Amazzoni

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Pagina dedicata al popolo di donne guerriere che, tra mito e realtà, mi ha sempre affascinato.


Dal sito di Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Amazzoni

Etimologia

Il nome greco Ἀμαζών (amazòn) è di dubbia etimologia.

La maggior parte degli autori classici considerano la Ά iniziale un'alfa privativa che rende nullo il successivo nome μαζός, versione ionica di μαστός, che vuol dire "seno": il risultato sarebbe quindi "senza seno".

L'etimologia è riferibile al costume tradizionale attestato dalle fonti mitografiche secondo cui le Amazzoni si mutilavano la mammella destra. Da tutti gli autori viene evidenziata la relazione fra la mutilazione/occultamento degli attributi femminili e il miglioramento delle abilità guerresche reputate qualità chiaramente maschili.

Amazzone ferita, 1903 dc, opera su tela dell'artista tedesco Franz von Stuck.

Lo pseudo-Ippocrate riferisce[1] che alle donne dei Sauromati, tradizionalmente identificate o collegate con le Amazzoni (si veda in seguito), viene bruciata la ghiandola mammaria destra tramite l'applicazione di un disco di rame arroventato. La pratica viene compiuta nella prima infanzia per impedire lo sviluppo del seno e assicurare maggior forza al braccio che tenderà l'arco.
Un riferimento ad un costume analogo delle Amazzoni viene attestato[2] da Diodoro Siculo. Lo storico greco accenna alla mutilazione senza fornire dettagli, ma precisando che il suo scopo è quello di rendere più forti le donne guerriere. Eustazio di Salonicco, ecclesiastico ed erudito bizantino del XII secolo, nel suo commentario all'Iliade[3] cita la pratica della bruciatura del seno nei termini e negli scopi precisati da Ippocrate («ut arcus facilius intendant»), ma riferendola alle Amazzoni del poema omerico.

Un riferimento analogo compare anche nell'Eneide[4] di Virgilio il quale descrivendo Pentesilea, una delle loro regine, annota come il seno della donna sia compresso strettamente da una fascia d'oro («aurea subnectens exsertae cingula mammae»).

Altre fonti invece considerano la Ά iniziale come un rafforzativo, e quindi la traduzione sarebbe "grande seno". Questo sarebbe confermato dal fatto che quasi tutte le rappresentazioni di questo popolo mostrano splendide donne con entrambi i seni fiorenti.

Altre fonti  ancora lo fanno derivare dal caucasico masa, "Luna", e quindi si potrebbe tradurre con "sacerdotesse della Luna".

Nella letteratura e mitologia greca

Collocazione

Sulla base delle fonti classiche, le Amazzoni vivono nella Scizia, presso la palude Meotide[5] o in un'area imprecisata delle montagne del Caucaso da cui sarebbero migrate, successivamente, sulla costa centro-settentrionale dell'Anatolia (o viceversa da questa in Scizia).

Eschilo, nella sua tragedia Prometeo incatenato[6], sposa l'origine caucasica e accenna alla migrazione quando fa profetizzare, da Prometeo, la sorte di Io. Alla fanciulla - che è stata trasformata in giovenca e che sta disperatamente fuggendo dal castigo di Era - viene rivelato il fatto che la aspetta un lungo viaggio, alla fine del quale raggiungerà il Bosforo, dove sarà liberata, non prima, però, di aver visitato vari luoghi dell'Asia occidentale tra cui i monti del Caucaso e la palude Meotide dove vivono le Amazzoni.

Le donne guerriere, secondo il titano, migreranno successivamente nell'Anatolia fondando la città di Temiscira presso il fiume Termodonte[7] nella regione del Ponto. Erodoto le colloca[8], invece, in Scizia presso il fiume Tanai[9] cercando di coniugare, così come già accennava Esiodo, i vari racconti mitologici degli scontri fra gli eroi greci e le Amazzoni di Temiscira[10] con i resoconti etnografici dell'epoca sui Sarmati, una popolazione nomade di etnia iranica, le cui donne combattevano con gli uomini a cavallo[11], vestivano come loro e non si sposavano prima di aver ucciso un nemico in battaglia[12].

 Mappa inglese del 1770 che ricostruisce la geografia del Caucaso secondo le fonti letterarie greco-romane. Le Amazzoni sono state poste nella parte più settentrionale della Sarmazia asiatica. La carta mostra anche l'ubicazione dell'Albania caucasica, della Scizia e della Palude Meote: tutti luoghi variamente citati dagli autori classici come patria delle Amazzoni

Erodoto, contrariamente a Eschilo, fornisce un elaborato racconto della migrazione delle Amazzoni, sconfitte dai Greci, dall'originale sede di Temiscira fino alla palude Meotide ove si sarebbero unite ad un gruppo di giovani maschi Sciti migrando, successivamente, assieme a costoro in una zona imprecisata lungo il corso del fiume Tanai. In quel luogo, i loro figli avrebbero dato origine ad un unico popolo: i Sauromati (Sarmati).

La fusione fra le due popolazioni avrebbe originato, tra i Sarmati[13], una ginecocrazia ovvero una società matriarcale secondo alcuni autori classici fra cui Plinio il Vecchio [14].

Strabone, qualche secolo dopo, nella sua Geografia[15], colloca ancora il popolo delle Amazzoni in quell'oriente favoloso per l'uomo greco che comprende Scizia, Persia e India, parimenti abitato da popoli reali e fantastici, specificando, però, che le sue fonti sono in disaccordo indicando due regioni distinte.

Secondo Teofane di Mitilene che avrebbe compiuto, come riferisce Strabone, una spedizione in quei luoghi, le Amazzoni vivrebbero ai confini settentrionali dell'Albania caucasica[16] in quanto separate dal fiume Mermadalis[17] dalle terre degli Sciti e di altre popolazioni nomadi del Caucaso[18].

Secondo altre due fonti di Strabone, gli storici Ipsicrate e Metrodoro di Scepsi, le Amazzoni abiterebbero una valle fra i Monti Cerauni, nell'Armenia, e confinerebbero con i Gargareni, un popolo costituito esclusivamente da individui maschi con cui le Amazzoni si accoppierebbero per assicurarsi la sopravvivenza.

Usi e costumi

Le donne guerriere venivano tradizionalmente governate da due regine, una della pace (politica interna) e una della guerra (politica "estera"). Tra le regine più conosciute si ricordano Mirina, Ippolita e Pentesilea.

In Geografia XI.5.4-5, Strabone descrive il costume delle Amazzoni di compiere, ogni primavera, una visita nel territorio del popolo vicino dei Gargareni i quali si offrono ritualmente per accoppiarsi con le donne guerriere affinché possano generare dei figli. L'incontro avviene in segreto, nell'oscurità, perché nessuno dei due amanti possa conoscere l'identità dell'altro.

La sorte della prole muta a seconda del sesso del nascituro. I maschi, secondo Strabone, vengono rimandati nel luogo d'origine e ogni gargareno adulto adotta un bambino senza sapere se sia o meno suo figlio; le femmine, invece, rimangono con le madri e vengono allevate ed educate secondo i loro costumi e istruite, in particolare, nell'arte della caccia e della guerra.

Le armi principali delle Amazzoni sono l'arco, l'ascia bipenne ed uno scudo particolare, piccolo ed a forma di mezzaluna, chiamato pelta.

Prima di ogni battaglia suonano il sistro, uno strumento che producendo un suono limpido e cristallino, non può avere lo scopo di intimorire il nemico, ma solo quello di ingraziarsi gli dèi.

Il combattimento a cavallo è la loro specialità. Selezionano i loro animali e mantengono con loro un rapporto di affiatamento totale che le rende delle perfette centaure; cavalcano stalloni, nel periodo in cui i Greci si accontentano di pony.

Sono famosi i loro giochi Targarèi, dei quali narra Eumolpo: cinquanta imbarcazioni, chiamate titalnès, si affrontano sul Termodonte: scagliate una verso l'altra a velocità folle, vincono quelle i cui campioni - detti targaira, amazzoni in piedi sulle barche che impugnano delle aste - riescono a sostenere l'impatto senza cadere in acqua. Si procede così a eliminazione finché non c'è un'unica vincitrice, che viene proclamata la prediletta di Afrodite (anche questo è insolito: normalmente le Amazzoni veneravano la Dea Madre, che può essere identificata con Cerere, ed Artemide).

Persone ed eventi

Le Amazzoni sono citate frequentemente nella letteratura classica greca. Oltre alle descrizioni etnografiche di autori come Erodoto, Strabone, Diodoro Siculo che cercano di coniugare mito e storiografia, ma senza operare una netta distinzione l'uno dall'altra, vi sono naturalmente quelle più nettamente poetiche e mitologiche. Uno dei riferimenti epici più antichi è sicuramente quello nell'Iliade in cui sono menzionate due volte.

In Iliade III.188-190, Priamo ricorda di aver combattuto le Amazzoni come alleato di Otreo e Migdone, due sovrani della Frigia (Turchia nord-occidentale). Le Amazzoni, ricorda Priamo, erano «ὰντιάνεραι» (eguali ai maschi, forti come i maschi), ma non erano numerose come gli Achei.

Priamo cita anche il luogo della battaglia che appare concorde con i riferimenti mitografici alle Amazzoni del Ponto: le rive del fiume Sangario (Σαγγάριος in greco, Sangarius in latino) che è il nome antico del fiume Sakarya nella regione storica della Frigia.

In Iliade VI.186[19], la lotta contro le Amazzoni è una delle imprese compiute da Bellerofonte che fa da perfetto contraltare, essendo le Amazzoni le più forti fra le donne, ad un'altra impresa dell'eroe, menzionata nel verso precedente: lo scontro con i Solimi[20] contro i quali Bellerofonte avrebbe combattuto la più dura battaglia con uomini[21].

Nell'Etiopide, un poema epico di Arctino di Mileto risalente al VII secolo ac e molto noto nell'età classica, ma di cui ci è pervenuto solo un breve frammento originale e un riassunto del V secolo ac., veniva narrata la partecipazione delle Amazzoni, guidate dalla loro regina Pentesilea, alla guerra di Troia come alleate, questa volta, di Priamo. Il fulcro del poema era lo scontro fra Achille e Pentesilea che si concludeva con la morte di quest'ultima per mano dell'eroe greco e la restituzione del suo corpo ai Troiani da parte di un Achille commosso e pieno di ammirazione verso l'amazzone tanto da venir accusato di tradimento da un suo compagno d'arme.

I sentimenti di Achille nell'Etiopide, così prossimi all'amore verso la fiera nemica, e la tragicità intrinseca della vicenda, erano ideali per essere trasformati, durante il Romanticismo, in un intenso dramma psicologico d'amore e morte. E così, proprio, lo svilupperà il drammaturgo tedesco Heinrich von Kleist nella sua tragedia Penthesilea (1808 dc) in cui una regina delle Amazzoni resa folle dal contrasto insanabile fra l'amore e l'orgoglio sbrana, assieme ai suoi cani, il corpo di Achille.

Lista di Amazzoni

Le Amazzoni nell'arte

Le Amazzoni nei film

Le Amazzoni nel genere fantasy

Note [

  1. ^ In Περί αέρων, υδάτων, τόπων (Su arie, acque e luoghi), § 17 [1].

  2. ^ Bibliotheca historica II.3.

  3. ^ Παρεκβολαὶ εἰς τὴν Ὁμήρου Ἰλιάδα καὶ Ὀδυσσείαν (Commentari all'Iliade e all'Odissea di Omero), p. 402.

  4. ^ Eneide I.493.

  5. ^ Μαιῶτης λίμνη (palus maeotis in latino) era il nome greco arcaico della zona palustre formata dal delta del fiume Don sfociando nel Mar d'Azov (lago Meote per i greci).

  6. ^ Prometeo incatenato, opera citata, 723-725.

  7. ^ Il fiume Termodonte (Terme Çayı in turco) scorre nella provincia di Samsun, città turca sulla costa del Mar Nero nell'Anatolia centro-settentrionale.

  8. ^ Storie, opera citata, IV.110-117.

  9. ^ Τἀναἵς (Tanais in latino) era il nome greco arcaico del fiume Don oltre al nome di una colonia greca (fondata nel III secolo ac. L'area fu visitata dai Greci fin dal VII secolo) situata proprio in corrispondenza della foce del fiume.

  10. ^ Nello specifico il racconto di una delle dodici fatiche di Eracle in cui il semidio deve recuperare la cinta di Ippolita, regina delle Amazzoni.

  11. ^ L'ipotesi che il racconto erodoteo (e i successivi analoghi riferimenti di altri autori classici) e in generale il mito delle amazzoni avesse una qualche base reale ricevette ampio risalto dalla stampa a seguito della pubblicazione (nel 1997 dc sulla rivista Archaeology e successivamente in un libro) dei resoconti delle campagne di scavi compiute a Pokrovka in Kazakistan, tra il 1991 e il 1995 dc, sotto la direzione dell'archeologa Jeannine Davis-Kimball dell'Università di Berkeley nell'ambito del Kazakh/American Research Project. Nel corso degli scavi, vennero ritrovate sepolture femminili con corredi funebri contenenti armi e i cui scheletri riportavano segni di ferite da combattimento e deformazioni delle ossa delle gambe coerenti con una vita da cavaliere nomade.

  12. ^ Un ruolo femminile che contrastava nettamente con quello della donna ellenica tanto da far avanzare l'ipotesi, da parte di alcuni autori, di una interpretazione in chiave simbolica della guerra fra Greci e Amazzoni come di uno scontro fra una società patriarcale e una matriarcale.

  13. ^ Alcuni autori classici sembrano distinguere fra Sarmati e Sauromati indicando quest'ultimi come un sottogruppo dei Sarmati, ma i due termini sono trattati comunemente come sinonimi. Anche un autore di origine sarmate del VI secolo dc quale lo storico ed ecclesiastico alano-goto Iordanes non opera questa distinzione. Nella sua storia dei Goti (che reputava discendenti dei Geti) intitolata De origine actibusque Getarum (Sull'origine e le imprese dei Geti), Iordanes afferma che «Sarmati» è semplicemente il nome latino dei «Sauromati» (ibid L.265).

  14. ^ «Sauromatae gynaecocratumenoe, Amazonum conubia» (Naturalis historia VI.7.19).

  15. ^ Geografia, opera citata, XI.5.1 e seguenti.

  16. ^ Corrispondente all'incirca agli attuali stati del Daghestan e Azerbaijan.

  17. ^ Forse corrispondente al fiume Terek in Georgia. Vedi: John Abercromby, An Amazonian Custom in the Caucasus, in Folklore 1891 dc.

  18. ^ Strabone cita i Γελαι (Geli, tribù di cadusi abitanti nella regione costiera del Gilan) e i Λεγαι (Legi), un'altra popolazione nomade della regione.

  19. ^ Le vicende di Bellerofonte vengono narrate all'eroe greco Diomede da Glauco, capo del contingente della Licia, il cui popolo era alleato dei Troiani. I due guerrieri, non conoscendosi, declamano l'uno all'altro le proprie origini prima di affrontarsi in combattimento.

  20. ^ Popolazione autoctona della Licia come viene detto da Erodoto in Storie I.173. I Solimi sarebbero stati scacciati nelle montagne dai colonizzatori cretesi della regione - gli antenati di Glauco - come riferisce Strabone in Geografia XIII.4.16.

  21. ^ Iliade, opera citata, pag. 389.

  22. ^ a b c d e Diodoro Siculo IV, 16, 2.

  23. ^ a b c d e f Igino, Fabulae, 163.

  24. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, verso 45; verso 260.

  25. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, verso 43; verso 531.

  26. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, verso 45; verso 532.

  27. ^ Diodoro Siculo IV, 28, 3.

  28. ^ Igino, Fabulae, 241.

  29. ^ Pausania I, 2, 1.

  30. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, verso 43; verso 247.

  31. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, versi 42.235 ss.

  32. ^ Licofrone, Alessandra, versi 993 ss.

  33. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, versi 45. 260.

  34. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, versi 42. 258.

Bibliografia

Fonti primarie

Fonti secondarie


Dal sito http://www.croponline.org/amazzoni.htm

In un passato remoto
esisteva un popolo di guerriere,
accertato storicamente
soprattutto nelle terre tra
l'Europa e l'Asia...

...questo era
il popolo delle
Amazzoni.

Nell’antica Grecia, all’inizio dei tempi, in molte zone dell’Egeo, era la donna a capo della famiglia. Nella stessa mitologia greca troviamo traccia di tali usanze. Le origini del matriarcato vanno ricercate nell’antica isola di Creta e in Licia. A Creta si venerava uno Zeus figlio di Rea, senza padre, dio “mortale” discendente da un’unica dea “immortale”. Infatti, sull’isola si troverebbe la tomba del dio che, una volta morto, venne seppellito, ritornando così alla Madre Terra, per l’appunto Rea. Creta è la “terra madre” per eccellenza (al contrario di “patria”, da “padre”). In tutte le culture antiche era venerata una dea Madre, cui radice del nome, nella maggior parte dei casi, era Lar-, Led-, Las-, Lat-. Latona ad esempio era la madre di Apollo; Leda, la madre mortale di Elena (di Troia); nella lingua licia, “leda” significa proprio “madre”. Dalla “Madre Terra” di Creta discendono tutti gli uomini e tutti sono fratelli. Per questo chi uccideva un altro uomo si macchiava di “paricidium”, termine che sopravvisse fino ai Romani per poi assumere altro significato, a livello più familiare. Inizialmente, il paricida era il comune assassino, in quanto il termine derivava dalla parola “pario”, cioè “partorire”, quindi veniva messo in risalto l’atto generativo da parte della madre.

Le amazzoni erano popolazioni composte quasi esclusivamente da sole donne organizzate senza la presenza di uomini (o comunque, la loro presenza non era rilevante, in alcun senso). Seguivano le antiche leggi telluriche del matriarcato e vedevano la convivenza tra sole donne come la più perfetta. Tale particolarità aveva avuto origine all’interno delle società guerriere, quando l’uomo era costretto a stare molto tempo lontano da casa per combattere e, di conseguenza, era la donna che doveva stare a casa e fare da capofamiglia; doveva badare al fuoco domestico, ai figli, ai campi e partecipare alle assemblee cittadine. L’uomo tornava a casa solo di tanto in tanto, in quanto era impegnato, per la maggior parte del tempo, in battaglia. In questo tipo di società nacque la ginecocrazia e la vita amazzonica, nonché l’eterismo, ovvero la pratica sessuale indifferenziata, vista solo come un sacrificio al quale era portata la donna, con l’unico scopo di dare un futuro al proprio popolo (come valeva per l’ape regina).  Le donne, le amazzoni, accettavano ospiti di sesso maschile solo in certi casi e periodi, e solo per necessità, come nel caso delle donne di Lemno, che ospitarono Giàsone e gli Argonauti e poi si unirono ai Minii. Giacevano con questi uomini e speravano di rimanere incinta al primo amplesso. I figli maschi che nascevano, nella maggior parte dei casi, venivano uccisi. Ma, probabilmente, potevano anche essere venduti come schiavi. Le femmine venivano cresciute e abituate alla vita amazzonica fin da piccole. Popolazioni di amazzoni erano presenti in Africa, nell’Egeo e in Asia. Ancora al tempo di Alessandro Magno, esisteva il regno della regina Candace in India. L’esistenza di regni amazzonici vicino l’India è attestata dai racconti dei cronisti di viaggi in Cina.

Bibliografia: Giorgio Pastore, Dèi del Cielo, dèi della Terra, Eremon Editore


Dalla pagina http://animaturchese.altervista.org/Le amazzoni.htm del sito Anima Turchese

Donne guerriere

Il nome "amazzone"  deriva  da  A e MAZON ossia "senza seno", perché si credeva che queste donne guerriere si bruciassero il seno per tirare meglio l’arco, ma diciamo che questa definizione è puramente fantastica  visto che la parola "amazzone" è una parola armena che significa "donna-luna"…

Le Amazzoni risiedevano prevalentemente sul fiume Termodonte in Leucosiria sulla costa meridionale del mar Nero, la loro comparsa avvenne anche in Tracia, Asia minore, Grecia e Siria. Si ebbero la creazione di numerose città, come Mitilene, Smirne, Cirene, Mirina e  Cuma Eolica. 

Rigorosamente  popolo di sole donne governate da una regina, le guerriere escludevano gli uomini e provvedevano alla conservazione della stirpe recandosi una volta all’anno in primavera presso un popolo vicino, i Gargarensi, dopo aver sacrificato agli dei, passavano due mesi insieme, appena un’Amazzone si accorgeva di essere incinta ritornava a casa. Le femmine diventano Amazzoni, mentre i maschi venivano affidati ai Gargarensi, i quali non potendo stabilire la paternità li distribuivano come capitava nelle varie capanne.

Provvedevano alle attività quotidiane ed anche a quelle che generalmente spettavano agli uomini, come governare lo Stato, cacciare, combattere, maneggiare armi, andare a cavallo, tirare l’arco…il loro culto, come si può ben capire, era di ordine matriarcale, gli Sciti le chiamarono Eorpata, non rispettavano né la giustizia, né il pudore, ma erano guerriere bellissime ed avevano archi di bronzo e piccoli scudi a forma di mezzaluna ed i loro elmi, le loro vesti e le loro cinture erano fatti con le pelli di animali feroci.

Dea venerata dalle guerriere era Artemide identificata con la Diana italica, era raffigurata come la ragazza selvaggia che si compiaceva solo della caccia, alle sue frecce si attribuiscono le morti improvvise soprattutto quelle indolori, era molto vendicativa e numerose furono le sue vittime.

Possiamo ricordare numerose gesta di questo popolo guerriero e numerose furono le regine che hanno combattuto valorosamente: Ippolita ( cavallo scalpitante),   Antiope e Pentesilea, quest’ultima fu vittima dell’orrenda violenza provocata dal  genere maschile… 

"Pentesilea era regina delle Amazzoni, figlia di Otrera e di Ares, aveva cercato scampo in Troia fuggendo dalle Erinni di sua sorella Ippolita che aveva uccisa per errore con una freccia durante una battuta di caccia.

Purificata da Priamo, essa si distinse in battaglia uccidendo molti Greci… più di una volta Pentesilea respinse Achille dalle mura di Troia, ma alla fine egli la trafisse con la lancia, si innamorò del suo corpo ormai esanime e senza perdere tempo si macchiò di necrofilia." 

Gli uomini che le amazzoni tenevano presso di loro erano menomati, storpi, privi di una gamba o di un braccio, senza che questo impedisse loro di essere straordinari amanti. L'handicap impediva agli uomini di essere violenti e prevaricatori e di usurpare lo scettro del potere alle donne.

Pare che la regina delle amazzoni Antianeira a una delegazione di uomini sciti che si erano proposti come amanti privi di difetti fisici o malattie, rispondesse così: "Lo storpio è l'uomo che sa fare meglio l'amore".

Le armi: armi delle amazzoni erano lo scudo a forma di falce lunare chiamato pelta, la lancia, l'arco e le frecce (pare che fossero formidabili arciere), l'ascia bipenne.

Prima della battaglia il loro segnale di guerra era il sistro, una sorta di sonaglio, fatto generalmente in bronzo, che veniva scosso producendo un suono sottile, onomatopeico di voci della natura.

Poiché era nel femminile che vedevano la propria continuità, si è spesso detto che le amazzoni uccidessero i figli maschi e allevassero solo le bambine. Più probabilmente finito lo svezzamento i maschietti venivano portati agli uomini con cui s'erano giaciute perché se ne occupassero.

Fin da piccole le bambine venivano educate a dominare la paura e lo spavento, a maneggiare le armi e ad andare a cavallo. Dovevano essere coraggiose e indomite, vere guerriere sin dalla tenera età. Venivano allattate con latte di giumenta, perché sentissero come parte inscindibile il cavallo, che sarebbe stato loro compagno di vita.

Da adulte si nutrivano di carne cruda e midollo di canne lacustri. Non esiste amazzone senza il suo cavallo. Legame esclusivo, magico, sacro. Compagno di battaglie, di caccia, di imprese, di vita nomade, animale sacrificale. Il cavallo è tutto. Le amazzoni acquisirono abilità sorprendenti nell'allevamento equino.

Erano depositarie di un sapere quasi sconosciuto all'epoca, vere maestre nell'arte di domare i selvaggi animali.

Achille, Ercole e Teseo: ciascuno avrà la sua regina da amare. Achille amerà Pentesilea e il corpo esanime di lei sfidando uno dei più grandi tabù di tutti i tempi. Ercole con Ippolita: sarà lui stesso ad ucciderla e far strage di amazzoni. Teseo avrà per compagna Antiope madre di suo figlio Ippolito, e anche qui assisteremo all'assassinio della regina da parte dell'eroe.

Ippolita: regina delle Amazzoni, possedeva un prezioso cinto che le era stato donato da Marte, preso d'ammirazione per la indomita virtù guerriera di lei: ma la figlia di Euristèo aveva desiderio di entrare in possesso del cinto. Cosi fu imposto ad Ercole di andar a conquistarglielo.

Ippolita sarebbe stata anche disposta a cederglielo pacificamente ma Giunone, che non dava tregua all'eroe da lei odiato sin dalla nascita, fece correr voce, fra le Amazzoni, che Ercole fosse venuto per rapire la loro regina, e le indusse, cosi, a muovergli guerra, nella quale Ippolita rimase uccisa, secondo alcuni: secondo altri, invece (è la variante più autorevolmente diffusa) fu fatta prigioniera da Ercole, il quale la diede poi in moglie a Teseo, e questi ebbe da lei un figlio, Ippolito di cui si innamorò, poi, la seconda moglie di Tèseo, Fèdra, con le tragiche conseguenze che ne seguirono.

Come nona Fatica Euristeo impose a Eracle di portare ad Admeta, sua figlia, l'aurea cintura di Are usata da Ippolita, regina della Amazzoni.

Le Amazzoni erano figlie di Are e della Naiade Armonia, nate nelle segrete valli della frigia Acmonia, altri dicono invece che loro madre fu Afrodite.

Dapprima vissero lungo le rive del fiume Amazzonia, chiamato ora Tanai, dal nome del figlio dell'Amazzone Lisippa che offese Afrodite col suo disprezzo per il matrimonio e il suo amore per la guerra. Vendicandosi, Afrodite fece si che Tanai si innamorasse di sua madre. Piuttosto che cedere a quell'incestuosa passione, Tanai si gettò nel fiume e annegò.

Le Amazzoni consideravano soltanto la discendenza madrilineare, e Lisippa stabilì che agli uomini toccasse sbrigare le faccende domestiche, mentre le donne combattevano e governavano. Venivano perciò fratturate le braccia e le gambe dei bambini perché non fossero in grado di viaggiare o battersi in guerra.

Queste donne non rispettavano né la giustizia né il pudore, ma erano guerriere stupende e per prime usarono la cavalleria.

Avevano archi di bronzo e piccoli scudi a forma di mezzaluna, i loro elmi, le loro vesti e le loro cinture erano fatti con le pelli di animali feroci.

Lisippa prima di morire in battaglia, fondò la grande città di Temiscira e sconfisse la tribù nemiche fino al fiume Tanai. Con il bottino delle sue vittorie innalzò templi ad Are e ad Artemide Tauropolo. Le sue discendenti estesero a occidente l'impero delle Amazzoni, fino alla Tracia, e più a sud fino alla Frigia.

Al tempo che Eracle visitò le Amazzoni, esse erano tornate tutte sulle rive del fiume Termodonte e le loro città erano governate da Ippolita, Antiope e Melanippa. Arrivato alla foce del fiume, Eracle gettò l'ancora nel porto di Temiscira, dove Ippolita gli fece visita e, attratta dal suo corpo muscoloso, gli offrì la cintura di Are come pegno d'amore.

Nel frattempo Era, travestita da Amazzone, girava per la città spargendo la voce che gli stranieri avevano intenzione di rapire Ippolita. Indignate, le guerriere balzarono a cavallo e si lanciarono all'assalto della nave.

Eracle, sospettando un tradimento, uccise Ippolita le tolse la cintura, si impadronì della sua ascia e di altre armi e si preparò a difendersi.

Uccise le Amazzoni che guidavano le attaccanti e fece ritirare le rimanenti. Riscosso il bottino, Eracle salpò verso Micene dove consegnò la cintura ad Euristeo, che la donò ad Admeta. Per quanto riguarda il resto del bottino carpito alle Amazzoni, Eracle offrì le loro ricche vesti al tempio di Apollo a Delfi, e l'ascia di Ippolita alla regina Onfale.

Pentesilea: figlia di Ares, dio della guerra e della regina delle amazzoni Otrera. Intrigante figura della mitologia greca che riprese vita nel 1813 dc grazie al dramma di Heinrich von Kleist e che oggi rinasce sui palcoscenici europei per volere del grande regista tedesco Stein.

Pentesilea alla guida del suo esercito di vergini guerriere, è alla ricerca di prigionieri da condurre nel suo regno per festeggiare la festa delle rose. Festa in cui le vergini prescelte potranno accoppiarsi con gli uomini e permettere così la continuità del loro regno di sole donne.

Le amazzoni s'intromettono così nella guerra tra troiani ed ateniesi, cercando tra quest'ultimi le loro prede. L'uomo destinato a Pentesilea è proprio il più grande guerriero greco, Achille. Ma l'amore e la guerra s'intrecciano. Achille e Pentesilea colpiti dalla stessa reciproca e folle attrazione, Achille e Pentesilea, condottieri e vincitori che non accettano la vittoria dell'altro.

Tra fatalità, vittorie e sconfitte si giunge fino al tragico ed inconcepibile epilogo. Pentesilea uccide Achille e ne sbrana, come una cagna infuriata, il corpo. Ma la tragedia trova una sua conciliazione con il suicidio dell'eroina, quando la consapevolezza subentra alla follia ed il coraggio alla disperazione. I sentimenti, le paure, gli entusiasmi di Pentesilea vibrano e trasudano dai corpi delle sue amazzoni, uno sconvolgente coro che l'accompagna dall'inizio alla dolorosa fine. È proprio questa schiera di guerriere, con i loro canti, le loro acrobatiche danze, con la loro inquietante carnalità, ad imprimere allo spettacolo una sorprendente forza emotiva.

La tragedia sembra solo sfiorare Pentesilea, burattino inconsapevole di un destino superiore ed infausto mentre l'umanità più viva e sofferente è affidata alle sue selvagge guerriere. Il suo amore folle, la sua passione allucinata ed allucinante, sono pulsioni per lei incontrollabili ed incomprensibili agli altri.

Solo la sua fraterna amica Protoe sembra comprendere che la furia di Pentesilea non è che la più onesta espressione dell'amore umano.

Fedra: figlia di Minosse e di Pasifae, fu rapita da Teseo che la sposò. Innamorata respinta del figlio di Teseo, Ippolito, lasciò scritta contro di lui la falsa accusa di averla voluta sedurre provocandone così la morte e, in conseguenza di ciò, si uccise.

Il mito fu trattato da Euripide, Sofocle, Seneca e Racine. Quando Fedra nomina il suo amore per Ippolito, tutti inorridiscono. Perché l’amore di Fedra fa così paura? In fondo lei non ha nessun legame di sangue con questo giovane, è solo il figlio di suo marito e di un’altra donna.

Eppure l’amore di Fedra è considerato incestuoso, anzi, spesso è considerato tra gli incesti più orridi. Un’analisi storico-antropologica, che indaghi sul ruolo in cui la generazione era concepita nella cultura antica, è forse in grado di fornire qualche risposta.

La nutrice cerca di spiegare quale sarà questo orrore: "Ammettiamo pure che sfuggirai a Teseo, tuo marito, ma non sfuggirai a tuo padre Minosse e a Giove, padre di tuo padre".


Dal sito http://www.medioevo.com

Le Amazzoni erano donne che avevano una loro regina; la loro dimora era un’isola che si estendeva per mille miglia nelle quattro direzioni della terra, circondata da ogni parte da un fiume che non aveva né inizio né fine. In questo fiume si trovavano dei pesci delicatissimi da mangiare e facilissimi da catturare.

Vi si trovavano anche altri pesci dalla forma di grandi cavalli, con quattro piedi assai ben disposti, un collo abbastanza lungo, una testa piccola e orecchie appuntite.

Quando le Amazzoni lo desideravano li cavalcavano per tutto il giorno e di notte li lasciavano tornare nell’acqua. Ve ne erano anche altri che avevano la forma di cavalli bellissimi o di muli oppure di buoi e di asini, con cui le Amazzoni aravano, seminavano, trascinavano legna, pietre e qualunque cosa desiderassero.

Ve ne erano anche altri che avevano la forma di cani piccoli e grandi, così veloci nella corsa e così abili nella caccia che nessuna bestia poteva fuggire davanti a loro o nascondersi senza che subito fosse catturata. Di questi si servivano per procacciarsi da mangiare.

Queste donne non vivevano con i loro uomini, né questi ultimi osavano andare dove esse dimoravano, a meno che non volessero morire all’istante. Essi abitavano sull’altra sponda del fiume di cui si è detto.

Era infatti stabilito che qualsiasi uomo mettesse piede sulla loro isola morisse all’istante. Le Amazzoni si recavano di tanto in tanto dai loro uomini e restavano con essi una settimana o quindici giorni, dopodiché ritornavano nella loro isola.

Quando nascevano i bambini li allevavano fino all’età di sette anni e poi li restituivano ai loro padri. Quando invece nascevano delle bambine le trattenevano presso di loro.

Queste Amazzoni erano abilissime in guerra, soprattutto con l’arco e con le aste. Le loro armi erano d’argento, perché non possedevano altra lega né altro metallo all’infuori dell’argento, e con questo fabbricavano aratri, zappe, asce e altri arnesi. Possedevano anche cavalli mortali fortissimi e velocissimi sui quali combattevano, e dai quali abilmente uccidevano i loro nemici, colpendoli da tutti i lati.

Sul cavallo avevano la capacità di ruotare più velocemente della ruota di un vasaio. Anche nella corsa erano molto abili, e se cominciavano a correre nello stesso momento in cui veniva scoccata una freccia dall’arco, prima che essa cadesse a terra la afferravano con una velocissima corsa.

Si narra che fossero anche al servizio di Prete Gianni, e quando venivano reclutate per qualche combattimento, il loro numero superava il milione di unità.

Spesso, durante i combattimenti, i loro mariti le seguivano, non per combattere, però, ma per onorarle quando tornavano vittoriose dalle battaglie.

Non si sa con precisione come siano scomparse, una delle tante leggende circa la loro morte vuole che la loro fine sia legata all’impresa di un tale Lamissione.

Costui, figlio di una meretrice che aveva messo al mondo sette figli in un solo parto, era stato gettato in un fiume insieme ai suoi sette fratelli, e riuscì a salvarsi solo grazie all’aiuto e alla carità di un re longobardo, re Agilmondo.

Divenuto un giovane coraggioso e un ardente guerriero, alla morte del re meritò la guida del regno. Un giorno mentre i Longobardi, nel corso di una loro migrazione, si trovarono il passaggio di un fiume impedito dalle Amazzoni, Lamissione si inoltrò nella corrente a combattere a nuoto con la più forte di loro, la loro regina, e la uccise procurando a sé gloria e lodi, e ai Longobardi il passaggio.

Tra le due schiere si era stabilito in precedenza questo patto: se l’Amazzone avesse vinto Lamissione, i Longobardi si sarebbero allontanati dal fiume, ma se essa fosse stata vinta, i Longobardi avrebbero potuto attraversarlo.


Dal sito Amazzoni di Lod http://amazzonidilot.altervista.org/amazzoni/home.htm

STORIA DELLE AMAZZONI

Le Amazzoni derivano dalla colonia Norsmanna di Skeggi fondata dall'avventuriero Losteriksson sulle coste orientali di Lustria.

Qui dimoravano i coloni e avventurieri nordici che erano venuti nel Nuovo Mondo attratti dal sogno di arricchimento ai danni degli Uomini Lucertola, abitanti autoctoni del luogo.

Quando molti guerrieri abbandonarono l'insediamento di Losteriksson a Skeggi perchè impazienti di inoltrarsi nella giungla per trovare l'oro, lasciarono dietro di sè le loro mogli.

Quando non fecero ritorno, queste, e molte donne Norsmanne che erano giunte a Skeggi per trovare un coraggioso e benestante guerriero come marito, furono deluse.

Per di più, il numero di guerrieri per la difesa di Skeggi era diminuito in maniera impressionante.

Queste determinate Norsmanne divennero Valchirie, come vengono conosciute le donne che imbracciano le armi.

Sfortunatamente, le donne guerriere non sono accettate dalla società Norsmanna, che sostiene che "impugnare un'ascia è il lavoro di un uomo e non di una donna!".

Dopo aver aiutato a sconfiggere i nemici, le Norsmanne non avevano nessuna intenzione di posare le armi e tornare ad accudire gli uomini.

Le Valchirie furono costrette ad abbandonare Skeggi.

Venne data loro una nave con la quale navigarono lungo la costa e su per l'estuario di un grande fiume.

Alla fine, le Valchirie si stabilirono su un'isola paludosa al centro del fiume, circondata da tutte le parti dalla giungla impenetrabile.

Sull'isola si trovavano le rovine di templi degli Uomini Lucertola e questo luogo divenne la loro fortezza.

Molti anni dopo, queste guerriere vennero incontrate da avventurieri Elfi e Nani che avevano risalito il fiume e attaccato l'insediamento, pensando che fosse una città degli Uomini Lucertola.

Vennero sconfitti e costretti a fuggire, portando con sè i racconti di strane donne guerriere che adoravano gli dei degli Uomini Lucertola.

Le chiamarono "Amazzoni" per il nome del fiume.

L'isola venne chiamata "Il Cuore di Tenebra" a causa della densità della giungla circostante.

Ormai, le Amazzoni hanno ben poco delle originarie Valchirie Norsmanne, dato che hanno adottato gli oggetti della cultura degli Uomini Lucertola che trovarono tra le rovine.

Per di più, il fatto che siano ancora in quel luogo e che il loro numero non sia diminuito, malgrado non abbiano nessun modo per aumentarlo, dà credibilità alla diceria che abbiano trovato una strana droga tropicale o chissà cosa che conferisce eterna giovinezza e longevità. Questa voce ha attratto molti razziatori alla loro fortezza, poiché tale pozione sarebbe molto più preziosa dell'oro.

Le Amazzoni non si sono mai schierate con gli Uomini Lucertola, e questi non hanno mai cercato il loro aiuto.

Per gli Uomini Lucertola restano invasori.

Pertanto le Amazzoni restano isolate e non combatteranno mai per nessuno tranne che per sè stesse.

Secondo la storia romana, invece, il nome "amazzone" si fa derivare di solito da A e MAZON ossia "senza seno", perché si credeva che queste donne guerriere si bruciassero il seno per tirare meglio l’arco, ma diciamo che questa definizione è puramente fantastica visto che la parola "amazzone" è una parola armena che significa "donna-luna"…

Le Amazzoni risiedevano prevalentemente sul fiume Termodonte in Leucosiria sulla costa meridionale del mar Nero, la loro comparsa avvenne anche in Tracia, Asia minore, Grecia e Siria, e si ebbero la creazione di numerose città, come Mitilene, Smirne, Cirene, Mirina e Cuma Eolica.

Rigorosamente popolo di sole donne governate da una regina, le guerriere escludevano gli uomini e provvedevano alla conservazione della stirpe recandosi una volta all’anno in primavera presso un popolo vicino, i Gargarensi, dopo aver sacrificato agli dei, passavano due mesi insieme, appena un’Amazzone si accorgeva di essere incinta ritornava a casa.

Le femmine diventano Amazzoni, mentre i maschi venivano affidati ai Gargarensi, i quali non potendo stabilire la paternità li distribuivano come capitava nelle varie capanne.

Provvedevano alle attività quotidiane ed anche a quelle che generalmente spettavano agli uomini, come governare lo stato, cacciare, combattere, maneggiare armi, andare a cavallo, tirare l’arco… il loro culto, come si può ben capire, era di ordine matriarcale, gli Sciti le chiamarono Eorpata, non rispettavano né la giustizia, né il pudore, ma erano guerriere bellissime ed avevano archi di bronzo e piccoli scudi a forma di mezzaluna ed i loro elmi, le loro vesti e le loro cinture erano fatti con le pelli di animali feroci.

Dea venerata dalle guerriere era Artemide identificata con la Diana italica, era raffigurata come la ragazza selvaggia che si compiaceva solo della caccia, alle sue frecce si attribuiscono le morti improvvise soprattutto quelle indolori, era molto vendicativa e numerose furono le sue vittime.

Possiamo ricordare numerose gesta di questo popolo guerriero e numerose furono le regine che hanno combattuto valorosamente: Ippolita (cavallo scalpitante), Antiope e Pentesilea, quest’ultima fu vittima dell’orrenda violenza provocata dal genere maschile…

"Pentesilea era regina delle Amazzoni, figlia di Otrera e di Ares, aveva cercato scampo in Troia fuggendo dalle Erinni di sua sorella Ippolita che aveva uccisa per errore con una freccia durante una battuta di caccia. Purificata da Priamo, essa si distinse in battaglia uccidendo molti Greci… più di una volta Pentesilea respinse Achille dalle mura di Troia, ma alla fine la trafisse con la lancia, si innamorò del suo corpo ormai esanime e senza perdere tempo si macchiò di necrofilia."

LE MITOLOGICHE DONNE GUERRIERE

Chi erano le amazzoni.

Intorno al 2000 a.C. tribù nomadi scite occuparono la Cappadocia, dopo violente battaglie contro gli egiziani.

In seguito a un'imboscata gli uomini sciti furono sterminati.

Rimasero solo le donne che non si piegarono, imbracciarono le armi e divennero temibili guerriere dai poteri sciamanici.

Gli uomini delle amazzoni.

Gli uomini che le amazzoni tenevano presso di loro erano menomati, storpi, privi di una gamba o di un braccio, senza che questo impedisse loro di essere straordinari amanti.

L'handicap impediva agli uomini di essere violenti e prevaricatori e di usurpare lo scettro del potere alle donne.

Pare che la regina delle amazzoni Antianeira a una delegazione di uomini sciti che si erano proposti come amanti privi di difetti fisici o malattie, rispondesse così: "Lo storpio è l'uomo che sa fare meglio l'amore".

Il nome.

Secondo Erodoto il nome "amazzone" significa "priva di mammella".

Gli studiosi greci erano convinti che fossero prive del seno destro per poter tirare d'arco.

In lingua caucasica il nome significherebbe "coloro che non mangiano pane".

Ma potrebbe significare anche "coloro che vivono insieme" o infine ci potrebbe essere anche un'allusione alla "cintura" magica delle amazzoni.

Le armi.

Armi delle amazzoni erano lo scudo a forma di falce lunare chiamato pelta, la lancia, l'arco e le frecce (pare che fossero formidabili arciere), l'ascia bipenne.

Prima della battaglia il loro segnale di guerra era il sistro, una sorta di sonaglio, fatto generalmente in bronzo, che veniva scosso producendo un suono sottile, onomatopeico di voci della natura.

I figli.

Poiché era nel femminile che vedevano la propria continuità, si è spesso detto che le amazzoni uccidessero i figli maschi e allevassero solo le bambine.

Più probabilmente finito lo svezzamento i maschietti venivano portati agli uomini con cui s'erano giaciute perché se ne occupassero.

Come si diventa amazzoni.

Fin da piccole le bambine venivano educate a dominare la paura e lo spavento, a maneggiare le armi e ad andare a cavallo.

Dovevano essere coraggiose e indomite, vere guerriere sin dalla tenera età.

Venivano allattate con latte di giumenta, perché sentissero come parte inscindibile il cavallo, che sarebbe stato loro compagno di vita.

Da adulte si nutrivano di carne cruda e midollo di canne lacustri.

Il cavallo.

Non esiste amazzone senza il suo cavallo.

Legame esclusivo, magico, sacro.

Compagno di battaglie, di caccia, di imprese, di vita nomade, animale sacrificale.

Il cavallo è tutto.

Le amazzoni acquisirono abilità sorprendenti nell'allevamento equino.

Erano depositarie di un sapere quasi sconosciuto all'epoca, vere maestre nell'arte di domare i selvaggi animali.

MITI RAFFIGURATI SUI VASI

Le più antiche figure di Amazzoni compaiono su vasi a figure nere del secolo VI a.C. in rappresentazioni generiche di donne armate, a cavallo o a piedi, combattenti contro eroi greci o anche nei gruppi esprimente il duello fra Eracle ed una Amazzoni.

Sui vasi attici l'Amazzone è armata di corazza, schieri, galea cristata, lancia, ed è espressa in vari atteggiamenti, conformi agli schemi adottati dall'arte ceramica di quel secolo, fra i quali anche quello dell'Amazzone che monta sul cavallo facendogli piegare le zampe anteriori.

Il gruppo di Eracle e dell'Amazzone, dove questa è spesso disegnata nella movenza della corsa, in ginocchio col capo rivolto indietro, si credette che rappresentasse il duello di Eracle e di Ippolita secondo una fonte poetica.

L'ipotesi non pare accettabile, per il fatto che l'avversario di Eracle su questi vasi attici a figure nere, quando reca scritto accanto il suo nome, non è denominata Ippolita, ma Andromaca o altra Amazzone.

Se non che è meglio astenersi dal dare un giudizio definitivo, essendo pur vero che in queste scene di amazonomachia dei vasi a figure neri ricorrono i nomi di Telamone e Glauche, i quali farebbero ammettere l'aspirazione ad una fonte poetica.

Sopra vasi calcidesi l'Amazzone combatte a piedi, armata di galeatica con un chitone di pelle o a cavallo, da arciera, volgendosi indietro.

Il tipo della Amazzone arciera appare ben presto anche nella plastica decorativa del secolo VI a.C. come ornamento di Lebeti, e si crede desunto dalla figura dell'arciere sciita.

L'eroina cavalca un veloce destriero avendo il capo coperto da un berretto che finisce a punta.

Il tipo dell'Amazzone con armatura greca ebbe fortuna nella ceramica Attica a figure nere e in quella dei primi decenni della tecnica a figure rosse tanto per rappresentazioni di contenuto generico quanto per quelle pochissime, nelle quali il sussidio delle iscrizioni tracciate accanto alle figure ci riporta alla lotta di Achille e Pentesilea.

L'impresa delle Amazzoni contro Atene e forse anche la spedizione di Teseo contro le Amazzoni ebbero riflessi nella ceramica a figure nere, la quale trattò qualche volta il ratto di Antiope.

A poco a poco, nei vasi a figure nere, accanto a questo tipo si andò affermando quello della Amazzone arciera in veste sciita, nel quale sono facilmente riconducibili motivi della grande arte che vediamo consacrati dalle sculture del tempio di Ecina, l'Amazzone è ritratta nella foggia dei guerrieri greci ed è libera nei movimenti del corpo, coperto soltanto da un leggero chitone.

Sue armi da offesa sono la spada, la lancia, l'arco, la bipenne; arma da difesa talvolta la sola galea attica cui spesso si aggiunge la corazza.

Nel vaso di Durite e già belle e formato quel tipo dell'Amazzone che sarà sviluppato nel corso del secolo V e che, ripreso dal ciclo di artisti, che si aggruppa intorno al nome di Polignoto, fu tratto a modello dai ceramisti che lavorano i grandi crateri con scene di amazonomachia.

La leggenda delle invasioni delle Amazzoni nell'Attica e della resistenza opposta loro da Teseo aveva fornito argomento alle grandi composizioni di Micone nel theseion e nel Pecile, le quali ebbero per gli ateniesi un valore simbolico.

Se è vero, come non è lecito di dubitare, che i decoratori dei citati crateri si ispirarono a questi originali della grande pittura, abbiamo sottocchio, se non proprio delle copie di detti originali, come inclinò a credere il Pellegrini per un vaso bolognese, certamente motivi e gruppi da essi derivati.

Non più le figure sono distribuite a coppie su un medesimo piano senza sfondo ma vi, è in tentativo di presentarle in prospettiva con l'aggiunta di qualche elemento paesistico, e dalla veduta di fianco si passa alle ardite movenze di scorcio e alle figure viste quasi da tergo.

In questo periodo è già penetrata nelle rappresentazioni vascolari la varietà del tipo dell'Amazzone armata di ascia col capo coperto da pelle o addirittura vestita da greca.

L'Amazzone a cavallo combattente contro un greco, nelle scene figurate da questi vasi polignotei risale molto probabilmente a originali di Micone, il quale come afferma Aristofane riuscì bene nella rappresentazione di tali figure (lysistrata 678).

Dalla pittura monumentale polignotea trasse, come pare, origine anche il gruppo di Teseo nudo con elmo e scudo, in duello con una Amazzone a cavallo, che non è Antiope, gruppo che ebbe grande fortuna nella ceramica figurata nella seconda metà del secolo V a.C., soppiantando il motivo dell'Eracle alle prese con l'Amazzone, cosi frequente su vasi e figure nere.

Parecchi di questi schemi si trovano riprodotti in una fase di arte ceramica molto progredita come, per esempio sull'aryballos cumano, al quale si assegna la data del 430 a.C., e nei rilievi dello Heroon di golbaschi trysa.

In questi ultimi il Benndorf credette di identificare Achille e Pentesilea nel gruppo di una Amazzone che si arrende ad un greco e getta via lo scudo mentre il cavallo piega le zampe anteriori per farla smontare.

Nella amazonomachia dello scudo della Parthenos che presenta il carattere di una composizione pittorica, e la cui dipendenza dalla pittura di Micone pare accettabile, spunta fuori un motivo al quale molto si fece ricorso in opere più tarde: quello del guerriero che acciuffa l'Amazzone per i capelli.

Al tempo di Fidia l'elaborazione dei vari motivi artistici dell'amazonomachia fece notevoli progressi, e i decoratori di vasi, sempre più padroni dei mezzi loro, seppero modellare i corpi delle Amazzoni palpitanti sotto le molli e corte tuniche sbattute dal vento contro le membra, tra gli svolazzi dei mantelli fluttuanti, nelle più svariate combinazioni, nei più arditi slanci nelle mosse più violente che si possano concepire.

Questa valentia si esplica in grado eminente anche nel campo della plastica decorativa come dimostrano il fregio del tempio di Basse e quello del mausoleo.

Sullo scudo della Parthenos vediamo per la prima volta comparire la figura dell'Amazzone con un lato del petto scoperto: particolare che diventerà nell'arte posteriore la caratteristica più spiccata di queste guerriere indomite.

Della amazonomachia di uno dei frontoni del tempio di Asclebio ad Epidauro rimane la mutilata figura di una Amazzone, la quale si tiene in equilibrio sul cavallo impennato mentre sta per colpire con la scure il nemico.

Le pieghe flessuose e sottili accarezzano le fresche membra del corpo slanciato ed agile.

I tipi dell'Amazzone consacrati dall'arte del secoli V e IV saranno poi prese a modello in numerose combinazioni su fregi e sarcofagi.

Fino dal secolo VI a.C. gli scultori greci si erano proposti il tema dell'Amazzone isolatamente presa o rappresentata in un gruppo monumentale, la cui destinazione ci sfugge.

Una statua arcaica scoperta in Roma alla villa Ludovisi, fu giudicata dal Petersen quale avanzo di un'opera originale di Bupalo e Atenide che Augusto pose come acroterio sul tempio di Apollo Palatino.

L'Amazzone di Vienna si giudica essere appartenuta ad un gruppo di cui resterebbe traccia in un cammeo di Londra.

La prima di queste statue rappresenta una Amazzone nuda ed accosciata nell'istante in cui si prepara a tendere l'arco sicché non proprio nella posa dell'arciere egineta ma in quella dell'Eracle sulle monete di Tebe.

La seconda del principio del secolo V a.C. esprime l'Amazzone nel deliquio di chi cade ferito a morte ed ha il capo abbandonato sul fianco sinistro.

I monumenti finora menzionati ci presentano l'Amazzone quale attrice in una azione violenta, spesso brutale in cui era riposta la ragione d'essere della sua concezione.

La plastica greca del sec V a.C. seppe pur concepirla isolatamente sottraendola al campo della violenta azione guerresca e sollevandola ad una sfera di serena idealità.

Lo sforzo della felice creazione, intorno alla quale ebbero a trovarsi alcuni fra i più grandi artisti dell'antichità quali Policleto e Fidia ci venne tramandato sotto veste di una nobilissima gara, nella quale la palma sarebbe toccata a Policleto.

Le statue a cui si accenna si vedevano esposte nell'Artemision di Efeso e, ripetute in molte repliche per la giusta rinomanza che ebbero nell'antichità, parecchie di queste esistono nel repertorio delle opere d'arte giunte sino a noi.

Ma l'aggiudicazione a Policleto, Fidia e Carisila è compito ancora insoluto dai greci dell'arte antica.

Poiché se una sapiente selezione tra le statue di Amazzone conosciute può farci risalire a 3 originali come fece il Micaelis riesce difficile l'attribuzione ai tre artisti che li crearono, non avendo noi sufficienti termini di confronto per almeno due di questi tipi.

Le coppie che si raggruppano intorno all'Amazzone di Berlino è convinzione dei dotti che ci mettano sottocchio la statua di Policleto poiché in esse, oltre alla quadratura delle spalle, i lineamenti del volto e la struttura hanno una corrispondenza con la statua del Doriforo.

Il grande maestro di Taso concepì l'Amazzone che, uscita dalla mischia, è doma dal dolore della ferita riportata e nel sollevare il braccio destro prova un senso di sollievo.

Più raccolta nel suo dolore è l'Amazzone capitolina intenta a scoprire la ferita, rimuovendo con la mano sinistra il chitone.

In questa unita di concezione, che non è punto menomata dalla intuizione di mettere in evidenza la plasticità del corpo, consiste il pregio dell'invenzione dell'artista, che sarebbe di scuola Attica con indirizzo mironiano e forse Cresila.

Da una diversa concezione partì l'artista che modellò l'originale dell'Amazzone Mattei, la cui testa e il braccio destro sono mancanti e che, secondo l'incisione di una gemma oggi perduta, era rappresentata nel momento in cui puntellandosi alla lancia, spicca il salto per montare a cavallo.

In queste tre opere d'arte l'idea della fierezza indomita cede a una concezione più mite ed umana conforme agli ideali dell'arte greca del secolo V a.C.

Non soltanto la valentia nell'affrontare il nemico ma principalmente la perfezione delle forme giovanili ebbe una parte rilevante nell'invenzione dei tre artisti.

Così grande elevatezza di creazione non fu mai più raggiunta nei secoli successivi, e l'antichità greca e romana si limitò a riprodurre gli originali di quei grandi maestri.

MITI E LEGGENDE

Già le più antiche leggende greche ci narrano delle Amazzoni, donne di un popolo mitico la cui patria d'origine viene collocata fuori della Grecia, rappresentandolo quindi come un popolo estraneo alla civiltà greca ovvero barbaro.

Secondo la forma più antica e più diffusa del mito, quale ricorre in Omero e nei Ciclici e prende poi aspetti e linee più complesse e definite nella poesia posteriore, le Amazzoni costituivano nella regione del fiume Termodonte in Leucosiria - sulla costa meridionale del Mar Nero, intorno alla città di Temiscira - un popoloso stato di donne guerriere governate da una regina.

Da questo popolo gli uomini ne erano rigorosamente esclusi e le Amazzoni provvedevano alla conservazione della stirpe recandosi ogni anno in primavera presso un confinante popolo di uomini, a fine di commercio sessuale; o, secondo un'altra forma della leggenda, nel popolo stesso delle Amazzoni si trovavano anche gli uomini, ma tenuti in condizione di schiavi, adibiti alle faccende domestiche e storpiati nelle braccia e nelle gambe in modo da essere resi inabili all'uso delle armi.

Tutte le forme delle attività erano riservate alle donne: esse governavano lo stato, vestivano e maneggiavano le armi, combattevano valorosamente, a piedi o a cavallo, con la lancia, con lazza, con l'arco, con la scimitarra, non solo in difesa del suolo della patria, ma anche a scopo offensivo, sia operando scorrerie nei paesi limitrofi, sia effettuando grandi spedizioni in regioni lontane.

Il mito conosce la loro comparsa in Tracia, in Siria, in Asia minore, nella Grecia propriamente detta, e racconta le lotte da loro sostenute, in tali occasioni, con i più famosi eroi greci.

Fa anche risalire ad esse la fondazione di numerosissime città, tra cui Cuma Eolica, Mitilene, Smirne, Caulonia nella magna Grecia ed Efeso, dove esse avrebbero fondato anche il celebre santuario di Artemide.

Del loro nome gli antichi indicavano varie etimologie, tutte di carattere Etiologico; vedendovi, più solitamente, significato del fatto che alle fanciulle si amputava uno, o ambedue i seni, per rendere più facile il maneggio dell'arco, oppure che esse non erano allevate con l'allattamento.

Gli epiteti che più di frequente accompagnavano il nome, accennavano appunto alla loro indole guerriera ed odiatrice dell'altro sesso.

Sull'origine delle Amazzoni e sul significato di questo mito non erano concordi gli antichi; ne si può dire che ad alcunché di sicuro abbiano approdato le indagini e le ipotesi dei moderni.

I greci facevano capostipiti delle Amazzoni il dio Ares e la ninfa Armonia, oppure dicevano esser esse un gruppo di donne sciite, separatesi dal resto del loro popolo e rimaste sul Termodonte, ovvero donne che avevano ucciso o cacciato i loro uomini dai quali venivano maltrattate.

Raccontavano infine che Eracle, loro mortale nemico, le aveva distrutte e costrette ad emigrare in sedi più settentrionali.

In altre leggende più recenti, troviamo la patria d'origine delle Amazzoni trasportata in regioni più occidentali (Tracia, Illiria, Vindelicia) o più meridionali (Libia).

Dei moderni alcuni (Toepffer), partendo dall'osservazione che nelle regioni in cui la tradizione preferiva collocare la patria d'origine delle Amazzoni (cioè nella Scizia e in Libia), ancora in età storica vivevano popoli che si reggevano con gli istituti del matriarcato, e che ricordi di istituti ginecocratici, ormai obliterati, si ritrovano ordinariamente nelle leggende di quelle regioni dove la tradizione fa comparire le Amazzoni, ne hanno concluso che il mito delle Amazzoni rispecchi le condizioni della popolazione che precedette, nelle isole e sulle coste del mare Egeo, la discesa delle stirpi greche; altri (Beloch) giudica che nelle Amazzoni non sia da vedere nulla più che un popolo creato dalla fantasia dei greci del pari che i Lapidi e i Centauri.

Tra le leggende postomeriche che si sono volte intorno al mito delle Amazzoni vanno ricordate quella di Achille e Pentesilea, quella della lotte con Eracle e quella della tentata invasione dell'Attica.

La prima si svolgeva intorno al motivo della venuta delle Amazzoni, in aiuto ai troiani, sotto la guida della loro regina Pentesilea e della uccisione di questa da parte di Achille; la seconda narrava la spedizione effettuata da Eracle nella Scizia, per impadronirsi, secondo l'incarico avuto da Euristeo, della cintura della regina delle Amazzoni (Ippolita o Melinide), per portarla in Argo ad Era o alla sua sacerdotessa admeta, figlia di Euristeo; la terza aveva per oggetto l'invasione delle Amazzoni nella Attica, fatta allo scopo di vendicare la spedizione che Teseo aveva effettuata, o da solo o insieme con Eracle, nel loro paese, riportandone prigioniera la loro principessa Antiope; dopo aver sostenuto un difficile assedio, Atene era stata liberata, e le Amazzoni avevano dovuto rinunziare all'impresa.

Nel culto troviamo le Amazzoni più comunemente collegate - oltre che, com'è naturale con Ares - con Artemide e, come Artemide stessa con le divinità dei morti e delle tombe, perché anch'esse sono agli uomini apportatrici di morti.

Il culto delle Amazzoni si limitava alle onoranze e ai sacrifizi che si tributavano alle loro supposte tombe, come si usa fare in genere per le sepolture degli eroi.

Intorno al 1000 a.C. un greco avventuroso fece rotta verso il Mar Nero; il suo nome era Eracle. Sbarcato alle foci del Termonte, nel Nord della Turchia, radunò i suoi uomini sulle rive del flume, accampandosi a poca distanza dalla città di Temiscira. Qui viveva Ippolita, regina delle Amazzoni, ed Eracle le inviò un messo per chiederle il cinto che portava in vita: era la sua nona fatica. Ippolita rifiutò e le sue guerriere a cavallo lasciarono la città per fronteggiare Eracle ed i suoi uomini. Quando i contingenti delle due parti si furono schierati, i rispettivi campioni si fecero avanti per avviare la battaglia in singoli duelli. Eracle non aveva una corazza; teneva una pelle di leone legata al collo per le zampe, con la testa che sembrava quasi sbucargli dalle fauci del felino.

Senza scudo, era armato solo di una spada di bronzo a un taglio. Dalle file amazzoni si fece avanti una donna di nome Aella, che significava "Turbine". Priva anch'ella di corazza, brandiva unicamente uno scudo tondo, una lancia ed una spada. Seguendo attentamente l'uno i movimenti dell'altro, i due guerrieri presero a vibrare le armi nell'aria, pronti a scoprire nell'avversario un cedimento di nervi o un punto scoperto della figura. Muovendosi lateralmente, il passo strisciante, i due giravano in circolo tra la polvere sollevata e le grida di incoraggiamento e di insulto dei loro sostenitori. Quando Aella giudicò giunto il momento, con movimento fulmineo, portato il braccio destro all'indietro, lo distese per scagliare la lancia contro l'uomo che le stava di fronte.

Eracle si piegò sulle gambe, la lancia cadde rumorosamente alle sue spalle; quindi con un balzo si lanciò contro la donna e con la spada le vibrò un colpo secco alla testa. I suoi uomini esultarono per il trionfo. Dalle file amazzoni si fecero avanti molte altre donne, tutte note per il loro valore. Eracle le sconfisse ad una ad una. Fu infine il turno di Melanippa, la comandante delle guerriere amazzoni. Indossava un pettorale scintillante, un elmetto e lo schiniere; ma queste protezioni furono inutili contro la furia devastante dell'eroe greco. Anch'ella fu battuta e l'esercito invasore si lanciò all'attacco delle Amazzoni sconfiggendole. Vinta la cintura di Ippolita, Eracle poté far ritorno a Micene. Le Amazzoni, orgogliose per aver vinto tanti popoli in passato, erano furibonde e meditavano la vendetta. Partirono così alla volta della terra degli Sciti, sulla costa Nord del Mar Nero, dove si unirono ad essi nell'invasione della Grecia. L'esercito alleato di Amazzoni e Sciti calò lungo le coste del Mar Nero, attraversò la Tracia e giunse in Attica.

Qui si accampò fuori delle mura di Atene e dichiarò guerra a Teseo, uno dei capi greci che avevano seguito Eracle nella sua spedizione contro le Amazzoni. Per evitare che dal Peloponneso giungessero rinforzi agli Ateniesi, Orizia, capo delle Amazzoni, inviò lì un contingente di guerrieri. Dopo indugi e ritardi da ambo le parti, alla fine Teseo accettò il confronto. L'armata scita-amazzone si radunò su un'area posta tra quelle che furono poi chiamate Amazzoni e Collina di Pynx. Esercito di cavallerizze, le Amazzoni combattevano allo stesso modo degli Sciti: da cavallo tiravano con l'arco, mentre negli scontri ravvicinati usavano la lancia, spada e ascia.

Indossavano pantaloni attillati e adornavano la testa dei cavalli con corni d'oro e di bronzo. Teseo aprì la battaglia. Gli Ateniesi alla sua destra calarono dalla Collina del Museo e attaccarono le Amazzoni sul fronte sinistro. Queste, lanciati i cavalli, scagliarono sui Greci una pioggia di frecce, costringendoli a rompere il fronte e a ritirarsi fino al tempio delle Eumenidi. Sul fronte sinistro gli Ateniesi restarono fermi e non intervennero neanche quando i loro compagni, in rotta, passarono dappresso inseguiti da gruppi di urlanti guerriere a cavallo.

Teseo allora fece muovere i suoi uomini dal Palladium - Monte Ardettus e dal Liceum verso il fronte destro amazzone. Le due armate si contesero il campo in un duro combattimento: le asce delle Amazzoni vibrarono sugli scudi greci, spade e lance si abbatterono su entrambi gli eserciti. Al fianco di Teseo combatteva Antiope, una guerriera amazzone che questi aveva rapito per fame sua moglie e che adesso combatteva contro il suo stesso popolo. Nel violento corpo a corpo, Antiope fu colpita a morte da una lancia amazzone. Teseo diede allora più vigore all'attacco ateniese, tanto che le Amazzoni batterono in ritirata verso il proprio campo.

Finita la guerra, Teseo cacciò definitivamente le Amazzoni dalla Grecia. Ma le guerriere non ritornarono più sulle rive del Termodonte e restarono con gli Sciti nelle terre a Nord del Mar Nero. Fin qui, dunque, la versione mitica della guerra tra Greci ed Amazzoni, l'Ammazzonomachia. Per i Greci questa fu una grande vittoria, la prima che li vide sconfiggere un invasore straniero. Per secoli l'evento rimase famoso, come testimoniano i dipinti delle centinaia di vasi giunti intatti fino a noi. Ma che tipo di vittoria fu questa? Fu un trionfo su un nemico reale o immaginario? Per alcuni la guerra tra Amazzoni e Greci simboleggia la lotta per la supremazia tra gli uomini e le donne.

I Greci consideravano le Amazzoni un popolo barbaro che bisognava sconfiggere, al fine di garantire la sopravvivenza e la stabilità della loro società civile. In questa prospettiva, la Ammazzonomachia potrebbe essere la rappresentazione di lotte preistoriche svoltesi nell'area mediterranea, lotte che probabilmente segnarono il declino della società matriarcale e il trionfo di quella stanziale e patriarcale. Sarebbe però un grave errore liquidare la storia delle Amazzoni, considerandola un mito senza alcun riscontro storico; infatti, molte prove confermano che esse furono davvero le donne guerriero del mondo antico.

La prima testimonianza letteraria sulle Amazzoni compare nell'Iliade di Omero: probabilmente nell'VIII secolo a.C., raccontando la guerra tra Micenei e Troiani, egli descrive le Amazzoni come un nemico formidabile per l'eroe Bellerofonte che le sterminò insieme alla feroce Chimera - il mitico mostro in parte leone, in parte capra e in parte serpente -. A questo accenno si collegò poco più tardi Esiodo, il quale racconta di Eracle che affronta le Amazzoni mentre è in viaggio alla ricerca del cavallo più pregiato d'Asia. Indubbiamente la materia fantastica di questi racconti, fatta di lotte tra eroi e mostri, era stata ideata per piacere a un pubblico aristocratico, al maschio cavaliere greco.

Pur tuttavia, nel riferimento dato da Esiodo, abbiamo già un'indicazione sulla vita delle Amazzoni: vivevano in Asia, in una terra popolata da cavalli pregiati. Questo accenno è reso più preciso da Ippocrate, il quale identifica le donne guerriere con le Sarmate che vivevano a Nord del Mar Nero, sulle coste del Mar d'Azov. "Sulle coste del lago Maeotis (il Mar d'Azov) - scrive Ippocrate - vive una stirpe scita che però si distingue dalle altre. Il loro nome è Sauromati (nome greco per Sarmati). Le loro donne cavalcano, tirano l'arco e lanciano il giavellotto stando in groppa. Restano vergini fino a quando non hanno ucciso tre nemici e solo allora, assolti i tradizionali riti sacrificali, possono sposarsi. Una donna che prende marito non può più cavalcare, a meno che non ce ne sia bisogno in periodo di guerra.

Non hanno il seno destro, perché da piccole le loro madri vi applicano sopra uno strumento rovente di bronzo; in tal modo ne arrestano la crescita e ne spostano tutta la forza e la robustezza nella spalla e nel braccio destri". In questo passo ritroviamo il tema classico della leggenda sulle Amazzoni: il mancato sviluppo del seno destro. Ed è da questa usanza che si suppone derivi il loro nome: amazos, in greco, significa infatti "senza un seno". Più tardi altri storici riprenderanno questo particolare e spiegheranno che la rimozione del seno destro serviva per agevolare il tiro con l'arco.

Ovviamente l'agilità fisica non riceve nessun vantaggio dalla mancanza di un seno, ragion per cui l'unica spiegazione possibile, se tutto ciò fosse vero, è da ricercarsi in una forma di mutilazione rituale. Un'ipotesi più plausibile fa derivare il "termine amazzone" da una parola armena che significa "donna della luna" e che si riferisce a delle sacerdotesse asiatiche che abitavano a Sud del Caucaso e veneravano una dea Luna. I primi viaggiatori greci possono aver fatto confusione tra le notizie avute su queste sacerdotesse e i racconti sullscrittori dell'antichità a credere che la terra delle Amazzoni fosse sulle coste settentrionali della Turchia, a Ovest dell'Armenia. Erodoto, che scrive nelV secolo a.C., tentò di spiegare la contraddizione tra la terra mitica delle amazzoni, a Sud, e i più affidabili rapporti sulle donne guerriere sarmate del Nord del Mar Nero. Riprendendo la leggenda delle fatiche di Eracle, egli narra che i Greci, dopo aver sconfitto le Amazzoni a Timiscira, salparono portandosi dietro diverse navi piene di prigioniere.

Al largo del Mar Nero però, le Amazzoni li sopraffecero uccidendoli tutti. Un'improvvisa tempesta le spinse poi fino alle coste del mar d'Azov, nel regno degli Sciti. Calata l'ancora, esplorarono la terra straniera e tesero un'imboscata al primo gruppo di uomini a cavallo che incontrarono. Presi i cavalli, misero a sacco l'intera Scizia. In un primo momento gli sciti credettero che gli invasori fossero uomini, ma appena si furono scontrati con essi ne scoprirono la vera identità. Impressionati dal valore di queste donne, gli Sciti, anziché continuare la guerra, incoraggiarono i loro giovani a seguirle e ad avere da loro dei figli. I giovani Sciti sapevano che non avrebbero potuto conquistare le Amazzoni con la forza, quindi decisero di seguirle evitando ogni possibile scontro.

Così, se quelle li inseguivano, questi sì sottraevano con la fuga; se quelle si ritìravano, allora essi ritornavano ad accamparsi nei loro paraggi. Infine le Amazzoni capirono che quei giovani non avevano intenti ostili e accettarono di stringere amicizia e di accoppiarsi con loro. Nacquero i figli e gli Sciti continuavano a vivere con le Amazzoni, nelle steppe. Presto però essi sentirono il bisogno di far ritorno a casa. "Abbiamo dei genitori, dei beni - dicevano alle Amazzoni -. Ritorniamo a casa e solo voi, non altre, sarete le nostre mogli". "Noi non potremmo mai vivere nella vostra società, insieme alle vostre donne - rispondevano le Amazzoni - perché non abbiamo gli stessi costumi. Noi tiriamo con l'arco, lanciamo il giavellotto, cavalchiamo.

Le vostre donne non fanno nulla di tutto ciò, non vanno mai a caccia, ma attendono ai lavori femminili restando sempre sui carri.

Questo non potremmo mai accettarlo. Ma se desiderate veramente averci per mogli, ritornate dunque dai vostri genitori, fatevi assegnare la vostra parte di beni e ritornate, così potremo vivere per conto nostro". Gli Sciti acconsentirono e ritornarono dalle Amazzoni con i loro beni. Queste, però, non ancora soddisfatte, dissero ai loro uomini: "Timore e spavento ci prendono. Come potremmo mai vivere in questa terra, ora che vi abbiamo privato dei genitori? Vi abbiamo dato un dolore troppo grande. Se ritenete giusto che dobbiamo vivere insieme, allora bisogna lasciare questa terra e andare al di là del fiume Don".

Gli Sciti acconsentìrono anche a questo e insieme alle Amazzoni si diressero a Nord-Est del Mar d'Azov, in quella terra dove, stando a Erodoto, ancora vivevano nel V secolo a.C. Lo storico greco prosegue sostenendo che i discendenti di queste coppie erano i Sarmati, i quali continuavano ad osservare gli antichi costumi amazzonici. "Le loro donne vanno a caccia con o senza i loro uomini, prosegue, combattono in guerra e indossano abiti maschili. Per quanto riguarda il matrimonio, è loro usanza che nessuna possa sposarsi se non uccide prima un nemico; per tal motivo alcune invecchiano e muoiono nubili". Con queste informazioni, simili a quelle dateci da Ippocrate, Erodoto conclude la sua storia sulle origini delle Amazzoni sarmate. Combinando la favola con i dati reali del suo tempo, Erodoto sposta chiaramente le Amazzoni dal Sud del Mar Nero, la loro patria mitica, alle coste più a Nord, dove effettivamente vivevano.

Nei secoli successivi, gli storici tentarono poi di identificare le Amazzoni direttamente con gli Sciti. Nel I secolo a.C. Diodoro Siculo spiegò che agli albori della storia scita vi fu un periodo di rivoluzioni "in cui i sovrani erano delle donne dotate di un valore eccezionale". Poi identifica queste donne valorose con quelle che vivevano sul fiume Termodonte, nel Nord della Turchia, ma non si preoccupa minimamente di spiegare come queste fossero poi arrivate in Scizia. Sempre nell secolo a.C. anche Pompeo Trogo identifica le Amazzoni con gli Sciti, ma per motivare la loro presenza nel Sud del Mar Nero, ci fornisce un'ingegnosa spiegazione. Nel periodo delle loro più grandi conquiste, egli narra, due principi sciti fondarono una colonia alla foce dei Termodonte.

All'inizio riuscirono a tenere a bada i loro vicini, ma poi le popolazioni si unirono, tesero loro un'imboscata e li sterminarono. Le loro mogli, restate a Temiscira senza più nessuno a difenderle, furono costrette a prendere le armi. Più di una volta riuscirono a respingere l'attacco dei locali e, determinate a restare nella colonia, rifiutarono ogni prospettiva di matrimonio misto, sostenendo che sarebbe stato schiavitù non matrimonio. Fondarono così un governo senza uomini e steminarono tutti quelli che erano sopravvissuti. A questi due racconti più recenti sulle Amazzoni, si sono poi aggiunti numerosi elementi mitologici.

Da allora si è ritenuto non solo che abitassero in una terra mitica vicino al Termodonte, ma che avessero anche cessato di essere donne reali, che vivono in un rapporto paritario con i loro uomini: erano diventate tiranniche guerriere che dominavano gli uomini che le circondavano. Diodoro ne dà una descrizione classica. "Agli uomini, la regina delle Amazzoni assegnava la cardatura della lana ed altri compiti domestici, propri delle donne. La legge stabiliva che fosse lei a guidare le donne in guerra e che gli uomini fossero confinati in schiavitù. Per quanto riguarda i bambini, a quelli maschi mutilavano gambe e braccia affinché non potessero più combattere".

In seguito questi racconti appassionarono altri storici che continuarono a raffigurare le Amazzoni come delle tiranne che odiavano gli uomini; un insegnamento per gli uomini, questo, di quanto fosse folle concedere dei poteri alle donne. Indubbiamente queste storie servivano soprattutto ad assecondare i pregiudizi maschili nel periodo imperiale di Roma, quando, cioè le Amazzoni sarmate erano presumibilmente già scomparse daun pezzo. Nella sua Geografia del I secolo a.C. Strabone dubita addirittura che siano mai esistite. "Per quanto riguarda le Amazzoni - egli dice - le storie che si raccontano oggi sono le stesse di un tempo, sebbene non siano del tutto credibili. Per esempio, chi crederebbe mai possibile che un esercito di donne, una città o una tribù possano organizzarsi senza uomini, e non solo organizzarsi, ma addirittura vincere le genti vicine e intraprendere una spedizione fino all'Attica? Ciò equivarrebbe a dire che in quel tempo gli uomini erano donne e le donne uomini".

E' chiaro che tra gli scrittori greci del V secolo a.C. e quelli greco-romani del I secolo d.C. corre un periodo in cui si sono avuti dei cambiamenti nelle abitudini maschili. Per i primi storici le Amazzoni esistevano realmente, vivevano lungo la costa Nord-Est del Mar Nero e praticavano una singolare forma di parità tra i sessi. Per quelli successivi, invece, le Amazzoni erano un popolo mitico le cui vicende servivano solo per intrattenere ed educare gli uomini. Ma sulla reale esistenza delle Amazzoni vi sono altre prove che confermano i resoconti dei primi storici greci?

Tra il 1950 e il 1960 gli archeologi sovietici fecero una serie di importanti ritrovamenti. Sul fondo di una tomba a pozzo, nei pressi del fiume Molochnaya, sulla costa nord-occidentale del Mar d'Azov, 350 km. A Est di Odessa, fu rinvenuto lo scheletro di una giovane donna. Accanto, i segni della sua appartenenza alla classe aristocratica: uno specchio di bronzo, una collana di perle di vetro, dell'argento, braccialetti di bronzo o vetro e un'anfora greca proveniente dall'altra parte del Mar Nero.

Ma oltre a questi oggetti di lusso, furono rinvenute, accanto al suo teschio, due punte di lancia e, al suo fianco, una faretra con venti frecce e una corazza di ferro lamellato. Era una vera Amazzone, una guerriera sarmata vissuta tra il IV e il III secolo a.C. La scoperta non rimase isolata. All'interno di una tomba a tumulo, riportata alla luce a Kut, nelle steppe a Ovest del Dniepr, fu rinvenuto uno scheletro di una donna risalente allo stesso periodo, con accanto uno specchio e degli orecchini di bronzo, una collana di perle di vetro, una spada di ferro e i resti di una faretra con trentasei frecce.

A Zemo-Avchala vicino a Tbilisi, in Georgia, sulle colline a Nord del Caucaso, alcuni agricoltori sovietici rinvennero casualmente la tomba di una donna inumata nella posizione rannicchiata e con accanto uno specchio di bronzo, due punte di lancia e lo scheletro di un suo servitore. I ritrovamenti di questo tipo sono stati numerosi, tutti risalenti al IV secolo a.C. e tutti classificabili come appartenenti alla civiltà sarmata. Le scoperte del XX secolo provano, dunque, che i resoconti letterari di 2500 anni fa erano veri. Una volta stabilito che le Amazzoni sarmate esistettero realmente, restano da chiarire le caratteristiche di questo popolo.

Scoperte archeologiche successive hanno dimostrato che i Sarmati erano un popolo indoeuropeo stanziatosi a Nord del Mar Caspio, nel territorio compreso tra l'Ucrania e il Kazakistan. Delimitata a Nord dalla foresta siberiana e a Sud dal deserto dell'Asia Centrale, questa regione in origine era formata soprattutto da steppe: migliaia di chilometri di suolo erboso e senza alberi. Nella parte occidentale, i monti del Caucaso costituivano una barriere naturale tra Sarmati e Impero Persiano. Un popolo nomade, naturalmente, che viveva in armonia coi cicli produttivi legati al pascolo, soprattutto di cavalli e bovini, e alla caccia, di pesce e selvaggina.

Talvolta la siccità poteva sconvolgere il loro abituale ciclo migratorio, per cui erano costretti a saccheggiare genti o comunità vicine. Cavalieri abilissimi, i Sarmati erano capaci di tendere poderosi archi restando in groppa ai loro pony delle steppe e di usare lance e spade pesanti nei combattimenti ravvicinati. I nomi classici ricollegabili a questa cultura: Melanippa (cavalla nera); Ippolita (cavallo scalpitante); Alcippa(cavallo forte). Tutte le testimonianze letterarie provano che in questa società della steppa la donna godeva di un potere e di una parità sessuale sconosciuti alle culture dei popoli vicini.

Fra gli Sciti, per esempio, i maschi erano poligami e spesso i figli sposavano le mogli dei loro padri, mentre le donne vivevano in un isolamento tipicamente asiatico. Al contrario, a Pazirik, nel Kazakistan, le tombe sarmate rinvenute mostravano una sola donna accanto al marito. Ciò fa supporre che i Sarmati fossero monogami e che, quantunque le donne sposate fossero dedite alla cura della famiglia, il matrimonio rappresentasse una collaborazione tra coniugi, in cui la donna era moglie piuttosto che concubina o serva.

Prima del matrimonio, inoltre, le ragazze sarmate potevano cacciare e lottare al fianco dei ragazzi; forse qualcuna non si sposò mai, scegliendo di concorrere all'interno della gerarchia sarmata per ottenere una posizione di potere nella tribù. Ciò spiegherebbe la presenza di donne armate seppellite da sole in tombe che generalmente erano riservate solo ai capi tribù. La spiegazione di questo insolito ruolo attivo delle donne nella società sarmata potrebbe essere legata ad una loro influenza in quanto sacerdotesse. A Sud degli Urali e nel Kazakistan, in tombe di donne sarmate, sono state ritrovate infatti delle tavole basse di pietra, presumibilmente altari.

Durante il VI e V secolo a.C. le genti sarmate stanziatesi più a Occidente, tra il Volga e il Don, erano completamente soggette al potere degli Sciti. Nella steppa, questi ultimi costituivano una forte confederazione che, nel periodo di massimo splendore e potenza, estendendo il proprio dominio su parte del Vicino Oriente, beneficiò molto dei contatti avuti con la civiltà greca e persiana del Mar Nero. Di fronte a questi potenti cavalieri, è più che probabile che i Sarmati occidentali pagassero loro dei tributi e ne fossero anche influenzati culturalmente.

Non stupisce dunque che gli storici antichi scambiassero per Sciti i vicini Sarmati, come non stupisce che le guerriere sarmate potessero combattere a fianco degli Sciti durante le loro incursioni in Europa e Asia, il che dovrebbe gettare nuova luce sulla loro leggendaria invasione della Grecia contro Teseo. Di certo, dalla fine del VI secolo a.C., sui vasi greci le Amazzoni non sono più ritratte con armature greche, ma come gli Sciti portano i pantaloni, cavalcano e tirano con l'arco; e anche questo ben si accorda con i numerosi riferimenti storici dei Greci sulle Amazzoni sarmate che combattevano a fianco degli Sciti. Una delle più gravi minacce al potere scita si verificò nel VI secolo a.C., quando i Persiani, guidati da Dario il Grande, invasero il loro regno.

E' questo il primo esempio di una campagna militare storicamente accertata in cui si afferma che le Amazzoni ebbero un ruolo decisivo. Intorno al 512 a.C. l'imperatore persiano attraversò il Bosforo e invase l'Europa: obbiettivo della sua spedizione era la conquista della Grecia. Prima però volle chiudere il fronte Nord dei Balcani agli Sciti del Mar Nero. Nelle sue intenzioni, l'azione doveva impedire che il legname della Tracia e il grano dell'Ucraina potessero arrivare ai Greci. Alla testa di un'imponente armata, forte, secondo Erodoto, di 700.000 uomini (ma è più verosimile che fossero solo un decimo), Dario invase la Tracia e raggiunse il Danubio.

Per attraversarlo e arrivare così in territorio scita, fu costruito un ponte di chiatte, la cui difesa venne poi affidata a una retroguardia di Greci ionici. A questi Dario affidò anche una corda con sessanta nodi, con l'ordine di scioglierne uno per ogni giorno che egli trascorreva via in guerra contro gli Sciti; se non fosse ritornato entro l'ultimo nodo, avrebbero dovuto distruggere il ponte e ritornare a casa. I capi sciti compresero la misura del pericolo solo quando le forze persiane penetrarono nel loro territorio. Allora esploratori riferirono di lunghe colonne di soldati e salmerie; cosicché, costretti ad ammettere che mai avrebbero potuto affrontarli da soli, gli Sciti chiesero alle popolazioni vicine di unirsi a loro per respingere l'invasore.

Molte tribù non aderirono all'appello, sostenendo che gli Sciti avevano provocato i Persiani per cui esse non avevano niente da temere. I Sarmati, invece, capirono l'importanza del fronte unito e vi aderirono. Nelle file sarmate cavalcarono molte Amazzoni e con ogni probabilità vi furono anche donne comandanti. Erodoto narra che nel VI secolo a.C., Tomiri, regina dei Massageti, nell'Asia centrale, sconfitta l'armata persiana di Ciro, mozzò di propria mano la testa dell'Imperatore: i Persiani avevano dunque di che preoccuparsi circa le Amazzoni.

Impiegando una strategia classica per le steppe russe, gli Sciti decisero di ritirarsi di fronte a Dario, portandosi dietro il bestiame, avvelenando i pozzi, bruciando l'erba. La loro armata era così divisa: una metà, composta da Sciti e Sarmati, aveva alla testa il re Scopasis; l'altra metà comprendeva le tribù alleate della steppa, Geloni e Budini, con a capo i re Idantirso e Taxachis.

Ritirandosi a Est, Scopasis attirò i Persiani verso il Don, nel territorio a Nord del Mar d'Azov. Nel frattempo Indantirso, con un secondo contingente, sorvegliava a distanza i Perisiani, controllando che non si dirigessero verso Nord, dove le forze alleate avevano mandato donne, bambini e bestiame. Una piccola avanguardia scita fu quindi fatta avvicinare il più possibile al nemico e ciò allo scopo di attirarlo ancor più all'interno dell'arida steppa. Quell'estate, il caldo torrido e opprimente delle regioni a Nord del Mar Nero, nonché le nuvole di fumo nero che si levavano dai terreni bruciati dagli Sciti, finirono col demoralizzare ogni giorno di più le truppe persiane in marcia verso Est.

Frattanto sul Danubio la retroguardia ionica aveva sciolto già un terzo dei nodi. Fu allora che, stanco dell'inutile inseguimento, Dario inviò un suo messaggero al re Idantirso con la seguente ambasciata: "O insensato, perché fuggi sempre? Se ti consideri così forte, perché non ti fermi e cerchi di combatteirmi? Se al contrario riconosci di essere il più debole allora smettila di scappare e portami piuttosto doni e acqua della tua terra come segno di sottomissione".

A ciò il re scita rispose: "Non sono mai scappato per timore di qualcuno, né adesso fuggo davanti a te ma piuttosto mi sposto come ho sempre fatto, in pace. E se desideri sapere perché non veniamo subito a battaglia con te sappi che noi non ne abbiamo motivo, perché non possediamo né città né campi coltivati da difendere. Ma se proprio desideri lo scontro, allora cerca le tombe dei nostri antenati e vedrai se siamo o no capaci di combatterti; prima però non ti faremo guerra". In luogo dei doni, gli Sciti inviarono gruppi di cavalieri a compiere brevi incursioni sulle linee di transito persiano, tra il fronte e la retroguardia sul Danubio.

Quest'ultima fu raggiunta da un reparto scita-sarmata guidato da Scopasis, il quale riuscì a convincere gli Ioni a distruggere il ponte; ma non appena se ne fu andato questi ultimi non mantennero la promessa data. Gli arcieri attaccavano le formazioni di cavalieri persiani che si spostavano perla steppa in cerca di cibo e quando questi ripiegavano verso le loro postazioni di fanteria, gli Sciti si ritiravano, preferendo non affrontarli. Erodoto dice che spesso gli agguati fallivano per la presenza dell'armata persiana di muli. A quanto sembra, infatti, i cavalli sciti non erano abituati al verso di quegli animali, per cui, spaventati dal loro raglio, si rifiutavano di avvicinarli.

Ma nonostante quest'arma imprevista, i Persiani erano sconvolti per le continue incursioni, mentre lo stesso Dario sembrava sempre meno interessato all'intera campagna. Fu a questo punto che il re scita Idantirso inviò un suo messaggio al campo persiano. L'araldo consegnò al nemico un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Erano questi i doni della terra e dell'acqua che Dario aveva chiesto? Forse anche gli Sciti erano stanchi di quella guerra che stava distruggendo la loro terra. Dario chiese ai suoi consiglieri di aiutarlo ad interpretare quegli strani doni. Secondo lui esprimevano simbolicamente la resa, in quanto il topo rappresenta la terra, la rana l'acqua, l'uccello i cavalli sciti e le frecce la loro forza di combattere. Uno dei suoi consiglieri, Gobria, aveva però un'opinione diversa.

"Mio grande Imperatore - disse - io credo che questi doni non hanno un significato di resa; piuttosto gli Sciti ci dicono con essi: "a meno che non diventiate uccelli per poter volare alto nel cielo o topi per nascondervi sotto terra o rane per saltare nei laghi, sarete colpiti da queste frecce e non ritornerete più a casa)". L'imperatore persiano non aveva possibilità di vincere, e mentre si preparava per riportare, stremati, i suoi uomini a casa, ecco che all'orizzonte apparvero in forza i cavalieri della steppa. Gli arcieri a cavallo avanzavano veloci, seguiti da nobìli sarmati e sciti armati più pesantemente: tutto faceva supporre che l'avversario avesse finalmente acconsentito al confronto.

Dario radunò subito i suoi uomini e, dispostili in formazioni, attese lo scontro. Mentre le due schiere si fronteggiavano, una lepre attraversò saltellando il campo. Per Sarmati e Sciti non c'era niente di meglio di una battuta di caccia; così, pur essendo già pronti per la battaglia, non resistettero a quella piccolissima creatura e parte di essi si staccò del resto dell'esercito con urla di gioia per lanciarsi disordinatamente nella battuta. Stupito, Dario chiese ai suoi consiglieri il motivo di quello scompiglio nelle file scite; saputolo, ne restò amareggiato.

"E' tale il disprezzo degli Sciti verso di noi? Questi uomini ci hanno preso veramente in giro". Senza attendere un'altra opportunità di scontro, Dario preparò i suoi soldati per il ritorno in Persia: Sciti, Sarmati e alleati avevano vinto. Per lungo tempo ancora le steppe sarebbero rimaste libere dalla conquista di altri imperi ,persino di quello romano: la campagna contro i Persiani rivelò una strategia militare classica perla guerra dei nomadi. Che nell'esercito scita vi fossero delle Amazzoni e che queste riuscirono a incutere timore ai Persiani è ormai fuori dubbio.

Nel corso del secolo successivo, gli Sciti continuarono a dominare la regione a Nord del Mar Nero, mentre a Est i loro vicini Sarmati incominciavano ad apprezzare i particolari benefici dei commerci marittimi. Nel IV secolo a.C., nelle steppe euroasiatiche, si determinarono nuovi assetti geopolitici. Nella regione del basso Volga, a Nord del Mar Caspio, una penetrazione di Massageti dell'Asia Centrale andò affermandosi a scapito delle tribù sarmate del Kazakistan. E, siccome sulla costa orientale del Mar d'Azov il dominio commerciale dei Greci del Bosforo continuava ad essere stabile, l'avanzata dei Massageti finì con lo spingere i Sarmati verso Ovest al di là del flume Don, nel territorio degli Sciti.

Questi ultimi, sebbene ancora forti nella regione occidentale, tanto da riuscire a respingere i continui attacchi macedoni lungo il confine tracio, a Oriente dovettero cedere alla nuova avanzata sarmata. E' a questo periodo storico che si fanno risalire le tombe delle donne guerriere scoperte in Ucraina; si può quindi dedurre che le Amazzoni ebbero un ruolo rilevante in queste guerre di conquista dei Sarmati. Dai resti rinvenuti nelle tombe possiamo farci una più chiara immagine del corredo militare delle Amazzoni sarmate.

L'armatura più caratteri stica era costituita da una pesante giubba di pelle su cui venivano cucite, sovrapposte, file di lamine di ferro. La giubba era poi stretta in vita da un grosso cinturone, sempre di pelle e con placche di ferro. Questo tipo d'armatura era ancora in uso nell'epoca cristiana: ne sono prova i bassorilievi della colonna Traiana, che ritraggono i cavalieri sarmati con pantaloni lamellati e cavalli corazzati. A quanto sembra i Sarmati preferivano questo tipo di corazza, benché già conoscessero, attraverso gli usi militari di Romani e Celti, la più pratica cotta di maglia di ferro, che per giunta copriva anche braccia e gambe.

L'uso dello scudo ovale, rinforzato con placche di ferro, era proprio degli Sciti, e per quanto si sa non fu mai impiegato dalla cavalleria pesante sarmata. Il loro arco, invece, era un'arma composita, fatta di legno nero e corno, molto efficace nel tiro da cavallo. Gli oggetti più comuni, rivenuti in tutte le tombe, sia di uomini che di donne, sono invece le punte, di ferro o di bronzo, di frecce. Famosi anche per la loro abilità nei combattimenti ravvicinati, i Sarmati usavano pesanti lance acuminate e lunghe spade di ferro le cui lame, come mostrano alcuni scavi, raggiungevano persino il metro e venti di lunghezza: Strabone narra che i Sarmati le impugnavano con entrambe le mani.

Altrove sono state portate alla luce anche asce, con lame strette e allungate, e pugnali. Dal Kazakistan Orientale provengono le armi più finemente decorate, con manici di osso o legno su cui sono intarsiate tipiche figure di animali siberiani: capre di montagna, cammelli, cervi e naturalmente cavalli. A Occidente, invece, lo stile decorativo fu influenzato da Sciti, Persiani, Greci e Celti; inoltre le Amazzoni di questa regione indossavano armature simili a quelle di detti popoli. Tra i finimenti del cavallo sarmata troviamo il morso di ferro e delle placche metalliche decorate, ma non le staffe. Se le prove archeologiche su questo periodo sono così numerose, sorprendentemente le testimonianze letterarie sulle Amazzoni sono pochissime.

Nel corso dei IV e III secolo a.C. la penetrazione sarmata nei territorio scita deve aver causato forti tensioni tra i due popoli, ma purtroppo di questi fatti mancano testimonianze concrete. Per questo periodo, informazioni più precise sulle Amazzoni ci giungono attraverso i vari resoconti storici su Alessandro il Macedone e la sua campagna di conquista dell'Impero persiano. Diodoro Siculo, Piutarco e Pompeo Trogo fanno tutti e tre riferimento a un episodio accaduto durante questa campagna, nel 330 a.C., quando, colpito da dissenteria, Alessandro dovette interrompere l'inseguimento di una popolazione nomade e fermarsi a Sud del mar Caspio, in Partia.

Durante questa sua sosta forzata vennero a rendergli omaggio numerosi ambasciatori. Tra questi, quelli del re scita, che gli offrirono la mano di una loro principessa; il guerriero macedone però, con cortesia, la rifiutò. Venne poi Thalestris, regina delle Amazzoni, la quale giunse al campo con trecento guerriere tutte in completa armatura. Alessandro restò colpito dallo splendore di quella scorta e, chiesto a Thalestris cosa volesse, questa rispose che desiderava avere un figlio da lui. Ella sostenne che, avendo lui dimostrato con la sua conquista dei mondo di essere il più grande di tutti gli uomini, ed essendo lei superiore alle altre donne in forza e coraggio, i loro figli avrebbero di certo superato tutti gli altri mortali.

Entusiasmato dall'idea, Alessandro trascorse tredici giorni solo con la regina, dopodiché, prima ch'ella partisse, le rese onore con dei doni. Sia Diodoro che Pompeo Trogo scrissero di questo incontro amoroso circa duecento anni dopo, basando le loro versioni su dei manoscritti più antichi. Plutarco, che scrisse nel I secolo d.C., è molto più scettico, non perché dubiti dell'esistenza delle Amazzoni, ma perché solleva delle riserve sulla realtà dell'incontro. Per dimostrarlo mette a confronto gli storici che lo confermavano e quelli invece che lo negavano e infine conclude che il fatto non ebbe mai luogo. Plutarco inoltre fa riferimento a una lettera di Alessandro in cui il Macedone, sebbene parli della principessa offertagli dagli Sciti, non fa alcun accenno alle Amazzoni.

A questo punto egli narra l'episodio di Lisimaco, compagno d'armi di Alessandro. Un giorno, molti anni dopo la campagna persiana, Lisimaco stava ascoltando una lezione di uno storico sulla vita di Alessandro e quando questi incominciò a parlare dell'episodio di Thalestris, sorrise e chiese: "E io dov'ero a quel tempo?". Nel II secolo d.C. il fatto già non compare più nella biografia di Alessandro scritta da Arrian, benché lo scrittore non manchi altrove di narrare fatti riguardanti le Amazzoni. Durante una sosta a Zariaspa, Alessandro ricevette un araldo scita e Farasmane, re dei Corasiniani.

Essendo il regno di quest'ultimo confinante con quelli dei Colchi e delle Amazzoni, Farasmane chiese all'imperatore di invadere i loro territori e di sottomettere tutte le popolazioni del Mar Nero; da parte sua gli avrebbe fatto da guida, provvedendo ai rifornimenti e ai soldati. Alessandro lo ringraziò per l'offerta e accettò la sua alleanza, ma gli disse anche che al momento non poteva intraprendere una spedizione sul Mar Nero. Il suo obiettivo principale era l'India. Arrian racconta poi di quando Alessandro, marciando verso le pianure di Nisa, sulla costa meridionale dei Mar Caspio, vide gli allevamenti dei famosi destrieri nisei, i più ricercati dai cavalieri asiatici.

Durante questa sua nuova sosta venne a fargli visita Antropatene, satrapo della Media; con lui, un gruppo di guerriere che egli dichiarò essere Amazzoni. Secondo Arrian, queste donne avevano lo stesso corredo militare dei cavalieri, eccezion fatta per l'ascia e il brocchiere, preferiti alla spada e allo scudo largo. Egli, inoltre, non manca di riportare le credenze secondo cui queste guerriere avevano il seno destro più piccolo. A quanto pare Alessandro, temendo reazioni "inconsulte" da parte dei suoi uomini, fece allontanare le Amazzoni dall'accampamento, pregandole però di riferire alla loro regina che presto le avrebbe fatto visita, con la speranza di avere da lei dei figli.

Arrian, comunque, dubita dell'esistenza delle Amazzoni e avanza l'ipotesi che Antropatene avesse semplicemente vestito alcune donne secondo lo stile di quelle guerriere. Un elemento comune a tutte queste versioni storiche dell'incontro è la sua collocazione in un punto, non preciso, a Sud del Mar Caspio e, anche alla luce dei reperti archeologici, questo sembra essere il luogo più probabile per un incontro tra le Amazzoni e Alessandro; il che rende più verosimile l'avvenimento. Tombe di Amazzoni sarmate sono state scoperte infatti anche più a Sud, in Georgia, nel Caucaso. In ogni caso per gli antichi questa con Alessandro Magno fu l'ultima apparizione di una regina amazzone. Secondo Pompeo Trogo, con la morte di Thalestris avvenuta poco dopo il suo ritorno in patria, il nome Amazzoni scomparve dalla storia. Diodoro sostiene invece che le Amazzoni non si ripresero mai dalle sconfitte subite contro i Greci di Eracle e Teseo. Ultima Amazzone a conquistarsi la fama di donna intrepida fu Penthesilea, che combatté a fianco dei Troiani contro Achille.

"In seguito la razza andò estinguendosi fino a perdere del tutto il potere - dice Diodoro - cosicché, successivamente, ogni qual volta gli scrittori ne raccontano il valore, gli uomini considerano queste storie antiche come delle favole". Sebbene dal IV secolo a.C. non si parli più di eroine amazzoni, occasionalmente si sentirono ancora storie su incontri con donne guerriere nella regione del mar Nero. Appiano, che scrisse nel II secolo d.C., descrisse un'importantissima campagna del generale romano Pompeo. Nel 66 a.C., durante la guerra mitridatica, Pompeo intraprese una spedizione esplorativa lungo la costa orientale del Mar Nero, tra i monti del Caucaso.

Il suo scopo era di individuare il percorso seguito dagli Argonauti per raggiungerela terra del vello d'Oro. Sulle probabili origini di questo mito, Appiano fu abbastanza realistico da collegarlo ad un'abitudine dei minatori caucasici, i quali spesso usavano dei velli di pecora per estrarre la polvere aurea dai fiumi; da qui la lana luccicante, motivo del viaggio di Giasone. Appiano, dunque, non si accontentava facilmente delle storie fantastiche.

Nondimeno però egli narra che quando le genti del Caucaso tesero un'imboscata a Pompeo nei pressi del Cyrtus, un fiume che sfocia nel mar Caspio, il condottiero romano riuscì a stanare e vincere questi abili lottatori della foresta, prima circordando con le sue truppe i loro rifugi e poi dando fuoco alla vegetazione, e che fra i tanti prigionieri furono scoperte donne che avevano subito ferite pari a quelle degli uomini, tanto che le si ritenne Amazzoni. Lo stesso episodio compare in Plutarco. Indubbiamente questa è l'unica regione in cui potevano continuare ad esistere le tribù sarmate.

Molto tempo dopo, nel IV secolo d.C., Procopio sostiene che le Amazzoni provenivano dal Caucaso, dal territorio degli Alani e degli Unni. Benché ai suoi tempi non esistessero più toponimi o memorie che ricordassero le Amazzoni, Procopio deride gli storici che consideravano questo popolo come un mito. A sostegno della sua tesi, ricorda l'episodio seguito alla battaglia tra Unni e Romani, quando questi ultimi scoprirono tra le vittime nemiche i corpi di donne guerriere.

Dal punto di vista archeologico è certo che Alani e Unni erano diretti discendenti della stirpe sarmata e in quanto tali possono avere continuato ad osservare certi costumi antichi. Collegando tra loro tutte le testimonianze a nostra disposizione, la tesi che le Amazzoni vissero veramente nelle steppe a Nord-Es1 del Mar Nero appare inattaccabile. Le donne guerriere dell'antichità, quindi, possono essere considerate sarmate, in quanto di questo popolo seguirono gli sviluppi culturali e militari.

Dalle varie storie sulle regine amazzoni, si deduce inoltre che tra queste donne alcune rinunciavano alla vita matrimoniale per seguire la carriera politico-militare. Più che una società matriarcale, la loro sembra una cultura in cui uomini e donne si dividevano il potere in base ai meriti individuali e alla posizione sociale nella tribù. Da quanto tempo le Amazzoni dominassero le steppe, prima che facessero la loro apparizione nella storia greca del secondo millennio a.C., non è verificabile; certo è che il loro dominio durò fino al II secolo a.C.. Da allora la loro presenza non è stata più segnalata se non da poche e isolate testimonianze.

A che fu dovuto questo declino? Un'ipotesi plausibile è l'assimilazione. E' probabile che i Sarmati, nomadi delle steppe, furono così colpiti dalla maggiore civiltà di queste genti del mar Nero che, fenomeno comune a molti barbari, iniziarono a imitarne i costumi, fin tanto da bandire dalla loro storia le antiche tradizioni delle donne guerriere, ritenute ormai un segno di arretratezza e barbarie.


Dal forum http://ricomciamo.forumup.it/about738-ricomciamo.html

Le Amazzoni

In un passato remoto
esisteva un popolo di guerriere,
accertato storicamente
soprattutto nelle terre tra
l'Europa e l'Asia...
...questo era
il popolo delle
Amazzoni.

La parola “matrimonio” deriva da “madre”, non da “padre”. Ciò perché nel nostro passato le cose andavano diversamente da come vanno oggi. Nell’antica Grecia, all’inizio dei tempi, in molte zone dell’Egeo, era la donna a capo della famiglia. Nella stessa mitologia greca troviamo traccia di tali usanze. Le origini del matriarcato vanno ricercate nell’antica isola di Creta e in Licia. A Creta si venerava uno Zeus figlio di Rea, senza padre, dio “mortale” discendente da un’unica dea “immortale”. Infatti, sull’isola si troverebbe la tomba del dio che, una volta morto, venne seppellito, ritornando così alla Madre Terra, per l’appunto Rea. Creta è la “terra madre” per eccellenza (al contrario di “patria”, da “padre”). In tutte le culture antiche era venerata una dea Madre, cui radice del nome, nella maggior parte dei casi, era Lar-, Led-, Las-, Lat-. Latona ad esempio era la madre di Apollo; Leda, la madre mortale di Elena (di Troia); nella lingua licia, “leda” significa proprio “madre”. Dalla “Madre Terra” di Creta discendono tutti gli uomini e tutti sono fratelli. Per questo chi uccideva un altro uomo si macchiava di “paricidium”, termine che sopravvisse fino ai Romani per poi assumere altro significato, a livello più familiare. Inizialmente, il paricida era il comune assassino, in quanto il termine derivava dalla parola “pario”, cioè “partorire”, quindi veniva messo in risalto l’atto generativo da parte della madre.

Era considerato un atto sacrilego. Il paricida non poteva essere sepolto, perché in tal caso sarebbe ritornato alla madre terra. Veniva messo in un sacco insieme ad un serpente, oppure ad un cane, un gallo o una scimmia e gettato in un fiume. Fin dai tempi dell’antico Egitto, il Nilo straripava periodicamente inondando le terre adiacenti e rendendole fertili. Ciò veniva visto allo stesso modo di una fecondazione. L’acqua rappresentava il seme maschile, ecco perché la mitologia egizia vedeva il fallo di Osiride “disperso” nelle acque del Nilo, mentre la terra era la donna, che riceveva il seme nel suo “grembo” e lo faceva germogliare. Per questo Talete ed Omero vedevano l’acqua come primo elemento, origine della vita e di ogni cosa. Dall’acqua marina giunse a Creta il toro poseidonico che fecondò Pasifae, sposa di Minosse, trasformata in mucca, con l’aiuto di Dedalo, per essere fecondata. Da questa unione nacque Asterio, il Minotauro, sconfitto successivamente da Teseo. Nel matriarcato, il marito o il padre avevano poca importanza e i figli prendevano il nome dalla madre. La stirpe greca dei Molionidi derivava ad esempio da Moliona, gli abitanti di Locri venivano detti Epizefiri, da “Zefiritide”, uno dei nomi di Afrodite. Al matriarcato erano collegati dei simboli. La luna, quindi la pietra lunare, per questo la Medusa, regina delle Gorgoni, si dice fosse in grado di “pietrificare” chiunque guardasse; Pitagora collega al matriarcato il numero 2, in quanto tale numero è quello della femminilità, dell’eguaglianza e della giustizia: la suddivisione di un numero pari in due parti porta al “concepimento” di altri due numeri uguali. I numeri dispari invece sono propri del maschio, indivisibile, incapace di generare. Al matriarcato è legata la vita e la morte, che sono ancora 2 facce della stessa medaglia, così come la legge del taglione, ad ogni causa corrisponde un effetto, ad un agire, un soffrire, quindi si tratta di un diritto sanguinario, che assicura sempre agli dei del sottosuolo 2 corpi, quello della vittima e quello del giustiziato (in quanto colpevole di paricidium).

Durante la processione di Iside, in Egitto, il quarto sacerdote portava il calco della mano sinistra di Iside, la mano della giustizia, intesa come legge della morte. La sinistra è il lato femminile, la destra quello maschile. A Cuzco, in Perù, la città era disposta su due assi, quello di sinistra, ove sorgeva la piramide della Luna, sepolcro della regina, e quello di destra, ove si trovava la piramide del Sole, dedicata al Sovrano, l’Inca. Ritornano ancora il Sole e la Luna, l’uno simbolo dell’uomo, l’altro della donna. L’uno, simbolo del patriarcato, l’altro simboleggiante il matriarcato. Ma la diade è connessa con la triade. Se il numero 2 è femminile, il 3 è la perfezione, in quanto è l’unione del 2 (donna) e dell’1 (uomo). Il cosmo stesso era pensato come un triangolo. Ancora fino ad un recente passato, l’uomo era visto come la perfezione rispetto alla donna, che non era altro che una “versione mal riuscita” del primo. Ancora al tempo di Galeno (II sec. d.C.), si credeva che non esistessero due sessi diversi, ma uno solo. L’unica differenza stava nel grado di perfezione: la donna era un essere che non aveva raggiunto la perfezione che aveva l’uomo ed i suoi genitali erano rimasti atrofizzati, come gli occhi delle talpe. Questo, si credeva, accadeva per una “mancanza di calore”. Infatti, ancora nel rinascimento, e forse oltre, si credeva che una donna potesse diventare uomo, ma non viceversa, in quanto era solo possibile tendere verso la perfezione, non il contrario. Gli uomini che diventavano donne tutt’un tratto erano condannate al pari degli eretici. Al matriarcato è legata la ginecocrazia, ovvero il potere della femmina sul maschio. Il più classico esempio di ginecocrazia sta nel mondo animale. Le api sono un “popolo” di amazzoni. Il solo compito dei fuchi maschi è quello di fecondare l’ape regina, successivamente, al termine del loro compito, questi vengono uccisi dalle api femmine. Nell’antichità, sparsi in diverse zone, esistevano diversi popoli che basavano il loro diritto sulla ginecocrazia.

Le amazzoni erano popolazioni composte quasi esclusivamente da sole donne organizzate senza la presenza di uomini (o comunque, la loro presenza non era rilevante, in alcun senso). Seguivano le antiche leggi telluriche del matriarcato e vedevano la convivenza tra sole donne come la più perfetta. Tale particolarità aveva avuto origine all’interno delle società guerriere, quando l’uomo era costretto a stare molto tempo lontano da casa per combattere e, di conseguenza, era la donna che doveva stare a casa e fare da capofamiglia; doveva badare al fuoco domestico, ai figli, ai campi e partecipare alle assemblee cittadine. L’uomo tornava a casa solo di tanto in tanto, in quanto era impegnato, per la maggior parte del tempo, in battaglia. In questo tipo di società nacque la ginecocrazia e la vita amazzonica, nonché l’eterismo, ovvero la pratica sessuale indifferenziata, vista solo come un sacrificio al quale era portata la donna, con l’unico scopo di dare un futuro al proprio popolo (come valeva per l’ape regina).

Le donne, le amazzoni, accettavano ospiti di sesso maschile solo in certi casi e periodi, e solo per necessità, come nel caso delle donne di Lemno, che ospitarono Giàsone e gli Argonauti e poi si unirono ai Minii. Giacevano con questi uomini e speravano di rimanere incinte al primo amplesso. I figli maschi che nascevano, nella maggior parte dei casi, venivano uccisi. Ma, probabilmente, potevano anche essere venduti come schiavi. Le femmine venivano cresciute e abituate alla vita amazzonica fin da piccole. Popolazioni di amazzoni erano presenti in Africa, nell’Egeo e in Asia. Ancora al tempo di Alessandro Magno, esisteva il regno della regina Candace in India. L’esistenza di regni amazzonici vicino l’India è attestata dai racconti dei cronisti di viaggi in Cina. Nella storia dell’umanità ci sono state, di volta in volta, uomini che hanno scritto la parola “fine” al capitolo dell’Amazzonismo. Ricordiamo Teseo, Perseo, Eracle, che lottarono contro le Amazzoni e le sconfissero, imponendo il patriarcato. Perseo lottò contro Medusa, Eracle combatté due campagne militari contro gli Elidi. Quando l’amazzone Clita seppe della morte di sua figlia Pentesilea sotto le mura di Troia, partì col suo popolo, ma le tempeste la spinsero in Italia, ove fondò una città chiamata Clita. Le regine che si susseguirono vennero tutte chiamate Cliti. Queste Amazzoni vennero sconfitte da Crotone. La fine violenta degli antichi regni ginecocratici è evidentemente la regola. Al patriarcato, che subentrò grazie ad Eracle, Achille, Perseo, Teseo, Dioniso, etc. è direttamente connesso il simbolo solare (in contrapposizione alla luna), la vita (al contrario della morte) e lo spirito (invece del corpo). Ad esso è collegato il dio Apollo, dio solare, e la dea Atena, nata “dalla testa di Zeus”, quindi, senza madre. Al patriarcato è legato anche il numero 7. Licia trovò le ossa di Oreste e le portò a Sparta in una bara lunga 7 cubiti. Prima dell’ottavo canto dei cigni cantori del Pattolo, Latona mise al mondo Apollo sull’isola di Delo. La sua lira avrà 7 corde. Oreste è direttamente collegato al patriarcato, in quanto matricida. Vendicò l’assassinio di Agamennone, suo padre, ucciso in un complotto da Clitemnestra, sua madre, e dal suo amante. Oreste, per aver ucciso la madre, dovette subire la vendetta delle Erinni, 5 titani, ma ottenne la protezione di Apollo. Un caso simile è quello di un altro matricida, Alcmeone, il quale uccise la madre Erifila, colpevole di aver ucciso suo marito Anfiarao (il quale dopo morto venne “inghiottito” dalla terra, ritornando quindi nel suo grembo), essendo stata sedotta dal fratello Adrasto. Presso questi antichi popoli matriarcali l’unione tra fratello e sorella era vista come la più perfetta. Basti pensare a Osiride ed Iside in Egitto, a Zeus ed Era in Grecia o addirittura all’interno della civiltà precolombiana degli Incas. Al tempo di Sesostri, l’Egitto annoverava molte tribù di donne guerriere. Mirina, regina delle amazzoni, stipulò un patto di alleanza con gli Egizi. Qui, regnava il matriarcato. Chi giaceva con la regina, poteva divenire Faraone. Importante era quindi l’atto fisico, carnale, tipico dei popoli antichi e tellurici, legati alla Madre Terra. Solo la vergine di Amon dava al Faraone l’erede al trono. L’uomo dominava solo sul piano spirituale, infatti non esistevano sacerdotesse, solo sacerdoti. Così some la regina Candace, in India, senza marito sono anche la regina di Saba (Bilquis) e Semiramide, una vera e propria amazzone. L’incontro tra Bilquis e Salomone può essere paragonato a quello tra Candace ed Alessandro il Grande. Questi cercava un unione non solo politica del mondo allora conosciuto. Tolomeo, suo generale, creò il dio Serapide, in cui convogliavano tratti della religione egizia e della mitologia greca. Alessandria d’Egitto era la città dei 5 colli (2 + 3), cioè, la città dell’unione tra matriarcato e patriarcato, la città della perfezione. Alessandro incontrò anche altre amazzoni, come Talestri e Minizia. Personalità storicamente accertate sono Tomiri, Zarina, Sparetra, tutte regine di regni amazzonici in Asia. Lentamente, questi regni volsero al termine, sia pacificamente, sia violentemente. Con l’avvento di Roma, l’amazzonismo concluse definitivamente la sua parabola, divenendo così solo ricordo e leggenda.

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