appunto di creare dal
nulla la materia e gli esseri viventi e ad ipotizzare, poi, che vi dovesse
essere anche la "fine" dell'universo (creato). L'attributo principale
ed essenziale che è stato (e che tuttora viene) appioppato a Dio, dunque, è
quello di "creatore" dell'universo. D'altra parte, se Dio non fosse un
essere creatore, egli si troverebbe -come essere esistente- sullo stesso piano
dell'universo. In altri termini, ipotizzare un Dio che "esiste", ma
che "non ha creato nulla", è perfettamente inutile, dal momento che
"anche" l'universo "esiste" e "non ha creato
nulla".
Tuttavia, la supposizione dell'esistenza di un
Dio-creatore, oltre che assolutamente inconcludente sotto il profilo logico, si
rivela del tutto incompatibile con una delle leggi fisiche fondamentali, quella
secondo cui "in natura nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si
trasforma": legge fisica dalla quale si deve trarre anche il necessario
corollario che il tempo, inteso come "inizio" (o creazione) e
"fine" (o annichilimento) della materia (e quindi dell'universo), in
realtà non esiste.
La legge fisica in questione afferma, infatti, che se
brucio un foglio di carta non ho in realtà distrutto un bel nulla, ma ho
soltanto trasformato quel foglio di carta in calore e cenere. Il calore e la
cenere corrispondono perfettamente, infatti, alla stessa materia che è stata
coinvolta, all'inizio, in quel processo di trasformazione. Alla stessa stregua,
l'esplosione di una bomba atomica non determina l'annichilimento di un solo
atomo, bensì la trasformazione di materia in energia: un processo, questo, che
può essere invertito, dal momento che l'energia può essere trasformata in
materia. Il corollario che scaturisce dalla legge fisica che in natura nulla si
crea e nulla si distrugge è che il "tempo" (inteso come
"inizio" (o creazione) e "fine" (o annichilimento) della
materia) non esiste nella realtà fisica, ma è solo una rappresentazione
convenzionale della nostra mente, necessaria per misurare il movimento della
materia, cioè le sue continue trasformazioni. Così, ad esempio, quando si dice
che "è trascorso un anno", non si fa reale riferimento al trascorrere
effettivo della "entità" "tempo", quasi si trattasse di un
punto (presente) che si muove verso il futuro lungo una retta, lasciando dietro
di sé la scia del passato, ma si afferma soltanto che la terra ha fatto un giro
attorno al sole. Quando si dice che "occorrono venti anni perché un
bambino diventi uomo", si fa un'affermazione scorretta, perché non è il
tempo che fa crescere e maturare un bambino, ma sono le sostanze alimentari che
egli ha assunto -e che l'organismo ha assimilato- che gli consentono di
svilupparsi sino a quel punto. Se quel bambino avesse omesso di alimentarsi in
quei venti anni (cioè in quei venti giri della terra attorno al sole),
sicuramente non sarebbe divenuto uomo, ma si sarebbe trasformato in uno
scheletrino. E che il tempo sia soltanto un modo convenzionale per misurare il
movimento della materia (organica o inorganica che sia) non può essere
contestato, dal momento che la velocità del "movimento" della materia
influisce sulla misurazione del tempo, rendendolo "relativo". Un
giorno terrestre dura le attuali 24 ore dell'orologio (anch'esso creato
dall'uomo con meccanismi che "si muovono" per misurarlo) solo perché
correlato all'attuale velocità di rotazione della terra. Se questa velocità
raddoppiasse, però, il giorno durerebbe 12 ore dell'attuale "velocità di
movimento" delle lancette dell'orologio.
Dalla diretta correlazione tempo-movimento deriva il
necessario corollario che, se tutta la materia -dagli atomi all'universo- fosse
completamente immobile (ivi compresa l'elaborazione dei pensieri da parte del
nostro cervello), non si potrebbe neppure avere l'idea del tempo come
attualmente la percepiamo: ogni attimo, infatti, sarebbe perfettamente eguale a
quello precedente e a quello successivo, essendo tutto perfettamente eguale nel
cosiddetto "passato", nel cosiddetto "presente" e nel
cosiddetto "futuro".
Da queste considerazioni logiche discende che l'universo
di cui facciamo parte non è minimamente influenzato dal "tempo" che,
in realtà, non esiste: ciò che realmente esiste è soltanto la continua ed
incessante trasformazione della materia, ma questa "trasformazione"
-che è la caratteristica intrinseca e peculiare della materia stessa- non ha
mai determinato la distruzione -cioè l'annichilimento- di un solo atomo!
Per poter dimostrare che il tempo (inteso come inizio,
trascorrere e fine dell'universo) esiste realmente, bisognerebbe dimostrare che
è possibile creare o annichilire una pur minima porzione di materia: questa
possibilità, però, cozza con la realtà della fisica e, dunque, si profila del
tutto irrazionale e inammissibile. Solo se qualcuno riuscisse a dimostrare che
è possibile annichilire un solo atomo (e non, semplicemente, trasformare
l'atomo in energia o viceversa), si potrà ipotizzare la tesi del "creazionismo",
cioè che vi possa essere stato un "momento in cui è stata creata, dal
nulla, la materia", e, conseguenzialmente, che "il tempo esiste come
entità", cioè come entità che consente ad un Dio, già esistente, di
creare ciò che prima non esisteva e magari, poi, di distruggerla. Questa
eventualità, tuttavia, è categoricamente esclusa dalla legge fisica che
governa la natura, sicché si può tranquillamente affermare che è fisicamente
impossibile che un solo atomo della materia dell'universo possa essere stato
creato o possa essere distrutto da chicchessia, ivi incluso Dio.
In conclusione: è assolutamente incompatibile con la
realtà fisica ipotizzare che l'universo possa essere stato "creato"
(o possa essere annichilito) da chicchessia: caduta l'ipotesi del "creazionismo",
cade necessariamente l'ipotesi del Dio-creatore. Pertanto, alla domanda
"chi ha creato l'universo" si può fornire una sola risposta:
"Nessuno". E il perché di questa risposta univoca è assai semplice:
"Perché la domanda si fonda, in realtà, su un postulato falso, dal
momento che le leggi fisiche escludono che vi sia la possibilità di creare
materia: non è dunque possibile identificare l'autore di un'azione che è
impossibile compiere".
Le stesse considerazioni varrebbero per qualsiasi altra
domanda che si fondasse su postulati altrettanto falsi. Ad esempio, alla domanda
"Chi è che fa volare le balene nel cielo?" solo gli "Iddioti"
(neologismo che mi permetto di mutuare dal matematico prof. Piergiorgio
Odifreddi) potrebbero scervellarsi per cercare di fornire le generalità di
"Colui che fa volare le balene"; i sani di mente, al contrario,
risponderebbero senza alcuna esitazione: "Nessuno!" E la
giustificazione di tanta certezza risiede anche qui nel fatto che la domanda si
fonda su un postulato falso, dal momento che le leggi fisiche escludono che vi
sia la possibilità che le balene volino nel cielo, sicché non è possibile
identificare l'autore di un'azione che è impossibile compiere.
Queste conclusioni non possono essere invalidate dalla
teoria del Big Bang: si può infatti tranquillamente affermare -al di là della
validità o meno di questa teoria- che l'universo attualmente esistente è
esattamente identico a quello esistente al momento del Big Bang. La teoria del
Big Bang, in effetti, non fa altro che ipotizzare l'esplosione di una quantità
immane di materia che si era precedente addensata sino a raggiungere una massa
volumetrica piccolissima. Questa esplosione avrebbe poi determinato il lancio e
l'espansione della materia nello spazio e lo sviluppo di energia, analogamente a
quanto avviene nell'esplosione di una stella supernova. Il Big Bang non prova
però nulla, né tantomeno prova che "l'universo esiste da tot miliardi di
anni", come alcuni affermano, lasciando quasi supporre che, prima di quell'evento,
l'universo... non esistesse! In realtà il Big Bang nient'altro è se non uno
degli infiniti eventi trasformativi della materia -presumibilmente ricorrente-
che riguarda quella porzione di universo infinito che noi possiamo indagare.
All'attuale espansione dell'universo per noi visibile, infatti, potrebbe seguire
una contrazione sino a generare un nuovo big bang: e così via di seguito, sino
all'infinito. Né si può ipotizzare che la cosiddetta "vita" sia una
prerogativa esclusiva del pianeta Terra e che essa si sia formata soltanto
qualche miliardo di anni fa. La constatazione che la materia si trasforma
incessantemente deve indurre, semmai, ad ipotizzare l'esatto contrario, e cioè
che la materia ha la capacità di trasformarsi da forme inorganiche a forme
organiche, e viceversa: e questo in qualsiasi punto dell'universo e in qualsiasi
momento. Questa incessante trasformazione -per nient'affatto influenzata dal
"tempo"- non è a senso unico, cioè proiettata nel futuro, bensì
ciclica: si può ragionevolmente affermare che tutto ciò che è accaduto
accadrà di nuovo. Se vi è vita sulla terra, vi è stata vita e vi sarà vita
anche in altri infiniti pianeti: qualsiasi trasformazione, infatti, avviene
senza il minimo "dispendio" di materia e di energia, cioè senza che
venga annichilito un solo atomo, sicché l'Universo si manifesta come una
macchina eterna ed illimitata, che non ha bisogno di Dio per funzionare e il cui
bilancio tra energia e materia è sempre in pareggio. D'altra parte, la tesi del
Dio-creatore si rivela come un modo surrettizio e inconcludente di rispondere
alla domanda "chi ha creato il mondo?". Nel momento in cui, infatti,
si identifica in Dio l'Essere che avrebbe "creato" l'universo in un
certo istante, si deve necessariamente ipotizzare che quel Dio già esistesse e
non abbia mai avuto un "inizio" ed una "fine": in caso
contrario, infatti, questo Dio-creatore avrebbe le stesse caratteristiche che si
attribuiscono all'universo-creato. Ma allora sorge spontanea un domanda: che
senso ha ipotizzare l'esistenza di un Essere (Dio), che non avrebbe mai avuto
inizio e non avrà mai una fine, per giustificare l'esistenza di un altro Essere
(l'Universo) che -sino a prova contraria- non ha mai anch'esso avuto un inizio e
non avrà mai una fine? In altre parole, se il Dio-creatore esisteva già prima
della creazione dell'universo, come si può negare che egli avesse la stessa
identica prerogativa che compete all'attuale Universo, cioè quella dell'
"esistenza"? E per quale motivo, allora, sarebbe necessario -per
giustificare l' "esistenza" dell'Universo- ipotizzare l'esistenza di
un Dio-creatore, e non sarebbe invece necessario ipotizzare l'esistenza di un
altro Essere-creatore, per giustificare l'esistenza del Dio che ha creato
l'Universo?
Come si vede, la "soluzione" del Dio-creatore,
congetturata per giustificare l'esistenza dell'universo, non risolve un bel
nulla ma, al contrario, fa sorgere la necessità di congetturare l'esistenza di
una catena infinita di altri Dei-creatori, per giustificare l'esistenza di
ciascuno di essi! Tanto vale, allora, affermare che l'Universo -che abbiamo
sotto gli occhi e della cui esistenza siamo certi- c'è sempre stato e sempre ci
sarà, come peraltro ci insegna e ci attesta in modo inconfutabile la
fondamentale legge fisica secondo cui è assolutamente impossibile, in natura,
creare o distruggere una pur infinitesimale porzione di materia.
Luigi Tosti
tosti.luigi@alice.it
mobile (omissis)
***
Dal sito Nuovi Mondi Media http://www.nuovimondimedia.com
, nella rubrica Cultura e Storia
10 miti – e 10 verità –
sull'ateismo
di Sam Harris (The Los Angeles Times)
(La parte scritta in rosso è mia, a penna di Jàdawin)
Spesso gli atei vengono visti come
intolleranti, immorali, depressi, ciechi di fronte alla bellezza della natura e
dogmaticamente insensibili all’evidenza del soprannaturale. Diventa importante
allora, considerato come non di rado essi finiscono per essere gli individui
più accorti e scientificamente acculturati di ogni società, ridimensionare i
miti che impediscono loro di giocare un ruolo più attivo nei dibattiti
nazionali
Alcuni studi indicano come il termine “ateismo” negli Stati Uniti abbia
acquisito oggi più che mai una connotazione dispregiativa; ad esempio, essere
atei negli Usa attualmente rappresenta un perfetto impedimento a chi vuol far
carriera in politica (in misura persino maggiore rispetto agli ostacoli che
incontrano i neri, i musulmani e gli omosessuali). Secondo un recente sondaggio
condotto dal settimanale Newsweek, solo il 37% degli americani voterebbe per un
Presidente ateo.
Spesso gli atei vengono visti come intolleranti, immorali, depressi, ciechi di
fronte alla bellezza della natura e dogmaticamente insensibili all’evidenza
del soprannaturale.
Perfino John Locke, uno dei grandi patriarchi dell’Illuminismo, credeva che l’ateismo
fosse “non tollerabile”, perché, ribadiva, “le promesse, gli accordi
solenni, i giuramenti, in sostanza tutto ciò su cui si fondano le società, non
hanno presa su un ateo”.
Questo più di trecento anni fa. Ma oggi, negli Stati Uniti, poco sembra essere
cambiato. L’87% dei cittadini Usa sostiene “senza ombra di dubbio” l’esistenza
di Dio; solo un 10% scarso si definisce ateo, e vede la propria reputazione
deteriorarsi sempre più.
Tuttavia, considerato come non di rado gli atei finiscono per essere gli
individui più accorti e scientificamente acculturati di ogni società, diventa
importante ridimensionare i miti che impediscono loro di giocare un ruolo più
attivo nei dibattiti nazionali.
1) Gli atei credono che la vita non abbia significato.
Al contrario, spesso sono i religiosi a preoccuparsi che la vita non abbia senso
e a immaginare che essa possa essere redenta solo con la promessa della
felicità eterna oltre la tomba. Gli atei tendono a considerare la vita un bene
prezioso, a ritenerla impregnata di contenuti reali e degna di essere vissuta
fino in fondo. I nostri rapporti con coloro a cui teniamo sono importanti ora,
la nostra stima in merito non deve essere condizionata da chissà quale giudizio
futuro. Gli atei reputano questa paura del non-significato… insignificante.
2) L’ateismo è responsabile dei più efferati crimini nella storia dell’umanità.
I fedeli sovente sostengono che le atrocità di Hitler, Stalin, Mao e Pol Pot
sono state l’inevitabile conseguenza della non-fede. Tuttavia, la questione
non è lo scetticismo di fascismo e comunismo nei confronti della religione; il
problema è che essi alle religioni sono fin troppo simili. Tali regimi vivono
di dogmi, e sostanzialmente venerano personalità in modo analogo ai culti
religiosi. Auschwitz, i gulag e i campi di sterminio in generale non sono stati
la conseguenza dell’abbandono delle verità di fede da parte degli esseri
umani, bensì dimostrazioni di una politica, razziale e nazionalistica follia
dogmatica. Non è mai esistita nella storia umana una società che abbia
sofferto perché la sua gente è diventata troppo ragionevole.
3) L’ateismo è dogmatico
Gli ebrei, i cristiani e i musulmani sostengono che i loro testi sacri sono
talmente preveggenti dei bisogni dell’umanità che è impossibile non siano
stati scritti sotto la guida di una divinità onnisciente. Ateo è semplicemente
chi ha considerato questa tesi, ha letto le scritture e ha trovato quanto di cui
sopra ridicolo. Rifiutare i dogmi religiosi ingiustificati non significa per
forza essere miscredenti. Lo storico Stephen Henry Roberts (1901-71) in un’occasione
dichiarò: “Affermo che siamo entrambi atei. Solo abbiamo un’idea diversa
del divino. Quando capirai perché rigetti tutte le altre possibilità
divinità, realizzerai perché io non riconosco le tue”.
4) Gli atei credono che tutto nell’universo sia nato per caso.
Nessuno sa perché dall’universo sia nata la razza umana. Infatti, non è
ancora completamente chiaro a cosa ci si riferisca quando si parla di “inizio”
o di “creazione” dell’universo, dal momento che questi concetti chiamano
in causa la nozione di tempo, e qui si sta discutendo dell’origine della
stessa dimensione spazio-temporale. L’idea secondo cui gli atei credono che
ogni cosa sia casuale è nata fra l’altro come critica alle teorie di Darwin.
Come Richard Dawkins spiega nel suo ottimo libro, “The God Delusion”, ciò
rappresenta un totale fraintendimento della tesi evoluzionista. Sebbene non
abbiamo conoscenza esatta della struttura chimica primordiale della Terra,
sappiamo che la diversità e la complessità che osserviamo oggi nel mondo non
sono il prodotto di casualità. L’evoluzione è una combinazione di mutazioni
impreviste e selezione naturale. Darwin coniò l’espressione “selezione
naturale” per analogia con la “selezione artificiale” degli allevatori di
bestiame. In entrambi i casi, il processo selettivo esercita un preciso effetto
non casuale sullo sviluppo di ogni specie.
5) L’ateismo non ha rapporti con la scienza.
Nonostante sia possibile contemporaneamente essere scienziati e credere in Dio
– come sembra sia successo in alcuni casi – è indubbio che il pensiero
scientifico tende a erodere, piuttosto che sostenere, la fede religiosa.
Prendiamo ad esempio la popolazione statunitense: numerosi sondaggi mostrano
come circa il 90% degli intervistati creda in un Dio personale; il 93% dei
membri della National Academy of Sciences, al contrario, non vi crede. Poche
altre discipline divergono dalla religione come la scienza.
6) Gli atei sono arroganti.
Quando gli scienziati non sanno qualcosa – ad esempio come dall’universo è
nato il genere umano o come le prime molecole autoreplicanti si sono formate –
lo ammettono. Pretendere di conoscere ciò che non si conosce è una grave
responsabilità nella scienza. Ed è la linfa vitale delle religioni. Uno dei
monumentali paradossi delle religioni è quello incarnato dalla frequenza con
cui le persone di fede si autocelebrano per la propria umiltà, mentre
sostengono di conoscere nozioni di cosmologia, chimica e biologia che nessun
scienziato conosce. Quando prendono in considerazione questioni sulla natura del
cosmo e altre analoghe, gli atei separano i fatti dalle opinioni. Questa non è
arroganza, piuttosto onestà intellettuale.
7) Gli atei rifiutano l’esperienza spirituale. (Continuo
a non capire perché si usino questi termini - spirito e spirituale - per
manifestazioni e sentimenti tangibili della personalità umana....)
Non esiste nulla che impedisca a un ateo di provare amore, estasi, abbandono,
meraviglia; gli atei sanno apprezzare queste esperienze e le ricercano di
continuo. Ciò che gli atei evitano è, in base a queste stesse esperienze,
rendersi protagonisti di ingiustificate (e ingiustificabili) rivendicazioni
sulla natura della realtà. Non c’è dubbio che alcuni cristiani abbiano
trasformato in meglio la propria vita leggendo la Bibbia e pregando Gesù.
Questo cosa prova? Prova che alcune discipline fondate sul rigore e sul rispetto
di determinati codici comportamentali possono aver un notevole effetto sulla
mente umana. Le esperienze positive dei cristiani consentono di dire che Gesù
è l’unico salvatore dell’umanità? Neanche lontanamente – perché gli
hindù, i buddisti, i musulmani e persino gli atei provano le stesse esperienze
di cui sopra. Infatti, non c’è un cristiano sulla Terra che sia certo che
Gesù avesse la barba, o che fosse nato da una vergine o che fosse resuscitato.
Non è questa la tipologia di asserzioni che che l’esperienza spirituale può
autenticare.
8) Gli atei credono che non ci sia nulla al di là della vita e della ragione
umane.
Gli atei, contrariamente ai religiosi, sono liberi di riconoscere i limiti dell’intelletto.
È ovvio che gli uomini non comprendano appieno l’universo; ma è ancora più
ovvio che né la Bibbia né il Corano riflettono di ciò le migliori
interpretazioni. Noi non sappiamo se da qualche parte nel cosmo esistano forme
complesse di vita, ma questo non significa escluderne la possibilità. Se così
fosse, altrove potrebbero essersi sviluppate determinate conoscenze delle leggi
della natura più sofisticate delle nostre. Gli atei sono liberamente in grado
di considerare questa possibilità. Inoltre, possono convenire che nel caso
esistessero brillanti extraterrestri, i contenuti di Bibbia e Corano ad essi
potrebbero risultare ancor meno toccanti di quanto non lo siano per gli esseri
umani atei. Secondo gli atei, dunque, le religioni banalizzano completamente le
reale bellezza e l’immensità dell’universo.
9) Gli atei ignorano il fatto che la religione è estremamente benefica per le
società.
Coloro che enfatizzano gli effetti positivi della religione non sembrano capire
che questi stessi effetti falliscono nel dimostrare la verità delle dottrine
religiose. Per questo esistono espressioni come “pio desiderio” o “auto-inganno”.
Esiste una profonda distinzione tra una delusione consolante e la verità vera e
propria. In ogni caso, sui buoni effetti di una religione si può dibattere. In
molti casi, sembra proprio che i dogmi religiosi forniscano alle persone cattive
ragioni per comportarsi bene, quando in realtà le buone ragioni sarebbero
disponibili. Chiedete a voi stessi cosa è più morale: aiutare i poveri in modo
disinteressato, o farlo perché il creatore dell’universo vuole che lo
facciate, perché vi premierà per averlo fatto o vi punirà per non averlo
fatto?
10) L’ateismo non fornisce basi morali.
Se una persona non capisce di per sé che la crudeltà è sbagliata, non lo
capirà leggendo la Bibbia o il Corano; questi testi, infatti, esplodono di
agiografie della crudeltà, sia terrena sia divina. Non costruiamo la nostra
moralità dalla religione. Decidiamo cosa è giusto ricorrendo a istituzioni
morali estremamente radicate in noi stessi e ridefinite da millenni di pensieri
e riflessioni sulle cause e le possibilità della felicità umana. Negli anni
abbiamo conosciuto notevoli progressi morali, e questi non li abbiamo realizzati
perché abbiamo letto la Bibbia o il Corano con più attenzione. Entrambe le
scritture condonano la schiavitù, mentre ogni essere umano civilizzato sa che
essa è abominevole. Qualsiasi buona cosa contenuta nelle scritture – come la
“Golden Rule” – può essere apprezzata per la sua saggezza etica, senza
necessariamente dover credere che sia stata tramandata a noi dal creatore dell’universo.
Sam Harris è l’autore del Best Seller del New York Times "The End of
Faith: Religion, Terror, and the Future of Reason", pubblicato in Italia da
Nuovi Mondi Media con il titolo La fine della fede – Religione, terrore e il
futuro della ragione. Laureato in Filosofia alla Stanford University, per oltre
vent’anni Sam Harris ha studiato le tradizioni religiose occidentali e
orientali, e diverse discipline contemplative. Harris ha conseguito anche un
dottorato in neuroscienze. La sua opera ha acceso un aspro dibattito su diversi
organi di informazione, tra cui il New York Times, il Los Angeles Times, il San
Francisco Chronicle, l'Economist, il Guardian, il New Scientist e molti altri.
Sam Harris vive a New York City.
Fonte: The Los Angeles Times
Traduzione a cura di Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media
comunque: famosi non credenti, famosi atei, famosi agnostici,
famosi scettici, famosi miscredenti, famosi senzadio, famosi increduli…
dal sito dell'UAAR, con le
stesse premesse. I link dei nomi sono alle corrispondenti voci di Wikipedia
lista dal sito UAAR alla data del 21 Dicembre 2007 dc, note
aggiornate alla data del 7 Giugno 2010 dc
Di mio ho aggiunto questo simbolo Ø accanto
ai nomi di persone su cui avrei diverse riserve, per diversi motivi. E su alcuni
ho qualche dubbio che siano non credenti, o perlomeno che lo siano ancora. Nelle
note numerate in fondo all'elenco cerco, a poco a poco, di spiegare perché
queste persone non mi convincono, o non mi piacciono affatto.
A
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
N
O
P
R
S
T
U
V
W
Y
Z
Note:
Ø1 - Piero Angela: lodevole, e notevole,
la sua produzione libraria, documentaristica e televisiva per divulgare la
scienza. Sulla religione, però, non si è mai scoperto (almeno che io mi ricordi)
e non è dato dunque sapere come la pensi. Si sa invece che, come Margherita Hack
e Franco Pacini, è convinto che gli extraterrestri NON POSSONO essere giunti
fino al nostro pianeta perché NOI TERRESTRI non abbiamo mezzi di propulsione
sufficienti a farci giungere al pianeta più vicino a noi in tempi ragionevoli.
Lascio a voi cogliere il senso altamente scientifico e razionale di tale
ragionamento.
Ø2 - Corrado Augias: ecco un altro ateo
devoto, che ammira Gesù Cristo come l'uomo che ha cambiato il mondo, che
bolla le teorie che negano la sua esistenza come senza senso senza
neanche confutarle, che riconosce una funzione alla religione, e via delirando.
È stato lui che, conducendo una trasmissione in cui
era ospite Roberto Vacca, fece al suo ospite una domanda sull'astrologia.
Questi, giustamente, iniziò affermando che la prima responsabile della credenza
negli oroscopi era proprio la RAI, che ospitava maghi, astrologhi, imbonitori e
via dicendo. Cosa fece il nostro ateo Augias, campione di razionalità e membro,
come Piero Angela, del CICAP? Redarguì Roberto Vacca ricordandogli che era
ospite in RAI e che doveva stare attento a cosa diceva, quindi era come dire
"stati attento a come parli che non ti invitiamo più". In una
trasmissione sul nazismo, poi, ha superato se stesso male informando lo
spettatore: ha detto che la svastica originariamente era sinistrosa, ovvero con
gli uncini orientati a sinistra, e che Hitler l'avrebbe capovolta, per chissà
quale bieco intenditmento, facendola diventare destrorsa, ovvero con gli uncini
orientati a destra. In realtà entrambe le versioni hanno le stesse antichissime
origini ed hanno diverso orientamento per ragioni che evidentemte neanche Augias
si immagina. In questo caso lui, o chi gli ha preparato la trasmissioni, non si
sono documentati a sufficienza e hanno tramesso la loro ignoranza come il suo
contrario.
Ogni ulteriore
commento mi sembra superfluo.
Ø3 - Carmelo Bene: un uomo dall'ego
smisurato, con una altissima concezione di sé, capace di recitare citando sé
stesso e talmente sopra le righe da sfidare la pazienza di chiunque. Per lui
esiste solo lui, tutti gli altri sono solo poveri imbecilli.
C'è da scommettere che il suo ateismo altro non sia che un modo di andare contro,
e che non sia autentico. È ovvio che è una mia
sensazione...
Ø4 - Enrico Berlinguer: il politico
diviso tra la nascita aristocratica e la guida del PCI, il leader che cambiò
linea al suo partito parecchie volte, che inventò l'aberrante teoria del
compromesso storico, a cui presto si accodarono diversi leader "comunisti"
europei. Fu l'uomo che, col suo partito appena sdoganato al governo (solo
appoggio esterno, sia chiaro) ma non
ancora del tutto, fu per l'intransigenza nel caso Moro per
dimostrare fermezza da vero statista. Proseguì poi
nell'opera di demolizione di quel che restava di comunismo nel PCI, superato in
questo solo da Occhetto. E, paradossalmente, fu solo la sua morte durante un
comizio a portare il PCI primo, per una volta sola, alle elezioni. Un segno di
immaturità e non certo di consapevolezza politica da parte degli elettori.
Ø5 - Bernardo Bertolucci: un borghese
che ha creduto, o voluto, essere di sinistra, forse addirittura comunista, a
volte cadendo nel ridicolo. Come nel monumentale film Novecento, con
caratteri tagliati a fette grosse e una delle paradossali scene finali in cui un
improbalile moltitudine di contadini comunisti, dopo la Liberazione, tira fuori
da chissà dove e stende nell'aia una enorme bandiera rossa!
Ø6 - Se Claudio Bisio è ateo di certo
questo non traspare né nei suoi ruoli comici né nel suo ruolo di presentatore,
tantomeno nella pubblicità televisiva alle Pagine Gialle,
in cui gigioneggia col dovuto rispetto con due frati francescani.
Ø7 - Leonid Breznev: non so a che
titolo sia nell'elenco. Se l'Unione Sovietica di quegli anni fosse stata
veramente un Paese comunista, e non il suo contrario orrendo e mostruoso,
dovrebbe essere sintomatico che, perlomeno a quei livelli, un dirigente
comunista dovesse essere OBBLIGATORIAMENTE ateo.
Se invece in quel Paese non ci fosse stato il comunismo
sorprenderebbe molto meno, ma allora l'autore dell'elenco dovrebbe essere
tortzkista....
Ø8 - Massimo Cacciari ateo? Ma lasciamo
perdere, lasciamo proprio perdere! I suoi rivoltanti contorcimenti intellettuali
per andare incontro a credenti e Chiesa hanno dell'incredibile....
Ø9 - Fidel Castro: non ho letto certo
le sue opere ne ascoltato gli interminabili discorsi alle masse cubane,
ma ho la netta sensazione che nulla di ateismo vi si possa trovare. Lo avrà
detto al Grande Bastardo, quando lo è venuto a trovare a Cuba, che lui è ateo?
Ora si capisce perché poi ha ordinato qualche milione di bibbie al Vaticano....
Ø10 - Moni Ovadia.
In una trasmissione di RAI 3 del 6 giugno 2010 dc,
intervistato dalla conduttrice Moni Ovadia ha avuto modo di dire, più di una
volta, che non è credente e che frequenta una sinagoga di Milano per ragioni di
radici etniche. Due cose però non mi convincono: perché ha usato un'espressione
del tipo "Grazie a Dio" parlando di sua madre (o suo padre, non ricordo bene)?
Io sono ateo e mi comporto di conseguenza anche nel linguaggio, perché tale
coerenza non l'adotta anche lui? Ovadia porta sempre in testa un copricapo
circolare: non so il termine ebraico, ma quel copricapo ha un significato
religioso, non etnico: perché lo indossa?
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